Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
“UN AFFETTUOSO ABBRACCIO A UN GIORNALISTA E UOMO LIBERO”: UN ATTO DOVUTO NEI CONFRONTI DEL VOLTO DEL TELE-SALVINISMO
Un nuovo fronte polemico si aggiunge a quello sulle liste di personalità filorusse, che in tv starebbero sostenendo le tesi di Mosca.
Nel calderone finisce Massimo Giletti per la puntata di Non è l’arena, la trasmissione di La7 andata in onda domenica da Mosca, nella quale tra l’altro il giornalista ha avuto un mancamento, mentre il direttore di Libero Alessandro Sallusti abbandonava la scena in aperta polemica per la modalità con cui il conduttore aveva intervistato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
Il giorno dopo, durissime sono le critiche del deputato Pd Andrea Romano: «Ormai siamo un caso internazionale, diamo tribuna ai pifferai di Putin».
E parla di «vergognosa propaganda» a La7 Maria Saeli, tesoriere di +Europa. Alla fine, a difendere Giletti resta solo Matteo Salvini con un «affettuoso abbraccio a un giornalista e uomo libero ».
Mentre il dem Enrico Borghi, membro del Copasir, vede un «tentativo di manipolazione» con i due propagandisti filo-Putin ad avere spazio in trasmissione. «Disinformazione, propaganda, fake news, tentativi di manipolazione dell’opinione pubblica in Italia e nelle democrazie liberali… È la cosiddetta dottrina Gerasimov sulla guerra ibrida, sulla guerra non convenzionale – spiega Borghi – . È questo che sta combattendo e cerca di disvelare il Parlamento italiano attraverso il Copasir».
La trasmissione ha visto Giletti sulla piazza Rossa, mentre da studio Myrta Merlino conduceva gli interventi. Nulla di grave, comunque, per Giletti, che è riapparso in video dopo qualche minuto di concitazione. Ma restano le sue domande, considerate troppo accondiscendenti nei confronti dell’ospite, collaboratrice dello ‘zar’.
Zakharova difende strenuamente la posizione del Cremlino, attaccando l’Europa e i giornalisti italiani che si sono disinteressati del conflitto in Donbass negli ultimi otto anni. La giornalista se la prende anche con Giletti, per i suoi ragionamenti ‘infantili’, di fronte al tentativo di quest’ ultimo di perorare la causa del negoziato.
L’interessato non dà sufficiente prova di forza, secondo Sallusti, che lascia la trasmissione. «Pensavo fossi andato a Mosca per parlare al popolo russo – lo accusa – . Mi trovo davanti ad un asservimento totale di fronte alla peggiore propaganda che ci possa essere».
Perciò, taglia corto, «rinuncio al compenso pattuito, ma non ci sto a fare la foglia di fico» agli ospiti russi, due politologi, uno dei quali – il famoso conduttore Vladimir Solovyev – viene subito invitato da Bruno Vespa: «Lo ospiterò a ‘Porta a porta’ se lui sarà cortese a ospitarmi nel suo programma di Russia1. Così i nostri pubblici potranno confrontare le diverse posizioni sulla crisi ucraina in un sereno dibattito tra persone civili».
Insomma, le polemiche sulla gestione dell’informazione nei talk sembrano destinate a proseguire, con gli ascolti che crescono.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
MOLTI SONO “CONTRACTORS” INGAGGIATI TRAMITE SOCIETÀ SPECIALIZZATE, MENTRE ALTRI SONO ARRIVATI DI LORO INIZIATIVA
Il pendolo oscilla su Severodonetsk. Nelle ultime ore i russi sono tornati a premere e i loro avversari, dopo segnali incoraggianti nel fine settimana, parlano di una fase nuovamente difficile.
Le valutazioni negative sono dei dirigenti locali e del presidente Zelensky reduce da una visita nel Donbass. Mosca ha lanciato nella mischia il possibile: i ceceni, i miliziani, i soldati «privati» della Wagner, gli imprescindibili elementi della 76esima aerotrasportata.
Negli ultimi giorni numerosi report hanno segnalato come nello schieramento dell’Ucraina stiano svolgendo un ruolo i volontari stranieri, alcuni dei quali sono caduti in battaglia: georgiani, tedeschi, francesi, britannici, australiani, olandesi, qualche americano danno il loro contributo.
I racconti insistono sulla durezza degli scontri, sui vuoti provocati dalle bombe, sulla necessità di ruotare dopo periodi di lotta intensa sotto lo sbarramento incessante.
Le testimonianze tradiscono la ferocia della contesa, ma al tempo stesso provano a trasmettere un senso di fiducia per la parte che hanno scelto d’aiutare. E, oltre a rischiare le pallottole, devono pensare a non farsi catturare: ieri i separatisti del Donetsk hanno annunciato processi contro alcuni «mercenari inglesi», passibili di pena di capitale. In questi mesi la Legione composta da alcune migliaia di elementi arrivati dall’estero è stata al centro di analisi.
Una parte è sicuramente utile alla causa, perché sa come muoversi, ha un passato militare, anche se pochi hanno provato questo tipo di conflitto. Poi c’è la schiera di avventurosi e volenterosi: non pochi sono tornati in patria in quanto considerati poco idonei. La cifra di 20 mila individui è stata ridimensionata, ma vale la regola della prudenza: le stime non rappresentano sempre la realtà. In mezzo sono apparsi i «contractors»: stranieri, professionisti, affiancano i resistenti con il training, forse partecipano a missioni speciali, fanno da consulenti.
Il caso più evidente è quello della società Mozart, guidata dall’ex colonnello dei Marines Andrew Milburn.
Sono numeri ridotti rispetto ai nemici della Wagner, comunque rappresentano un vantaggio: offrono personale di livello e aggirano il veto all’impegno sul terreno di militari Nato. Una funzione parallela in un esercito che, dopo le sconfitte passate, ha dimostrato di poter tenere testa al neo-Zar.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
“MAD VLAD” LO HA DI FATTO CANCELLATO DAL SUO STAFF E PROBABILMENTE FATTO ARRESTARE…
Sono tempi in cui le colombe svaniscono nel nulla. E se poi volavano sul Cremlino, possibile che abbiano fatto una brutta fine. Pomeriggio del 21 febbraio. Dmitry Kozak è uno degli uomini più forti della verticale russa del potere. Vladimir Putin li ha riuniti tutti al Cremlino, al vertice del Consiglio di sicurezza, per annunciare loro l’intenzione di riconoscere le due autoproclamate repubbliche del Donbass.
È il momento in cui il mondo capisce che non deve più chiedersi se l’Armata rossa entrerà in Ucraina, ma solo quando lo farà. Quella riunione passa alla storia recente per il modo brusco in cui il presidente zittisce e umilia il capo dei servizi segreti Sergey Naryskhin, che chiedeva più tempo per evitare un intervento militare.
Ma poco prima c’era stata un’altra vittima. Kozak è il vicedirettore dello staff di Putin. Ma il legame tra i due esula da ogni incarico ricoperto dall’ex soldato dei Corpi speciali. Il presidente lo ha sempre avuto con sé da quando entrambi erano consiglieri del sindaco di San Pietroburgo Anatoly Sobchak, affidandogli ruoli molto delicati.
Per questo, da cinque anni, lo ha messo a capo dell’operazione speciale, che a quella data significava solo la gestione dei rapporti con l’Ucraina. Quando inizia a parlare, Kozak spiega come il governo di Kiev non abbia fatto alcun passo in avanti verso la Russia. Fa una sorta di mea culpa, dicendo che dal 2015 esiste una situazione di stallo anche se qualche progresso sarebbe ancora possibile per via diplomatica.
Ma c’è qualcosa che non va. Fuori dall’inquadratura, si sente uno «spasiba», un grazie detto ad alta voce da Putin.
Basta così, non c’è bisogno di aggiungere altro. Kozak invece prosegue, mentre il presidente tamburella con la mano sul tavolo, visibilmente spazientito. Lo «spasiba» questa volta risuona ancora più perentorio.
Da allora, più nessuna notizia di una delle personalità più in vista e più vicine al presidente russo. Una corsa del gambero, fino alla smaterializzazione. Il 24 febbraio, Kozak viene rimosso da ogni incarico. A cominciare da quello di capo dei negoziatori con Kiev.
Il suo nome viene anche tolto dall’agenda informativa quotidiana, come se non esistesse più. Lo scorso 22 maggio fonti ucraine hanno riferito di un suo arresto per collaborazionismo, circostanza che è stata rilanciata da alcuni media indipendenti russi, ma senza nessuna conferma ufficiale.
A Mosca, gli esperti danno una spiegazione quasi naturale della sua innegabile caduta in disgrazia. Il presidente ha perso la pazienza con lui, dopo aver riposto fiducia nel buon esito dei negoziati che gli era stato prospettato. E per ogni fallimento, specialmente se lungo otto anni, serve un colpevole.
Poco importa se è un amico di lunga data dai tempi di San Pietroburgo, due volte ministro, due volte capo della sua campagna presidenziale, un uomo di rappresentanza, tra le altre cose il più alto in grado a ricevere Matteo Salvini durante uno dei suoi celebri viaggi in Russia. E poi Kozak, che negli ambienti della diplomazia era soprannominato il gatto del Cheshire per via del suo sorriso ambiguo, sconta una pena doppia. È nato e cresciuto in Ucraina, dove ha mantenuto i suoi affari, che lo hanno reso anche bersaglio della prima tornata di sanzioni internazionali dopo la prima guerra nel Donbass.
Era il filo diretto tra il Cremlino e l’oligarca Viktor Medvedchuk, amico personale di Putin, catturato lo scorso aprile dall’esercito ucraino mentre, così recita la versione ufficiale, tentava di fuggire dagli arresti domiciliari ai quali era costretto dal maggio 2021.
Una volta uscito di scena il personaggio che il Cremlino aveva designato come architrave di un eventuale cambio di regime a Kiev, forse anche l’utilità di Kozak è venuta meno. Tanto più che il suo nome è divenuto oggetto di una propaganda al contrario. «Mitya, ma tu davvero sei d’accordo con il massacro del tuo popolo?».
(da Corriere della Sera)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
IN UCRAINA ERA DIVENTATO FAMOSO COME “IL BOIA” PER AVER MASSACRATO PRIGIONIERI DI GUERRA E CIVILI NEL DONBASS DURANTE LA PRIMA INVASIONE RUSSA… PER PUTIN AVEVA COMBATTUTO POI ANCHE IN SIRIA E IN LIBIA
Un mercenario russo diventato noto per aver massacrato prigionieri di guerra e civili nel Donbass è stato ucciso in Ucraina. Secondo i media russi, Vladimir Andonov, 44 anni, del gruppo Wagner, è stato colpito da un cecchino vicino a Kharkiv durante una missione di ricognizione il 5 giugno.
In patria Andonov era conosciuto come “Vakha” o “il volontario della Buriazia”, la regione da cui proveniva, mentre per gli ucraini era “il boia” per via dei massacri che ha contribuito a compiere durante la prima invasione russa nel 2014. La sua morte è stata confermata da Zhambal-Zhamso Zhanaev, capo della regione da cui proveniva Andonov, che ha parlato al quotidiano russo Moskovskij Komsomolets.
Andonov ha prestato servizio nell’esercito regolare russo dal 1997 al 2005, poi si è trasferito nella città di Ulan-Ude dove ha studiato in una scuola di insegnamento. Ha abbandonato la scuola prima di completare gli studi e ha ottenuto un lavoro nel commercio, prima di arruolarsi volontario per andare a combattere in Ucraina nel 2014.
Andonov è stato arruolato nella compagnia delle forze speciali di Olkhon che combatteva nel Donbass e all’inizio del 2015 ha preso parte alla battaglia di Debaltseve, una delle ultime grandi battaglie della guerra del 2014. A quel tempo, è apparso in un video girato nella regione presto diventato uno dei primi elementi di prova che i volontari della Buriazia erano in Ucraina.
L’Ucraina lo accusa di aver partecipato personalmente al massacro di prigionieri di guerra nella città di Logvinovo all’indomani della battaglia e di aver ucciso civili in altre parti del Donbass.
Andonov è rimasto in Ucraina anche dopo gli accordi di Minsk del 2015, ed è tornato in Russia nel 2017. Ma alla fine di quell’anno è scomparso: ha cancellato le sue tracce online, e negli anni successivi ha combattuto con le unità Wagner in Siria e in Libia.
I mercenari Wagner si sono guadagnati la loro reputazione di assassini per aver combattuto battaglie che l’esercito regolare russo non poteva intraprendere – partecipando a massacri, torture e uccisioni indiscriminate lungo il percorso.
Andonov è tornato poi in Ucraina a seguito dell’ordine di Putin di invadere nuovamente il Paese, il 24 febbraio. Non è chiaro dove avesse combattuto esattamente prima della sua morte nei pressi della città ucraina di Kharkiv domenica.
(da Daily Mail)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “UNA PRATICA SQUALLIDA. LI DIFFIDO, METTONO LE MANI NELLE BORSE DELLA GENTE. VOGLIONO GUADAGNARE SENZA RESTITUIRE NULLA ALLA CITTÀ”
«Una pratica squallida, siamo intervenuti con provvedimenti di diffida contro quegli stabilimenti balneari che controllano, all’ingresso, nelle borse delle famiglie dei bagnanti, se portano acqua e cibo da casa. Se consideriamo che i titolari dei lidi spesso gestiscono anche i parcheggi attigui alla spiaggia e che per il passato alcuni di loro hanno evaso o eluso i tributi comunali, ricavando guadagni enormi senza, poi, contribuire alle spese della comunità cittadina, allora occorre intervenire e subito. Ed è ciò che abbiamo fatto».
Josi Gerardo Della Ragione è il primo cittadino di Bacoli, comune del litorale flegreo, in provincia di Napoli, che affaccia sul golfo di Pozzuoli e guarda Procida dalla terraferma. Qui la Storia e le affascinanti vestigia antiche ricordano che fu uccisa Agrippina, la madre di Nerone, e sempre qui, nella baia, era di stanza la flotta imperiale di Augusto.
Insomma, una di quelle località dal paesaggio magnetico e suggestivo, grazie anche al suolo vulcanico, alla rigogliosa vegetazione ed ai mirabili scenari naturali. Il sindaco di Bacoli, al suo secondo mandato e leader di una formazione civica, Free, continua la battaglia per il rispetto delle regole nella sua città, da decenni abbandonata a se stessa ed al volere del più forte, spesso rappresentato da chi poteva sconfinare oltre ogni limite al buon senso. Stamane Della Ragione ha notificato le prime diffide ai concessionari degli stabilimenti balneari che «perquisiscono» i bagnanti che arrivano in spiaggia.
«Chi gestisce un’area demaniale non è il padrone»
«Trovo intollerabile vietare l’ingresso in spiaggia di bottiglie d’acqua — afferma Della Ragione —. Trovo intollerabile perquisire, all’ingresso dei lidi balneari, le borse frigo delle famiglie per impedire l’accesso ai lettini di panini preparati da casa. A Bacoli questi scempi devono finire. Sono comportamenti che offendono la nostra terra, la nostra comunità. Sia chiaro. Chi gestisce uno stabilimento balneare non è il padrone. Non è proprietario di nulla. È il concessionario di un bene demaniale. Sia chiaro, lo ripeto meglio. Non è il padrone di nulla. Ma gestisce un patrimonio pubblico, per un tempo. Perché la spiaggia è di tutti. Perché il mare è di tutti. Ho profondo rispetto per quegli imprenditori che, con passione e nel rispetto delle regole, investono sui beni demaniali. Per chi li valorizza. Ho rispetto per chi paga le tasse. Ho rispetto per chi garantisce contratti regolari ai lavoratori. Ho rispetto per chi assicura la tutela dei più basilari diritti dei bagnanti».
Il sindaco di Bacoli ce l’ha con quelli che definisce «i prenditori»: una sorta di predatori del patrimonio pubblico che sfruttano le bellezze naturali dell’area flegrea senza restituire nulla alla comunità. Racconta di avere ereditato un bilancio comunale in dissesto, ma in virtù dell’impegno profuso per far emergere alla luce chi non pagava i tributi, in pochi anni ha dato più di una boccata di ossigeno alle casse del municipio: «Siamo al boom riscossioni a Bacoli — conferma —. Siamo arrivati a quasi 14 milioni di tasse incassate nel 2021.
Una cifra mai raggiunta negli ultimi tempi. Abbiamo incassato oltre 3 milioni di euro in più rispetto al 2017. Anno in cui la nostra città, tra tutti i tributi locali, raggiungeva i 10,5 milioni di euro. Siamo arrivati vicino al 70%. Percentuali tra le più alte dell’ultimo decennio. Soldi che possiamo investire: più servizi per i bacolesi, più servizi per i turisti. Se consideriamo i dati di 5 anni fa, registriamo 1 milione di euro incassato dall’imposta sull’acqua e 2 milioni in aumento dalla Tari. È la svolta per le casse municipali. Perché è giusto che paghino tutti».
La differenza tra «prenditori e imprenditori»
Ma perché la sua battaglia contro una specifica categoria: quella dei commercianti o dei concessionari demaniali? «Beninteso — sottolinea il primo cittadino — non facciamo di tutta l’erba un fascio: fare l’imprenditore, soprattutto di questi tempi, non è semplice. Continueremo ad accogliere a braccia parte coloro che vogliono investire nella nostra città, rispettando il paradiso in cui si trovano.
Poi esiste chi pensa di aver comprato, con quattro soldi, la sabbia. Poi esiste chi tratta i lavoratori come schiavi. Chi li umilia, chi li sottopaga. Poi esiste chi incassa, senza pagare i tributi locali. E chi è giunto al punto da sentirsi proprietario. Tanto da arrogarsi il diritto di vietare l’ingresso in spiaggia di una bottiglia d’acqua. Con tanto di perquisizioni all’ingresso. È paradossale. Questa categoria di prenditori di beni pubblici non è gradita a Bacoli. Dovete togliere il disturbo. Siete la rovina della nostra terra. Non ci interessano i vostri voti. Stiamo inviando lettere di diffida, affinché la si smetta con queste pratiche intollerabili
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
SALVINI: “IN ALCUNI COMUNI FDI HA DIVISO LA COALIZIONE”… MELONI: “LETTURA DISTORTA, CONSIGLIO PRUDENZA”
Uno accusa l’altra di aver spaccato il centrodestra in alcuni comuni. L’altra replica consigliando all’alleato “prudenza“.
Alla vigilia del voto per le amministrative c’è ancora tensione nel centrodestra. Complice forse il delicato test dei referendum sulla giustizia, è Matteo Salvini ad attaccare gli alleati di Fratelli d’Italia, accusati di aver rotto la coalizione in alcune città.
“Io lavoro per unire. In qualche comune Fratelli d’Italia ha scelto di dividere il centrodestra e andare da solo, mi auguro che siano errori di percorso, conto che nei prossimi mesi il centrodestra governi insieme”, ha detto il leader della Lega lunedì sera, in collegamento con Quarta Repubblica su Rete4.
Per la verità, tra le città più grandi chiamate al voto, Fdi si presenta con un candidato autonomo solo a Catanzaro e Parma.
Anche per questo motivo Giorgia Meloni replica dura, definendo quella di Salvini come “una lettura un pò distorta“. Secondo la leader di Fdi “non si possono trattare le questioni così. In alcuni casi non siamo riusciti (ad aver un candidato di coalizione ndr) per ragioni che sono territoriali, o anche di rapporti. In alcune città non siamo riusciti a trovare una quadra, ma non mi pare per responsabilità di Fratelli d’Italia. Quindi, consiglio maggiore prudenza in queste dichiarazioni”.
Meloni dice che “ci sono dei Comuni nei quali Fratelli d’Italia ha fatto una scelta diversa da Lega e Forza Italia, Comuni in cui la Lega ha fatto una scelta diversa e Comuni in cui Forza Italia ha fatto una scelta diversa. Adesso che la responsabilità sia solo nostra…”.
E poi punta il dito contro gli alleati, citando le città dove la coalizione è stata spaccata dai berlusconiani e dagli uomini di Salvini: “Allora qualcuno mi dica di Forza Italia a Verona o della Lega a Messina, perché lì io sto sostenendo un candidato di Forza Italia e loro hanno fatto un’altra scelta con De Luca”, ha concluso.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
STIME BANCA ITALIA: QUASI IL 60% E’ DESTINATO A SODDISFARE BISOGNI PRIMARI COME LA SALUTE, L’ISTRUZIONE, GLI ALIMENTARI E L’ABBIGLIAMENTO…A PESARE SONO SOPRATTUTTO I COSTI PER LA CASA E I CONSUMI MENO ESSENZIALI
Il lungo inverno demografico dura in Italia da oltre dieci anni, e nel 2021 i nuovi nati sono stati meno di 400 mila, un traguardo così negativo che non si era mai verificato prima. La denatalità è un fenomeno che colpisce gran parte dell’Europa, ma il nostro paese soffre più di altri. Le ragioni sono diverse: una popolazione sempre più vecchia, la bassa occupazione, l’incertezza generale e le difficili prospettive economiche.
La Banca d’Italia, nell’ultima relazione annuale, ha stimato che nel periodo tra il 2017 e il 2019 i nuclei familiari – composti da due adulti e uno o più figli minori – hanno speso in media poco più di 640 euro al mese per mantenere ogni figlio (un quarto della spesa media di una famiglia italiana). Un costo che però nel 2021, a causa delle conseguenze della pandemia, si è ridotto del 12% a 580 euro al mese.
Le spese individuate dagli economisti di Bankitalia comprendono rette scolastiche, pagamenti per l’abitazione e per i trasporti. Quasi il 60% è stato destinato a soddisfare bisogni primari come la salute, l’istruzione, gli alimentari e l’abbigliamento.
Nel Mezzogiorno la spesa per i figli è risultata inferiore rispetto al Centro nord: il divario ha riguardato per circa un quinto le spese per la casa, che riflettono il prezzo più elevato degli immobili nelle regioni centro-settentrionali, e per circa due terzi i consumi meno essenziali (tempo libero e viaggi).
A gennaio di quest’anno è entrato in vigore l’assegno unico, il nuovo strumento che assorbe i vecchi assegni familiari e le detrazioni, e che ha come obiettivo proprio il sostegno alle famiglie e all’occupazione femminile. I genitori si affidano alla scuola e alle baby sitter per conciliare i tempi della vita con quelli del lavoro, tuttavia tutto questo, spesso, non basta e allora l’altro pilastro del welfare italiano è costituito dai nonni.
Se entrambi i genitori sono occupati, spiega l’Istat, i nonni si prendono cura dei bambini nel 60% dei casi, quando il nipote ha 2 anni; nel 61% quando ha da 3 a 5 anni e nel 47% se è più grande. Valori che superano il 65% nel Mezzogiorno. Sul lavoro, le donne con figli sono più penalizzate delle loro colleghe che non ne hanno: hanno un tasso di occupazione minore, fanno meno carriera e spesso sono costrette al part-time involontario.
(da “la Stampa”)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
“NON VOGLIO FARE L’AGO DELLA BILANCIA, CIOÈ DI ANDARE CON CHI OFFRE DI PIÙ, MA COSTRINGERE IL PD, FORZA ITALIA E LA LEGA DI GIORGETTI A CONTINUARE CON L’ESPERIENZA DI GOVERNO DI DRAGHI PERCHÉ ALTRIMENTI IL PAESE TRA INFLAZIONE E PNRR CHE NON SI REALIZZA VA A SBATTERE
Carlo Calenda, il governo è a rischio?
«No, Conte e Salvini fanno molto rumore per nulla».
Quindi che accadrà il 21 giugno?
«Non succederà niente. Faranno una risoluzione che dirà che ci impegniamo ad agire secondo le linee definite con i partner internazionali e la voteranno tutti».
Dunque per lei Conte e Salvini stanno solo facendo campagna elettorale?
«Certo. Conte è la quintessenza del trasformismo, è talmente duttile che non sa più nemmeno lui quale sia la sua forma. Può essere di volta in volta pro Trump, pro Putin e progressista, a seconda di quello che gli conviene. È un uomo che ha uno scarso senso della responsabilità».
E Salvini?
«Finita la sceneggiata vado-non vado a Mosca, credo che tutti abbiano chiaro, compresi gli elettori della Lega e gli altri leghisti più seri, quale sia il suo spessore».
Lei cosa farà alle Politiche? Un raggruppamento di centro?
«La nostra strada è stata tracciata ed è stata votata al congresso. È la costruzione di un terzo polo. Abbiamo iniziato con più Europa, collaboriamo con molte liste civiche e oggi abbiamo duemila amministratori locali. È un polo del pragmatismo e del buongoverno che lavorerà per spezzare il bi-populismo, cioè per evitare che vinca una delle due coalizioni. Sinistra e destra non sono in grado di governare perché non la pensano nello stesso modo neanche sulla politica estera. Perciò bisogna fare in modo di arrivare a un governo di larghe intese tra partiti europeisti e democratici».
Un obiettivo ambizioso.
«Questo polo deve prendere almeno l’8%. Da quella percentuale in su è in grado, non di fare l’ago della bilancia, cioè di andare a destra o a sinistra a seconda di chi offre di più, ma di costringere il Pd, Forza Italia e la Lega di Giorgetti a continuare con l’esperienza di governo di Draghi perché altrimenti il Paese tra inflazione e Pnrr che non si realizza va a sbattere».
Quindi lei non crede che il Pd si sganci dal M5S?
«No. L’ho sperimentato nelle Amministrative: loro dove è possibile preferiscono sempre l’alleanza con il M5S perché hanno una base che è stata convinta che Conte sia un leader progressista, tant’ è che nei sondaggi gli stessi elettori del Pd preferiscono lui a Letta come premier. Questo è il disastro compiuto da Franceschini, Zingaretti e Bettini e che purtroppo Letta si trova ad ereditare».
In questo centro lei vede anche pezzi di Forza Italia?
«Se persone ragionevoli di FI, della Lega e del Pd sono stanche di essere imprigionate con i populisti noi siamo aperti. Però al momento non si muovono né i riformisti del Pd ,né l’ala filoministeriale della Lega e di FI. Si limitano a fare un po’ di fronda. È mancanza di coraggio, però dobbiamo rispettare questa posizione e andare avanti con chi ci sta».
Non ha nominato Italia viva.
«Io penso che Italia viva abbia il nostro posizionamento su molti temi. Sarebbe del tutto logico lavorare con loro tuttavia ci sono due problemi preliminari. Iv per queste Amministrative spesso e volentieri si è alleata con Fratelli d’Italia o con il M5S ed è un atteggiamento per noi è del tutto inaccettabile. Quindi il primo problema è di linea politica: devono decidere. Ma vedo che nell’intervista al Corriere Renzi è ancora estremamente poco chiaro su questo. A mio avviso sta cercando un accordo con il Pd. Se così non è, noi siamo disponibilissimi. Del resto, sono settimane che dico a Renzi “incontriamoci, fammi che capire che vuole fare Iv”, però per il momento non c’è stata alcuna risposta».
Il secondo problema?
«Renzi lo conosce: io non ritengo che si possa fare contemporaneamente politica e business quindi anche su questo deve fare chiarezza. Ma se Renzi vuole fare politica e Iv ha una linea di indipendenza dal Pd, senza puntare a fare l’ago della bilancia, per accordarsi con l’uno o con l’altro a seconda delle probabilità di vincere, noi siamo pronti a sederci e a discutere».
Mastella dice che lei farà la fine dell’asino di Buridano.
«Non mi interessa quello che dice Mastella. Credo che nulla di quello sta facendo sia serio o rilevante per il Paese».
(da il “Corriere della Sera”)
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Giugno 7th, 2022 Riccardo Fucile
“LA ‘NDRANGHETA E’ UN PROBLEMA GLOBALE. E’ RESPONSABILE DEL 70% DEL TRAFFICO DI COCAINA MONDIALE”
Maxi operazione contro la ‘Ndrangheta in Australia: la polizia è riuscita a identificare più di 5.000 membri dell’organizzazione criminale che vivono e fanno affari oltre oceano.
La Polizia Federale Australiana sta indagando su 51 clan della criminalità organizzata italiana, di cui 14 della ‘Ndrangheta, grazie a un’app-spia che gli agenti sono riusciti installare sui telefoni dei malavitosi.
Il maggior numero di clan è concentrato nel Nuovo Galles del Sud. I clan operano a livello nazionale e lavorano a stretto contatto con numerosi gruppi criminali organizzati, tra cui bande mediorientali, triadi asiatiche, bande di motociclisti australiani e cartelli sudamericani. La polizia australiana sta lavorando con le forze dell’ordine colombiane, statunitensi e italiane nel tentativo di interrompere la rete globale della criminalità organizzata italiana.
«La nostra visione dei clan continua a crescere, i nuovi poteri ai sensi del Surveillance Legislation Amendment Act del 2021, le nostre capacità di leader mondiali e le nostre reti internazionali stanno iniziando a rimuovere il mantello di segretezza che ha consentito ai membri della ‘Ndrangheta di operare in Australia impunemente per troppi anni» ha detto il vicecommissario Nigel Ryan.
Con l’aiuto delle autorità italiane, la polizia australiana è riuscita a ricostruire i rapporti familiari dei clan. «La ‘ndrangheta non è solo un problema australiano, è un problema globale. È responsabile del 70% del traffico di cocaina mondiale. In Australia, è anche responsabili del traffico di cannabis e metanfetamine» ha aggiunto Ryan.
«Durante l’operazione Ironside, le forze dell’ordine hanno accusato un certo numero di membri della ‘Ndrangheta, alcuni dei quali stavano prendendo ordini dai capi in Calabria. La ‘ndrangheta sta inondando l’Australia di droghe illecite e sta tirando le fila delle bande di motociclisti fuorilegge australiani, che sono dietro alcune delle violenze più significative nelle nostre comunità».
«Sono diventati così potenti in Australia che quasi possiedono alcune di queste bande, che spostano droga per i loro finanziatori della ‘ndrangheta, o compiono atti di violenza per conto della ‘ndrangheta».
Mercoledì ricorre il primo anniversario dell’operazione Ironside, la più grande repressione della criminalità organizzata australiana, che ha portato a centinaia di arresti tramite AN0M, un’app spia sviluppata dall’Fbi che la malavita è stata indotta con l’inganno a installare.
Più di 300 telefoni AN0M sono stati scoperti in Italia durante i raid dello scorso anno, molti dei quali forniti da australiani. I dati ottenuti da AN0M hanno fornito alla polizia una visione senza precedenti dei clan mafiosi e di come operano.
Degli oltre 1000 arresti in tutto il mondo, 383 sono avvenuti in Australia e variavano da presunti boss della mafia, motociclisti anziani, lavoratori aeroportuali e altri addetti ai lavori.
Sono stati accusati di 2340 reati in Australia, mentre sono state sequestrate più di 6,3 tonnellate di droghe illecite, 147 armi da fuoco e 55 milioni di dollari in contanti.
Degli arresti, 42 delinquenti accusati nell’ambito dell’operazione Ironside si sono già dichiarati colpevoli o sono stati condannati.
Dei quattro arresti delle ultime settimane, tre sarebbero legati alla ‘ndrangheta e sarebbero stati accusati di essere coinvolti in un complotto per importare 1,2 tonnellate di cocaina dall’Ecuador.
La polizia australiana ha recentemente ospitato le forze dell’ordine di Italia, Colombia e Stati Uniti per lavorare insieme per identificare i membri della ‘Ndrangheta e agire contro di loro. Anche altri gruppi criminali internazionali sono stati messi all’erta.
«Se sei un membro di un cartello che opera fuori dal Messico, un membro di una triade che opera fuori dall’Asia o un membro di una banda di motociclisti fuorilegge in Australia, e hai un impatto sugli australiani a causa della tua attività illegale, allora sarai preso di mira dall’AFP», ha avvertito Ryan.
«Milioni di dollari al giorno vengono riciclati in Australia per conto di organizzazioni illegali di droga. Il riciclaggio di denaro rappresenta una minaccia significativa per la sicurezza nazionale australiana poiché sovverte, sfrutta e distorce i mercati legittimi e l’attività economica».
Il vicecommissario ha ammesso che smantellare la ‘Ndrangheta in Australia sarà un compito lungo e impegnativo a causa di anni di vita nascosta. «Sono stati in grado di rimanere sotto il radar vivendo vite modeste, in case modeste. Mescolano i loro soldi illegittimi con i soldi delle loro legittime attività di costruzione, agricoltura o ristorazione e tutto ciò rende più difficile non solo identificare la criminalità, ma anche dimostrare l’illecito», ha affermato Ryan.
«È diventato molto evidente, attraverso ciò che abbiamo visto sulla piattaforma Anom attraverso l’operazione Ironside, che gli italiani sono stati in grado di volare sotto il radar per molti, molti anni. Gli italiani si sono stabiliti dai primi anni ’20 in Australia e il modo in cui hanno operato negli anni è effettivamente cambiato e hanno potuto, in molti modi, legittimare i loro affari e i loro guadagni illeciti. Quindi questo è davvero un avvertimento alla criminalità organizzata italiana che è nel nostro radar».
(da Daily Mail)
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