Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
“IL TUO MONDO RUSSO CHE BRUCIA LIBRI IN LINGUA UCRAINA NON HA FUTURO”
Mikhail Baryshnikov, la leggenda del balletto che disertò negli anni ’70 e che si oppone all’offensiva russa in Ucraina, ha scritto una lunga lettera aperta indirizzata a Vladimir Putin. Questo l’incipit: “Il tuo è un mondo di paura e se non si sveglia morirà delle sue paure”.
II famoso ballerino, nato in Lettonia da genitori russi, che varco’ la cortina di ferro nel 1974, si è rivolto al presidente russo dopo che il sito del progetto di beneficenza `Nastoiachtchaia Rossia´ (`La vera Russia´), sostenuto da diverse personalità della cultura in esilio e contrario alle operazioni militari in Ucraina, è stato bloccato in Russia.
“Signor Presidente, i suoi servitori, presi dalla paura, hanno ordinato il blocco del nostro sito web”, scrive Baryshnikov nella lettera pubblicata sul sito che rimane accessibile fuori della Russia.
“Per quasi mezzo secolo ho vissuto come un uomo del mondo libero! E fino ad ora la gente dice che sono russo. E la gente chiama il mio amico Boris Akunin uno scrittore russo, Sergey Guriev un economista russo”, sottolinea il grande danzatore, naturalizzato americano nel 1976.
“Persone come noi – continua – hanno portato più onore al mondo russo di tutte le tue armi ad alta precisione”, afferma l’artista 74enne.
“Il tuo mondo russo – un mondo di paura, un mondo che brucia libri in lingua ucraina – non ha futuro finché siamo qui, noi che siamo stati vaccinati durante la nostra infanzia contro questa piaga. Il nostro mondo, d’altra parte, ha un futuro, nonostante tutti i tuoi blocchi. Sappiamo come preservare i valori del nostro mondo russo. E il tuo mondo, se non si sveglia, morirà delle sue paure”, prosegue la lettera.
Il progetto di beneficenza `La vera Russia´, fondato da Baryshnikov, Akunin e Guriev, ha raccolto 1,2 milioni di euro per i rifugiati ucraini. È supportato da personalità russe come la scrittrice Lioudmila Oulitskaia, il musicista Andrei Makarevitch e il giornalista Leonid Parfionov.
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
TUTTI SEGUANO L’ESEMPIO: LE MERCI RUSSE DEVONO MARCIRE NELLE STIVE
Una protesta contro Mosca. I `camalli´ di Regno Unito, Olanda, Svezia e Danimarca hanno cominciato unilateralmente a rifiutarsi di scaricare merci russe, incluso il petrolio. Lo rende noto la Ces (Confederazione Europea Sindacati).
Commentando le sanzioni petrolifere concordate nell’ambito del sesto pacchetto di sanzioni della Ue contro la Russia, il segretario generale della Ces, Luca Visentini, ha dichiarato: «Il petrolio è una delle principali risorse per finanziare la macchina da guerra russa e la sua inclusione nelle sanzioni è attesa da tempo. L’eccezione per il petrolio consegnato tramite oleodotto, anche se temporanea, è deplorevole data la grave situazione in Ucraina. Queste sanzioni devono però essere accompagnate da misure per alleviare l’impatto della crisi energetica sui lavoratori e sulle imprese, come un massimale sui prezzi e il rifinanziamento del meccanismo di protezione temporanea SURE che ha avuto tanto successo nel portare l’Europa attraverso la pandemia. Ciò garantirebbe un continuo sostegno popolare a sanzioni sufficientemente forti da riportare la pace in Ucraina».
Il Consiglio europeo – prosegue la Ces – ha sostenuto il divieto delle consegne di petrolio russo via mare, e questo avviene dopo che i portuali e i loro sindacati in tutta Europa si sono battuti per il diritto di non scaricare merci russe, compreso il petrolio, e in alcuni casi si sono rifiutati unilateralmente di farlo. L’azione ha avuto luogo nel Regno Unito, in Danimarca, nei Paesi Bassi e in Svezia.
Commentando le ultime sanzioni, il vice segretario generale della CES, Claes-Mikael Stahl, ha dichiarato: «Sono mesi che i lavoratori portuali di tutta Europa si rifiutano coraggiosamente di scaricare il petrolio russo, anche se questo li mette a rischio di perdere il lavoro o di dover affrontare azioni legali. La loro azione di solidarietà ha spinto i politici a iniziare finalmente a colpire Putin dove fa male».
(da Globalist)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
A POCHE ORE DALLO STRAPPO DI PAOLO DAMILANO LASCIA PURE IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI ASTI PAOLO LANFRANCO, DOPO TRENT’ANNI DI MILITANZA… I MOTIVI? ACCUSE ALLA LINEA POLITICA
“Ero nella Lega Nord quando raccoglieva il 3% dei consensi e ci sono sempre rimasto perché sentivo di condividere, pur tra molte contraddizioni, una tensione verso il cambiamento che oggi posso solo rimpiangere”.
Si conclude così la lettera con cui il presidente della Provincia di Asti Paolo Lanfranco dice definitivamente addio al suo partito. Un epilogo in buona parte atteso, dopo mesi di fibrillazioni e accuse che arriva all’indomani di un’altra scossa tellurica che ha agitato il centrodestra piemontese con l’uscita dell’ex candidato sindaco di Torino Paolo Damilano.
Sempre più stretto tra il vicepresidente della Regione Fabio Carosso e il parlamentare Andrea Giaccone, Lanfranco si è sentito isolato al punto da essere costretto a violente uscite pubbliche per essere ascoltato.
Era già successo all’inizio dell’anno quando aveva polemizzato contro il Piano delle strutture sanitarie di comunità approvato dalla Regione e poi in varie altre occasioni.
Per esempio sul piano degli investimenti del Pnrr, in cui ha lamentato il mancato coinvolgimento della Provincia e poi, sempre a proposito di Sanità, sul servizio di emergenza, dal momento che molti centri del nord della provincia di Asti risultano “penalizzati” di notte a causa di una non adeguata distribuzione dei mezzi di soccorso.
L’ultimo siluro è delle scorse ore contro il “Sistema Asti” riguardo il rinnovo delle cariche nel Gal (Gruppo azione locale). Nella sua lettera Lanfranco lamenta di essere stato lasciato solo dai vertici locali della Lega.
Il suo addio arriva a pochi giorni dalla fine del suo mandato da sindaco di Valfenera che porterà anche alla conclusione della sua esperienza a capo della provincia.
“È giunto il momento di prendere atto di come la mia permanenza risulti ormai inconciliabile e fonte di reciproco imbarazzo, per ragioni che afferiscono la linea politica nazionale e, soprattutto, a causa di profonde divergenze in ordine al modo di intendere il ruolo del partito nel contesto istituzionale locale” scrive ancora Lanfranco nel suo commiato.
Ma come si è arrivati a questo punto? Nelle dinamiche leghiste, Lanfranco è sempre stato considerato vicino a Giaccone, che lo aveva sostenuto alle scorse regionali contro Carosso che però ebbe la meglio, surclassandolo di circa mille preferenze.
Fu a questo punto il leader piemontese Riccardo Molinari a imporre le condizioni della pace: Carosso sarebbe diventato vicepresidente della Regione in cambio di una tregua con Giaccone, commissario del partito, mentre Lanfranco ha ottenuto la presidenza della Provincia con l’ex assessore della giunta Cota Giovanna Quaglia ad affiancarlo nel ruolo di capo di gabinetto.
(da LoSpiffero)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
QUESTA VOLTA IL VETO NON È SUL PETROLIO, MA SULL’INSERIMENTO DEL FINTO PRETE KIRILL NELLA LISTA NERA PER COMPIACERE IL SUO AMICHETTO CRIMINALE
Contrordine: le sanzioni sul petrolio russo devono attendere ancora. Dopo un vertice dei capi di Stato e di governo che a fatica ha trovato la quadra per uno stop agli acquisti di greggio a Mosca, l’Ungheria cambia idea e rende impossibile l’adozione delle misure.
Motivo di obiezione e retromarcia la presenza del patriarca Kirill nella lista nera delle personalità colpite dall’Ue in risposta all’aggressione all’Ucraina.
La massima autorità della sedicente Chiesa ortodossa russa era divenuta oggetto di restrizioni in termini di concessioni di visti e congelamento di beni (stimati in circa 4 miliardi di dollari) a inizio mese, quando la Commissione aveva messo sul tavolo per la prima volta il sesto pacchetto di sanzioni.
Gli Stati alla fine avevano deciso di confermare l’orientamento dell’esecutivo comunitario, ma ora Budapest è di avviso diverso e impedisce che il Comitato dei rappresentanti, l’organismo che riunisce gli ambasciatori dell’Ue, possa avallare l’accordo trovato al termine dei due giorni di summit dei leader.
I lavori a Bruxelles sono interrotti a livello tecnico, e sono ripresi a livello politico. Sono in corso contatti con il governo ungherese nell’auspicio che la questione possa essere risolta a breve. Il nuovo stallo venutosi a creare impedisce l’approvazione delle sanzioni, e non fa bene a immagine e credibilità dei Ventisette.
I leader che il 30 e il 31 maggio si sono riuniti a Bruxelles per discutere proprio di questo, erano tutti consapevoli della lista nera e del fatto che il patriarca Kirill vi fosse ricompreso. Il via libera è stato tuttavia garantito. L’Ungheria era cosciente, come tutti, della disposizione. Qualcosa dunque non ha funzionato. Orban ha puntato i piedi sul petrolio, ma non sul capo religioso vicino a Putin.
La richiesta di non includerlo nella lista nera, per quanto legittima, il primo ministro ungherese avrebbe dovuto avanzarla al vertice. Invece a Bruxelles non sono state mosse obiezioni al riguardo. La condotta di Orban pone anche la questione della buona fede del partner ungherese.
In ogni caso il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia rimane congelato, oltre che ostaggio dei capricci e dei ripensamenti di Budapest. Vengono vanificati in un colpo solo un vertice del Consiglio europeo, sforzi negoziali, e tutti i toni trionfalistici spesi per il via libera alla messa al bando del petrolio che non c’è più. Almeno per ora.
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
E NON INVITA GLI AMBASCIATORI DI RUSSIA E BIELORUSSIA AL CONCERTO PER LA FESTA DELLA REPUBBLICA
«Oggi, l’amara lezione dei conflitti del XX secolo sembra dimenticata: l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica: trovarsi nuovamente immersi in una guerra di stampo ottocentesco, che sta generando morte e distruzioni, richiama immediatamente alla responsabilità, e l’Italia è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina».
Sono le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso d’apertura in occasione delle celebrazioni per la Festa della Repubblica al Quirinale davanti al corpo diplomatico accreditato in Italia.
Quest’anno però non sono presenti gli ambasciatori della Russia e della Bielorussia, che non sono stati invitati, in linea con la decisione presa a livello d’Unione Europea a inizio maggio e che prevede che per le celebrazioni delle feste nazionali, inclusa la Festa della Repubblica italiana, i rappresentanti diplomatici dei due Paesi non vengano invitati.
«Con lucidità e con coraggio occorre porre fine all’insensatezza della guerra e promuovere le ragioni della pace», ha sottolineato il Capo dello Stato, rimarcando la grave crisi alimentare innescata dalla guerra russa in Ucraina.
«Non è un conflitto con effetti soltanto nel teatro bellico, le conseguenze della guerra riguardano tutti: a cerchi concentrici le sofferenze si vanno allargando, colpendo altri popoli e nazioni – ha proseguito il presidente della Repubblica – Accanto alle vittime e alle devastazioni provocate sul terreno dello scontro, la rottura determinata nelle relazioni internazionali si riverbera sempre più sulla sicurezza alimentare di molti Paesi; sull’ambito della gestione delle normali relazioni, incluse quelle economiche e commerciali».
«Con la Costituzione l’Italia ha imboccato con determinazione la strada del multilateralismo – ha proseguito Mattarella -, scegliendo di non avere Paesi nemici e lavorando intensamente per il consolidamento di una collettività internazionale consapevole dell’interdipendenza dei destini dei popoli, nel rispetto reciproco, per garantire universalmente pace, sviluppo, promozione dei diritti umani. Ci ha spinto e ci spinge il solenne impegno alla rinuncia della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali».
E il Capo dello Stato ha poi sottolineato: «L’incancrenirsi delle contrapposizioni conduce soltanto ad accrescere i serbatoi dell’odio, a negare le ragioni della libertà, della democrazia, della giustizia internazionale dei popoli, valori incompatibili con chi promuove conflitti. Esistono per il genere umano, con la più grande evidenza, beni condivisi e gravi pericoli comuni che obbligano a superare ogni egoismo, ogni volontà di sopraffazione. Occorre ripristinare una rinnovata legalità internazionale».
E il presidente della Repubblica ha poi aggiunto: «Un conflitto come quello in corso ha, inevitabilmente, effetti globali. Intercetta e fa retrocedere il progresso della condizione dell’umanità: ci interpella tutti. La comunità internazionale vede pesantemente messi in discussione risultati faticosamente raggiunti negli ultimi decenni. Sembra l’avverarsi di scenari che vedono l’umanità protagonista della propria rovina».
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
E QUESTA HA UN PASSATO NELLA POLIZIA DI STATO, ORA HA TOLTO IL DISTURBO
“Questa signora viene pagata dallo Stato (NOI) 270 mila euro annui. Perché poi non si sa, per quali meriti. Per il suo passato? Beh, allora ne avrebbero diritto tutti i sopravvissuti all’olocausto”: hanno suscitato molto clamore queste parole, scritte dall’assessora leghista alla Sicurezza di Duino Aurisina (Trieste) Valentina Banco, e rivolte alla senatrice a vita Liliana Segre.
Banco ha riconosciuto l’errore ed ha annunciato di voler lasciare l’incarico: “Ho commesso un’imperdonabile leggerezza con un post sciocco e senza senso per svariati motivi, formalizzerò le mie dimissioni al sindaco Daniela Pallotta”.
La sindaca del comune Daniela Pallotta si era subito dissociata dal discorso della sua assessora, scusandosi pubblicamente con Segre.
Quanto detto da Banco, aveva scritto, “non rappresenta in alcun modo la posizione o il pensiero mio personale o della mia maggioranza, come è chiaro pensando che il mio partito a Trieste alla Senatrice ha conferito anche la cittadinanza onoraria”. “Si può e si deve avere rispetto per la Senatrice a vita Liliana Segre – aveva aggiunto – per la sua storia personale, per il suo impegno civico, per il ruolo che ricopre rappresentando la nostra Repubblica”.
Già nel luglio 2020 Banco – che ha lavorato a lungo per la Polizia di Stato prima di andare in quiescenza – era incappata in una polemica simile per aver definito Sergio Mattarella “comunista Pd voluto e governato da Napolitano”.
Questa volta ha fatto ammenda e chiesto anche scusa: “Non è una giustificazione e mi rendo conto di aver espresso un concetto orribile da una parte e messo in difficoltà il mio partito e la mia coalizione. Non posso fare altro che chiedere scusa”.
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
E’ DI PROPRIETA’ DI UN GRUPPO GENOVESE, VALE 9 MILIONI DI DOLLARI E CONTIENE MERCE PER 12: “A BORDO CI SONO 15 MILA TONNELLATE DI SEMILAVORATI”… L’ITALIA DIA UNA RISPOSTA ADEGUATA: SEQUESTRARE TUTTE LE NAVI DI PROPRIETA’ RUSSA E NAZIONALIZZARLE, COSI’ IMPARANO A STARE AL MONDO
Augusto Cosulich le sta provando tutte, per salvare la sua nave dalle mani dei russi. Il pericolo che corre la Tzarevna è di finire nella flotta commerciale di Mosca.
Una nazionalizzazione improvvisa annunciata ieri: «Alcune navi del porto di Mariupol entreranno a far parte della flotta commerciale della (autoproclamata e filorussa) Repubblica Popolare di Donetsk (Dpr)».
Le parole del capo della Dpr Denis Pushilin hanno fatto tremare gli operatori internazionali: «Alcune delle navi, che si trovavano nel porto quando è iniziata l’operazione speciale, saranno trasferite nella giurisdizione della Dpr. Le decisioni sono già state prese. Queste navi saranno rinominate».
Tra queste unità c’è anche il cargo di Cosulich. La nave è di proprietà della Vulcania srl, una società del gruppo genovese, e batte bandiera maltese. «Dal 24 febbraio è attraccata nel porto di Mariupol nel mare di Azov – spiega Cosulich – con a bordo 15 mila tonnellate di semilavorati destinati ai laminatoi di San Giorgio di Nogaro da sbarcare nel porto di Monfalcone». I filorussi vogliono cambiare nome e destino alla nave che vale 9 milioni di dollari e trasporta merce per 12 milioni.
Cosulich ha contattato il primo ministro di Malta. L’obiettivo è arrivare a una protesta ufficiale nei confronti di Mosca. La nave è però di proprietà italiana e così anche la diplomazia italiana è stata sollecitata. Il presidente della Liguria, Giovanni Toti, ha chiesto l’intervento del ministro degli Esteri Di Maio.
La Tzarevna è bloccata dalla guerra nel porto di Mariupol: colpita di striscio da due bombe è stata progressivamente abbandonata dall’equipaggio. A bordo c’erano 20 persone e poteva ancora salpare: sarebbe stato l’ultimo trasporto di acciaio ucraino verso l’Italia.
(da agenzie)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
“COALIZIONE CONFUSA SULLA PROSPETTIVA DA DARE A QUESTO PAESE, SULLA SUA COLLOCAZIONE, SUL TEMA DEI DIRITTI. COSÌ NON SI GUADAGNA CONSENSO: SI CONFONDONO I CITTADINI”… “SALVINI A MOSCA? LE TRATTATIVE SPETTANO AI CAPI DI GOVERNO”
Paolo Damilano, lei è un ingrato come dicono i suoi ex soci di Lega e Forza Italia?
«No. Sono una persona libera che non ha mai chiesto niente a nessuno. Che ha avviato un progetto autonomo, accolto il sostegno di alcune forze politiche, che ho sempre ringraziato, e poi capito che non si poteva più proseguire sulla stessa strada».
Il giorno dopo Paolo Damilano si definisce una persona leggera.
«Libera, anche, ma lo sono sempre stato».
L’imprenditore delle acque minerali e del vino, candidato sindaco di Torino lo scorso ottobre, per raccontare lo strappo con il centrodestra – torinese e nazionale – appena consumato fa ricorso al suo mondo d’origine: «È come quando apri un’attività con alcuni soci pensando di avere un progetto comune; poi ti accorgi che le visioni sono incompatibili e allora è giusto separarsi. Senza rancore».
Lo dice lei, senza rancore. I suoi ex alleati non l’hanno presa bene.
«Io ho creato un progetto autonomo che i partiti del centrodestra hanno sostenuto ma nel quale ho messo i soldi dall’inizio alla fine. Ho dimostrato serietà, forza, tenacia. I miei soci non hanno messo nulla dal punto vista economico salvo godere di un risultato nettamente migliore rispetto ad altre città, a cominciare da Milano: a Torino il centrodestra non andava al ballottaggio da oltre vent’ anni. Comunque sto al gioco: io non ho tessere di partito, non rispondo ai diktat delle segreterie e posso anche capire chi oggi recita una parte e deve dire cose che magari nemmeno pensa».
Lei invece che cosa pensa?
«Che avevo bisogno di tornare alle origini, all’assoluta indipendenza e ai miei valori e riferimenti culturali: io sono un liberale moderato, convintamente atlantista».
Insomma, ce l’ha con il Salvini populista che strizza l’occhio a Putin.
«Io con Salvini ho sempre avuto un ottimo rapporto».
L’ha sentito?
«No. Con alcuni leader del centrodestra ho scambiato alcuni messaggi in cui ho spiegato la mia scelta».
Torniamo a Salvini.
«Io non critico nessuno, ciascuno sceglie la sua linea. Ma la mia è questa: sono un moderato, e già in campagna elettorale mi è spiaciuto vedere una coalizione in cui la mano destra non sapeva cosa facesse la sinistra, confusa sulla prospettiva da dare a questo Paese, sulla sua collocazione, sul tema dei diritti».
La Lega è in crisi d’identità e leadership: parole sue.
«Credo abbia bisogno di un vero reset e di riconnettersi con il proprio elettorato. La Lega è un partito che sta al governo ma con alcune frange che fanno opposizione. Un po’ con il Movimento 5 Stelle. Così non si guadagna consenso: si confondono i cittadini e si indebolisce un governo che deve affrontare una situazione drammatica».
Sembra pensarla come Giorgetti. E dare ragione a chi sostiene che ci sia il suo zampino dietro la sua decisione.
«Con Giorgetti ho un rapporto di grande stima reciproca ma francamente non conosco i suoi pensieri attuali né le sue intenzioni».
Ma sul governo la vedete allo stesso modo.
«Draghi si è assunto l’onere di traghettare l’Italia fuori dalla pandemia ma se adesso, oltre alla crisi scatenata dalla guerra, deve trattare con azionisti che litigano guardando già alle prossime elezioni, la navigazione diventa ardua».
Ha sbagliato Salvini a proporsi come mediatore con la Russia?
«Le trattative spettano ai capi di governo e ai leader europei. S’ immagini che caos se ogni leader di partito volasse a Mosca o a Kiev per fare da paciere».
Favorevole all’invio di armi all’Ucraina?
«Non si poteva fare altro che metterla nelle condizioni di difendersi. Ma questa situazione è l’ennesimo fallimento dell’Europa, una comunità che ha consegnato a un leader come Putin le chiavi di casa propria. Noi stiamo combattendo uno a cui abbiamo affidato la nostra sopravvivenza energetica e dunque il nostro benessere».
E quindi come se ne esce?
«L’Europa ha la sua ultima chance. Si affranchi dagli interessi di Stati Uniti e Cina e la sfrutti».
Ma lei si è allontanato da Salvini per questioni politiche o perché non gli garantirà un seggio sicuro alle prossime elezioni?
«Io non bisogno di nulla e credo di averlo dimostrato. Non sono un imprenditore annoiato in cerca di emozioni. Sono uno che ha messo faccia, tempo, energia, denaro nel momento del bisogno ricevendo un consenso secondo solo al Pd, che a Torino è il primo partito da decenni. Il guaio è che continuano a pensare che io ragioni con le loro logiche».
Qual è il male del centrodestra?
«Essere una comunità piena di persone di grande qualità che purtroppo non sempre possono esprimersi, costrette a rispettare una linea anche quando non la condividono e recitare una parte che talvolta non è la loro».
Troppo verticismo?
«Se la mia azienda dipende in tutto e per tutto da me è un’azienda debole perché se io sono fuori gioco per qualunque motivo non sa andare avanti. Se invece la si dota di una struttura è in grado di camminare da sé».
E adesso? Anche lei è al lavoro per un Grande Centro?
«Non mi appassionano le formule politiche. Ma, ed è un parere piuttosto diffuso mi sembra, si avverte l’esigenza fortissima di costruire un’area liberale fatta di persone serie che abbiano ben chiari i problemi del Paese.
I prossimi anni saranno durissimi: il Pnrr era la medicina giusta per il post pandemia ma la guerra e la crisi delle materie prime hanno vanificato tutto. Il debito pubblico sta esplodendo, i redditi non vanno di pari passo: l’Italia rischia di trovarsi in una situazionale analoga alla Grecia del 2009, con un rapporto debito-Pil insostenibile. Serviranno condizioni di governabilità e stabilità oltre a persone credibili e affidabili come lo è Draghi oggi. E nel sistema politico, con qualunque legge elettorale, un centro serio sarà determinante».
(da La Stampa)
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Giugno 1st, 2022 Riccardo Fucile
LA SCONFITTA NEL DONBASS PORTEREBBE ALLA FINE DI MAD VLAD
Un rapporto confidenziale del Regno Unito emerso lunedì scorso afferma che l’esercito russo in Ucraina ha già perso 30.000 soldati e potrebbe essere arrivato al collasso.
Un bagno di sangue per l’esercito russo che però, secondo il presidente Vladimir Putin sarebbe “un prezzo che vale la pena di pagare” per la vittoria.
Secondo il nuovo rapporto oltre alle ingenti perdite, si registra anche il morale basso dei soldati.
Gli ultimi dati forniti dalle forze amrmate ucraine parlano di ben 30.350 soldati russi uccisi dal 24 febbraio, data di inizio dell’invasione Ucraina da parte dei russi.
Inoltre, durante la cosiddetta “operazione militare speciale” di Putin, diverse migliaia di veicoli militari russi – inclusi carri armati, aerei e unità mobili di artiglieria – sono stati distrutti.
Lunedì stando sempre a fonti di Kiev, è stato riferito che un reggimento di paracadutisti ucraino avrebbe distrutto un reggimento russo.
Viktor Kovalenko, ex giornalista ed editore ucraino e veterano dell’esercito ucraino, ha affermato: “L’80a brigata di paracadutisti-tempesta ucraina conferma di aver annientato un’unità del 104° reggimento di paracadutisti-tempesta russa (76a divisione)”.
Secondo The Mirror, il nuovo rapporto afferma che i funzionari del Cremlino hanno cercato senza successo di persuadere Putin che l’invasione è stata un disastro.
Lunedì le truppe russe si sono spinte più in là nella città chiave dell’Ucraina orientale e hanno combattuto strada per strada con le forze di Kiev lasciando la città “completamente in rovina”. Secondo il sindaco sono decine di migliaia le persone senza casa.
Gli analisti militari hanno dipinto la battaglia come parte di una corsa contro il tempo del Cremlino per prendere il controllo della regione industriale del Donbas prima che arrivino altre armi occidentali per rafforzare le difese dell’Ucraina.
Secondo il rapporto il tentativo della Russia di ottenere una vittoria rapida e decisiva nel Donbas non è ancora riuscito. I russi avanzano guadagnando 1-2 km al giorno.
Finora Putin è stato in grado di nascondere per lo più i “grossi fallimenti” dell’invasione all’opinione pubblica russa, o incolpare degli errori altri funzionari del Cremlino.
‘La popolazione russa fino a poco tempo fa ha creduto alla disinformazione di Putin. C’è stato un tentativo al Cremlino di trasmettere un messaggio a Putin e alla sua squadra più vicina che le cose stanno andando storte, forse anche catastroficamente storte”, aggiunge il report.
Sul rapporto, il commentatore della Russia britannica Bruce Jones ha detto a The Mirror che alla fine si arriverà ad un punto in cui le forze di Putin non potranno più sostenere ulteriori perdite.
(da agenzie)
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