Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
BEPPE FURIOSO DOPO AVER SENTITO DI UNA POSSIBILE ESPULSIONE DI DI MAIO
E’ arrabbiato, furente, per gli stracci che volano tra i suoi e finiscono dritti sui giornali. A quanto apprende l’Adnkronos da autorevoli fonti, ieri Beppe Grillo avrebbe espresso tutto il proprio disappunto con diversi esponenti M5s. Per i toni usati e per i titoli che parlavano di una possibile ”espulsione” di Luigi Di Maio. Una guerra interna che non piace al garante del Movimento: «così ci biodegradiamo in tempi record», si sarebbe sfogato il fondatore dei 5 Stelle.
Il termine espulsione usato contro l’ex capo politico e attuale ministro degli Esteri lo avrebbe mandato su tutte le furie: per Grillo, spiegano le stesse fonti, le ‘punture’ di Di Maio andavano ignorate, non cavalcate in tempi comunque complessi come non mai per il Movimento.
Grillo, giovedì atteso a Roma, già nei giorni scorsi aveva fatto trapelare nervosismo per la questione ‘morosi’, ovvero per la mancata restituzione di parte delle entrate dei parlamentari, altra regola aurea -assieme a quella del limite del due mandati- che per il garante del M5S non si può ignorare.
Ora la guerra sui giornali, senza esclusione di colpi, e con alcune dichiarazioni -vedi l’intervista di Riccardo Ricciardi su Di Maio bollato come ‘corpo estraneo’- che Grillo fatica a mandar giù. Quanto al dossier Ucraina, assicurano fonti vicine al leader Giuseppe conte, i contatti tra Grillo e l’ex premier sarebbero continui, concordi sulla necessità di una de-escalation militare e su una riflessione che coinvolga il Parlamento su nuovi invii di armi a Kiev.
L’attesa per l’arrivo di Grillo sale tra Camera e Senato, anche perché in molti confidano che questo nuovo blitz possa sciogliere una volta per tutti i dubbi sulla regola del limite ai due mandati, che Conte ha per ora messo in freezer.
Il fondatore e garante del Movimento, che sulla questione è intervenuto venerdì scorso con un post sul suo blog in cui ha ribadito la ratio di una regola aurea del Movimento, sembra aver aperto spiragli per una possibile soluzione. Che potrebbe essere trovata nel cosiddetto principio di ‘rotazione’, ovvero consentire a chi ha già due mandati alle spalle di candidarsi ad altre cariche pubbliche, leggi Parlamento europeo e Regioni.
Era stato lo stesso Grillo a scherzare coi suoi nei mesi scorsi sulla questione, incitandoli con la solita ironia a non mettersi di traverso: «dai che guadagnate anche di più…», lo sfottò usato con alcuni fedelissimi, come riportato dall’Adnkronos. Ma in realtà, chi è davvero vicino al garante del Movimento assicura che a Grillo neanche l’espediente del ‘due più due’ andrebbe giù, convinto di dover preservare la regola dei due mandati -cara anche a Gianroberto Casaleggio- a oltranza, senza deroghe di sorta.
Ma un punto di caduta va trovato, ne va della tenuta stessa del Movimento. Su cui, tra l’altro, l’ascendente di Grillo sembra essersi in parte ‘offuscato’ per via del contratto stretto col Movimento sulla comunicazione, dietro compenso: molti parlamentari non lo hanno infatti mandato giù.
(da La Stampa)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
CONTE È DIVENTATO UNA PEDINA DI PUTIN: SFIDUCIANDO LUIGI DI MAIO PORTEREBBE ACQUA AL MULINO DELLA STRATEGIA DEL CREMLINO
I Cinque Stelle si spaccano, il governo italiano scricchiola, la Russia esulta. L’ambasciatore Sergei Razov non lo nasconde. Parlare di Italia che si divide invita la crisi di governo.
Il professionista diplomatico Razov non può dirlo apertis verbis – rischierebbe l’espulsione; l’agente moscovita Razov manovra per incoraggiarla. La resa dei conti all’interno del M5S, che maturava da tempo e accelera sulla scia dei risultati elettorali, rivela una spinta finale di regia russa.
A Mosca non stanno a cuore gli acrobatici equilibri pentastellati. L’obiettivo è il governo di Mario Draghi, spina nel fianco internazionale. Il ruolo del presidente del Consiglio a Kiev è stato determinante.
Altrettanto importante il contributo che darà ai cruciali appuntamenti di fine mese: Consiglio Europeo del 23-24 giugno, G7 del 26-28 a Schloss Elmau, vertice Nato di Madrid del 29-30. Bisogna azzopparlo prima.
Sfiduciando Luigi Di Maio, divenuto insieme a Draghi asse portante della linea europea e atlantica tenuta dall’Italia sulla guerra ucraina, Giuseppe Conte e il Consiglio nazionale M5S portano acqua al mulino della strategia di Mosca per far fallire i tre critici vertici di fine mese.
La scacchiera è molto più larga dell’Italia; Sergei Razov ne è solo una pedina. Egli punta a fare di Roma l’anello debole della catena europea, il mezzo è la crisi di governo, con la complicità volontaria o meno delle forze politiche italiane pronte a disertare l’unità nazionale.
La leva principale del grande gioco russo a tutto campo è il ricatto del gas. Il taglio delle forniture ha colpito repentinamente Italia, Germania, Francia mentre era in corso la visita dei rispettivi tre leader a Kiev.
Si è aggiunto ieri l’annuncio di Gazprom della sospensione temporanea dal 21 al 28 giugno «per manutenzione programmata» di Turkish Stream, che rifornisce Turchia e Paesi dell’Europa sudorientale. Il primo è stato motivato dalla mancanza di pezzi di ricambio alla manutenzione, che però evidentemente ci sono per i gasdotti del Turkish Stream. Le coincidenze sono spiegazioni in attesa di essere date.
Qui le spiegazioni non vanno cercate molto lontano. L’una nel Consiglio europeo, l’altra nel vertice Nato di fine mese. L’Ue avrà sul tavolo il riconoscimento dello status di candidato all’Ucraina (e alla Moldova) promesso a Zelensky da Macron, Scholz, Draghi e confermato da Ursula von der Leyen. Richiede l’approvazione di tutti i 27 Paesi dell’Ue.
La Russia non ha che da prendersela con sé stessa, e col suo presidente. Il 23 febbraio, nessuno a Bruxelles pensava seriamente a Kiev come candidato Ue; la grande maggioranza di finlandesi e svedesi non aveva alcuna intenzione di entrare nella Nato.
Poi venne la guerra di Putin e tutto cambiò. Adesso Mosca, a parole, fa buon viso a cattivo gioco. In realtà vuole impedire l’una e l’altra decisione. Entrambe vanno prese per consenso; basta un Paese contrario a bloccarle sia al Consiglio europeo che al vertice di Madrid. La Russia è quindi alla ricerca di qualche “veto”.
A questo scopo sta sfoderando tutte le armi di pressione politica e economica di cui dispone, a cominciare dal ricatto energetico. Che Mosca stessa – che ha bisogno di vendere quanto noi di acquistare – non può permettersi a lungo salvo commettere un suicidio economico.
Ma a fini intimidazione va benissimo per un paio di settimane. Ci attendono dieci giorni di forcing russo. La posta in gioco è alta. Riuscendo a far bloccare l’una e/o l’altra decisione Putin otterrebbe una grossa vittoria politica. E la credibilità dell’Ue e/o della Nato andrebbe a farsi benedire. È un braccio di ferro, misto a bluff russo, che l’Europa e l’Occidente non possono permettersi di perdere
(da “La Stampa”)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO GENERALE NATO STOLTENBERG E’ IN SINTONIA CON IL PREMIER INGLESE JOHNSON: “LA GUERRA DURERA’ ANNI”
Nel Donbass c’è il rischio di accerchiamento delle truppe ucraine. Da Mykolaiv ci sono tentativi di spinta per strappare Kherson ai russi. Da Zaporizhzhia altrettanto: le postazione di artiglieria ucraine si sono spostate 10 chilometri più a sud, verso Melitopol, arrivando ad ingaggiare le difese russe.
Protagonisti dell’avanzata sono i cannoni Nato da 155 mm a gettata più lunga di quelli a disposizione dei russi in quel quadrante.
Ad Est, invece, un punto va segnato a favore di Mosca. Missili russi avrebbero distrutto un carico d’armi occidentali e c’è il rischio che Kharkiv, la seconda città del Paese, torni sotto il fuoco russo.
Il sindaco aveva in programma un viaggio all’estero per discutere della ricostruzione, ma ha preferito non muoversi data la delicatezza del momento.
Sono quindi quattro i fronti aperti. A Sudovest tra Mykolaiv e Kherson; a Sud tra Zaporizhzhia e Melitopol; a Sudest in Donbass e a Est tra Kherson e il confine russo.
Ogni giorno ci sono piccoli avanzamenti da una parte e dall’altra. Chi ha il cannone più a lunga gettata riesce a spingersi più in avanti. Così le due parti sono costrette a scegliere dove posizionare l’artiglieria migliore. La guerra macina vite e risorse e chi più ne ha, in genere, vince.
Non sorprende se il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha affermato in un’intervista a giornali tedeschi che «dobbiamo prepararci al fatto che la guerra potrebbe durare anni». Secondo la Nato, la fornitura di armi moderne all’esercito ucraino potrebbe effettivamente permettere a Kiev di «liberare il Donbass». «Anche se il costo è alto sia in termini militari sia civili per il prezzo dell’energia e degli alimenti, dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina». Il pensiero di Stoltenberg è in sintonia con quello del premier britannico reduce da un viaggio lampo a Kiev. «L’Ucraina deve ricevere armi, munizioni e addestramento più velocemente dell’invasore», ha detto Boris Johnson.
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
“IL CENTRODESTRA NON HA ANCORA VINTO LE POLITICHE, PUO’ ANCORA SUCCEDERE DI TUTTO”
Del domani “politico” per Antonio Noto – analista e presidente della Noto sondaggi – non v’ è certezza. Ma chi vuol essere lieto, o per lo meno non trovare brutte sorprese alle Politiche del 2023, non può non seguire la regola aurea: «Andare fuori dal proprio “campo”».
Perché in realtà, al di là delle indicazioni che emergono dalle rilevazioni demoscopiche e dal pallino che sembra saldo in mano al centrodestra, la partita non si deciderà con i voti attuali delle coalizioni.
L’obiettivo? «Devono raggiungere il cosiddetto “elettorato indeciso” che in termini percentuali vale tantissimo e che in ogni elezione fa vincere o perdere qualcuno…»
Una cosa si può dire con certezza. Le Amministrative hanno sancito sul campo che la “prima stella a destra”, parafrasando Bennato, è Giorgia Meloni.
«È così. È interessante analizzare il trend della Meloni. In generale i suoi consensi sono aumentati quattro-cinque volte rispetto alle Amministrative del 2017. Allora FdI valeva circa il 4-5%: ecco che moltiplicato quel risultato per quattro oggi ha un quoziente del 20-22% a livello nazionale. Un dato coerente con le nostre rilevazioni. Che cosa è accaduto inoltre? Che nella realtà FdI non è aumentato in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Al Sud praticamente è rimasto lo stesso; e su questo dovrebbero un po’ interrogarsi. Detto ciò FdI è cresciuto enormemente al Nord: è troppo facile dedurre che una parte cospicua di questo flusso provenga dalla Lega.
La conquista delle città del Nord è un gettone per la sua premiership?
«Diciamo che l’onda emotiva è a favore di FdI. Il punto di forza di Meloni è questo: se oggi il suo è un posizionamento orgogliosamente di destra, dall’altra parte non aggrega solamente l’elettorato di destra. Altrimenti avrebbe molti meno consensi. Più del doppio dell’elettorato che ha conquistato sostanzialmente non è di destra tout court: sono cittadini, senza vincolo ideologico, che hanno fiducia in lei e nel suo progetto».
Nel suo ultimo sondaggio FdI è dato al 22,5%. Dove può arrivare?
«Dipende un po’ dalla legge elettorale e da quali saranno le alleanze. In un’altra indagine, effettuata per Porta a Porta, abbiamo stimato il consenso a FdI nel caso in cui dovesse presentarsi da solo. Con questa legge elettorale (il Rosatellum, ndr) avrebbe un incremento di circa tre punti rispetto al risultato in coalizione. Adesso che è intorno al 22,5 potrebbe già scavalcare il 25%. Però qui c’è un problema: se il sistema elettorale rimane questo, pur correndo da soli, Meloni e i suoi rischierebbero di non conquistare la gran parte dei collegi uninominali. Quindi potrebbero avere un grande risultato in termini percentuali ma non avere un grande risultato in relazione al numero dei parlamentari eletti».
Matteo Salvini, dopo l’exploit del 34% alle Europee, è tornato sotto i livelli del 2018. Per molti è segno della crisi del progetto nazionale…
«È finito quel legame emotivo che Salvini aveva creato con una fetta importante dell’elettorato. Il “disastro” è proprio il paragone fra i risultati di oggi con le Europee: il momento massimo del segretario e della Lega al governo».
Quali le cause?
«Per prima cosa ha perso completamente il Sud. Ormai lì dove va bene arriva al 4-5%. Tra l’altro la Lega nel Meridione non si è presentata nemmeno con il suo simbolo ma con “Prima l’Italia”: quasi a comunicare un mea culpa.
Segno che si è interrotta quella connessione che si era creata invece alle Europee, dove quasi ovunque al Sud la Lega era diventato primo partito con picchi superiori al 20%. Altro fattore che ha determinato il crollo della Lega è il forte arretramento nelle aree del Centro e anche in una parte di quell’elettorato di sinistra che sia alle Politiche che alle Europee votò per il Carroccio per dare uno schiaffo al Pd. Il terzo elemento che è venuto a cadere è quello della borghesia del Nord. Il partito sta perdendo attrazione nel ceto dirigenziale: questo è un ambiente, come abbiamo visto alle Amministrative, che si è rivolto a FdI. Questi tre fattori messi insieme hanno generato il decremento significativo della Lega».
Come e cosa può recuperare?
«La Lega, come il M5S, è un partito che ha raccolto grande consenso perché ha fatto delle promesse molto forti. Poi però entrambi hanno dovuto creare alleanze per governare: cedendo necessariamente qualcosa e causando così una forte delusione in una grossa porzione dei due elettorati. La situazione, dunque, è complicata: perché è molto più facile attrarre un elettorato che non ti ha mai votato che non riattrarre adesso un elettorato che ti ha votato ma è rimasto deluso».
Forza Italia ha appena festeggiato l’ingresso di Tosi. Segno che il partito di Berlusconi è ancora attrattivo?
«In questo momento è un po’ più “Forza Berlusconi”. Il Cavaliere ha uno zoccolo duro che nei sondaggi è sempre intorno al 7-8%. Forza Italia a Palermo è andata molto bene mentre invece in altri comuni ha avuto il 2-3%. È un partito in vita ma stazionario. Quelli che lo votano lo faranno fino a che il Cavaliere deciderà di stare in campo. Indipendemente dalla comunicazione e dai progetti. È questo che lo rende stabile. Anche nelle rilevazioni».
Ciò che è instabile è il M5S. Ne resterà soltanto uno fra Conte e Di Maio…
«Se dovesse andare via Di Maio, nell’immaginario collettivo, sarebbe un po’ la fine del M5S perché Di Maio in fondo è la storia del M5S. La cosa paradossale di Conte è un’altra: ha pensato, erroneamente, che il suo alto indice di fiducia potesse avere un valore anche nel momento in cui fosse diventato leader del M5S. Mentre, per gli italiani, non c’è nessun legame fra Conte e i grillini: tanto è vero che nel momento in cui lui è diventato capo politico il M5S ha continuato a perdere consensi. Il suo errore politico è stato quello di fare l’opa sui grillini. Se avesse creato un suo partito avrebbe avuto più successo rispetto a quello che ha oggi».
I rumor sostengono che Luigi Di Maio voglia costituire un soggetto a sostegno di Draghi. Stesso discorso per Calenda, Renzi e centristi vari. L’area Draghi, insomma, inizia ad ingolfarsi. Crede che il premier, ingolosito, possa farci un pensierino? O ci penserà lo “spread” a tenerlo a Palazzo Chigi?
«Pure su Draghi dobbiamo stare attenti. Ricordiamoci l’esperienza di Mario Monti. Era una dinamica diversa ma non è detto che se uno ha il know how per poter governare bene ciò poi produca consenso. Bisogna capire, poi, come sarà percepito il premier tra un anno. Un anno fa il suo appeal era molto piu forte di oggi. Adesso gli italiani iniziano a fare i conti e occorre capire – indipendentemente dalla volontà di Draghi di proseguire – se sarà in grado di far percepire un miglioramento della qualità della vita. È presto ancora per dirlo. Per i sondaggi, di certo, questa per lui è una fase critica. Un giro di boa. Se continua a scendere nel gradimento significa che a maggio prossimo avrà bassi livelli di fiducia. Se invece dovesse riuscire ad invertire il trend, nel 2023 potrebbe presentarsi con credenziali alte. In Italia però difficilmente è stato eletto due volte lo stesso premier: generalmente chi ha governato ha sempre pagato qualcosa a livello elettorale».
Veniamo ad Enrico Letta. Il suo Pd avrà pure tenuto discretamente alle Comunali ma il “campo largo” che immagina al momento…
«Il campo largo ha diversi problemi. Vale l’alleanza con i 5 Stelle? Perché, diciamo, l’obiettivo di Letta è avere il M5s, avere Calenda e seppur non lo dice a gran voce avere pure Renzi e Bersani. Il primo test del campo “larghetto” però non è andato bene: agli elettori delle Amministrative non ha presentato nessun progetto. L’unica notizia del campo largo, infatti, era che il M5S e il Pd si presentavano insieme. Nessuna comunicazione sulle motivazioni di quest’ unione e su quale sia il progetto comune. Se si commette quest’ errore anche a livello nazionale il campo largo avrà dei grossi limiti, se invece penseranno a costruire un po’ l’anima, il dna, dell’alleanza allora può acquisire una sua identità. E l’identità programmatica è il modo per aggregare consenso. Altrimenti è solo un’alleanza elettorale. Che non aggiunge nulla politicamente, anzi “sottrae” più che sommare i voti dei due partiti».
Con questa legge elettorale il centrodestra nel 2023 ha la vittoria in pugno. Può perdere Palazzo Chigi solo con un autogol?
«Se vediamo quello che sta accadendo a Verona e con le Regionali in Sicilia… mai dire mai. Se tutto ciò dovesse avvenire – in termini di disgregazione – come farà il centrodestra a unirsi alle Politiche? Oggi come oggi la coalizione sembra unita più a parole che nei fatti: subito dopo il primo turno fatica a unirsi al ballottaggio. E dopo questo già qualcuno mette in discussione la ricandidatura di Musumeci in Sicilia. Se queste sono le premesse, possiamo dire – almeno al momento – che la conflittualità non si sta sanando. Si sta gonfiando».
(da Libero)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
EGITTO E MAROCCO HANNO RIFIUTATO IL GRANO RUBATO
La Russia tira diritto su grano e acciaio. Mentre le Nazioni Unite sono alla ricerca di una convergenza con Mosca per riattivare l’export agricolo ucraino ed evitare una crisi alimentare allargata, Vladimir Putin ordina il trasferimento di derrate cooptate dai territori occupati, così come di acciaio proveniente dalle industrie di Kiev ora nelle mani dei russi, a partire da Azovstal.
Dal martoriato impianto, secondo quanto riferito a La Stampa da fonti ucraine, sono stati dirottate merci originariamente destinate all’Italia. «Prima dello scoppio della guerra Azovstal produceva lamiere in acciaio inossidabile laminate a caldo e confezionate in rotoli, una parte era stata ordinata e pagata da un’azienda italiana», spiegano le fonti.
Secondo cui, con l’arrivo delle truppe del Cremlino, i rotoli sono rimasti in giacenza nel porto, per poi finire nelle mani dei russi terminata la presa dell’acciaieria. «Sappiamo che 2.500 tonnellate di lamiera laminata hanno lasciato il porto di Mariupol, all’inizio di giugno, a bordo di bastimenti diretti a Rostov – puntualizzano le fonti -, si tratta per una parte di prodotti destinati alla consegna in Italia». La stessa procedura è stata attuata per il grano dei territori occupati da russi dal 24 febbraio.
«La prima nave è partita con 60 mila tonnellate a maggio, con l’obiettivo di vedere il carico all’Egitto, il quale si è rifiutato dopo le segnalazioni di Kiev. Poi Mosca ha tentato di giocare, inutilmente, la stessa carta col Marocco».
A quel punto il cargo si è diretto a Latakia in Siria, presidio permanente di Mosca sul Mediterraneo orientale. Ed è proprio il Medio Oriente la destinazione del grano saccheggiato dei russi che, essendo loro stessi esportatori, «possono produrre le documentazioni necessarie per il commercio dando vita al riciclaggio, ovvero vendendolo come se si trattasse di merce propria».
La conferma sui traffici in uscita dalle coste del Mar d’Azov è arrivata dagli stessi lealisti di Mosca. «Le navi cariche di grano e metalli lasceranno presto il porto di Mariupol nel Mar d’Azov, con spedizioni dirette in Medio Oriente», ha riferito Denis Pushilin, leader della Repubblica popolare di Donetsk (Dpr), secondo cui «i piani prevedono che il porto gestisca circa un milione di tonnellate di merci entro la fine dell’anno». Mosca avrebbe del resto già inviato in Siria 180 mila tonnellate di grano dai territori occupati dell’Ucraina.
Le immagini satellitari di Planet Labs hanno rilevato dodici mercantili al porto di Sebastopoli, in Crimea. Tra questi ci sono bastimenti russi come “Matros Pozinich”, “Matros Coscka”, “Mikhail Nenashev”, e cargo siriani come “Finikia” e “Souria”. I servizi di Kiev hanno inoltre registrato intensi traffici di camion carichi di grano da Melitipol e Zaporizhzhia diretti a Mariupol.
Dinanzi all’attivismo di Mosca si alimenta lo scetticismo sulla reale volontà russa di cooperare per la ripresa dell’export del grano ucraino, così come aumenta la difficoltà di azioni multilaterali in ambito Onu. Ne è convinta Washington che ha deciso di rafforzare la collaborazione bilaterale con Kiev sul piano agricolo per tentare di superare la crisi alimentare e modulare una piattaforma di partenza per la fase di ricostruzione quando la guerra sarà finita.
In un incontro al Palazzo di Vetro la scorsa settimana, il segretario all’Agricoltura Usa Tom Vilsack ha annunciato che il suo dipartimento e il ministero delle politiche agrarie e dell’alimentazione ucraino stanno stipulando un protocollo d’intesa per migliorare il coordinamento tra i settori agricolo e alimentare dei due Paesi, costruendo una partnership strategica per affrontare la sicurezza alimentare su scala più ampia. Il segretario ha quindi ribadito che Mosca «usa il cibo come arma di guerra».
«Il fallimento della Russia nel permettere la riapertura dei porti causa problemi. Il fatto che quel grano non possa arrivare sul mercato crea non solo una potenziale carenza nei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente e il rischio di maggiore instabilità e disordini in quegli Stati, ma anche un’opportunità per quelli che speculano sul valore e che si risolve in prezzi più alti del cibo oltre confine».
Dal Forum economico di San Pietroburgo, Putin ha continuato a professare la sua sensibilità sul tema affermando che la Russia «accoglie con favore l’invito dell’Onu per il dialogo sulla sicurezza alimentare», e «non ostacola la fornitura di grano ucraino al mercato mondiale, non avendo minato i loro porti». Parole e fatti però divergono, così i partner transatlantici dell’Ucraina preparano azioni alternative, come quella voluta da Joe Biden di preparare silos in Polonia per provare il trasporto via terra del grano.
Così come si valuta di farlo navigare sul Danubio, e in questo senso si inquadra la presenza del presidente romeno Klaus Iohannis a Kiev assieme a Draghi, Macron e Scholz. Dalla collaborazione tra Onu e Turchia emerge infine l’ipotesi di creare corridoi marittimi aggirando lo sminamento delle acque del Mar Nero, che Kiev vede con timore, “acque pulite” potrebbero infatti agevolare arrembaggi della marina di Putin alla città di Odessa.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DI VILNIUS HA DECISO DI BANDIRE IL TRANSITO FERROVIARIO SUL SUO TERRITORIO DI BENI SOGGETTI ALLE SANZIONI INTERNAZIONALI VERSO MOSCA, FACENDO INCAZZARE PUTIN
«Così cominciano le guerre». A questo ci si riduce. A temere che si avverino gli auspici del propagandista principe del Cremlino, quel Vladimir Solovyev ormai volto noto anche della televisione nostrana, il quale ogni volta che sente parlare dei Paesi baltici comincia a inveire chiedendone a gran voce l’invasione immediata nei giorni pari, l’annientamento nucleare in quelli dispari.
L’enclave russa di Kaliningrad è stata chiamata in mille modi dal dopoguerra a oggi. Zona tampone, avamposto militare, punto di forza oppure tallone d’Achille, perché può essere utilizzata come una minaccia diretta all’Europa ma può anche ritrovarsi completamente isolata in caso di conflitto.
Quel che è apparso certo fin dall’inizio è che quella striscia di terra stretta tra Polonia e Lituania, eredità della Seconda guerra mondiale, sarebbe ben presto potuta diventare l’unità di misura della nuova instabilità geopolitica generata dall’invasione dell’Ucraina. A giudicare dagli ultimi eventi, la febbre sta salendo.
Sabato scorso il governo lituano ha bandito il transito ferroviario sul suo territorio di beni soggetti alle sanzioni internazionali verso la Russia. Una misura che in maniera non dichiarata paralizza il traffico di Mosca verso la regione di Kaliningrad, piccolo pezzo di Russia affacciato sul Mar Baltico, non a caso sede dei missili Iskander a capacità nucleare, ma senza confine terrestre con la madre patria, «chiuso» da due Paesi che aderiscono all’Unione europea.
I russi: «Colpo basso»
I media statali parlano di «colpo basso» o addirittura di casus belli. Il governatore Anton Alikhanov è apparso subito in televisione per denunciare come «illegale» la decisione presa dal governo di Vilnius.
«Sono passi che possono comportare implicazioni di vasta portata», ha detto, ricordando come i firmatari dell’accordo del 2004 sull’adesione della Lituania all’Unione europea avessero aderito all’adozione del principio della libertà di transito delle merci, compresa l’energia, tra la regione di Kaliningrad e il resto del territorio russo. Ieri è sceso in campo Konstantin Kosachev, vicepresidente del Consiglio della Federazione russa, la camera alta del parlamento, personaggio di un certo peso sulle questioni di politica estera.
«Come stato membro dell’Ue, la Lituania sta violando una serie di atti internazionali legalmente vincolanti», ha scritto sul suo canale Telegram citando il divieto di interferenza tra le parti nelle rispettive reti di trasporti.
Lo sdegno russo tende a dimenticare qual è la causa originaria di certe decisioni. La paura generata dall’invasione dell’Ucraina ha riacceso focolai che sembravano sopiti. Tra Lituania e Russia la brace non ha smesso di ardere, con Mosca che non ha mai fatto mistero di mal tollerare l’esistenza del piccolo Paese baltico, il primo di quell’area a «liberarsi» dall’Unione Sovietica dopo la caduta del muro di Berlino.
In questi mesi la televisione russa ospita appelli costanti alla creazione di un corridoio tra Kaliningrad e il resto del Paese. Che sarebbe possibile solo, piccolo dettaglio, con un attacco militare.
A partire dal 24 febbraio, in Lituania si sono moltiplicate le piazze e le vie dedicate ai morti del gennaio 1991, quando le truppe sovietiche attaccarono gli edifici governativi di Vilnius per interrompere il processo di indipendenza del Paese ormai in corso.
L’invettiva
Comunque, nessun timore. La diplomazia avanza a grandi passi. Nel suo consueto post del risveglio, Dmitry Medvedev si chiede se l’Unione europea esisterà ancora quando il processo di adesione dell’Ucraina sarà concluso. «Magari per allora l’Ue sarà già sparita».
Intanto, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che gran parte della comunità internazionale considerava come «quello bravo a trattare» ha detto, forse riferendosi anche alla vicenda lituana, che «gli Usa stanno lavorando per zittire la Russia sulle questioni internazionali, costringendola a piegarsi a leggi inventate da loro, ma falliranno». Date le premesse, c’è da chiedersi cosa mai potrebbe andare storto con l’exclave di Kaliningrad.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE UCRAINO IN COLLEGAMENTO AL “GLOBAL POLICY FORUM” DELL’ISPI RISPONDE COSÌ A UNA DOMANDA DI MARIO MONTI SUL VOTO DI DOMANI IN PARLAMENTO: “PER FAVORE, SOSTENETECI”
Intervenuto a Milano per il forum dell’Ispi, il presidente ucraino ha rilanciato un ruolo per l’Italia di garante nei negoziati di pace con la Russia. Ma nel frattempo ha chiesto che non si fermino le forniture di armi e cibo
«L’Ucraina ha bisogno di aiuto: rifornimenti, alimenti, armi ed equipaggiamenti moderni» dice Volodymyr Zelensky, che ha aperto il Global Policy Forum dell’Ispi in corso a Milano. Proprio mentre in Italia il dibattito sul sostegno militare all’Ucraina riporta in fibrillazione la maggioranza di governo, il presidente ucraino ha parlato proprio a chi in Italia, come i senatori del M5s, vorrebbero rimettere in discussione i nuovi aiuti militari per Kiev. Rispondendo a una domanda dell’ex premier Mario Monti, Zelensky ha detto: «Per favore sosteneteci». Sul futuro del suo Paese, il presidente ucraino ha rilanciato l’appello che ormai accompagna i suoi interventi internazionali: «Non possono bastare le sanzioni alla Russia – insiste Zelensky – L’Ucraina deve rinascere dalle proprie ceneri: dobbiamo permettere alle persone di tornare alle proprie case, questa deve essere la nostra priorità. Altrimenti avremmo una crisi senza precedenti». Dopo la visita di Mario Draghi a Kiev e gli aiuti finora ricevuti, Zelensky ha voluto ringraziare l’Italia, rilanciando un ruolo in prima fila per Roma nella trattativa di pace: «Ci servono garanzie di sicurezza per il futuro – ha detto il presidente ucraino – e crediamo che l’Italia dovrebbe essere tra i garanti. Ringraziamo per il sostegno il governo italiano».
A tre giorni dal prossimo Consiglio europeo, in cui i leader Ue puntano ad approvare nuovi sostegni in armi e finanziamenti per Kiev, Zelensky ribadisce di volere la fine della guerra «e che la nostra terra non appartenga a nessun altro». Un richiamo al ripristino dei confini su cui Kiev è sostenuta dal Consiglio europeo. E a proposito dell’iter per l’ingresso nell’Unione europea, il presidente ucraino ha aggiunto: «Stiamo proteggendo i nostri obiettivi e valori comuni con l’Europa. Per noi questo è un fattore unificante e credo che sia per questo che abbiamo ricevuto lo status di candidato. L’Ue deve solo considerarci un partner alla pari»
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
ALTRO CHE I DISTINGUO DEL M5S
A due giorni dal possibile scontro al Senato nella maggioranza del governo Draghi, viene diffusa la bozza del prossimo vertice Ue che ribadisce ulteriori aiuti militari ed economici per Kiev
La linea del Consiglio europeo sugli aiuti all’Ucraina resta ferma sul «forte sostegno per la sua resilienza economica, militare, sociale e finanziaria».
Nella prima bozza del documento che i leader Ue approveranno nel vertice del prossimo 23-24 giugno viene confermata la posizione dell’Ue a continuare a fornire aiuti militari ed economici a Kiev, mentre in Italia cresce la tensione all’interno della maggioranza su un possibile tentativo da parte del M5s di spingere il governo a smarcarsi dalla linea europea. La versione provvisoria del documento sarà domani sul tavolo del Consiglio Affari generali a Lussemburgo, in attesa che venga inserita anche la posizione dei leader europei a proposito della candidatura dell’Ucraina per l’ingresso nell’Ue, già raccomandata dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
Nel testo viene ribadito che l’Ue «richiama la Russia al ritiro immediato e incondizionato di tutte le sue truppe dall’intero territorio ucraino, secondo i confini internazionalmente riconosciuti». Posizione che va a scontrarsi con quella già emersa dal ministero degli Esteri del Cremlino, secondo cui i confini dell’Ucraina come sono sempre stati conosciuti non esistano più.
Più soldi per le armi a Kiev
Proprio sull’invio delle armi a Kiev, il Consiglio europeo insiste per un «ulteriore supporto militare per aiutare l’Ucraina nella sua azione di auto-difesa contro l’aggressione russa e nella sua azione di difesa dell’integrità e sovranità territoriale». Sempre nel capitolo relativo all’Ucraina, al punto 8, la bozza dice chiaramente che l’invio di armi per l’Ucraina non dovrà fermarsi ora e tra parentesi chiarisce che l’Ue «fa appello all’aumento del sostegno militare nell’ambito del fondo European Peace Facility».
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
CALENDA: “GRAVISSIMA INGERENZA”… VITO: “LO STATO E’ LAICO, BASTA INTROMISSIONI DELLA CHIESA”… TRIZZINO: “DIO NON ESCLUDE NESSUNO”
Carlo Calenda, leader di Azione, parla di «gravissima ingerenza»: «Mi sembra una gravissima ingerenza. Fuori dal tempo e dal galateo dei rapporti istituzionali. Delle intromissioni dirette della chiesa cattolica nelle elezioni non abbiamo nostalgia», afferma in una nota.
«Il vescovo di Verona, alla vigilia del ballottaggio, invita a non votare chi sostiene ideologia gender, aborto ed eutanasia. È venuto il momento che i partiti, la politica, tutta la politica, difendano la laicità dello Stato dalle ingerenze della Chiesa!» , scrive invece su Twitter il parlamentare forzista, già ministro nel quarto governo Berlusconi, Elio Vito.
«Che sia un vescovo a far confusione ci può anche stare ma che la Chiesa non lo corregga con un intervento chiarificatore è un fatto che preoccupa». Lo dichiara il deputato di Azione, Giorgio Trizzino, a proposito delle affermazioni di mons. Giuseppe Zenti sulle elezioni amministrative.
«Il vescovo di Verona – prosegue Trizzino – si schiera apertamente a sostegno del candidato di destra e confonde, mettendole sullo stesso piano, l’ideologia gender con l’eutanasia. Egli si appella alla famiglia voluta da Dio, diffidandola dall’accogliere “l’ideologia” del gender, dell’aborto e dell’eutanasia. Vorrei ricordare al vescovo di Verona che la “famiglia voluta da Dio” non esclude nessuno, semmai comprende e abbraccia soprattutto i più sofferenti e gli emarginati. Chi soffre l’emarginazione per ragioni sessuali non fa assolutamente eccezione. Facciamo chiarezza – conclude – l’ideologia va tenuta da parte ed anche quella clericale».
Sul fronte locale è Flavio Tosi a toccare la questione, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa dopo il no di Sboarina all’apparentamento: «Sarebbe interessante che i candidati Sindaco si confrontassero sui programmi, gli sboariniani cstrumentalizzano ideologicamente la lettera al clero del Vescovo Zenti. Anziché strumentalizzare il Vescovo o politicizzare la religione, sarebbe più utile dire ai veronesi e alle veronesi come si pensa di risolvere i problemi concreti della città”
Ad andarci pesante è Mao Valpiana (Movimento Nonviolento e sostenitore di Damiano Tommasi al ballottaggio) che dice: «A Verona abbiamo un Vescovo scaduto e scadente. Come i suoi amici ex sindaci scaduti e scadenti fa mosse della disperazione perché ha capito che quel mondo di potere è finito. L’onda gialla di Damiano Tommasi sta arrivando. Da lunedì Verona gira pagina. (chiedo che Bergoglio e Zuppi si mettano una mano sul cuore e mandino in città finalmente un pastore degno e adeguato ai tempi. C’è una Diocesi da ricostruire dopo il deserto fatto dal vescovo scaduto e scadente)».
Anche Giorgio Pasetto di +Europa/Azione attacca: «Sarebbe meglio se la scelta di chi amministra una città restasse laica e legata a programmi concreti, ugualmente a beneficio di tutti, ma a Verona siamo ormai abituati alle invasioni di campo da parte di chi, invece che amministrare, a modo suo vorrebbe moralizzare. Non sorprendono quindi le dichiarazioni di Mons. Zenti, alle quali è doveroso replicare. Non mi permetto di valutare il punto di vista della fede, ma da quello civile, i valori universali che devono essere vivi in una città giusta, sono quelli della tolleranza, dell’uguaglianza, delle libertà individuali. Le carenze di cui parla Zenti, sono tutte nella destra che fino ad ora ha amministrato Verona e che l’ha ridotta ad una immagine di città bigotta, intollerante e arretrata. Instillare paure, ricorrendo a formule inesistenti come la “teoria gender” o temi che nulla hanno a che vedere con l’amministrazione di una città, fa male alle famiglie veronesi, che hanno l’unico bisogno di far crescere giovani aperti e pieni di prospettive».
Dichiarazioni pesanti arrivano anche dal Comitato Pride 2022: «La comunicazione della Curia Veronese a firma del Vescovo Giuseppe Zenti (che, tra l’altro, non se ne doveva andare?), non sorprende nessuno ed è il suo lascito a Sboarina, il suo servile ringraziamento per la fitta collaborazione che vi è stata Sì, perché in tutti questi anni in cui Zenti è stato Vescovo della diocesi di Verona, l’asse Curia- Amministrazione Sboarina ha funzionato benissimo con innumerevoli presenze di Zenti a iniziative in cui l’amministrazione veronese si è fatta portatrice dei più bassi valori integralisti cattolici”
E prosegue: «Ma questo Vescovo non se ne doveva già essere andato? Ed ecco la zampata finale, l’ennesima intromissione della curia veronese nella vita laica della città, un testo che possiamo definire vergognoso e che invita alla violenza contro noi LGBTQIA+ . Confidiamo che il cambiamento in atto a Verona superi questi dettami di un Vescovo che per Verona è stata un vera calamità contro il diritto alla nostra autodeterminazione. Ma in cambio Zenti e tutta la Curia Veronese cosa avranno preteso per questo assist?
(da L’Arena)
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