Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
CENTROSINISTRA IN VANTAGGIO AI BALLOTTAGGI A VERONA E PARMA…CROLLO LEGA E M5S, FDI SORPASSA LA LEGA ANCHE AL NORD… PD PRIMO PARTITO
Come anticipato dagli exit poll, il centrodestra vince al primo turno a Palermo con Roberto Lagalla, a Genova e a L’Aquila, rispettivamente con Marco Bucci e Pierluigi Biondi sopra il 50%.
Il centrosinistra vince a Lodi, a Padova e a Taranto, che esce dal commissariamento.
A Verona in vantaggio l’ex calciatore della Roma Damiano Tommasi – sostenuto dal centrosinistra che a oltre metà scrutinio è sopra il 39% – che andrà al ballottaggio con Federico Sboarina (Fdi), davanti a Flavio Tosi (centrodestra). Tutto si gioca sull’elettorato di Tosi al ballottaggio, che potrebbe convergere in parte su Tommasi.
Al secondo turno andrà anche Parma dove è in vantaggio il centrosinistra con Michele Guerra (appoggiato anche da Effetto Parma di Federico Pizzarotti) che ottiene il doppio dei voti del candidato di centrodestra e in passato già primo cittadino, Pietro Vignali, con il quale se la vedrà il 26 giugno.
E sia a Parma che a Verona FdI come voto di lista supera la Lega. Che ha avuto un crollo dietro il partito di Giorgia Meloni in tutta Italia, come anche il M5S.
Matteo Salvini prova a minimizzare in conferenza stampa: “Il centrodestra unito vince, diviso va al ballottaggio” puntualizzando però che “il leader della coalizione si deciderà alle prossime Politiche”. Nel 2023, dunque.
Soddisfatto dei risultati il segretario dem, Enrico Letta: “Il Pd è il primo partito in Italia”.
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
IL PROCESSO TERMINA IN DUE MODI
I campi di filtraggio sono dei veri e propri checkpoint, attraverso i quali i cittadini ucraini sono costretti a passare e a scegliere se rimanere nella propria città assediata o fuggire nel paese che ha distrutto la loro casa.
E così, prima di essere smistati verso i luoghi finali della deportazione in Russia, le persone vengono fotografate e interrogate, sottoposte alla rilevazione delle impronte digitali e al controllo dei loro telefoni cellulari.
“Agli uomini viene ordinato di spogliarsi fino a rimanere in mutande, mentre i russi cercando sui loro corpi tatuaggi che potrebbero rivelare un legame con i gruppi nazionalisti ucraini. A tutti viene chiesto se loro o qualcuno che conoscono abbia prestato servizio nell’esercito ucraino”, scrive il Guardian.
La testata britannica riporta, attraverso le testimonianze di chi le ha subite, le crudeltà perpetrate nei campi di “filtraggio”.
Le testimonianze dei rifugiati ucraini che, prima di entrare in Georgia, sono transitati dal campo di Nikolske, una città nell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, sono particolarmente drammatiche. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, circa 20 mila ucraini sono entrati nell’ex repubblica sovietica.
Non riuscendo a fuggire dalle città occupate come Mariupol e Kherson verso ovest del territorio ucraino, molti ucraini hanno dovuto fare ingresso in Russia venendo sottoposti al processo di pre-smistamento. Una delle vittime, la 60enne Olena, ha raccontato che, nel corso del suo interrogatorio, al tavolo accanto veniva interrogato un altro uomo a cui i russi avevano trovato addosso un portachiavi con l’immagine dello stemma ucraino. Allora – scrive il Guardian – “quattro guardie hanno picchiato selvaggiamente l’uomo con manganelli e calci alla testa, prima di gettarlo fuori a temperature sotto lo zero, senza cappotto o cappello”.
Quella raccontata da Olena è solo una delle tante storie provenienti dai campi di “filtrazione”, che sono stati allestiti principalmente in città e villaggi della Repubblica popolare di Donetsk, come Novoazovsk, Mangush, Bezimenne e Nikolske.
“Gli ucraini che fuggono da Mariupol in autobus – riporta la testata britannica – spesso arrivano nei campi inconsapevolmente, dopo che gli è stato detto che sarebbero portati in città controllate dagli ucraini. Una volta giunti sul posto, di solito non sono autorizzati a lasciare la città”.
Il processo pre-smistamento, racconta ancora il Guardian, di solito termina in due modi: “O si ‘supera’ l’interrogatorio e si riceve un piccolo pezzo di carta timbrato con la data del ‘filtraggio’ e la firma dell’ufficiale supervisore, oppure si viene trattenuti per ulteriori interrogatori”.
(da Globalist)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
OGGI I PADOVANI HANNO RICONFERMATO IL SINDACO GIORDANI
Un episodio vergognoso quello avvenuto sul palco organizzato dal centrodestra a Padova lo scorso 10 giugno in occasione della chiusura della campagna elettorale in vista delle amministrative.
La coordinatrice provinciale di Fratelli d’Italia Elisabetta Gardini chiama a raggiungerla Francesco Peghin, candidato sindaco della coalizione, e un ospite, Antonio Ludovico Dodi, della Lega, candidato nel 2017 con Massimo Bitonci nella lista Veneto Libertà.
Quest’ultimo si lancia in un’imitazione del sindaco uscente, Sergio Giordani, accentuando il suo modo di parlare difficoltoso dovuto a un ictus che lo ha colpito cinque anni fa proprio durante la campagna elettorale. Gardini è stato seguito da logopedisti e attori per migliorare nel linguaggio dopo l’episodio.
Gardini fingeva di intervistarlo per provocare le sue risposte, alle quali seguivano applausi e risate di tutti i presenti.
Peghin stesso è stato al gioco, anziché dissociarsi. Ha lasciato il palco in un secondo momento. Alcuni vertici di partito si sono poi scusati privatamente con Giordani stesso, che in quei momenti teneva il suo comizio in un’altra piazza della città.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
E’ RIUSCITO NELL’IMPRESA DI NON FARSI VOTARE DA NESSUNO
Dei 507 votanti per il Comune di Ventotene, nessuno ha espresso la sua
preferenza per Mario Adinolfi, che si era candidato a sindaco dell’isola con il suo partito, il Popolo della Famiglia.
È stato eletto primo cittadino Carmine Caputo, della lista “Insieme per Ventotene”, con 274 voti, pari al 55,02% delle preferenze.
Per lui l’endorsement dell’ex sindaco Geppino Assenso e dall’ex vice sindaco Modesto Sportiello.
Staccato di poco il secondo arrivato, Gerardo Santomauro, della lista “Uniti per il bene di Ventotene”: ha raccolto 223 voti, al 44,78%. Un solo voto per Luca Vittori del Partito Gay, mentre a chiudere la classifica c’è il leader ultracattolico. I votanti sono stati il 73,91% dei 686 elettori.
“A Ventotene lo scontro tra bande rende impraticabile lo spazio democratico”, ha scritto Adinolfi su Twitter. “Un voto al partito gay – ha aggiunto – nessun voto al Popolo della Famiglia, 500 voti alle due bande. Brutto segnale di controllo del voto, ma in alcune piccole realtà funziona così. Insisteremo perché l’isola cambi”.
Dopo la pubblicazione delle liste, lo scorso 8 giugno, si era lamentato pubblicamente: “Abbiamo a Ventotene noi del PdF l’aspirante sindaco più giovane, l’aspirante consigliere più giovane e la più anziana, il maggior numero di donne in lista”
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
ORIGINI ITALIANE. NATO E CRESCIUTO A SEINE SAINT-DENIS, UN SOBBORGO PARIGINO POVERO ED ETNICAMENTE DIVERSIFICATO, BARDELLA HA IDEE ANCORA PIU’ ESTREME DELLA LE PEN E SI FA SEGUIRE SEMPRE DAL SUO FOTOGRAFO UFFICIALE
«Quello che vogliamo è che la gente entri nell’Assemblea nazionale e che le nostre idee siano rappresentate», ha detto Jordan Bardella, che non si candida a un seggio, dopo aver parlato con i pescatori. «Voglio che le nostre idee prendano il potere».
Di origini italiane, Bardella è nato e cresciuto a Seine Saint-Denis, un sobborgo parigino duro, povero ed etnicamente diversificato, e ha abbandonato l’università per dedicarsi alla politica. È salito rapidamente nei ranghi del partito, diventandone vice nel 2019.
Bardella mette in scena il suo background e si ritrae come l’esatto opposto del politico francese medio. Ha aiutato Le Pen a far diventare “mainstream” il partito, concentrandosi sull’aumento del costo della vita e riformulando le sue opinioni sulle donne.
«Avevamo una donna come candidata alla presidenza e abbiamo un ragazzo che ha 26 anni come capo ad interim, il che dimostra quanto siamo moderni e di mentalità aperta», afferma Louis Aliot, sindaco della città meridionale di Perpignan e vicepresidente del partito.
Allo stesso tempo Bardella sostiene alcune opinioni che anche Le Pen si è sforzata di non esprimere.
Mentre Le Pen ha preso le distanze dai commenti sulla razza, Bardella ha descritto l’immigrazione dall’Africa come una minaccia alla civiltà. Questa è un’allusione al “grande sostituto” – una teoria del complotto un tempo confinata ai trattati razzisti di estrema destra e che sta alimentando la micidiale violenza armata in tutto il mondo. È sostenuta da Eric Zemmour, che è arrivato quarto alle elezioni presidenziali ed è stato sanzionato per incitamento all’odio.
«Sono d’accordo con alcune delle opinioni di Zemmour, conosco gli argomenti di cui parla perché sono cresciuto in un sobborgo», ha detto Bardella in un’intervista giovedì, prima di aggiungere che «Zemmour non offre alcuna risposta ai problemi delle persone».
Al porto, Bardella è stato seguito dal suo fotografo ufficiale, che secondo il quotidiano Le Monde sta scattando immagini come parte della campagna per farlo apparire presidenziale.
Alcuni membri del partito non pensano che la RN andrà bene nel ballottaggio legislativo e si stanno scagliando contro un sistema che dicono non riflette la volontà popolare. «Le persone escono per strada perché l’Assemblea nazionale non affronta i problemi e le idee delle persone», ha detto Bardella.
Se in autunno avrà la meglio nel suo partito e si confermerà leader di RN, avrà due elezioni da preparare: per il Senato nel 2023 e per il Parlamento europeo l’anno successivo. Solo allora potrà iniziare a concentrarsi maggiormente sulle elezioni presidenziali del 2027.
«Sento le critiche interne dire che sono troppo giovane ma questo non mi fermerà. Napoleone ha detto ‘siamo cresciuti velocemente sul campo di battaglia’», ha detto Bardella, «e ho ereditato la resilienza di Marine Le Pen».
(da Globalist)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
OVUNQUE SI SONO SEGNALATI DISAGI: SCHEDE INSUFFICIENTI, NOMI DI ELETTORI ASSENTI SUI REGISTRI, MATERIALI RICEVUTI CON ORE DI RITARDO, URNE MONTATE AL CONTRARIO
«Arrivò u prisirienti!». Un’epifania nel corridoio dell’Istituto comprensivo
Tenente Carmelo Onorato del quartiere Sferracavallo, a due passi dal mare più profumato di Palermo: con quasi dieci ore di ritardo apre la sezione 387, alla fine di un corridoio dove si è formata una fila inferiore solo a quella davanti allo stadio, per la partitissima che vale la serie B.
Neonati gementi abbarbicati a mamme in astinenza da doposole, gentildonne sventaglianti, tifosi terrorizzati di perdere il fischio d’inizio e sessantenni in patibolari bermuda attendono che Vanda Bucceri, poco più che ventenne ortottista («faccio la riabilitazione oculistica») reclutata alle due del pomeriggio da un’amica per garantire il diritto di voto di un migliaio di palermitani, rediga i verbali e insedi il seggio.
La sezione 387 è l’ultima ad aprire, alle quattro del pomeriggio, dando una grottesca parvenza di normalità alle elezioni nella sesta città dell’ottava potenza economica mondiale.
Vanda è uno dei 50 presidenti di seggio reclutati in extremis, a urne virtualmente aperte. Via chat, via mail, con telefonate da amici o semplicemente svegliati alle 8,15 da un vigile urbano motorizzato con la nomina da consegnare. Come Antonio Rere, funzionario comunale.
Una doccia e via, «è un nostro dovere, in fondo, e comunque il biglietto per lo stadio non l’avevo trovato».
Lui no, molti altri sì. «Colpa della partita di calcio», spiegano in Comune già al mattino. Ma uno dei presidenti disertori, sotto richiesta di anonimato, aggiunge motivazioni vagamente marxiane: «Ci sono sette schede e nove scrutini da fare: cinque referendum, sindaco, consiglio comunale, presidente di circoscrizione, consiglio di quartiere. Sa quanto prendiamo? 288 euro. Gli scrutatori 208. Per quattro giorni di lavoro, senza orario. Sabato dalle 15,30 alle 2 di notte. Oggi dalle 6 e chissà quando si finisce. Domani si farà notte e probabilmente bisognerà tornare anche martedì. Almeno 40 ore. Cinque-sette euro l’ora, altro che salario minimo».
Si racconta di file ai pronto soccorso «per farsi refertare», di telefonate disperate a medici di base attovagliati o spiaggiati, per pietire un certificato giustificativo della defezione.
«Non condivido, ma li capisco – sbotta la scrutatrice Mary – qui è un delirio, se continua così chiamo il 118. Si rende conto del caldo che fa in queste aule? Non abbiamo nemmeno le sedie, ci danno quelle dell’asilo. Una vergogna».
Alla scuola Antonio Ugo, quartiere Zisa, c’è il presidente di seggio più giovane d’Italia: Angelo Lucia, appena maggiorenne, cerca di arrangiarsi con registri e verbali.
«È la prima volta, per me». Da presidente? «No, da elettore, voterò per la prima volta». Imberbe studente di corno francese al conservatorio, quando ha letto che c’erano problemi ai seggi s’ è presentato come volontario. Arruolato nella sezione 440. Accolto come un salvatore. Invano scrutatori e funzionari comunali avevano atteso il presidente designato per tutta la notte. Maria Guddo ha gli occhi pesti. «E dire che a noi dipendenti pubblici riconoscono 30 ore forfettarie di straordinario. Ne faremo almeno il doppio».
Anche Antonino Ciaccio, commissario di polizia municipale in pensione, è un volontario. Ha chiamato gli ex colleghi, s’ è reso conto del disastro, ha rinunciato alla Formula 1 bussando alla scuola Gregorio Russo, a Borgo Nuovo. Nominato presidente della sezione 550, dove alle 2 del pomeriggio c’era ancora un gran tramestio di timbri, scotch e cartoni. Fuori decine di elettori a sacramentare con paragoni geografici i più disparati: neanche in Africa, neanche in India, neanche in Colombia.
Quasi due ore per votare alla scuola del quartiere Pallavicino, sulla strada per Mondello. Scuola La Rosa, centro. «Qui tutto bene, i presidenti c’erano. Però mancava un’urna e abbiamo dovuto aspettarla per due ore».
Ovunque segnalazioni di disagi: schede insufficienti, nomi di elettori assenti sui registri, verbali con errori macroscopici, materiali ricevuti con ore di ritardo, urne montate al contrario. «Siamo stati letteralmente abbandonati», sospira Marco Giunta, presidente della sezione 78, scuola Cocchiara-Veneto. A tarda sera Sferracavallo è un luccichio ininterrotto. Ultimi gelati sul lungomare, ultimi elettori in coda da due ore. Nel seggio 387 il voto è come un bagno a mezzanotte. Chi alla fine entra, chi rinuncia, chi esce dicendo «mai più».
(da la Stampa)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
DOPO ESSERSI FATTO BULLIZZARE DALLA PORTAVOCE DI LAVROV, IL CONDUTTORE SI FA ASFALTARE DI NUOVO DAL DIRETTORE DI “LIBERO”, CHE LO ACCUSA DI ASSOLVERE LA PROPAGANDA RUSSA: “NON SIAMO A ‘BALLANDO CON LE STELLE’. BISOGNA PRENDERE POSIZIONE”
Dopo l’abbandono dello studio della scorsa settimana, ieri sera- sempre in diretta su La7 – è andato in onda un nuovo confronto tra Massimo Giletti, giornalista e conduttore di Non è l’Arena, e il direttore di Libero, Alessandro Sallusti. E così, in attesa dei risultati di referendum e amministrative, i telespettatori hanno assistito a un altro faccia a faccia di fuoco.
Giletti (ieri sera non più a Mosca ma in Italia, ndr) è subito ritornato alla frase choc urlata per ben due volte da Sallusti domenica scorsa chiedendogli se voleva ribadire che il Cremlino è “un palazzo di m…”.
«Sì, assolutamente» ha confermato serenamente il direttore «perché in quel luogo oggi si sta decidendo di sparare su civili, donne e bambini, di affamare popolazioni, ma in un recente passato si sono architettate purghe e pulizie etniche. Quindi sì, non è un bel posto, è un posto sporco e che trasuda sangue da tutte le pietre».
Il confronto tra Giletti e Sallusti è poi proseguito tornando esattamente sulle polemiche della passata trasmissione che, tra l’altro, ha portato bene agli ascolti della rete.
IL GIUDIZIO SU PUTIN
«Putin ha ammazzato da sempre, purtroppo, forse noi occidentali abbiamo chiuso gli occhi davanti a quello che hanno sempre fatto» ha proseguito Giletti stuzzicando il collega Sallusti che non ha avuto tentennamenti: «Negli ultimi anni ho pensato che Putin stesse cercando di raddrizzare un po’ le cose, ma oggi prendo atto che è in scia coi personaggi che l’hanno preceduto e che, quindi, continua, la maledizione di quel palazzo. Ma alla terza volta che ammazza, ora gli dico che è uno stronzo».
E a questo punto è Sallusti a partire all’attacco nei confronti del conduttore: «Continuare a far quello che stai facendo tu stasera, dicendo, siccome noi abbiamo fatto una porcata in Iraq…». Ma Giletti lo interrompe subito e in modo anche parecchio seccato: «Ma questo lo dici tu, io non lo penso, come faccio a pensare una cosa così grave…».
E qui, approfittando della pausa dell’avversario-giornalista, Sallusti affonda il colpo e gli chiede di scegliere da che parte stare: «Tu, Massimo, stasera stai dicendo le stesse cose che ci ha detto lei (Maria Zakharova, la portavoce di Lavrov, intervistata domenica per oltre un’ora da Giletti, ndr) la volta scorsa: voi occidentali avete fatto guerra sporca e allora perché rompete le palle a noi? Ogni volta bisogna scegliere da che parte stare. Qui non siamo a Ballando con le stelle, in questa trasmissione si parla di cose molto serie» ha prosguito Sallusti accusando l’interlucore di assolvere la propaganda russa.
«Starò sempre dalla parte dell’Ucraina invasa, ma detto ciò non accetto il pensiero unico americano. Le Borse di venerdì sono crollate e la fatica di arrivare a fine mese si sta avvertendo. Se questa guerra non finisce, finisce male» replica stizzito Giletti.
Davanti a cui il direttore di Libero quasi si indigna parlando di «pura e semplice demagogia» quella utilizzata dal noto anchorman de La7.
«Non puoi dire di aver avuto con confronto con la Zakharova, perchè quello che è andato in onda la passata settimana è stato semplicemente un monologo. Era solo propaganda russa che, per di più, colpevolizzava l’Occidente e l’Italia in primis».
L’ultimo appunto del direttore arriva sul proprio sul finale quando fa notare che i russi definiscono quello di Kiev, un regime. «Non lo è affatto e da anni non lo è». Se mai la Russia non è una democrazia. «Ma una democratura» spiega.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
MIKHAIL KASYANOV PARLA DALL’ESILIO VOLONTARIO: “SE L’UCRAINA CADE, I PAESI BALTICI SARANNO I PROSSIMI”
Mikhail Kasyanov, il primo capo di governo di Vladimir Putin tra il 2000 e il
2004, ha rilasciato una lunga intervista all’Afp, parlando del suo ex capo dello Stato. “Il Putin che conoscevo era diverso”.
A 64 anni, l’ex ministro di Putin, che lavorò per il riavvicinamento tra Mosca e l’Occidente, ha ammesso che, come molti russi, non credeva che si sarebbe arrivati alla guerra.
L’ha capito finalmente a tre giorni dall’invasione, quando Putin convocò gli uomini del suo Consiglio di Sicurezza facendo trasmettere in tv la riunione. “Quando ho visto quell’incontro, ho finalmente capito che sì, ci sarebbe stata una guerra. Conosco queste persone e guardandole ho visto che Putin non era se stesso. Non dal punto di vista medico, ma politico”.
Licenziato dal presidente nel 2004, Kasyanov si è unito all’opposizione ed è diventato uno dei più accaniti critici del Cremlino. Ora guida il Partito della Libertà del Popolo, un piccolo partito liberale.
Ha detto di aver lasciato la Russia perché contrario all’invasione in Ucraina, ma non ha voluto dire in quale Paese si trova. È convinto che “se l’Ucraina cade, i Paesi baltici saranno i prossimi” e ha aggiunto di essere “categoricamente” in disaccordo con l’idea che Vladimir Putin non dovrebbe essere umiliato e che l’Ucraina dovrebbe accettare concessioni territoriali in cambio della pace. “Cosa avrebbe fatto Putin per meritarselo? È una posizione fin troppo pragmatica”.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2022 Riccardo Fucile
O IL “CAPITONE” ACCETTA LA LEADERSHIP DI GIORGIA O SI VA VERSO IL PROPORZIONALE… COMUNQUE, IL PROGETTO DELLA “LEGA NAZIONALE” È MORTO E SEPOLTO
Le Amministrative non causeranno contraccolpi sul governo ma potrebbero provocare una sorta di armageddon nel centrodestra.
Se oggi si certificasse il sorpasso di FdI sulla Lega, o Salvini accetterà la leadership della Meloni o il progressivo logoramento dei rapporti in seno all’alleanza determinerà una svolta anche sul sistema elettorale. E aprirebbe la strada al proporzionale. La coalizione è al bivio.
Già ieri ha subìto una picconata, perché il flop dei referendum sulla giustizia segna il fallimento di una battaglia storica di Forza Italia e del Carroccio, che si era intestato la sfida referendaria insieme ai Radicali.
La seconda picconata colpirebbe direttamente Salvini. Se le urne – come anticipavano ieri alcuni test demoscopici sul voto – registrassero un forte arretramento della Lega al Sud e una flessione al Nord, vorrebbe dire che il progetto di un «partito nazionale» si è arenato.
E la contemporanea ascesa di FdI pregiudicherebbe il disegno del «Capitano» di guidare alle prossime elezioni un «centrodestra di governo», a cui lavora dal 2018, quando conquistò il primato nell’alleanza.
Così si consumerebbe anzitempo la competizione con la Meloni. E si aprirebbe un durissimo confronto nel Carroccio, dove lo stato maggiore fatica ormai a nascondere la crisi di rapporti con il suo segretario.
L’attenzione dei dirigenti leghisti non è concentrata solo sui risultati nelle grandi città. Indicativi sono i test nei piccoli centri del Nord, dove lo zoccolo duro elettorale è consistente.
Se anche lì franasse il consenso, sarebbe la riprova dei «troppi errori» di una gestione «solitaria» e di una linea politica «contraddittoria» che ha portato a una «perdita d’identità e di credibilità». Di più.
Il timore nel Carroccio è che alle prossime Politiche la Lega non superi il 10%: alla Camera – visto il taglio dei parlamentari – significherebbe conquistare 50 seggi, rispetto agli attuali 130. E ciò porterebbe al rompete le righe della filiera dei dirigenti locali, che capirebbero di non avere spazio.
Chi ha parlato con Giorgetti in questi giorni lo ha trovato «sconsolato». Il rischio di una marginalizzazione della Lega a livello nazionale ed internazionale è al centro di molte discussioni. Le voci di scissione non appaiono tuttavia realistiche, perché «non è nel dna dei leghisti.
Si tenterà piuttosto di cambiare rotta senza distruggere il partito», spiega un autorevole esponente del Carroccio: «Sul modo in cui arrivarci però, non c’è al momento un’idea precisa».
Il paradosso è che a difendere Salvini è rimasto Berlusconi. E la linea del Cavaliere accredita l’ipotesi di un processo federativo, che incontra l’ostilità dei leghisti d’antan e le perplessità persino di quei berlusconiani che pure sono considerati vicini al «Capitano»: la preoccupazione è che l’unione non faccia la forza e che i due partiti perdano dei pezzi.Come in un effetto domino, l’area moderata azzurra non smette di guardare a soluzioni di centro, a quell’idea di «partito di Draghi senza Draghi» che anima i contatti con Calenda e Renzi. Sono gli effetti di una spaccatura che è figlia di una diversa visione sulla strategia futura, oltre che delle aspirazioni dei singoli. Già era stato difficile accettare una coalizione imperniata sul primato di Salvini.
Un’altra rivoluzione copernicana, con l’avvento della Meloni alla leadership del centrodestra, trasformerebbe ulteriormente il profilo di un rassemblement che per venticinque anni è stato a trazione berlusconiana. E FdI scorge negli exit poll di Verona, dove il suo candidato non avrebbe ottenuto il risultato preventivato, il tentativo di colpire proprio la Meloni. I risultati delle urne chiariranno il quadro.
E se ci sarà il sorpasso su Salvini, toccherà alla leader di Fratelli d’Italia fare la prima mossa. E lo farà lanciando un segnale di unità agli alleati, sostenendo che «il centrodestra regge e vince lì dove c’è una coalizione coesa». Perché in fondo il «campo largo» del centrosinistra sembra rivelarsi un «campetto di calcio» e dunque ci sarebbero le condizioni per guardare alle Politiche del 2023 con ottimismo.
(da Il Corriere della Sera)
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