Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
HANNO PRESO VOTI PURE I DUE CANDIDATI AL CONSIGLIO COMUNALE, ARRESTATI PER AVER INCONTRATO DUE BOSS: IN 61 HANNO VOTATO PER PIETRO POLIZZI. 171 SONO STATE LE PREFERENZE PER FRANCESCO LOMBARDO
Nei quartieri a rischio il centrodestra del nuovo sindaco di Palermo Roberto
Lagalla sfonda. Lo fa a Brancaccio, dove venerdì è stato arrestato un boss in contatto con un aspirante consigliere di Fratelli d’Italia e dove il partito di Giorgia Meloni registra un exploit.
Lo fa all’Uditore, dove abitava il capomafia che si era rivolto al candidato di Forza Italia arrestato un paio di giorni prima.
Lo fa in un quartiere al limite come lo Zen. E in una campagna che secondo Lagalla è stata segnata da «un uso strumentale della questione morale» persino i politici finiti in cella nella settimana delle elezioni ricevono voti: 61 preferenze per il forzista Pietro Polizzi, che pure aveva detto di voler rinunciare alla corsa dopo essere finito in cella, addirittura 171 per il meloniano Francesco Lombardo, arrestato proprio mentre iniziavano i comizi di conclusione della campagna elettorale.
Nessuno dei due, ovviamente, ha ottenuto uno scranno in Consiglio comunale. Eppure c’è chi ha ritenuto comunque di doverli votare: tanto più che la candidata collegata a Lombardo per la doppia preferenza di genere, Teresa Leto (che non è coinvolta in alcun modo nell’inchiesta) ha persino sfiorato la conquista di un seggio in Consiglio comunale, arrivando prima dei non eletti in Fratelli d’Italia.
Curiosa sorte: nella lista civica della sinistra, che non ha superato la soglia di sbarramento, il giudice che firmò il rinvio a giudizio di Marcello Dell’Utri, Gioacchino Scaduto, si è fermato a una manciata di preferenze, appena 300.
Risultati che riflettono l’exploit nei quartieri a rischio. A Brancaccio Lagalla supera il 60 per cento: il primo partito, qui, è FdI, che sfiora il 15 per cento, mentre la Dc di Totò Cuffaro si attesta oltre il 6.
Allo Zen va appena peggio: il nuovo sindaco ottiene il 54,5 per cento, mentre Forza Italia supera il 16 e la lista di Cuffaro (che ha ottenuto l’elezione di tre consiglieri comunali) sfiora il 6 per cento.
All’Uditore il risultato del candidato sindaco è più contenuto, 45,1, ma ci sono alcune sezioni con dati singolari: il boss al quale si era rivolto il forzista Polizzi era il fratello del padrone di casa di Totò Riina, e nella scuola che si trova a pochi metri dalla villa in cui fu catturato il capo dei capi ci sono seggi in cui la lista berlusconiana supera il 20 per cento. L’ombra dei clan, del resto, ha caratterizzato tutta la campagna.
I kingmaker della candidatura di Lagalla sono stati – nonostante le condanne per mafia – Cuffaro e Dell’Utri, che non hanno mancato neanche ieri di esultare per l’elezione di Lagalla: «Avevo semplicemente espresso un mio parere dicendo che l’ex rettore era il candidato più indicato – dice l’ex senatore forzista dopo l’elezione – Era il parere di un semplice cittadino. Invece, sono stato massacrato. Ma quale “ombra di Dell’Utri”? Semmai l’ombra di Dell’Utri ha illuminato le menti offuscate».
Cuffaro, invece, si proietta già sulle Regionali siciliane, in programma in autunno: «Quando ci siederemo a un tavolo per ragionare insieme – osserva – faremo anche noi la nostra proposta: noi lavoreremo perché possa esserci un candidato donna. In ogni caso, al di là dei nomi, dovrà essere una candidatura condivisa da tutti e se a unire fosse il nome di Nello Musumeci non disdegneremo di stare con lui».
«Lagalla – ha annotato però subito dopo l’ufficializzazione dei risultati il vicesegretario del Partito democratico, Peppe Provenzano – ha il dovere di dire parole chiare e di prendere le distanze dai personaggi impresentabili. Se la sedia restasse vuota alla commemorazione di via D’Amelio non sarebbe mai davvero sindaco di Palermo ». Il riferimento alla sedia vuota non è casuale: il 23 maggio il nuovo sindaco ha disertato il trentennale della strage di Capaci e il 19 luglio è atteso all’anniversario di quella in cui nel 1992 morirono Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. «Quel giorno – ha detto a caldo – parteciperò al memoriale ».
(da La Repubblica)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
DALLE ELABORAZIONI DI YOUTREND, SE SI CALCOLANO I VOTI DI LISTA SU BASE NAZIONALE TRA I COMUNI CON PIÙ DI 15 MILA ABITANTI, IL PARTITO DI CALENDA VALE LO 0,4%
Sostiene Carlo Calenda: “Esiste un’area riformista che porta la gente a votare e vale dal 10 fino al 25 per cento”. Secondo il senatore del Pd Andrea Marcucci, dopo i risultati di domenica, i dem dovrebbero guardare “ad Azione, Italia Viva e liberali di Forza Italia”.
Peccato che il grande boom elettorale di Azione e Italia Viva esista solo sui giornali e nelle chiacchiere dei leader, capaci di millantare enormi vittorie in giro per l’Italia in evidente contraddizione con i fatti.
Basta mettere in fila i numeri per smontare il teorema del grande partito riformista di cui Letta non può fare a meno.
Già, perché al di là della propaganda, Azione ha presentato una propria lista soltanto in 24 Comuni su quasi 1000 al voto. Italia Viva ha fatto ancora peggio, correndo nella miseria di 9 città.
I successi sbandierati da Renzi e Calenda sono in realtà vittorie di qualcun altro: a Genova, per esempio, Iv esulta per Bucci, ma il suo simbolo non era sulla scheda; così come nessun elettore di Parma ha barrato il simbolo di Azione, nonostante l’ex ministro rivendichi il buon risultato del civico Enrico Costi. Miracoli della mimetica.
Come risulta dalle elaborazioni di Youtrend, se si calcolano i voti di lista su base nazionale tra i Comuni con più di 15 mila abitanti (ed escluse le città di Sicilia e Friuli-Venezia Giulia, i cui risultati non sono caricati sulla piattaforma online del ministero dell’Interno), Azione vale un deprimente 0,4 per cento.
Ancor più irrisoria la percentuale di Iv, inchiodata allo 0,1. Limitando la media ai Comuni dove hanno corso, Azione sale al 4,4 e Iv resta all1,1.
Numeri su cui incide lo scarso numero di liste presentate (oltre allo stralcio di Palermo, dove l’8 per cento preso da Azione alzerebbe un po’ la percentuale nazionale), ma che appunto rendono bene l’idea di come sia azzardato dare per certo che esista un’area centrista da doppia cifra
La situazione di Calenda e Renzi non migliora poi molto sfogliando i risultati delle liste nei capoluoghi.
Azione ha corso in 9 dei centri più importanti: Verona, Palermo, Piacenza, Gorizia, L’Aquila, Alessandria, Asti, Frosinone e Monza.
Detto del buon 8,1 per cento ottenuto in Sicilia, solo ad Alessandria (5,67 per cento) il dato è in linea coi sondaggi nazionali.
Tolta la sufficiente performance a L’Aquila (4,8 per cento), il resto è una Caporetto: 1,05 per cento a Verona; 1,2 ad Asti; 2,8 a Gorizia; 1,5 a Piacenza; 1,58 a Frosinone; 2,16 a Monza.
Sempre meglio di Renzi, certo, presente soltanto in tre capoluoghi, ovvero Monza, Parma e Barletta. Con risultati molto rivedibili: sotto al 2 per cento in Brianza (1,67) e in Puglia (1,59), percentuale da prefisso telefonico (0,96 per cento) nella città che pure ha visto il candidato di centrosinistra Michele Guerra, sostenuto da Renzi, andare ben oltre il 40 per cento
Tutto ciò non solo fa a pugni con il notevole sforzo mediatico da parte dei leader, ma dovrebbe allarmare ancor di più i riformisti se si pensa che in più di un Comune le percentuali di cui sopra sono state ottenute apparentandosi con Più Europa (nel caso di Calenda) o altri cespugli (tipo Partito socialista e Centro democratico nel caso di Italia Viva). Eppure “c’è un terzo polo che avanza con concretezza”, annuncia euforica dall’Udc Paola Binetti. Tradendo un commovente ottimismo sia per il concetto di “avanzata” sia per quello di “concretezza”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
DAI MILITANTI DEL PARTITO SONO CONSIDERATI DUE ESTRANEI: “NON SONO VERI LEGHISTI”
«Sono riusciti a cancellare la Lega da Padova». E’ questo il messaggio che sta
girando tra i delusi del Carroccio dopo il risultato delle elezioni, riferito ai dirigenti del partito in città, che non solo ha visto il candidato di centrodestra Francesco Peghin sotto del 24,9% (circa 20 mila voti in meno) rispetto al sindaco Sergio Giordani, ma ha visto la Lega al 7,3%, quindi sotto a Fratelli d’Italia e la lista civica di Peghin.
Questo risultato, porterà dentro il consiglio comunale solamente due leghisti, che sono Eleonora Mosco e Ubaldo Lonardi. Due leghisti “sui generis” però.
La prima, ex vicesindaco all’epoca della giunta Bitonci, arriva da Forza Italia, e del partito di Berlusconi ha conservato stile e idee liberali.
Il secondo è stato candidato nella Lega, ma ha sempre evidenziato di non essere un tesserato ma solo simpatizzante, tanto da far parte di quei civici che sono stati inseriti per rendere la lista più attraente («Non basta avere una tessera per definirsi leghisti» ha evidenziato il sindaco di Noventa, Marcello Bano).
Sono rimasti fuori invece i leghisti della prima ora, a partire da Alain Luciani, Vanda Pellizzari, Vera Sodero, Marco Polato e Federica Pietrogrande. Sostanzialmente della vera Lega non c’è più traccia.
E leggendo i numeri si capisce quanto abbia portato poco alla causa di Francesco Peghin, nonostante in città sia arrivato Matteo Salvini. E in qualche modo discolpa anche lo stesso Peghin, che a questo punto può dire che il suo l’ha fatto, mentre i partiti no. Si avvicina quindi il momento della resa dei conti dentro la Lega.
Probabilmente si aspetterà il risultato di Verona per procedere, anche se chi aveva già contestato le scelte e le modalità a febbraio, già il giorno dello spoglio si era fatto sentire. «E’ stata sbagliata la scelta del candidato. Ad un civico bisognava opporre un uomo di partito. Invece si è preferito non ascoltare la base e questi sono i risultati. Esiti tragici, la Lega non è più in grado di parlare al popolo» hanno già detto Roberto Marcato, Fabrizio Boron e Marcello Bano. Inutile nascondere l’imputato, che è Massimo Bitonci.
Lui ha scelto Francesco Peghin e lui non ha ascoltato le lamentele che dal basso sono arrivate sempre più in alto dentro il partito. Sentiva di avere un conto in sospeso con Padova dopo essere stato sfiduciato e dopo la sconfitta del 2017 contro Giordani, ed ha provato a prendersi una rivincita quasi personale.
«Sono stato l’unico sindaco leghista a Padova e ho perso nel 2017 solo per pochissimi voti. C’è chi parla solo quando si vince, e chi come me mette la faccia anche quando si perde» le parole di Bitonci la sera della sconfitta.
Ora però qualche risposta in più però dovrà darla ai suoi, che da mesi chiedono un congresso per confrontarsi occhi negli occhi. Ma se prima c’era la possibilità che le scelte pagassero, oggi hanno parlato i cittadini. Sotto di lui c’è Alberto Stefani, che in realtà avrebbe un grado superiore a livello regionale, ma ha subito le scelte senza opporsi.
(da Padova Oggi)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
LEGGESI 4-5 POSTI IN PIU’ IN GIUNTA PER TOSI E 4-5 IN MENO PER LEGA E FDI… MA I SUOI ELETTORI NON E’ DETTO CHE SI VENDERANNO
C’è un piano del centrodestra per riconquistare Verona, dopo il primo turno che ha portato Damiano Tommasi al 39,77 per cento (42.971 voti), lasciando il sindaco uscente Federico Sboarina al 32,71 per cento (35.337 voti).
È un percorso piuttosto semplice: ricompattarsi, alla faccia delle sonore sventole che Fratelli d’Italia e Lega si sono scambiati con Flavio Tosi, l’ex primo cittadino che ha avuto l’appoggio di Forza Italia e di Italia Viva di Matteo Renzi. Tosi ha raccolto il 23,87 per cento dei consensi e ha ora una dote (teorica) di 25.791 voti da spendere sul tavolo della trattativa in vista del secondo turno.
Il percorso prevede tre fasi. La prima: fare un passo indietro rispetto alle ruggini (anche personali) che dividono Sboarina e Tosi. Anche se la scena è quella di Verona, la favola di Giulietta e Romeo va bene per i turisti che vengono a farsi fotografare giurandosi amore eterno, non per i politici di professione che preferiscono i matrimoni d’interesse.
Sboarina senza Tosi sa di non poter essere rieletto, Tosi senza Sboarina sa di essere condannato all’oblio, come amministratore.
Il secondo passo è quello di riconoscere il primo turno delle votazioni come una specie di primarie del centrodestra. Tosi aveva cercato di affermarlo in campagna elettorale, ma da Sboarina non erano venute risposte, mentre adesso è lo stesso sindaco uscente che parla di un elettorato da ricomporre dopo il primo turno. “L’obiettivo è quello di battere la sinistra”, ha detto.
Il tormentone dei prossimi quindici giorni sarà questo: affermare che lo scontro è tra centrodestra e “sinistra” (non centrosinistra), tra chi ha esperienza di amministrazione e chi ha soltanto l’esperienza dell’associazione nazionale calciatori.
Il terzo passo è quello di raggiungere un accordo entro una settimana, in vista del 26 giugno. Per ora Sboarina non ha dato una risposta: nella sua prima dichiarazione dopo il primo turno ha preferito chiamare “a raccolta tutto l’elettorato di centrodestra, la Verona che produce ricchezza e lavoro: è una sfida che riguarda tutti. Tommasi è una brava persona ma è pericoloso perché è il prestanome dell’armamentario ideologico della sinistra”, accusando il candidato del centrosinistra di voler far diventare Verona una “capitale transgender” (non chiarisce peraltro cosa intende).
Flavio Tosi rivela la sua posizione, maturata con il pallottoliere alla mano e tenendo conto della legge elettorale. Lunedì 13 giugno era stato un po’ generico, rimandando a successive decisioni della coalizione le scelte per il secondo turno. Adesso, invece, indica la strada.
“Assieme a Forza Italia, sono disponibile a un apparentamento, ma che dovrà essere ufficiale con Sboarina”.
Una comunicazione che non lascia equivoci. E come la mette con le critiche feroci che vi siete scambiati finora? “In campagna elettorale ci sta…. ma dopo il primo turno si può prendere atto che c’è una convergenza sui programmi e che il primo turno è stato una specie di consultazione primaria del centrodestra. Le norme consentono di entrare legalmente in maggioranza e partecipare alla suddivisione dei seggi”.
Ecco cosa dice la legge elettorale: “I candidati ammessi al ballottaggio hanno facoltà, entro sette giorni dalla prima votazione, di dichiarare il collegamento con ulteriori liste rispetto a quelle con cui é stato effettuato il collegamento nel primo turno”.
Tosi ha già fatto i conti: “Se non ci fosse un accordo per il secondo turno, noi avremmo già 4 o 5 seggi nel consiglio comunale composto da 36 persone. La coalizione che vince prenderebbe 22 consiglieri. In caso di apparentamento Sboarina e le liste che lo hanno appoggiato al primo turno avrebbero 13 seggi, a noi ne andrebbero 9”.
Tosi, quindi, non solo entrerebbe a pieno titolo in maggioranza, ma guadagnerebbe 4-5 consiglieri, che però Sboarina perderebbe.
Per questo è pronto a mettere da parte ogni rancore e a fare i patti con quel sindaco che fino a qualche giorno fa ha definito un incapace, un immobilista e responsabile di aver fatto arretrare la città di Verona perfino rispetto ai tempi in cui a governarla (dal 2007 al 2017) era lui.
Il giudizio dato lunedì sera su Sboarina era stato tranciante: “Dieci anni fa, quando mi sono ripresentato da sindaco uscente, ho vinto al primo turno con il 57 per cento dei voti. Il dato evidente di oggi è che l’amministrazione in carica ha raccolto appena un terzo dei consensi di quel 55 per cento di elettori che è andato a votare: insomma, due terzi dei veronesi sono contro l’amministrazione di Sboarina”.
I due dovranno comunque trovarsi e parlarsi. Anche su questo Tosi sembra avere le idee chiare: “Noi abbiamo un programma ben fatto e dovremo trovare una convergenza almeno su due punti. Il primo è quello della sicurezza, perché la città è tornata indietro di anni. Il secondo è quello dello sviluppo urbanistico, perché Verona deve ripartire”.
Queste sono le condizioni di Tosi, che in qualche modo sembra riproporsi come un alter “sindaco-sceriffo”. L’ipotesi di trovare un accordo con Tommasi? “Mi pare politicamente difficile” è la risposta secca di Tosi.
La strada per trovare un accordo è lastricata anche dalle denunce che dividono Sboarina e Tosi.
Il primo ha querelato il secondo per diffamazione, a causa del like su un post che insinuava interessi privati nella ristrutturazione di una piazza antistante il palazzo dove il sindaco aveva acquistato una casa. Il processo è ancora in corso.
Tosi ha poi lanciato dubbi sull’acquisto di quella casa, che ha portato anche alla presentazione di un esposto in Procura da parte dell’avvocato Michele Croce, ex presidente della municipalizzata Agsm, che in questo primo turno ha appoggiato con la sua lista proprio Tosi.
Poi Tosi ha fatto la guerra a Sboarina per le parcelle (quasi centomila euro) che l’avvocato ha percepito (anche da sindaco) dalla società che gestisce la funivia del Monte Baldo. Attraverso un consigliere provinciale ha fatto ricorso al Tar, ottenendo alcune settimane fa il diritto a consultare le assegnazioni e le motivazioni di quegli incarichi professionali.
Infine, nel 2019 Tosi ha denunciato una strana assegnazione gratuita a una società sportiva della gestione del Centro Sportivo De Stefani, che in precedenza fruttava al Comune un canone di 90 mila euro.
“Le denunce? Quello è un piano a parte” risponde Tosi, l’ex sindaco che – Tommasi permettendo – punta a tornare nel giro dell’amministrazione di Verona.
(da il Fatto Quotidiano)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
DOPO ESSERSENE DETTE DI TUTTI I COLORI (COMPRESE VARIE QUERELE) TOSI ENTRA IN FORZA ITALIA PER TRATTARE 4.-5 POSTI IN GIUNTA CON SBOARINA, IN CAMBIO DELL’APPOGGIO AL BALLOTTAGGIO
A Verona la partita per il ballottaggio alle Comunali si accende, dopo l’annuncio
dell’ex sindaco Flavio Tosi di aver aderito a Forza Italia. Contro Damiano Tommasi per il centrosinistra si profila così un possibile apparentamento con il candidato di centrodestra Federico Sboarina e le liste civiche e il partito di Silvio Berlusconi che a Verona avevano sostenuto l’ex sindaco finito terzo con il 23,88%.
Un patrimonio di consenso che aspetta solo un segnale da parte del candidato appoggiato da Lega e Fratelli d’Italia: «Quello che manca è solo l’apertura del confronto da parte di Sboarina», ha commentato Tosi. Era stato lui stesso ad anticipare al quotidiano L’Arena di avere un «debito di onore e riconoscenza» nei confronti di Forza Italia, la telefonata di Berlusconi ha fatto poi il resto, come ha raccontato l’ex sindaco veronese.
A consegnarli la tessera forzista c’era Antonio Tajani che già anticipa una possibile trattativa con gli alleati ritrovati di coalizione: «Se si fa un apparentamento e si è determinanti per vincere si devono fare scelte politiche e servono giusti riconoscimenti. Nessun mercato delle poltrone, ma non esiste ipotesi che non ci sia l’accordo: sarebbe un errore inconcepibile. Lo escludo».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
AVEVANO CONTESTATO LA VOTAZIONE INTERNA SUL NUOVO STATUTO E LE NOMINE
Per i vertici del M5s arriva una consolazione dal tribunale di Napoli, mentre scoppiano le liti interne dopo il flop elettorale.
Secondo fonti interne al Movimento citate dall’Adnkronos, il Tribunale di Napoli «ha rigettato il ricorso» presentato da alcuni attivisti contro lo statuto grillino e la nomina a presidente di Giuseppe Conte.
Soddisfatto l’avvocato che difendeva il M5s, Francesco Cardarelli, che ha parlato di un’ordinanza «molto ben motivata e articolata, sicuramente tocca tutti i punti nevralgici del ricorso e dà piene ragioni alla tesi del Movimento».
Lo scorso aprile erano stati otto attivisti, sostenuti dall’avvocato Lorenzo Borré, a citare in tribunale i vertici del Movimento, contestando le nuove votazioni interne che avevano portato alle modifiche dello statuto, oltre che a tutte le nomine del M5s, a partire da quella dell’ex premier.
La conferma della decisione di Napoli è arrivata poi dallo stesso Conte, che su Twitter ha esultato: «Il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso in sede cautelare contro lo Statuto e le scelte democratiche dei nostri iscritti sul futuro del M5s. Andiamo avanti, con forza e determinazione per il rilancio del nuovo corso».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
REPLICA BATTELLI: “PAROLE VERGOGNOSE”
Tornano sulla graticola i vertici del M5s, dopo il risultato deludente delle liste
grilline alle comunali di domenica scorsa
«Sia chiaro, senza il presidente Conte i 5 Stelle, di fatto, non esistono». È bastata questa frase del senatore grillino Mario Turco a fare far scoppiare di nuovo la tensione all’interno del M5s, dove i malumori per il disastro elettorale alle ultime Comunali covava già sotto la cenere.
Le dichiarazioni del senatore tarantino, vice di Giuseppe Conte nel MoVimento, all’ultima domanda di un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno sono state viste da diversi parlamentari come la negazione dei principi storici del MoVimento, a cominciare dal mitologico uno vale uno.
La reazione più dura è arrivata dal deputato Sergio Battelli, che sul suo profilo Instagram ha tuonato: «Parole vergognose, ma stiamo scherzando?».
Proprio Turco, assieme all’altra vicepresidente grillina Paola Taverna, responsabile delle Amministrative, è da ore nel mirino degli attacchi interni, visti i risultati deludenti ottenuti dalle liste M5s nei vari Comuni. E non fa eccezione Taranto, dove Turco è riuscito a portare anche l’ex premier Conte, dove il M5s non è andato oltre uno scarno 4%.
Alle critiche si era aggiunto anche l’ex sottosegretario Simone Valente su Repubblica, puntando il dito proprio sui vertici grillini: «Bisogna assumersi le conseguenze delle proprie scelte, chi aveva delle responsabilità deve rispondere al Movimento, agli iscritti e ai gruppi parlamentari».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
ALTRA MOSSA SUICIDA. FINISCE CHE A PONTIDA LO DEVE PROTEGGERE LA DIGOS… IL 26 GIUGNO INIZIATIVA DEI DISSIDENTI DI “AUTONOMIA E LIBERTA'”
Se non è un ultimatum, poco ci manca. Il leader della Lega Matteo Salvini attende “risposte” da Mario Draghi. Entro l’estate. Perché «ci sono temi su cui non siamo disposti a transigere», dice in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Altrimenti? «Temo un autunno molto difficile. Torneremo sul pratone di Pontida il 18 settembre. Per quella data vogliamo risposte».
Ecco perché nella location dalla quale storicamente la Lega ha annunciato tutte le sue battaglie il Carroccio potrebbe annunciare l’addio al governo.
Per reagire al risultato delle elezioni comunali, dove la Lega ha raccolto in media il 6,4% nei 26 capoluoghi in cui si è presentata. E per inseguire Giorgia Meloni, che ha tratto giovamento dalla collocazione di Fratelli d’Italia all’opposizione. Anche se, spiega Repubblica, c’è un altro scenario sul tavolo. Ovvero quella di commissariare il leader.
Pontida caput mundi
Andiamo con ordine. Ieri del risultato elettorale del Carroccio hanno parlato il leader e il suo vice Lorenzo Fontana. Indossando i panni del poliziotto buono e di quello cattivo. Il segretario leghista ha detto che continuerà a sostenere il governo, ma ha anche ammesso in pubblico i malumori crescenti nel partito: «Non c’è alcuna tentazione di staccare la spina ma ci aspettiamo discontinuità soprattutto sui temi economici».
Poi il lungo elenco di provvedimenti economici al termine della riunione del consiglio federale: rinnovo dello sconto carburanti, adeguamento di pensioni e stipendi al costo della vita, rottamazione delle cartelle esattoriali, superamento della legge Fornero, e istituzione di un tetto europeo allo spread”. la solita solfa di cazzate.
Fontana è stato più diretto, premettendo di parlare a livello personale. «Se per la Lega sarà più difficile stare al governo questo autunno? Fosse per me, io sono abbastanza stanco …», ha risposto il responsabile esteri del Carroccio. Un Salvini dimezzato
C’è però un altro fronte interno al Carroccio. Ovvero quello dei governisti. Emanuele Lauria spiega oggi che i nomi sono i soliti: Giorgetti, Fedriga, Zaia. Vogliono evitare rotture con il governo Draghi. Reclamano anche una linea politica univoca e coerente. Senza oscillazioni sull’economia o sulla politica estera, come i viaggi a Mosca o i paragoni tra Italia e Grecia sulle intenzioni della Banca Centrale Europea. Perché inseguire Meloni fuori dalla maggioranza sarebbe un errore. A loro lo stesso Salvini ha fatto pervenire attraverso il caposegreteria Andrea Paganella una proposta. Quella di entrare in un comitato politico ristretto all’interno della Lega. Per allargare “la responsabilità” (e quindi la collegialità) delle scelte politiche e per evitare spaccature fino alle elezioni
Una scelta che porterebbe però a dimezzare, a essere buoni, la figura politica di Salvini. Che però, spiega oggi l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, rischia di fare la fine di Renzi: «Esiste un mugugno critico, mettiamola così. Io vivo la pancia della vecchia Lega: il malcontento, che era forte prima, ora è fortissimo. E moltissimi parlamentari con posizioni di rilievo, che conosco da quando erano ragazzi, riservatamente si sfogano. Per il resto, che dirle? Ci sono delle associazioni che fanno sentire la loro voce in modo sempre più forte. Noi, con “Autonomia e libertà”, facciamo la nostra parte: e il 26 giugno, a Pontida, si terrà un’assemblea. Verranno in tanti, vedrà…».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2022 Riccardo Fucile
PASSA LA MOZIONE DEL M5S GRAZIE A 12 FRANCHI TIRATORI DEL CENTRODESTRA
Una dozzina di franchi tiratori nelle file del centrodestra nel Consiglio regionale
della Lombardia ha fatto passare a voto segreto una mozione del Movimento 5 Stelle che impegna il Pirellone a patrocinare il Pride di Milano, previsto per il prossimo 2 luglio.
L’edificio si colorerà con l’iconica bandiera arcobaleno, e la Regione, il Consiglio o un loro delegato sarà presente alla sfilata indossando la fascia istituzionale.
La mozione, primo firmatario Simone Verni, impegna in questo senso il governatore Attilio Fontana “come gesto simbolico e al tempo stesso tangibile di testimonianza di questa istituzione finalizzato a sostenere l’allargamento dello spettro delle tutele e dei diritti di tutti i cittadini lombardi, specialmente di chi, ancora oggi, è vittima di discriminazione e violenza determinata dall’orientamento sessuale”.
Il testo ha ricevuto 39 voti favorevoli e 24 contrari, nonostante fossero presenti in aula soltanto 27 membri del centrosinistra.
Erano 7 anni che il Pirellone negava il suo patrocinio al Pride. “Finalmente un gesto simbolico, ma concreto a sostegno di una Lombardia maggiormente inclusiva”, ha commentato soddisfatto Verni. Dal Pd Paola Bocci osserva: “Ci è voluto il voto segreto per illuminare il Pirellone e riconoscere i diritti di tutti”.
Dura la reazione della Lega, che aveva espressamente chiesto di votare contro: “La partecipazione formale al gay pride del 2 luglio è una inutile ostentazione offende i valori cristiani”.
(da NextQuotidiano)
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