Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
FDI 22,1%, PD 21,8%, LEGA 14,1%, M5S 13%, FORZA ITALIA 8,1%, AZIONE 4,5%
Sono i primi sondaggi elettorali di EMG dopo le elezioni amministrative, ed è subito evidente l’impatto che queste hanno.
Si assiste a un crollo del partito che più di altri è uscito sconfitto dal voto locale, ovvero la Lega. Prima del silenzio elettorale le ultime intenzioni di voto lo davano al 15,2%, ma in tre settimane è arretrato di più di un punto, scendendo al 14,1%.
Le basse percentuali ottenute dalla formazione di Salvini, quasi sempre superata da Fratelli d’Italia anche al Nord, hanno provocato subito un effetto.
Al primo posto, invece, vi è proprio il partito di Meloni, che però non sembra approfittarne, e anzi, perde due decimali, dal 22,3% al 22,1%.
Va meglio al PD, che ha confermato la propria forza alle amministrative: sale dal 21% al 21,8% e si avvicina a FdI, da cui dista solo tre decimali, ora.
Dietro rimane stabile nonostante il pessimo esito delle comunali il Movimento 5 Stelle, che è al 13%. Forse perché quel risultato era dato per scontato?
Forza Italia è all’8,1% poco più in alto di tre settimane fa, mentre Azione e +Europa, insieme, scendono di un decimale al 4,5%.
Su, del 0,2%, Italia, Viva, al 2,75.
Tra i piccoli partiti di sinistra sono fermi sulle proprie posizioni Europa Verde e Sinistra Italiana, rispettivamente al 2,3% e al 2,1%.
Articolo 1 invece cresce dello 0,2% all’1,6%. Sempre lo 0,2% è la percentuale che perde Italexit, ora al 2%.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
UN SALARIO BASE DI 3-4 MILA DOLLARI PIÙ BONUS, CON UN’AGGIUNTA DI 55 DOLLARI PER OGNI GIORNO EXTRA IMPEGNATO AL FRONTE
Le trincee e le cittadine del Donbass triturano uomini, mezzi, piani. È una battaglia senza tregua, con bilanci drammatici e distruzioni profonde
La resistenza manda in prima linea elementi non addestrati in modo sufficiente, conta sui volontari stranieri. Per ora spera in un rallentamento dell’avversario, di più non ha.
Nelle retrovie crescono i danni alle infrastrutture, ai depositi, alle caserme. Per l’ex generale australiano Mick Ryan siamo all’inizio della fine della prima fase, con i contingenti quasi al limite, usurati e stanchi.
L’intelligence britannica insiste: i battaglioni degli invasori sono largamente incompleti rispetto ai 700-900 soldati previsti mentre fonti statunitensi affermano che il contingente ha visto incenerire il 20-30% dei corazzati.
La Russia, infatti, porta avanti una mobilitazione strisciante e si affida all’arruolamento offrendo nuove condizioni. Secondo il Washington Post mette sul tavolo un salario base di 3-4 mila dollari più bonus, con un’aggiunta di 55 dollari per ogni giorno extra impegnato al fronte.
Lo Stato Maggiore cerca di coinvolgere quote di coscritti, estende i limiti d’età, fa campagna ovunque ci possano essere persone disposte a rischiare la pelle. Se sono note le difficoltà di organico per l’Armata, è però altrettanto evidente che al momento non ha pesato troppo nell’equilibrio di forze.
I generali sono consapevoli delle condizioni, tuttavia premono perché è importante prendere Severodonetsk e altre località nel Donbass. La loro occupazione ha un valore politico. È il segnale di un successo. Per la stessa ragione Kiev ha deciso di difendere ad oltranza sacrificando plotoni su plotoni quando molti strateghi suggerivano un arretramento.
La pressione dello Zar ha poi una spiegazione militare. Nel giro di qualche settimana Kiev potrebbe accrescere l’arsenale.
Il capo di Stato Maggiore statunitense Mark Milley è stato puntiglioso nel descrivere il supporto: «Abbiamo consegnato di fatto l’equivalente di 12 battaglioni d’artiglieria, il gruppo di contatto Nato ha mandato 97 mila anti-tank, dato che supera quello dei carri armati nel mondo. Hanno chiesto 200 tank, ne hanno avuti 237. Hanno chiesto 100 veicoli blindati da combattimento, ne hanno ricevuti 300». Pacchetti ampi ai quali si aggiungono molte promesse su lunghi calibri, munizioni, equipaggiamenti.
A quel punto i russi dovrebbero attaccare posizioni robuste, in grado di tirare da lontano e lo farebbero avendo sulle spalle settimane di scontri. Torna così per alcuni lo scenario dell’invasore troppo stanco per procedere ulteriormente.
Se il motore dell’Armata si gripperà lo rivelerà l’andamento futuro
Le prossime settimane saranno come un test della verità per le ambizioni di Putin e le speranze di Zelensky.
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
“GLI OBICI SONO STATI FORNITI SENZA SISTEMA DI CONTROLLO DEL TIRO A GUIDA GPS”
In una guerra come quella in corso in Ucraina un ruolo determinante è quello giocato del tempo.
Dopo aver subito importanti sconfitte nei primi due mesi, i russi da settimane avanzano lentamente – ma inesorabilmente – nel Donbass. Merito della disponibilità di pezzi d’artiglieria che, invece, a Kiev sono arrivati con il contagocce da parte degli alleati occidentali.
C’è poi un altro aspetto da considerare: l’impiego di tali armamenti richiede un addestramento specifico di almeno 2/3 settimane, tempo che naturalmente Mosca utilizzerò a suo vantaggio per continuare a conquistare pezzi di territorio ucraino.
Se l’obiettivo dell’Italia, come detto più volte, è quello di sostenere anche militarmente l’Ucraina sarà necessario prendere rapidamente delle decisioni. Martedì prossimo, 21 giugno, il Presidente del Consiglio Mario Draghi tornerà in Parlamento, leggerà le sue comunicazioni sulla guerra in vista del Consiglio europeo e alla maggioranza che lo sostiene di votare una risoluzione comune sull’invio di materiale bellico a Kiev. Ma di quali armi c’è più bisogno? L’abbiamo domandato al professor Gastone Breccia, storico ed esperto di teoria militare.
Il 21 giugno in Parlamento verrà votato un nuovo eventuale invio di armi all’Ucraina. Lei è favorevole o contrario?
Sono favorevole. Ritengo che l’unico modo per giungere alla pace sia fermare i russi, non credo ci siano altri modi. D’altro canto chi, al loro posto, si fermerebbe se potesse arrivare indisturbato fino a Dnipro e occupare la metà dell’Ucraina?
Quali armamenti servirebbero a Kiev? Secondo il generale Camporini missili, secondo Tricarico sistemi d’intelligence.
Per gli ucraini è essenziale riuscire a contrastare l’artiglieria russa. I sistemi ISTAR suggeriti dal generale Tricarico sarebbero molto importanti perché permetterebbero alle truppe di Kiev di individuare immediatamente i colpi in partenza dell’artiglieria nemica. Sembra incredibile, ma mentre il proiettile è ancora in volo – nei 30/40 secondi che impiega a coprire la distanza tra la postazione russa e il target individuato – il radar riesce a individuare il colpo e dare ordine all’artiglieria di intervenire in controbatteria. Ricordo che sul campo più che l’aviazione russa – che finora non ha avuto un ruolo decisivo – è l’artiglieria che sta lentamente smantellando le difese ucraine. L’unico modo per contrastarla è dotarsi di altra artiglieria, meglio se guidata dai sistemi ISTAR.
Cos’altro serve agli ucraini?
Sono stati consegnati una novantina di obici M777, armi statunitensi da 155 millimetri molto moderne. Sono stati anche inviati gli Fh-70 italiani, anch’essi da 155 millimetri: rappresentano il contributo più significativo dato finora dal nostro Paese in termini di armamenti. Servirebbero anche altri sistemi di lancio multipli HIMARS statunitensi. Sono queste le armi di cui gli ucraini hanno grande bisogno, ma al momento stanno arrivando con il contagocce.
Qual è la precisione di questi pezzi d’artiglieria?
Bella domanda. Da alcune foto arrivate dal campo di battaglia si nota che gli obici statunitensi sono stati forniti senza il sistema di controllo del tiro a guida Gps: ciò non significa che i cannoni non possano sparare, ma che la loro precisione è nettamente inferiore.
Perché non è stato incluso il Gps?
Probabilmente gli americani temono che questi sistemi così moderni possano cadere in mani russe. Un’altra spiegazione è che per l’uso dei sistemi di controllo Gps occorre un addestramento specifico, e che la formazione sia in corso in queste settimane nelle retrovie. Nel frattempo, quindi, sono stati schierati cannoni più “rudimentali” e imprecisi.
Le armi d’artiglieria necessitano di specifico addestramento. Gli ucraini hanno il tempo necessario per imparare?
Questo è un punto fondamentale. C’è poco tempo e gli ucraini schierati sul terreno devono per forza guadagnarne affinché i loro compagni possano addestrarsi nelle retrovie. Probabilmente la necessità di guadagnare tempo è anche la spiegazione per cui gli ucraini stanno difendendo palmo a palmo Severodonetsk, città che dal punto di vista strategico non ha alcun significato, ma la cui difesa serve a rallentare l’avanzata russa. Le due/tre settimane che abbiamo davanti saranno fondamentali per consentire all’Occidente di inviare armi e agli ucraini a imparare a utilizzarle e schierarle nelle vicinanze del fronte. Quella in atto è una vera lotta contro il tempo.
Nei giorni Zelensky ha detto che l’Occidente finora ha inviato solo il 10% delle armi promesse. Perché?
L’attenzione per la guerra sta chiaramente diminuendo. Credo che la battaglia di Severodonetsk per gli ucraini abbia anche questo significato: mostrare che il conflitto è ancora in corso, che si sta combattendo una battaglia disperata e che gli ucraini stanno difendendo il loro territorio metro per metro al costo di enormi sacrifici.
Kiev ha dichiarato che vengono uccisi tra i 100 e i 200 soldati al giorno, ai quali vanno aggiunti feriti, dispersi e prigionieri. Quanto a lungo può resistere, con tali perdite?
I morti sono molti, ma se si calcolano anche le altre perdite come feriti, dispersi e prigionieri si arriva facilmente a 500 al giorno, oltre 10mila al mese. Sono numeri importanti, ma ben lontani da quelli – ad esempio – della Seconda Guerra Mondiale. Gli ucraini dispongono di un numero sufficiente di uomini e donne da mandare al fronte per contrastare i russi, soprattutto se si considera che ai militari vanno aggiunti i civili volontari. C’è però un problema di addestramento: dall’Occidente stanno arrivando armi che gli ucraini non conoscono, con munizionamento e pezzi di ricambio diversi da quelli a loro già noti. La formazione dei soldati, quindi, è fondamentale e richiede settimane. Torniamo sempre allo stesso punto: è una lotta contro il tempo.
Secondo il capo dell’Interpol almeno una parte del materiale bellico spedito all’Ucraina finirà nel mercato nero gestito dalla criminalità organizzata ed alimenterà un florido commercio di armi. Vede anche lei questo pericolo?
Ho letto anche io questa notizia ma credo che si tratti di un allarme eccessivo e in buona parte ingiustificato, almeno in questa fase della guerra. Non mi intendo di traffico internazionale di armi, ma credo che in un Paese che – come l’Ucraina – sta lottando per la sopravvivenza sia stato previsto un controllo delle armi da parte dello Stato, cioè delle forze armate. Quello del traffico di armi però è un problema serio in prospettiva futura: se tra qualche mese ci sarà un cessate il fuco avremo un Paese con una forte corruzione pieno di armi, molte delle quali potrebbero essere vendute sul mercato nero.
(da Fanpage)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL “CADAVERE CHE CAMMINA” INVITA I MACELLAI SIRIANI DI ASSAD A PARTECIPARE AL TRIBUNALE SUI “CRIMINI UCRAINI”
Denis Pushilin è il leader dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, una delle due regioni separatiste al centro del conflitto tra Russia e Ucraina.
Con un passato nelle truffe finanziarie, Pushilin ha iniziato la sua carriera politica nel 2014, quando prese parte alle rivolte pro-russe nell’Est dell’Ucraina. Da allora è incluso nella lista delle sanzioni europee e statunitensi per il suo ruolo nell’annessione della Crimea alla Russia.
Ora una delegazione della Repubblica popolare di Donetsk (Dpr) ha proposto alla Siria di partecipare al tribunale internazionale per valutare i crimini commessi dai militanti ucrain
Chiedere aiuto ai boia e ai macellai è davvero indicativo dell’idea di giustizia che ha Putin. Una delegazione della Repubblica popolare di Donetsk (Dpr) ha proposto alla Siria di partecipare al tribunale internazionale per valutare i crimini commessi dai militanti ucraini. Lo ha affermato il capo della Dpr, Denis Pushilin.
“Durante l’incontro [con il presidente siriano Bashar al Assad] abbiamo proposto di considerare la possibilità di una partecipazione della Repubblica araba siriana al tribunale internazionale contro i militanti delle formazioni armate ucraine accusati di aver commesso crimini contro gli abitanti del Donbas”, Pushilin ha scritto sul suo canale Telegram.
Dal 2018 è presidente della Repubblica di Donetsk in seguito alla morte del suo predecessore, Aleksandr Zakharchenko, ucciso in circostanze misteriose nel centro di Donetsk. Rispetto ai leader separatisti precedenti, spesso in contrasto con le posizioni di Mosca, Pushilin ha sempre dimostrato totale lealtà al Cremlino, arrivando a dichiararsi favorevole alla restaurazione dell’Impero Russo.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
LA CORTE EUROPEA: “TRATTAMENTO INUMANO E DEGRADANTE DALLA GIUSTIZIA ITALIANA”
Ha dovuto rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo perché in Italia le era stato riservato un “trattamento inumano e degradante”: Silvia De Giorgi, 44enne padovana, ha denunciato per sette volte il suo compagno, che picchiava lei e i suoi figli, ma è rimasta in attesa di risposte per anni, senza riuscire a sentirsi veramente al sicuro.
La Cedu ha condannato l’Italia a versarle 10 mila euro per inadempienze. “Sono sempre stata sola. Abbandonata dalla magistratura e dalle forze dell’ordine”, la sua testimonianza.
Ha cominciato a segnalare i comportamenti violenti del suo ex marito già nel 2015, andando avanti fino al 2019: “Mi picchiava e mi minacciava. E faceva lo stesso con i nostri tre figli, all’epoca minorenni. Poi mi ha tolto tutto. Mi ha reso nullatenente, con tre bambini da mantenere. È andato avanti anni, finché non sono riuscita ad allontanarlo, fino a quando ho deciso di denunciare”.
Ma a quel punto le violenze non si sono fermate: “Ha continuato a perseguitarmi – rivela De Giorgi a La Stampa – entrava in casa, ha messo delle telecamere per controllarci. Alla fine ce ne siamo andati noi”.
Le pratiche da lei aperte sono rimaste sotto la polvere per anni, “probabilmente – sostiene – perché il mio ex marito è nipote di un personaggio politico di un certo peso”.
È stato il suo avvocato a proporle di appellarsi alla Cedu: “Mi ha detto che non sapeva più come aiutarmi e l’unica strada era quella di Strasburgo. Ha istruito la pratica. Contro ogni aspettativa, nel 2019 è stata accettata e ora è arrivata la sentenza che condanna la Repubblica italiana. Ho dovuto trovare giustizia fuori dal mio Paese”.
Ora spera che questa storia si chiuda per sempre: “Per anni ho rincorso il mio ex, chiedendogli una firma per cambiare la carta d’identità, per la scuola. Si è sempre negato, non pagando nemmeno gli alimenti. Aspetto la decadenza genitoriale”.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DI UN MALEDUCATO
Il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta sul palco di Mira, in Veneto, durante un comizio elettorale in vista delle Amministrative risponde a muso duro a un lavoratore che gli rivolge la parola. “Ah sei dipendente? E cosa chiede il tuo datore di lavoro?”. “Lo chieda a lui”. “E perché cazzo parli allora?”.
La scena è accaduta lo scorso 10 giugno ma sta circolando in queste ore sui social. Sul palco, circondato da fioriere, Brunetta sembra provocare il cittadino: “Perché non ti metti in proprio?”. Lo ripete per tre volte, l’uomo chiede la parola per spiegare la sua scelta e il ministro taglia corto: “No, non ti lascio parlare perché il microfono ce l’ho io, quindi comando io. Viva la democrazia. Continua a fare il tappezziere, dipendente”.
“Vedete – conclude Brunetta – il mondo è bello anche per questo perché io, figlio di venditore ambulante, mio padre mi diceva sempre ‘mai sotto padrone’. E io questa cosa l’ho continuata nella mia vita, ho avuto solo un datore di lavoro, lo Stato”.
Il ministro ha pubblicato un video dell’evento sui suoi profili social, ma lo spezzone in cui avviene il diverbio non c’è.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
È LA PERCENTUALE PIÙ ALTA TRA I PRINCIPALI STATI EUROPEI… SONO QUELLI CHE PENSANO SOLO AI CAZZI LORO, PREOCCUPATI PER L’IMPATTO DELLA GUERRA SUL COSTO DELLA VITA E SULL’AUMENTO DEI PREZZI DELL’ENERGIA
I cittadini italiani, ed europei in generale, hanno paura delle conseguenze che il conflitto sta provocando e vorrebbero una fine immediata delle ostilità. A qualsiasi costo. Anche se ciò dovesse significare concessioni territoriali alla Russia da parte di Kiev. In questo senso il nostro Paese è quello che ha empatizzato meno con le posizioni ucraine.
È quanto emerge dai risultati di un ampio sondaggio realizzato da Datapraxis e YouGov tra il 28 aprile e l’11 maggio in 10 Paesi europei e diffuso dal think-tank “European council on foreign relations”, un’organizzazione privata impegnata in studi e ricerche di politica internazionale.
L’indagine è stata condotta su un campione totale di circa 8mila persone sparse tra Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia.
I risultati del report mostrano che gli europei concordano in modo schiacciante (in media) sulla responsabilità del conflitto in Ucraina: il 73% ritiene infatti che la responsabilità sia della Russia.
Ma se in Finlandia questa percentuale è del 90%, in Gran Bretagna dell’83 e in Germania scende al 66, in Italia è pari al 56%, il dato più basso tra i Paesi presi in esame.
Di contro da noi è ben più alta la percentuale di chi pensa che la crisi sia responsabilità dell’Ucraina, dell’Unione Europea o degli Stati Uniti (27%).
Altro dato significativo: in Italia solo il 39% degli intervistati pensa che la Russia sia l’ostacolo principale al raggiungimento di eventuali accordi di pace, di poco inferiore al 35% che ritiene Ucraina, Ue o Stati Uniti come i primi responsabili. Tra i Paesi presi in considerazione, insomma, l’Italia sarebbe il più “filorusso” o, se vogliamo, “antiamericano”.
Anche se considerando il retaggio storico, culturale e politico delle varie realtà della rosa le conclusioni sorprendono fino ad un certo punto (Svezia, Finlandia, Polonia e Regno Unito, ad esempio, sono notoriamente tra i Paesi più ostili al Cremlino in tutto il mondo).
Ci sono poi differenze importanti tra le sensibilità dei singoli cittadini che motivano le risposte. Gli intervistati in Germania, Italia e Francia, per dire, sono principalmente preoccupati per l’impatto della guerra sul costo della vita e sull’aumento dei prezzi dell’energia, mentre svedesi, britannici, polacchi e rumeni temono invece di più il rischio di una guerra nucleare.
Potrebbe essere anche questa una spiegazione della straordinaria voglia di pace a tutti i costi invocata dagli italiani. Il timore, cioè, che in un Paese già di per sé non proprio in salute, e che ha subito più di altri l’impatto della pandemia, l’istinto di autoconservazione possa essere basato sulla sensazione che altre pesanti conseguenze economiche potrebbero essere davvero fatali ai nostri conti.
Ed è proprio su questo aspetto che, secondo i due autori del report, Mark Leonard e Ivan Krastev, si baseranno gli equilibri politici. La “resilienza delle democrazie europee dipenderà in gran parte dalla capacità dei governi di assecondare il sostegno dei cittadini a politiche potenzialmente dannose». Ecco, il messaggio che viene dall’Italia è chiaro: questo sostegno, da noi, non ci sarà.
(da Corriere della Sera)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
DA TEMPO IN ITALIA, IL GIOVANE OLEG È APPARSO SPESSO AL FIANCO DI SERGEY RAZOV E DELL’EX CONSOLE GENERALE ALEXEY PARAMONOV (QUELLO CHE A MARZO MINACCIÒ L’ITALIA)
Venerdì 27 maggio, nel momento in cui lo sforzo di Matteo Salvini per organizzare il suo viaggio “di pace” Mosca si stava facendo operativo, il leader della Lega avrebbe incontrato non solo il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ma anche – due volte – un importante funzionario del ministero degli Esteri russo, di stanza a Roma.
Si chiama Oleg Kostyukov, e sarebbe stato lui ad aiutare materialmente Salvini a comprare il biglietto aereo per Mosca (che il leader della Lega ha chiarito di aver poi rimborsato). Ma chi è Oleg Kostuykov?
Sabato 11 giugno, essendo uscita la notizia sul quotidiano La Verità, l’ambasciata russa ha emesso un comunicato in cui spiegava la storia senza smentirla: «A causa delle sanzioni in vigore nei confronti di questa compagnia aerea, è difficoltoso acquistare i biglietti per i suoi voli dal territorio dell’Unione Europea.
L’Ambasciata ha assistito Matteo Salvini e le persone che lo accompagnavano nell’acquisto dei biglietti aerei di cui avevano bisogno in rubli tramite un’agenzia di viaggi russa». L’ambasciata aggiungeva: «Quanto alle speculazioni sui nomi di specifici dipendenti dell’Ambasciata, le riteniamo assolutamente inadeguate». Non c’era scritto che fossero false.
Secondo il collettivo di reporter indipendenti russi The Insider – guidati da Roman Dobrokhtov e coautori di diversi scoop tra cui l’individuazione, assieme a Bellingcat, del team del Fsb accusato dell’avvelenamento di Alexey Navalny – il funzionario del ministero degli Esteri russo di nome Oleg Kostuykov è il figlio di Igor Kostyukov, ammiraglio e comandante del Gru, i servizi segreti militari di Mosca.
Kostyukov padre è sotto sanzioni occidentali con diverse accuse: interferenza nelle elezioni americane, avvelenamento a Salisbury (Regno Unito) dell’ex spia russa, passata al MI6, Sergey Skripal, e per gli attacchi informatici al Bundestag e all’ufficio dell’allora cancelliera Angela Merkel (guidati da un hacker poi rivelatosi uomo del Gru, Dmitry Badin).
Secondo The Insider, «il capo dell’intelligence è stato nominato capo della direzione principale di stato maggiore generale alla fine del 2018, e l’anno successivo i suoi figli adulti sono diventati proprietari di immobili costosi». Si tratterebbe, stando a documenti catastali e a fonti di polizia finanziaria russa citate da The Insider, di un terreno a Lipka e un altro di 12 ettari nella comunità residenziale esclusiva di Beliye Rosy 1.
Ci sarebbero poi un appartamento di Oleg in 2a Chernogryazskaya Street, Mosca, la sua Mercedes-Benz GLE 350 d 4MATIC e la Mercedes-Benz C200 della sorella Alena. The Insider «stima che il costo della proprietà dei figli del capo del GRU sia di almeno 200 milioni di rubli», che sarebbe incompatibile con un reddito di un milione e mezzo annui di rubli (lo stipendio da funzionario ministeriale).
Sia il capo del GRU sia i suoi figli non hanno risposto alle chiamate o ai messaggi Telegram di The Insider. Martedì 14 giugno alle 12,48,
La Stampa ha domandato per mail, all’indirizzo ufficiale online dell’ambasciata russa, conferma o smentita del legame familiare tra Oleg Kostuykov (primo segretario dell’ambasciata russa) e Igor (il capo del Gru). La mail è stata correttamente recapitata ma non abbiamo ricevuto da quel giorno alcuna risposta né smentita.
Un legame così stretto tra un così importante funzionario russo a Roma e i servizi militari di Mosca riproporrebbe ancora una volta il problema del rischio di penetrazione russo in Italia.
Il giovane Kostuykov, 35 anni, era da tempo in Italia (all’inizio assegnato alla sede consolare), e numerosi sono i suoi incontri sul territorio che sono stati rilevati, spesso al fianco dell’ambasciatore della Federazione.
Altre volte Kostyukov era accanto a un’altra faccia ormai nota alle cronache dell’interferenza russa in Italia: quella dell’allora console generale Alexey Paramonov, il diplomatico russo (capo del dipartimento Europa del ministero degli esteri russo) che a marzo finì al centro di un caso diplomatico perché alcune sue minacce all’Italia («non vorrei che la totale guerra finanziaria ed economica alla Russia trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili»). Nonostante questo “incidente”, Paramonov nel frattempo sarebbe in procinto di diventare ambasciatore della Russia presso la Santa Sede, a Kostyukov sarebbe un suo pupillo.
La storia si inquadra in un contesto molto teso di relazioni che ci vedono ormai «paese ostile» a Mosca. L’Italia il 6 aprile, eseguendo un’azione coordinata dai governi europei, ha espulso trenta diplomatici russi sospettati di essere spie, alcuni dei quali erano già all’attenzione del controspionaggio. Che dopo l’invasione russa in Ucraina sta riconsiderando l’escalation di operazioni militari di cui sono accusati i russi in questi anni in Europa, fino alle recenti operazioni russe di penetrazione di disinformation nei media mainstream e nei social italiani.
(da La Stampa)
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Giugno 17th, 2022 Riccardo Fucile
RISPETTO ALLE VARIANTI PRECEDENTI, È PIÙ DIFFUSIVA, I SINTOMI SONO MENO GRAVI DELLA DELTA: I PRINCIPALI SONO FORTE RAFFREDDORE E FORTE MAL DI GOLA. LA FEBBRE PUÒ ESSERE ELEVATA E ACCOMPAGNATA DA DOLORI MUSCOLARI. I VACCINI PROTEGGONO DALLA MALATTIA GRAVE
Risalgono i nuovi casi di Covid. Ieri ne sono stati segnalati ancora 36.573, circa cinquemila in più rispetto al giorno precedente: Regioni con la maggior crescita Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto. Tutta colpa dell’ultima sottovariante di Omicron, la BA 5? Vediamo.
1 La sintomatologia dell’infezione da BA 5 può essere paragonata a quella che ha caratterizzato la variante Delta?
No, è meno grave – risponde Massimo Andreoni, direttore di Malattie infettive al Policlinico di Tor Vergata -. La variante Omicron in tutti i suoi sottotipi, fin dalla sua comparsa (novembre 2021) si è rivelata meno virulenta. Il virus è causa di infezioni che si localizzano nelle alte vie respiratorie, dando luogo a faringo-tonsilliti nella maggior parte dei casi, e meno frequentemente di polmoniti nei pazienti protetti con ciclo vaccinale di tre dosi.
Questo è dovuto a un recettore che permette al virus BA 5 di replicarsi molto efficacemente nelle vie respiratorie superiori senza bisogno di scendere nei polmoni. In parole semplici, è come se il virus si accontentasse di aver raggiunto questo risultato, per lui vitale. È la connotazione che lo distingue profondamente da Delta.
2 La sottovariante BA 5 è però più contagiosa. Come mai?
Succede in virtù di due mutazioni che il virus ha sviluppato in più, differenziandosi dalle sottovarianti precedenti. Questi cambiamenti del patrimonio genetico permettono al virus di legarsi più facilmente alle cellule umane e di neutralizzare l’immunità prodotta dai vaccini e dall’infezione naturale. Ecco perché BA 5 è più diffusiva e, per contagiosità, è paragonabile al virus del morbillo. Ogni portatore può passare il microrganismo ad altre 15-18 persone. Ma ricordiamo che la maggiore diffusione non si accompagna a un maggiore tasso di ospedalizzazioni, vale a dire i casi gravi sono contenuti.
3 Sintomi lievi, dunque?
È una forzatura affermare il contrario, non ci sono elementi a favore della maggiore virulenza. Anche se i risultati di ricerche in vitro sembrerebbero indicare una superiore capacità di Omicron BA 5 di colpire pesantemente l’organismo, sul piano clinico non c’è riscontro. La variante Delta è sicuramente più patogena.
4 Quali sono?
I principali sono forte raffreddore e forte mal di gola (caratterizzato da dolore alla faringe), meno evidenti nelle infezioni indotte dagli altri virus Sars-CoV-2. Osserviamo una minore incidenza dei disturbi legati a gusto e olfatto, la febbre può essere elevata e accompagnata da dolori muscolari e delle articolazioni.
Sembra che l’infezione duri qualche giorno in più. I vaccini oggi disponibili proteggono bene dalla malattia grave.
5 L’aumento di casi dipende dalla minore efficacia dei vaccini e dalla capacità del virus di evadere la sorveglianza del sistema immunitario?
Sì. A parità di misure di contenimento (mascherina indossata e distanziamento) Omicron BA 5 contagia di più ma fa ammalare di meno rispetto a Delta.
6 E le cure?
I farmaci antivirali continuano ad aver ottima efficacia nel prevenire il rischio di progressione verso la malattia grave se somministrati tempestivamente (entro cinque giorni dalla comparsa dei disturbi). Lo stesso vale per alcuni anticorpi monoclonali.
7 È vero che Omicron BA 5 non viene rilevato dal tampone?
Sul piano diagnostico non è cambiato nulla – chiarisce Concetta Castilletti, responsabile dell’unità di virologia e patogeni emergenti al Negrar di Verona, istituto di ricerca e cura delle malattie infettive -. Non abbiamo ricevuto informazioni di allerta dalle agenzie internazionali sull’ipotesi di inefficacia dei tamponi.
Di solito i test non cercano un solo gene ma due o tre ed è molto difficile che in tutti i geni oggetto della ricerca siano presenti mutazioni nelle parti scelte per essere rilevate. Per evitare che i kit perdano efficacia si scelgono tratti del genoma del virus non soggetti a mutazione proprio perché mantengano affidabilità. Questo vale, afferma la virologa, sia per i tamponi antigenici sia per i molecolari il cui livello di precisione è decisamente migliorato rispetto all’inizio della pandemia.
(da agenzie)
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