Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
LA FRODE IN TUTTO AMMONTA A 5,6 MILIARDI… QUELLE STROMBAZZATE SUL REDDITO DI CITTADINANZA 288 MILIONI
«Persone nullatenenti che avevano nel portafogli crediti fiscali per milioni di euro. Siti web creati ad hoc, pagine sui social network per sponsorizzare quelle che spesso si sono rilevate truffe».
Per capire quanto è grande la parte grigia dietro il sistema dei bonus edilizi bisogna seguire le parole del colonnello Paolo Consiglio, capo dell’ufficio tutela Entrate del Comando generale della Guardia di Finanza.
SUPERBONUS FRODI
L’ufficiale, che insieme con i finanzieri sparsi nei comandi di tutta Italia, sta dando la caccia ai predoni dei crediti fiscali. Ieri – in occasione del bilancio che le Fiamme Gialle hanno pubblicato in contemporanea con il 248mo anniversario della loro fondazione – è emerso come i 5,6 miliardi di euro finora accertati come fittizi nei controlli sui bonus edilizi rappresentino soltanto la punta di un iceberg (il valore delle truffe è aumentato del 25 per cento in pochi mesi), una delle emergenze più importanti per le nostre casse pubbliche.
Le leggi, ora, è vero sono cambiate. «E il rafforzamento dei presidi preventivi – spiega Consiglio – ha mitigato i rischi di frode e di riciclaggio. Ma continuiamo a scoprire irregolarità, seppur per fatti precedenti a novembre», quando sono entrate in vigore le nuove norme.
La Finanza – su input del comandante generale Giuseppe Zafarana – ha creato una task force e un protocollo specifico di intervento. «Le indagini – spiega Consiglio – si concentrano su quei profili anomali, desumibili delle banche dati fiscali. Incrociamo poi il dato con le segnalazioni per operazioni sospette e un’attenzione particolare è stata data a quei crediti acquistati con capitali di possibile origine illecita».
Un faro è stato acceso «sui canali di finanziamento alle imprese da poco attive nel settore dell’edilizia o che hanno ripreso a operare dopo un periodo di inattività, proprio in coincidenza con l’introduzione dei bonus».
La scommessa è recuperare il denaro che, in molti casi, va verso l’estero. «Stiamo lavorando proprio per questo – spiega Consiglio – insieme con l’intelligence e la cooperazione internazionale».
La partita, in fondo, è sempre quella della lotta all’evasione. Che resta il problema principale del nostro Paese. Dall’inizio del 2021 a fine maggio di quest’anno sono 5.762 gli evasori totali scoperti mentre 1.615 sono stati i casi di evasione internazionale, tra residenze fittizie all’estero (molti i pensionati) e conti correnti nascosti.
Al di là dei bonus sono stati sottratti alla spesa pubblica quasi 6 miliardi tra truffe alla Comunità europea, contributi a fondo perduto e finanziamenti bancari assistiti da garanzia. Sul reddito di cittadinanza sono stati scoperte truffe per 288 milioni (171 quelli già incassati).
Resta poi l’allarme sulla partita più delicata del futuro prossimo: il Pnrr. Da un lato il rischio è l’eccessiva burocratizzazione, e dunque i ritardi sull’attuazione dei progetti.
Dall’altro c’è l’enorme tema della corruzione. Nell’ultimo anno le persone indagate per reati contro la Pubblica Amministrazione sono state oltre 3.400, di cui 397 arrestate.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
PROTESTA A PIOMBINO CONTRO LA DECISIONE DEL GOVERNO DI PIAZZARE UNA NAVE LUNGA QUANTO TRE CAMPI DA CALCIO: “SARÀ ANCHE SICURO MA SEMPRE UNA BOMBA È”; “VA BENE CHE NON DOBBIAMO PIÙ DIPENDERE DA PUTIN, PERÒ…”
«Deh, sarà anche sicuro ma sempre una bomba è», allarga le braccia passeggiando lungo il molo delle barche della paranza Massimo, ex pescatore, oggi dipendente del porto di Piombino.
Lui è uno dei tanti che non riesce a spiegarsi come mai il governo non capisca quanto sia «ingiusto» – dice – piazzare in una banchina a 300 metri da qui una nave rigassificatore lunga quanto 3 campi da calcio, tanto più proprio ora che la speranza di rifarsi una vita col turismo e l’itticoltura sembrava assicurata, per la vecchia capitale dell’acciaio italiano.
«Va bene che non dobbiamo più dipendere da Putin ma siamo sicuri che non ci siano rischi?» si fa avanti Paolo Brancaleone mentre ripara le reti danneggiate del suo peschereccio, il “Gabbiani II”.
E tutto il porto ribolle: «Io ho 30-40 amici che lavorano negli allevamenti di cozze o orate. I ristoranti in centro sono pieni, negli ultimi anni è arrivato un turismo sano, che dà lavoro. Il primo suicidio di un operaio disoccupato della Lucchini invece l’ho visto che avevo 8 anni.
Dal 1992 la storia dell’acciaio a Piombino è finita. Io non ho strumenti per giudicare rischi e benefici del rigassificatore, dico solo che adesso non possiamo di nuovo andare a complicarci la vita », scuote il capo Alfonso, 40 anni appena fatti, mentre serve caffè e poncini coi suoi baffi alla Dalì al bar “Chalet”, con vista perfetta sulla banchina “Pim”, dove presto potrebbe arrivare la nave “Golar Tundra”.
Solo il nome incute un qualche timore, ma alla mega imbarcazione il governo attribuisce un valore enorme: ha una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l’anno, il 6% del fabbisogno nazionaale
Snam l’ha comprata per 330 milioni di euro, in 9 mesi potrebbe essere operativa e la dipendenza italiana dal gas russo inizierebbe a ridursi.
La ragion di Stato non basta a scalfire i dubbi e le paure, che soffiano come brezza marina nei capannelli piombinesi, dal centralissimo bar Cristallo alla piazza di Cotone, il vecchio quartiere operaio: «Perchè qui? Noi abbiamo già dato».
Ma la decisione a Roma pare presa: Piombino dovrà avere «compensazioni adeguate», ha promesso nei giorni scorsi il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani di fatto confermando che il governo Draghi più che discutere del se sta pensando al come.
Un migliaio di persone sono scese in piazza sabato scorso mentre una cinquantina di barche di pescatori protestavano contemporaneamente in mare. E i negozi sono pieni di cartelli “no rigassificatore”.
Il sindaco Francesco Ferrari, l’avvocato di Fratelli d’Italia che nel 2019 ha mandato a casa la sinistra dopo 70 anni, spalleggiato dalla leader Giorgia Meloni (ma non dalla Lega) si è messo a capo della rivolta e dice di «non escludere nemmeno le vie legali» contro un’operazione che danneggerebbe «porto, pesca e turismo».
Lo sfida il governatore Eugenio Giani, nominato commissario da Draghi e fin da subito disposto a trattare nonostante la contrarietà del Pd piombinese e dell’ex presidente Rossi. Il governatore emiliano Bonaccini dice che «se Piombino non prende il rigassificatore Ravenna si candida a prenderne due». Ma Giani non molla: ieri è andato da Cingolani con un memorandum di richieste di compensazioni per la città e la val di Cornia: «Bonifiche nell’area del porto per 200 milioni.
I due lotti della nuova strada 398. Un parco eolico e fotovoltaico nell’area ex Lucchini che alimenti il nuovo forno elettrico atteso da Jindal per il rilancio delle acciaierie. E sarebbe il caso anche di pensare ad una riduzione della bolletta energetica per i piombinesi in cambio di un sacrificio per la nazione» invoca il governatore. «Non offendiamo l’intelligenza della mia comunità. So di non avere poteri di veto ma nessuna compensazione sarà mai possibile» ribatte Ferrari, che oggi vede Cingolani.
Mentre il comitato del no per sabato prepara chiusure stradali. Opportunità o condanna? La vecchia Lucchini è un gigante di lamiera che occupa tre quarti dell’area portuale ma non riesce a risorgere: un tempo ci lavoravano 8 mila operai, oggi è ferma, con 1.660 dipendenti quasi tutti cassintegrati. Il turismo e le crociere invece prosperano, come l’itticoltura: il 60% delle spigole e delle ricciole prodotte in Italia sono allevate qui.
Snam spiega che l’impianto sarebbe sicuro e non ci sarebbero ripercussioni per pesca e rotte navali. «Niente assistenzialismo nelle compensazioni: l’unica cosa da fare è dare una prospettiva a questo territorio», dice il capo dei balneari Fabrizio Lotti. «Io non sono per il no a prescindere» dice anche il segretario Fiom David Romagnani. Chissà, forse per farsi una nuova vita Piombino dovrà ingoiare un altro rospo.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
ZIMIN È RICOVERATO IN GRAVISSIME CONDIZIONI IN TERAPIA INTENSIVA: L’HANNO RITROVATO MORENTE NELLA SUA CUCINA A KRASNOGORSK: CHI L’HA FATTO FUORI? STAVA INDAGANDO SU UN PRESUNTO CASO DI CORRUZIONE
Stare vicino a Vladimir Putin diventa ogni giorno che passa sempre di più un pericoloso. Lo sa bene Vadim Zimin, colonnello trovato moribondo nella sua casa vicino alla capitale russa. Il 53enne aveva il compito di trasportare la valigetta contenente i codici per attivare le armi nucleari. L’ultima volta era stato visto in pubblico ai funerali di Zhirinovsky, fedelissimo di Putin.
Zimin è ora ricoverato in gravi condizioni in terapia intensiva, lotta tra la vita e la morte dopo essere stato ferito a colpi di arma da fuoco. L’uomo, appartenente al Servizio di sicurezza federale, era stato incaricato di custodire la valigetta che il leader del Cremlino porta sempre con sé, contenente i comandi per azionare i missili atomici. Zimin è conosciuto anche per essere stato uno dei più stretti collaboratori dell’ex presidente Boris Eltsin. Dopo questo incarico è arrivato al ruolo di colonnello sotto Vladimir Putin, anche se la sua funzione non è del tutto chiara.§
Dopo essere stato trovato morente nella sua cucina a Krasnogorsk, il fratello che si trovava in bagno al momento della sparatoria, l’ha soccorso raccogliendolo da una pozza di sangue. Era assente invece la moglie, un medico impegnato a salvare i feriti di guerra in Ucraina. Secondo quanto riportano le indagini, Zimin stava indagando su un presunto caso di corruzione dopo essersi unito al servizio doganale di un ruolo di alto livello.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
CON UN POST SUI SOCIAL, IL SINDACO HA RISPOSTO ALLE VOCI SUL NUOVO PROGETTO POLITICO DI CENTRO
«Sono il Sindaco di Milano e sicuramente continuerò a svolgere questo ruolo». Sono le parole di Giuseppe Sala arrivate a seguito delle voci girate che lo vedrebbero protagonista in un progetto politico di centro, assieme a Luigi Di Maio, Dario Nardella e l’ex pentastellato sindaco di Parma Pizzarotti.
Specifica di essere interessato al futuro dell’Italia e che per questo «parla con tutti», ma al tempo stesso sottolinea: «I centristi per governare dovrebbero stare con altri. Io non potrei mai stare con la destra e con i populisti, ma solo con chi ha veramente un animo popolare».
Espressioni che ha utilizzato anche oggi durante un comizio a Verona per appoggiare il candidato sindaco del centrosinistra, Damiano Tommasi. Sala, sollecitato in merito alla questione sul possibile nuovo centro con il ministro degli Esteri, ha risposto: «Non è il tema di Di Maio o quello che è successo nell’ambito del M5s. Io lo stimo Di Maio, non c’è dubbio, però il punto è che tutti parlano del centro, ma io non so esattamente cosa voglia dire. Devi fare delle scelte e la nostra deve essere quella di stare chiaramente in un ambito».
Sui suoi profili social ha ribadito quanto detto a Verona: a suo avviso la richiesta dei cittadini non è quella di «posizionamenti orizzontali», ma di risposte concrete. A questo proposito, fa riferimento a politiche di sostegno dei redditi, alle necessità delle infrastrutture italiane e, infine, alla questione ambientale, di cui dice di essersi occupato nella sua esperienza politica.
«In questi ultimi anni mi sono confrontato con Ed Markey, il padre del Green New Deal, e con Al Gore. Ho imparato dai Verdi Europei. Ho guidato la task force mondiale di C40, per un “Green and just recovery” e – scrive su Instagram – seguiterò ad impegnarmi in questo senso. Con il realismo che orienta la mia azione a Milano».
Il sindaco uscente di Parma, Federico Pizzarotti, tra i fondatori del movimento dei sindaci Italia in Comune, ha riferito che con Di Maio e Sala ci sono dialoghi in corso, ma ancora prematuri.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA RESTA VINCOLATA ALL’ALLEANZA CON SALVINI E MELONI, MA IL CAV GUARDA CON INTERESSE ALLA NASCITA DI UN POLO MODERATO… I PONTIERI CI SONO GIÀ: BRUGNARO, TOTI, TABACCI
“Quel ragazzo è proprio bravo”. Silvio Berlusconi ha una vecchia simpatia per Luigi Di Maio, narrata dallo stesso ministro degli Esteri nel suo libro: il Cavaliere, nella primavera del 2019, lo inseguì nei corridoi di Mediaset per fargli i complimenti.
E con soddisfazione, racconta chi l’ha sentito, l’ex premier ha commentato in queste ore la scissione dei 5S voluta dal suo “pupillo”: l’idea di Berlusconi, al di là del giudizio personale su Di Maio, è che comunque sia positivo il fatto che la parte più moderata del Movimento si sia messa in proprio, staccandosi dai colleghi radicali che in passato l’hanno demonizzato.
Possibilità di dialogo fra il tycoon di Arcore e il giovane scalatore di Pomigliano? Solo una suggestione, al momento, anche perché Forza Italia resta vincolata all’alleanza di centrodestra con Lega e Fdi.
I primi a fare da pontieri verso Di Maio, in ogni caso, sono i centristi della coalizione di Berlusconi, i fondatori di Coraggio Italia Giovanni Toti e Luigi Brugnaro che proprio ieri hanno dovuto registrare il fallimento della loro creatura nata poco più di un anno fa: il gruppo alla Camera è destinato a sciogliersi dopo gli ultimi due addii che ne hanno ridotto la consistenza a 18 deputati.
Il Centro che si riorganizza è il vero punto di approdo di Insieme per il futuro: interlocutori naturali sono Sala, Pizzarotti, un po’ più difficile il rapporto con Calenda e Renzi. Un deciso sostegno, a Di Maio, lo dà Bruno Tabacci, grande orditore di manovre centriste e da diversi mesi consigliere del ministro, con cui i contatti e gli incontri sono stati frequenti anche nel periodo della corsa al Quirinale.
Proprio Tabacci potrebbe mettere a disposizione il suo simbolo per far decollare un gruppo dei dimaiani anche al Senato. Molto dipenderà dalla legge elettorale: una riforma in senso proporzionale accrescerebbe il peso di un’operazione del genere. Ci crede poco Antonio Tajani, coordinatore di Fi: “Il polo di Centro? Un luogo dove ci sono molti generali e pochi soldati”.
Definita è l’area politico-culturale in cui si muove Di Maio: le linee guida sono quelle dell’atlantismo, che lo avvicinano al ministro leghista Giancarlo Giorgetti, già compagno di pizza durante le trattative per il Quirinale (comune predilezione per il Mattarella bis e per Giuliano Amato).
Giorgetti martedì ha ribadito la sua collocazione parlando all’assemblea di AmCham Italy, affiliata alla Confindustria statunitense: “Abbiamo due punti di forza, i nostri imprenditori e l’alleanza con gli Usa. Quest’ultimo è un elemento di grande importanza”.
In questo scenario prende forma la Cosa di Di Maio. Il primo passo fondativo di un nuovo gruppo parlamentare, formalità burocratiche a parte, è rappresentato dall’apertura di una nuova chat. Se nel M5S una delle lamentele più frequenti era l’idiosincrasia di Giuseppe Conte per il telefono e per whatsapp (“non risponde mai!”), in Insieme per il futuro è Di Maio stesso – attentissimo nel dare un po’ di corda a tutti – ad aprire il gruppo social.
Uno per il Senato e uno per la Camera, con un messaggio di saluto e un caldo invito: ora cominciamo ad organizzarci, qui dentro il palazzo ma non solo. “Non cadiamo nelle provocazioni – ha detto il ministro ai suoi – manteniamo la calma e guardiamo avanti per aggregare e costruire qualcosa di nuovo”.
Quotato l’arrivo dell’ex ministra Lucia Azzolina.
In missione in Serbia, Di Maio ha tenuto comunque un filo diretto con Roma, ricatapultato nel ruolo di capo politico, o qualcosa del genere. E va bene che il ministro ha spergiurato di non voler fare un partito personale, ma intanto questi 61 parlamentari strappati al Movimento sono davvero “suoi”, lui ha scelto il percorso, lui ha dettato i tempi, lui ha spiegato i motivi pubblicamente martedì sera. Lui si intesta onori e oneri di questa scommessa.
(da la Repubblica)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
IL PROVVEDIMENTO DI BANDIERA DELLA LEGA SULLE PENSIONI, TANTO CAVALCATO DA SALVINI DURANTE IL GOVERNO GIALLOVERDE, HA PORTATO SOLO 380 MILA PENSIONATI IN TRE ANNI CONTRO GLI OLTRE 950 MILA ATTESI E 23,2 MILIARDI DI SPESA
Il flop di Quota 100 è nei numeri dell’Inps e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio: 380mila pensionati in tre anni contro gli oltre 950mila attesi e 23,2 miliardi di spesa.
Il provvedimento di bandiera della Lega, varato dal governo giallo-verde nel 2019 ha coinvolto un numero di persone «ampiamente al di sotto delle attese» con un risparmio di circa 10 miliardi rispetto alla stime iniziali.
Secondo lo studio nel complesso con le persone che hanno maturato i requisiti entro il 2021 e che faranno domanda solo successivamente si potrebbe arrivare alla fine del 2025 a 450mila pensionati con Quota 100.
Abbastanza perché la Cgil tornasse a sottolineare come si trattasse di un intervento marginale, mentre serve una riforma strutturale della Legge Fornero.
«I 10 miliardi di euro risparmiati su Quota 100, consentono di continuare a introdurre una flessibilità di accesso più diffusa al pensionamento nella prossima Legge di Bilancio», ha commentato il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, mentre secondo la Cisl una riforma «non è più procrastinabile».
A ricorrere a Quota 100 sono stati soprattutto gli uomini con metà delle richieste arrivate da dipendenti privati: poco più del 30% proviene da lavoratori pubblici, mentre gli autonomi sono stati circa il 20%.
In media – si legge nel report – gli autonomi ricevono 1.376 euro lordi al mese, i dipendenti privati 2.088 euro e i dipendenti pubblici 2.161 euro. La media complessiva dell’assegno mensile lordo è di 1.971 euro (1.829 le donne, 2.035 gli uomini).
Sono invece meno di 4mila le domande arrivate all’Inps per Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) nei primi cinque mesi del 2022 poiché la misura riguarda di fatto solo coloro che avevano già raggiunto l’età nel triennio di Quota 100 ma non ancora i contributi.
Per il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, introdurre la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età costerebbe 18 miliardi di euro in tre anni, mentre l’ipotesi di andare in pensione con 64 anni di età e 35 di contributi – purché si sia maturato un assegno pari ad almeno 2,2 volte l’assegno minimo – unico potrebbe costare nel triennio circa sei miliardi di euro.
(da La Stampa)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“ORMAI E’ DISINCANTATO DA TEMPO”
È nella pace apparente di Sant’ Ilario, cinquecento chilometri dal terremoto romano di queste ore, che si respira più da vicino il senso di distanza tra le tante anime del M5S (quelle che rimangono, come quelle in fuga) e il suo stesso fondatore.
Nelle prime ore del day after della scissione, in questo angolo silenzioso di Genova, la villa vista mare di Beppe Grillo rimane nascosta da cancellate e gelsomini, il figlio Ciro si allontana in moto, la domestica di casa prova a difendere la privacy del fondatore a modo suo, con schema a confusione: «Il signor Grillo non c’è, – assicura alla porta – è in vacanza in Sardegna, non andrà a Roma, rimarrà in Toscana».
La conferma di una decisione già presa nella serata della rottura, il rinvio (salvo sorprese) dell’attesa visita a Roma del garante, arriverà in tarda mattinata. Troppo fresca la ferita, serve tempo.
Ma basta la notizia, di fatto, per certificare una volta per tutte stati d’animo e posizioni. Da una parte il padre del Movimento, che viene raccontato «dispiaciuto» per l’addio di Luigi Di Maio ma anche «deluso e irritato» con entrambi i protagonisti dello strappo.
Dall’altra il rimpianto trasversale di un intero partito, forse l’ultimo sentire ad accomunare ancora fuoriusciti e ortodossi, neo scissionisti e contiani. «Beppe, – si chiedono i più – perché ci hai abbandonato? ».
La discesa mancata di Grillo nella capitale di oggi, in realtà, un “alibi” ce l’avrebbe. La riunione era già stata programmata da tempo, sul tavolo avrebbero dovuto esserci il confronto sul tonfo alle Comunali e (soprattutto) il contratto da 300mila euro siglato per il supporto alla comunicazione del M5S fornito dal blog.
Il precipitare degli eventi, seppur in qualche modo atteso («Lo abbiamo perso», aveva sentenziato Grillo su Di Maio nei giorni del Quirinale), ha portato al rinvio.
Un dietrofront condiviso con Giuseppe Conte, farà capire l’ex premier in serata («Beppe è umanamente dispiaciuto, ma sta dalla parte del Movimento»), però diventato rappresentazione plastica della crisi, e soprattutto il via libera ai malumori incrociati.
«È furioso con Conte, gli ha messo in mano il Movimento e in un anno guardate che casino», si assicura da una parte. «Andate a chiedere se si sono parlati, con Di Maio: il loro è un rapporto interrotto, non si sentono più», si azzarda dall’altra.
In mezzo, un leader che alcuni, tra i più vicini, descrivono come «ormai disincantato».
A dirlo, in fondo, era stato lo stesso Grillo con il suo ultimo post, martedì. «Siamo tutti qui per andarcene, ma possiamo scegliere di lasciare una foresta rigenerata o pietrificata ».
Un messaggio per Di Maio, forse anche per Conte, due facce diverse di un gioco che al garante – al netto delle rassicurazioni di rito – pare interessare sempre meno.
Che forse ancora conviene («Raderebbe al suolo tutto, ma l’ingaggio per il blog è stata la trovata di Conte per tenerlo a bordo nonostante tutto», sibilano le malelingue di più parlamentari), ma di sicuro non appassiona. E se a testimoniarlo è stata ancora una volta Genova, città simbolo delle mille mutazioni e delle prime crepe del M5S, dove Grillo non è neanche andato a votare per il suo partito alle Comunali, è però questa stessa distanza a unire un’ultima volta un Movimento dilaniato.
Il sentimento nei confronti di Grillo, nel M5S, è infatti trasversale e mischia delusione e dispiacere.
«Ha lasciato le chiavi di casa al primo che passava, e ci ha lasciato soli », si nota in quota Ipf. «È sparito, chi lo sente più?», si accusa tra i reduci. «Crimi è stato commissario un anno, Grillo doveva intervenire in quel momento, perché – ci si chiede – non l’ha fatto?».
Nella sua Genova, dopo il crollo al 4 per cento al voto di inizio mese, serpeggia persino un po’ di risentimento
«Non è andato a votare? È il meno. Il problema è che sembra non fregargliene più niente», si sfogano i grillini in città, tutti, rigorosamente in forma anonima.
A dirla tutta con nome e cognome, l’unica a poterlo fare, sarà così da Milano la sola Enrica Sabatini, Associazione Rosseau, signora Casaleggio. «Beppe sconta il fatto di non aver agito nel momento giusto: avesse deciso in tempo per un organo collegiale, si sarebbe creato un altro percorso della storia». Non c’è stato, chissà se mai ci sarà.
(da “la Repubblica”)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
RICONDUCIBILE A ARKADY ROTENBERG (IMPORTANTE UOMO D’AFFARI RUSSO CHE HA LEGAMI PERSONALI STRETTI CON IL PRESIDENTE PUTIN) … REQUISITE ANCHE VILLE IN COSTA SMERALDA PER 53,6 MILIONI DI EURO E UNA MERCEDES DA 66MILA EURO
Ville in Costa Smeralda per 53,6 milioni di euro, una Mercedes da 66mila euro e persino una chiesa ortodossa a Tarquinia.
Solo nelle ultime tre settimane la Guardia di finanza ha eseguito altri quattro congelamenti nei confronti di oligarchi e società russe che appoggiano il presidente Vladimir Putin, per un totale di 54,4 milioni di euro, che vanno a sommarsi al miliardo e 700 milioni già congelato dal 23 febbraio al 31 maggio scorso.
A seguito infatti della crisi russo-ucraina e della conseguente escalation militare, la Finanza – come membro del Comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell’Economia – ha avviato mirati accertamenti economico-patrimoniali sulle persone e sulle società inserite nella black-list dell’Unione europea. Le verifiche hanno riguardato oltre 1.100 persone che «hanno contribuito a compromettere o minacciare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina».
Dal bilancio operativo, diffuso in occasione del 248esimo anniversario della fondazione del Corpo, emerge che dall’inizio della guerra a oggi, in Italia, sono state eseguite nei confronti di 19 soggetti misure di congelamento di beni presenti sul nostro territorio, tra yacht, auto, quote societarie, terreni e persino una scultura da 230mila euro.
È stata congelata dai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria una Mercedes classe E, situata in provincia di Milano, del valore di circa 66.000 euro, di proprietà di Vtb Bank Pjsc: istituto finanziario di «importanza sistemica per il governo della Federazione russa».
Successivamente sono stati congelate quattro villini nel territorio di Arzachena, in Sardegna, del valore di 50milioni di euro, riconducibili a Gulbakhor Ismailova: sorella dell’oligarca pro-Cremlino Alisher Usmanov, a cui quest’ ultimo ha trasferito alcuni suoi beni, come lo yacht Dilbar da 600 milioni, ormeggiato ad Amburgo e sequestrato dalla Germania.
Ad Arkady Rotenberg (importante uomo d’affari russo che ha legami personali stretti con il presidente Putin), è stata invece di recente congelata una quota del 50% di beni immobili situati in provincia di Viterbo e del valore complessivo di circa 625.000 euro. Tra questi c’è anche la Chiesa di Sant’ Antonio Abate, a Tarquinia, adibita a luogo di culto ortodosso e sotto il vincolo del Mibact.
Infine, due giorni fa, a Boris Rotenberg (imprenditore miliardario russo membro del consiglio di amministrazione della Smp Bank e fratello di Arkady Rotenberg), la Finanza ha congelato una villa e un garage a Porto Cervo del valore di 3.675.000 euro; e una quota pari al 50% del capitale sociale (pari a complessivi 60.000 euro) della Aurora 31 srl. Il restante 50% del capitale della società proprietaria dell’omonimo albergo situato nel centro di Roma, è già oggetto di provvedimento di congelamento emesso nel 2016 nei confronti del fratello Arkady Rotenberg.
Nel corso degli anni, la Guardia di finanza ha progressivamente esteso il proprio network internazionale che può ora contare in particolare a seguito di un articolato processo di revisione organizzativa avviato nell’ultimo biennio dal II Reparto del Comando generale, guidato dal generale Cosimo Di Gesù, su 23 esperti presso le principali missioni diplomatiche italiane all’estero; 2 ufficiali di collegamento presso organismi internazionali e collaterali esteri; un ufficiale di supporto alla figura dell’esperto.
La Finanza è attiva su 75 Paesi e 6 organizzazioni internazionali, divenendo l’amministrazione nazionale del comparto economico-finanziario con la più qualificata presenza presso le ambasciate italiane. Il Corpo attua forme di raccordo informativo e investigativo attraverso la cooperazione di polizia (per il tramite del Ministero dell’Interno), fiscale e doganale, nonché su base spontanea (attraverso accordi con organismi collaterali esteri). Parallelamente è impegnato nel soccorso e nell’assistenza alla popolazione civile ucraina insieme alla Protezione civile: dall’inizio del conflitto sono stati eseguiti 15 voli a favore di 144 pazienti (di cui 102 pediatrici) e 183 accompagnatori.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2022 Riccardo Fucile
I MOTIVI PER CUI E’ COSI’ IMPORTANTE
Perché è così importante per Mosca questa exclave, il cui capoluogo è distante oltre mille chilometri in linea d’aria? Diciamo che è un relitto della Seconda guerra mondiale che con Putin ha visto crescere il proprio ruolo geostrategico. Ma ha sbagliato tutti i suoi conti: senza più la benevola neutralità di Svezia e Finlandia, terrorizzate per anni dal Cremlino, muoversi in quelle acque prive di una “autostrada internazionale” è diventato impossibile
L’exclave russa di Kaliningrad è un prodotto dell’epoca di Stalin: fin dalla conferenza di Teheran nel dicembre 1943 il Cremlino rese palese la volontà di voler occupare in modo permanente questa porzione di territorio stretta fra la Polonia, la Lituania e il Mar Baltico, e abitata per quasi sette secoli dai tedeschi.
L’oblast di Kaliningrad, per capire di che cosa si tratta, ha una superficie più o meno uguale a quella della Calabria e attualmente ha una popolazione residente – quasi per il 90% etnicamente russa – pari all’incirca alla città di Torino.
Da un lato si affaccia per 145 chilometri sul Mar Baltico, mentre sugli altri lati confina con l’Unione europea. Questo punto è molto importante: non sono la Polonia o la Lituania a decidere sul traffico di persone, merci, capitali e servizi fra questi Paesi e Kaliningrad, ma è la Commissione europea.
Insomma, Varsavia e Vilnius sono solo esecutori di decisioni prese da tutti i Paesi e dal “governo dell’Unione”, ma di fatto si trovano in prima linea direttamente. Mosca minacciando Vilnius – invece che Bruxelles – dice a nuora perché suocera intenda
Perché è così importante per Mosca questa exclave, il cui capoluogo è distante oltre mille chilometri in linea d’aria? Diciamo che è un relitto della Seconda guerra mondiale e della prima parte della Guerra Fredda che l’Unione Sovietica degli ultimi anni e la Federazione russa dopo il 1991 hanno stentato a riconoscere per quello che era il suo – troppo ambizioso – ruolo all’inizio.
In pratica, tre generazioni fa la presenza umana e militare dei sovietici a Kaliningrad serviva all’Urss per tenere un piede nel cuore dell’Europa, con un numero di battaglioni sufficienti a “regolare i conti” con la Germania orientale – come poi accadde nel 1953 – e con la Polonia, nel caso in cui avessero tentato di staccarsi dall’orbita sovietica. Doveva anche – e soprattutto – servire a trasformare il Mar Baltico in un “lago russo”, grazie alla presenza di basi dalla Germania fino a Leningrado: così, senza troppi complimenti, la marina sovietica – che nell’ex capitale zarista aveva uno dei suoi porti più strategici – poteva agevolmente proiettarsi verso l’estremo opposto del Mar Baltico e da lì, approfittando della neutralità svedese, affacciarsi sul Mar Nero.
§Fra l’altro, Kaliningrad non richiedeva neppure alcuna fortificazione: fra gli alleati di Washington e Londra, solo la Danimarca aveva una forza navale un po’ consistente. Per il resto, il non allineamento di Svezia e Finlandia dava ai sovietici carta bianca nel Baltico. Il quale, vale la pena ricordarlo, ha una lunghezza di circa 1.600 chilometri, il 60% in più della nostra Penisola, mentre come larghezza media non arriva a 200 chilometri. In parole povere, non offre acque internazionali in cui transitare ma impone di volta in volta di chiedere il permesso per far passare navi commerciali o incrociatori.
Con la fine dell’Urss, non sono mancati dubbi sulla sostenibilità della gestione di questo fazzoletto di terra: Lituania, Polonia e anche Germania non si sono dimostrate troppo interessate a prenderla, anche a causa di quasi 1 milione di russi al suo interno, potenzialmente un “cavallo di troia” di Mosca.
Così, col ritorno di Putin al Cremlino, nel 2012, è aumentato in modo impressionante il ruolo geostrategico del piccolo oblast, che rappresenta meno dell’uno per mille del territorio russo: Mosca ha investito moltissimo nel farne una base per la marina e le forze missilistiche.
Nel farlo, ha spostato molto a est la linea mediana dei suoi interessi in quell’area, cercando di tagliare i Baltici – e l’isola svedese di Gotland – dal mondo occidentale.
Possiamo dire che Putin ha sbagliato tutti i suoi conti: senza più la benevola neutralità di Svezia e Finlandia, terrorizzate per anni dal Cremlino, muoversi in quelle acque prive di una “autostrada internazionale” è diventato impossibile. Al di là di questa crisi estiva, c’è da dubitare che l’oblast possa sopravvivere senza la possibilità di ricevere combustibili per il trasporto e il riscaldamento, oltre a pezzi di ricambio, per via navale e terrestre.
Anzi, persino per via aerea, dato che comunque i velivoli russi o in transito da e per la Russia devono richiedere il permesso ai baltici, ai polacchi e agli scandinavi, tutti Paesi “bullizzati” da Mosca da tempo.
Insomma, questa storia dimostra come una risorsa importante, se gestita senza giudizio, possa perdere completamente il suo valore.
Così, non è da escludere che i discendenti di quasi mezzo milione di russi trasferiti con la forza qui negli anni Quaranta possano nei prossimi mesi essere spostati verso Est per non farli congelare. Ma chi se la sente di escludere che la Russia decida, per provocazione, di lanciare dei missili ipersonici dalle rampe posizionate a Kaliningrad verso l’Ucraina, violando lo spazio aereo lituano così come fanno i Nord Coreani col Giappone?
(da agenzie)
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