Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
RINGRAZIA PIUTTOSTO CATTOLICI COME TOMMASI SE HAI ANCORA LE CHIESE PIENE, CON I TUOI AMICI SOVRANISTI CHE HAI SPONSORIZZATO IN PASSATO NON CI SAREBBE NEANCHE CHI APRE IL PORTONE
Monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, invia una lettera ai confratelli della diocesi a pochi giorni dal ballottaggio tra il sindaco uscente Federico Sboarina (sostenuto da Lega e FdI) e il candidato progressista Damiano Tommasi
In un passaggio di una lettera inviata ai confratelli della diocesi da monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, si legge che tra i doveri dei sacerdoti quando ci sono le elezioni è “far coscienza a se stessi e ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender, al tema dell’aborto e dell’eutanasia”.
La missiva è datata 18 giugno e arriva a poco più di una settimana dal giorno del ballottaggio, che a Verona vede contrapposti il sindaco uscente sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia Federico Sboarina e il candidato progressista Damiano Tommasi, ex presidente dell’Assocalciatori.
Al primo turno Tommasi ha ottenuto il 40% dei consensi, contro il 33% dello sfidante e il 24% di Flavio Tosi, candidato di Forza Italia e già sindaco della città dal 2007 al 2017.
Le parole di Zenti sembrano un endorsement a in vista della votazione definitiva: “Compito degli ordinati – ha spiegato – non è schierarsi per partiti o persone, ma segnalare presenze o carenze di valori civili con radice cristiana”.
Tra gli altri temi segnalati all’attenzione dei sacerdoti ci sono anche “la disoccupazione, la povertà, la disabilità, l’accoglienza dello straniero, i giovani, la scuola cattolica”.
“Queste sono frontiere prioritarie – si legge – che fanno da filtro per la coscienza nei confronti della scelta politica o amministrativa”.
Parole accolte con stupore dagli esponenti del Pd locale, che sostengono la candidatura di Tommasi.
Non si tratta però della prima uscita “politica” di Zenti, che ha 75 anni e a breve lascerà il suo incarico: nel 2015 scrisse agli insegnanti di religione condividendo il programma elettorale di una candidata della Lega alle elezioni regionali.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
“FEDELI ALLA NATO E ALLA UE”? E ALLORA FINITELA DI ROMPERE I COGLIONI CON IL DINIEGO A FORNIRE ARMI ALL’UCRAINA… LA LIBERTA’ SI DIFENDE CON LE ARMI, NON CON LE CHIACCHIERE DA FIGHETTI, NON SI DISARMA CHI SI DIFENDE DAI CRIMINALI… SOLO ORBAN IN EUROPA TIENE IL MOCCOLO A PUTIN
“Le dichiarazioni circa una presunta volontà del M5S di operare un
‘disallineamento’ dell’Italia rispetto all’Alleanza euro-atlantica e rispetto all’Unione europea sono inveritiere e irrispettose della linea di politica estera assunta da questo Consiglio Nazionale e dal Movimento, che mai ha posto in discussione la collocazione del nostro Paese nell’ambito di queste tradizionali alleanze”. È quanto si legge sul sito del Movimento Cinque Stelle che riporta le conclusioni del Consiglio Nazionale di stanotte e stamattina.
“Un più pieno e costante coinvolgimento del Parlamento con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo italiano nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l’eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari, funzionale a rafforzare il mandato del presidente del Consiglio in tali consessi”.
Lo si legge ancora nel comunicato del Consiglio Nazionale del M5s. Questi sono i punti su cui “auspica che l’intero Parlamento o, quantomeno, i Gruppi parlamentari che sostengono il Governo possano convenire”.
Cosa è successo nella notte
Luigi Di Maio finisce nel mirino del consiglio nazionale del Movimento per aver criticato aspramente il no a nuove armi all’Ucraina. Che è tornato a riunirsi in mattinata dopo il vertice-fiume di questa notte per terminare il ‘verbale’ in cui viene ribadita, tra le altre cose, la posizione del Movimento a sostegno della collocazione euro-atlantica dell’Italia, compresi alcuni passaggi dedicati ai dubbi sollevati in questi giorni dal ministro degli Esteri.
Ma per ora non si parla di una sua espulsione. Il leader, Giuseppe Conte, durante la riunione convocata d’urgenza per discutere dell’accaduto, si è detto molto rammaricato dalle parole usate dal titolare della Farnesina sulla sua stessa forza politica.
E, alla fine, deve mediare tra l’ala più dura del M5S, secondo cui il ministro degli Esteri si sarebbe allontanato dalle origini e avrebbe ormai altri progetti e chi invece spinge per ricomporre la frattura.
Nel corso delle quattro ore di riunione notturna – in parte in presenza, in parte in videoconferenza – con i 14 componenti del Consiglio, viene ribadita la linea sulla risoluzione che dovrà essere votata al Senato martedì, in concomitanza con le comunicazioni del premier Mario Draghi prima di partire per Bruxelles: il Movimento continuerà nella mediazione con il resto della maggioranza sulla risoluzione unitaria, ribadendo la centralità del Parlamento, ma senza creare problemi.
Bonafede, Appendino e il rischio ‘Armageddon’
No agli attacchi personali, al muro contro muro, alla lotta tra due fazioni. Ieri, nel corso del Consiglio nazionale M5S riunitosi in seduta notturna sul cosiddetto caso Di Maio, più voci avrebbero chiesto di deporre le armi ed evitare la guerriglia interna. In particolare, viene riferito all’Adnkronos da alcuni fonti presenti alla riunione, l’ex ministro Alfonso Bonafede avrebbe sollevato per primo la questione, richiamando l’intervista su Repubblica del vicepresidente grillino Riccardo Ricciardi, che ha parlato del responsabile della Farnesina come un ‘corpo estraneo’ al Movimento.
Da qui l’intervento di Bonafede, che avrebbe invitato alla compattezza e all’unità, evitando attacchi personali “che finiscono per fare male a tutti, ledendo innanzitutto il Movimento”.
Sulla scia del suo intervento, ne sono seguiti altri, compreso quello di Chiara Appendino. L’ex sindaca di Torino avrebbe messo in guardia dal rischio “Armageddon” – ovvero che il Movimento imploda proprio a causa della guerra interna – e che potrebbe scaturire da una comunicazione aggressiva, dagli attacchi ad personam, dal braccio di ferro tra ‘contiani’ da un lato e ‘dimaiani’ dall’altro.
Dunque, nessun riferimento alle armi, ma ad una de-escalation militare e alla centralità del Parlamento. “La linea euroatlantica non è mai stata messa in discussione”, la bozza redatta da alcuni senatori pentastellati che chiedeva lo stop alle armi a Kiev, “non è mai stata condivisa”, sottolinea uno dei partecipanti al vertice.
“Non capisco perché ci sono questi attacchi in questo momento, subiamo una cosa che secondo me è mistificatrice, non aderente alla realtà. Allora mi chiedo, perché attacchi su cose non aderenti alla realtà? Da questo punto di vista ci sentiamo un po’ arrabbiati e delusi, tutto qua. Per quale motivo si deve mettere in discussione una cosa che nel Movimento non è in discussione?”, ha detto Roberto Fico, presidente della Camera.
“Stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, oggi hanno rivolto al ministro Di Maio, impegnato in questo momento a rappresentare l’Italia all’importante tavolo europeo del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, dove si sta discutendo della guerra in Ucraina. Il ministro Di Maio non replicherà a nessuno degli attacchi che sta ricevendo in queste ore. C’è un limite a tutto, ciononostante non si può indebolire il governo italiano davanti al mondo che ci osserva, in una fase così delicata”. Così Peppe Marici, portavoce del ministro Luigi Di Maio.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
GLI UCRAINI A KHERSON HANNO FATTO PASSI AVANTI SUPERIORI A QUELLI FATTI DAI RUSSI NEL DONBASS
Il presidente Volodymyr Zelensky non si è mai allontanato da Kiev nella prima
fase della guerra, ma dalla fine di maggio ha cominciato a visitare le truppe vicino al fronte per portare un messaggio di incoraggiamento alla resistenza e, al tempo stesso, mostrare al nemico che le aree erano abbastanza sicure da permettere un suo viaggio.
Dopo la prima visita del 29 maggio a Kharkiv, dove la resistenza aveva appena respinto l’offensiva russa nel Nordest, sabato il leader ucraino si è portato sul fronte meridionale, facendo tappa a Odessa e Mykolaiv, porto fluviale strategico che i russi non sono riusciti a conquistare nonostante un lungo assedio.
«Non lasceremo il Sud a nessuno», ha garantito ieri Zelensky. È un segnale delle priorità di Kiev, che da un lato si difende a est, dall’altro contrattacca a sud provando a sfruttare la minore presenza dell’Armata, distratta dalla grande battaglia del Donbass, diventato l’obiettivo principale di Vladimir Putin.
I russi stanno ottenendo però soltanto guadagni marginali nel settore orientale, mentre gli ucraini nelle ultime settimane stanno conducendo contrattacchi in quello meridionale, cercando di riprendere il territorio che l’Armata aveva conquistato all’inizio del conflitto.
Gli uomini di Zelensky puntano da Mykolaiv verso Kherson, l’unica grande città in mano ai russi a ovest del fiume Dnipro, passata sotto il controllo di Mosca soprattutto perché i funzionari locali avevano cambiato bandiera all’arrivo delle truppe di Putin.
In quest’ area, gli ucraini nelle ultime due settimane hanno guadagnato molto più terreno di quanto abbiano fatto i russi nel Donbass, anche perché lo scontro prolungato sul fronte orientale ha distratto forze e mezzi dell’Armata.
Nella regione contesa, entrambi gli schieramenti stanno subendo perdite enormi, con i russi che sono stati costretti a indebolire le posizioni negli altri settori pur di rimpolpare i battaglioni tattici, e gli ucraini che hanno concentrato l’attenzione – e la richiesta di armi all’Occidente – sull’area del fronte orientale. A sud, però, hanno approfittato delle posizioni lasciate sguarnite dall’Armata e hanno cominciato a spingere cercando di riconquistare la città di Kherson, strategica come via d’accesso alla Crimea ma anche per controllare le forniture idriche della penisola annessa militarmente nel 2014.
Al confine fra le regioni di Mykolaiv e Kherson i russi proseguono con il consueto martellamento e sabato avrebbero provato ad attaccare con un elicottero, costretto alla ritirata dal fuoco dei difensori. La resistenza sostiene invece di aver condotto quello stesso giorno quattro raid aerei nella regione uccidendo 28 soldati russi e distruggendo un tank T-62, una postazione radar, un camion per i rifornimenti, un deposito di munizioni e alcuni mezzi. I numeri non sono confermabili, ma rendono l’idea della battaglia in corso sul fronte meridionale per il controllo dell’area.
A Kherson, isolata e in mano ai russi da oltre 100 giorni, le truppe di Putin pattugliano le strade, gli agenti dell’Fsb si muovono in incognito e ascoltano le conversazioni dei cittadini, mentre in lontananza risuonano i colpi di artiglieria. Il fronte è distante una trentina di chilometri, ma in città proseguono i sabotaggi e gli attacchi partigiani degli ucraini che destabilizzano gli invasori, impedendo loro di consolidare il controllo della città: si è parlato a lungo di un referendum per l’annessione alla Russia, ma per ora la consultazione è stata rimandata.
L’ultimo colpo della resistenza è avvenuto due giorni fa, quando un congegno esplosivo attaccato a un albero è detonato colpendo l’auto del direttore della prigione locale Yevhen Sobolev, uno dei «traditori» passati con i russi il 23 marzo. Gli ucraini hanno sostenuto di aver ucciso l’uomo, che invece sarebbe sopravvissuto e non sarebbe in pericolo di vita: i russi parlano di un attacco «terroristico» condotto dalla guerriglia ucraina, ma per la giustizia di Kiev Sobolev è accusato di tradimento e – sotto la legge marziale – rischia una condanna all’ergastolo per tradimento.
(da il “Corriere della Sera”)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
ALLA FINE I GRILLINI SI ALLINEERANNO SULLA MOZIONE DI MAGGIORANZA
La fonte anonima impegnata nella trattativa sul testo della risoluzione di
maggioranza lo dice esplicitamente: «I problemi interni ai partiti non possono condizionare le scelte di politica estera del governo».
Da giovedì Mario Draghi è impegnato in tre appuntamenti chiave dall’inizio guerra in Ucraina: il Consiglio europeo a Bruxelles, il vertice dei sette grandi in Baviera, quello della Nato a Madrid.
Nelle intenzioni del premier il discorso di martedì alle Camere e il voto che lo accompagnerà dovranno spazzare via ogni dubbio sulla linea italiana, e non solo rispetto al conflitto. Il discorso è ormai pronto. Ciò che non c’è ancora è l’accordo sul testo che motiverà il sì di deputati e senatori.
Oggi pomeriggio, per la terza volta in pochi giorni, il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola incontrerà i capigruppo dei partiti per discuterne. Resta da scrivere il punto più delicato della mozione, quello relativo al sostegno italiano allo sforzo bellico di Kiev.
Secondo quanto riferiscono fonti concordanti della maggioranza, i Cinque Stelle avrebbero rinunciato ad un passaggio esplicito contro l’invio di nuove armi, ma insistono perché si parli del «ruolo del Parlamento» laddove si dovessero rendere necessarie nuove forniture.
La questione è politicamente delicata, ma è difficile immaginare che l’ala cosiddetta pacifista ottenga ragione: l’invio di armi senza voto è autorizzato fino alla fine di quest’ anno dal primo decreto votato a larga maggioranza dopo l’inizio dell’attacco russo. Più probabile si trovi un compromesso che preveda di «tenere informate» le Camere.
Un altro passaggio su cui si sono concentrate le richieste Cinque Stelle riguarda la «de-escalation militare». Anche su questo la linea di Palazzo Chigi è però ferma: sì alla richiesta di pace, ma senza lasciare dubbi su chi sia l’aggressore e l’aggredito, e da quale parte debbano arrivare i segnali di tregua.
Il discorso che Draghi pronuncerà affronterà tutte le questioni in agenda, e sulla gran parte delle proposte non ci sono veti dei partiti.
La prima: sostegno pieno all’Ucraina e alla sua richiesta di adesione all’Unione europea, che porta con sé il sì dell’Italia all’adesione delle sei repubbliche della ex Yugoslavia, della Moldavia e della Georgia. Draghi darà pieno sostegno alla proposta di riforma dei Trattati, e in particolare al superamento del principio di unanimità nelle decisioni dei Ventisette.
Dirà con enfasi che occorre una riforma del patto di stabilità – tema graditissimo a Lega e Cinque Stelle – e a spese straordinarie per affrontare le difficoltà di famiglie e imprese colpite dal caro energia. Fra i Ventisette è quasi certo il no a nuove spese comuni, ma a maggior ragione Draghi difenderà l’ipotesi di stanziare risorse nazionali.
E poi l’introduzione di un tetto al prezzo del gas: il premier spiegherà che la decisione dello Zar di tagliare le forniture di metano a Italia, Germania e Francia conferma la necessità di procedere. Su questo, sui conti pubblici e sulla riforma dei trattati Draghi sa di poter contare sul sì di tutti. Il discorso affronterà anche la diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’energia, lo spostamento a sud dell’asse geopolitico, i rapporti con Israele e la Turchia, la soluzione alla crisi del grano bloccato dai russi in Ucraina.
Il bilaterale di Draghi con quel che definì il dittatore di Ankara è previsto cinque giorni dopo il vertice della Nato. La guerra ha ridato a Erdogan il ruolo di cerniera dentro la Nato e fra gli alleati occidentali e la Russia.
L’impressione è che la maggioranza possa trovare un accordo senza rotture traumatiche, ma a Palazzo Chigi sono pronti a qualunque scenario: Draghi non ha alcuna intenzione di mostrarsi condizionato dalle convulsioni dei partiti su questioni così delicate. L’ipotesi di un’intesa ad ogni costo è scartata.
E d’altra parte, come spiega una fonte vicina a Draghi sotto la garanzia dell’anonimato, «se mancasse una maggioranza sulla politica estera non ci sarebbe più nemmeno il governo». Al momento lo scenario più probabile è quello di un sofferto allineamento dei Cinque Stelle sulla mozione. Con una conseguenza non banale: una rottura politica insanabile all’interno del Movimento fra i sostenitori di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio, che potrebbe uscirne politicamente sfiduciato. Per l’immagine internazionale del governo non sarebbe comunque una buona notizia
(da La Stampa)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
CON LA FOGNA OMOFOBA UNA SOLA SOLUZIONE: PULIZIA ETICA E LEGITTIMA DIFESA
Quattro ragazze tra i 14 e i 17 anni che avevano partecipato al Pride di Torino sono state prese a insulti e sputi in metropolitana.
Lo racconta oggi l’edizione torinese di Repubblica, precisando che il tutto è accaduto alla stazione Porta Nuova.
«Oggi vorrei denunciare quanto accaduto a me e altre ragazze — ha scritto su Instagram una di loro — per far riflettere e soprattutto per far capire che le discriminazioni non sono fantasie».
Quando sono salite sul vagone, secondo il loro racconto, hanno sentito gente che urlava: «C’erano tre ragazzi giovanissimi che stavano insultando un gruppo di persone che erano andate al Pride. Hanno anche sputato contro di loro fino a farli scendere», hanno raccontato le quattro.
A quel punto se la sono presa con loro: «Dovete morire bruciate». Una di loro ha mostrato la borsa del Pride e i tre le hanno sputato addosso.
«Per fortuna le porte della metropolitana si sono chiuse davanti, ma è stato bruttissimo – racconta la ragazzina – Eravamo molto spaventate. La cosa che mi ha fatto più piacere è che due passeggere si sono avvicinate e ci hanno detto “Siete bellissime così, lasciateli perdere e non fatevi intimorire”. È stato bello perché significa che ci sono tante persone che possono contribuire a cambiare la mentalità».
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
COMMENTI E INSULTI SULL’IMMAGINE DI UN VENDITORE DI PALLONCINI CHE SI RIPOSA A BORDO STRADA, STREMATO DAL CALDO… LA SOLITA FECCIA UMANA ANCORA A PIEDE LIBERO SI SCATENA SUI SOCIAL CONTRO CHI SI GUADAGNA IL PANE ONESTAMENTE
Un’immagine condivisa sui social, con un commento sferzante nel tentativo di
fare ironia.
Accade nel 2022, nell’epoca delle piattaforme in cui siamo perennemente immersi e che vanno sempre alla ricerca di visibilità. In quel mondo in cui il virtuale vuole incontrare il reale. E il reale è racchiuso nel cinismo peggiore.
L’emblema di questa deriva – che prosegue spedita come una sfera che scorre su un piano inclinato – è rappresentata da una foto scattata a Bologna (non sappiamo il dove e il quando) che immortala un uomo che, vestito da Topolino, realizza palloncini di varie forme per i bambini. E anche il suo mero gesto di sdraiarsi in terra per riposarsi diventa oggetto di dileggio.
Già la condivisione di quello scatto, senza alcuna censura (perché sulla pagina Instagram – la famosa Welcome to Favelas – che l’ha condivisa si mostra il volto dell’uomo) è un qualcosa di aberrante. Ma a rendere ancor più problematica la questione è il commento iniziale: “Bologna, brutta fine Topolino”. E questo ha dato il via libera a una serie di altri commenti.
Tentativi di becera ironia sull’immagine di un uomo che riposa, probabilmente distrutto fisicamente dal caldo.
Perché passare le giornate in strada per cercare di guadagnare qualcosa non per vivere, ma per sopravvivere, sotto il “vestito” di Topolino per cercare di ottenere pochi euro vendendo palloncini di varie forme non è sicuramente la rappresentazione di una vita fatta di agi.
E se da una parte ci sono i commenti con insulti, dall’altra c’è anche una buona parte di persone-utenti che hanno condannato e stanno condannando questo atteggiamento tipico dei social.
In molti, infatti, hanno risposto a quegli insulti e hanno criticato la scelta di fare ironia (o tentare di farla) su questa immagine che dovrebbe far riflettere e non provocare ilarità.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE DI SOCIOLOGIA CONTINUA A IMPERVERSARE SUGLI SCHERMI DICENDO CHE NON HA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE
Ogni settimana, ogni domenica, ha il suo spazio (una abbondante mezz’ora) a “Non è L’Arena”.
Una trentina di minuti in cui è libero di dire ciò che vuole e ciò che pensa, in prima serata. In una delle trasmissioni di maggiore successo su La7.
Eppure Alessandro Orsini continua a dire che in Italia non c’è libertà di espressione del proprio pensiero e che persone come lui non sono libere di parlare alla popolazione. Anzi, ieri si è definito una falla del sistema nonostante anche Giletti abbia provato più volte a sottolineare l’ampio spazio che la televisione gli ha dato, gli sta dando e – probabilmente – continuerà a dargli.
Il conduttore ha provato immediatamente a fermare il tentativo di vittimismo mediatico del professore, spiegandogli che se fosse stato in Russia non avrebbe avuto la libertà di attaccare in modo così veemente Putin, come invece sta facendo con Draghi. Ed è lì che inizia il festival orsiniano delle contraddizioni: “Se in Italia ci sono 100 esperti di politica internazionale e tutti sono liberi di dire quello che vogliono, ma tutti dicono la stessa cosa in favore del governo Draghi, noi siamo veramente liberi?”.
Giletti, però, non cade nella trappola dialettica (al limite del no-sense) di Alessandro Orsini. Il conduttore, infatti, gli ribadisce il qui e ora: “Capisco dove vuole arrivare, però intanto lei sta qua a parlare. E mi sembra che anche stasera (domenica, ndr) abbia sparato bordate”. Insomma, questa volta il professore di Sociologia del Terrorismo Internazionale della Luiss ha esagerato, arrivando a dire in televisione che persone che la pensano come lui non hanno spazio.
Concetto che, ovviamente, è smentito dai fatti (compresa la sua onnipresenza televisiva). E allora Orsini, colto in fallo, prova a ribaltare la situazione parlando di “falla”: “Dottore, sa come si definiscono le persone come me in termini tecnici? Io sono semplicemente una falla del sistema”.
Poi lo sguardo sorridente verso la telecamera che non lo inquadrerà, almeno non nello studio di “Non è L’Arena”, almeno fino al mese di settembre visto che la trasmissione di Massimo Giletti ha chiuso i battenti (per questa stagione) con la puntata di ieri.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
GRILLO IRRITATO CON CONTE CHE IN BASE ALLO STATUTO NON PUO’ ESPELLERE NESSUNO… NON DARE ARMI ALL’UCRAINA E’ PERMETTERE AI RUSSI DI ANNIENTARE UN PAESE SOVRANO E LIBERO, BASTA PACIFISMO A SENSO UNICO ( E POI SI OFFENDONO SE LI DEFINISCI PUTINIANI)
Quattro ore di discussione ma nessuna espulsione. La riunione del consiglio
nazionale del Movimento 5 Stelle che aveva al centro il caso Di Maio si è conclusa nella notte. Senza prendere alcuna decisione sul ministro degli Esteri.
Ma ribadendo la linea sulla risoluzione che dovrà essere votata al Senato martedì, in concomitanza con le comunicazioni del premier Mario Draghi prima di partire per Bruxelles.
Il Movimento continuerà nella mediazione con il resto della maggioranza sulla risoluzione unitaria, senza riferimenti alle armi ma ribadendo la richiesta di una de-escalation militare.
Per questa mattina è attesa una nota ufficiale sull’incontro. Che bollerà come «immotivate» le critiche dell’ex capo politico, ribadite anche prima dell’inizio della riunione. Ma senza prendere iniziative sulla sua cacciata.
La cacciata impossibile
Il perché è più che altro tecnico. Come ha fatto notare l’avvocato Lorenzo Borré, che rappresenta i ricorrenti M5s, il Consiglio Nazionale non ha il potere di espellere un iscritto. Per cacciare dal M5s il titolare della Farnesina, ha spiegato il legale all’AdnKronos «deve essere avviato un procedimento disciplinare ad opera del Collegio dei probiviri su istanza motivata del presidente, cioè di Conte. Il Consiglio può esprimere un parere sulla condotta di Di Maio ma non spetta a quest’organo decidere se espellere o meno l’iscritto». All’articolo 13, comma C, del nuovo statuto pentastellato si legge infatti:
“Il Consiglio Nazionale esprime un parere circa la decisione da assumere nei confronti di un eletto che non abbia rispettato la disciplina di gruppo in occasione di uno scrutinio in seduta pubblica o non ottemperi ai versamenti dovuti al Movimento per lo svolgimento delle attività associative o alla collettività, così come disciplinato dal presente Statuto e dal relativo Regolamento.”
In più, due esponenti su tre del collegio (Fabiana Dadone e Barbara Floridia) sono nel governo. Mentre il terzo, Danilo Toninelli, da solo non potrebbe decidere nulla. E poi c’è il problema del Garante.
I retroscena dei giornali dipingono un Beppe Grillo molto infastidito con Giuseppe Conte per l’ennesimo psicodramma scatenatosi all’interno del M5s. All’epoca dello scontro sul Quirinale Grillo tentò di mediare una pace tra i due, senza successo. Ora il rischio è che scenda in campo di persona con una nuova discesa su Roma in questa settimana. Finendo per farsi strattonare dalle due fazioni.
Cosa farà da grande Di Maio
Un accenno del clima interno si può trovare nell’intervista rilasciata da Paola Taverna a La Stampa: «Prima ancora di chiedere se Di Maio deve essere espulso, bisognerebbe chiedere a lui perché fa di tutto per uscire. Ha mentito sulla risoluzione, sapeva benissimo che era un testo vecchio e superato, eppure l’ha usata per attaccarci. Fa un danno enorme al Movimento e non offre nessun servizio al Paese. Per me è solo tattica: le sue critiche sono iniziate subito dopo l’annuncio di Giuseppe Conte di voler chiedere alla nostra base un voto per modificare o meno il limite dei due mandati».
Intanto Di Maio aspetta. Sa che non può essere espulso perché una decisione del genere sarebbe difficile da giustificare, visto che ha espresso solo critiche politiche.
Non si presterà al processo pubblico che vorrebbero alcuni grillini. Ma nel frattempo riflette su cosa fare da grande. E le opportunità non mancano. Anche se lui ha fatto sapere ai fedelissimi di non avere intenzione di fondare un nuovo partito né di entrare in uno che già esiste. Repubblica spiega però oggi che la sua prospettiva è più ampia.
E parte dal presupposto che anche dopo le elezioni del 2023 rimarrà in campo Draghi. O lui o il suo metodo. Per questo ha aperto interlocuzioni con figure che potrebbero avere qualcosa in comune con lui. Una di queste è il sindaco di Milano Giuseppe Sala.
Sfogliare la margherita del Centro
Ma c’è anche l’ex primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti. E ancora: Nardella (Firenze), Brugnaro (Venezia), Bonaccini (Emilia-Romagna). Persino Giovanni Toti, presidente della Liguria.
Il piano, spiega Matteo Pucciarelli, procederà per tappe. Prima il distacco dal M5s, possibilmente senza che questo sia temporalmente legato alle decisioni sui due mandati.
Poi la formazione di gruppi parlamentari o componenti. Per lanciare una proposta politico-elettorale in autunno. In coabitazione con il Partito Democratico, Azione di Carlo Calenda, i Verdi. Ma escludendo il M5s. Per questo avrà bisogno della sponda del segretario Enrico Letta. Che dovrà convincere a mollare Conte.
Per La Stampa Di Maio è in contatto anche con molti ministri del governo Draghi: Brunetta, Carfagna, Giorgetti. E con gli esponenti di Coraggio Italia. Insieme potrebbero proporre un contenitore di centro. E il M5s? Potrebbe essere Grillo a decretare la fine dei giochi.
(da Open)
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Giugno 20th, 2022 Riccardo Fucile
STORICA PRIMA VOLTA: IL NEO ELETTO PRESIDENTE E’ ANCHE IL PIU’ VOTATO DI SEMPRE
Una prima volta in Colombia, con un voto finale che ha ribaltato i pronostici e i sondaggi della vigilia, consegnando il Paese nelle mani del primo presidente di sinistra della storia del paese.
Gustavo Petro ha, infatti, sconfitto il suo rivale alle elezioni presidenziali che si sono tenute nello Stato sudamericano in questo weekend. E con lui, a guidare il Paese, ci sarà la vicepresidente Francia Márquez, la prima donna nera a ottenere questo incarico.
“Oggi (domenica, ndr) è un giorno di festa per il popolo. Che festeggia la prima vittoria popolare. Che tante sofferenze siano attutite dalla gioia che oggi inonda il cuore della patria. Questa vittoria è per Dio e per il popolo e la sua storia. Oggi è la giornata delle strade e delle piazze”.
Così Gustavo Petro ha commentato quella vittoria che sembrava essere impossibile per la storia della Colombia. Ha sconfitto, per circa 700mila voti, il suo avversario: il populista Rodolfo Hernández.
La vittoria è arrivata al ballottaggio, dopo aver ottenuto oltre il 40% dei consensi al primo turno.
L’ex sindaco di Bogotà ha fatto la storia anche in termini numerici: con le 11,2 milioni di preferenze ottenute, è diventato non solo il primo Presidente di sinistra della storia della Colombia, ma anche quello ad aver ottenuto più voti. Perché il popolo ha deciso di dare una svolta al suo futuro, dopo anni di povertà diffusa e un’escalation di violenza per le strade della varie città.
L’economista e il gruppo rivoluzionario
Gustavo Petro ha 62 anni ed è un nome molto conosciuto, apprezzato e stimato in Colombia. È sempre stato un uomo di sinistra, legato anche al Movimento 19 aprile (M-19), un gruppo rivoluzionario attivo tra gli anni Settanta e Ottanta. Poi, nel 1990, siglò un patto di “pace” (una sorta di no belligeranza) con il governo colombiano e decise di porre fine alla sua avventura nella lotta armata. Da lì nacque un partito, l’Alleanza democratica M-19 che lo portò prima a diventare sindaco di Bogotà e poi a una doppia candidatura (senza successo) alle Presidenziali. Ma la terza è stata la volta buona.
Chi è Francia Marquez
Come già detto una delle carte vincenti di Petro è la vice presidente Francia Marquez, afrocolombiana, ambientalista e femminista. Nata nel 1982 è sempre stata un’attivista fin dalla giovanissima età.
Nel 2014 ha organizzato la cosiddetta «Marcia dei Turbanti» con altre 80 donne che hanno percorso oltre 500 chilometri per protestare contro o l’estrazione mineraria illegale nel dipartimento del Cauca, regione in cui è nata.
Proprio per il suo impegno contro le miniere d’oro illegali nel 2018 ha ricevuto il Premio Goldman per l’ambiente. Il suo attivismo le è costato anche un attentato, con armi da fuoco e granate, nel maggio 2019, oltre a molte minacce di morte.
(da agenzie)
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