Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
“RIFIUTO DI ALCUNE BANCHE DI LAVORARE CON CITTADINI RUSSI”: LO CREDO, AVRANNO PAURA CHE SI FOTTANO PURE LE SCRIVANIE… MEDVEDEV CI DA’ PURE DEI MAFIOSI
I cittadini russi sono discriminati in Italia. Questa, almeno, è la versione del ministero degli Esteri russo che ha pubblicato, attraverso l’ambasciata a Roma, gli stralci di un rapporto in cui si analizza la situazione dei connazionali russi in Europa e si denunciano presunte “violazioni dei diritti dei cittadini russi” che vivono in Italia oltre a “un’aperta campagna anti-russa da parte dei media italiani”.
Il testo condiviso su Facebook parla di una “crescita di sentimenti russofobi nella società italiana” e passa in rassegna una serie di episodi che dimostrerebbero le discriminazioni subite dai russi in Italia.
In particolare, si legge nel rapporto, il “2 marzo 2022 è stata dipinta con slogan antirussi la recinzione dell’edificio del consolato Generale della Federazione Russa a Genova.
L’11 aprile 2022 un cittadino ucraino ha versato vernice rossa sulla porta d’ingresso dell’Ambasciata russa a Roma”.
Il rapporto si scaglia anche contro il sindaco di Milano Giuseppe Sala, colpevole di aver interrotto la collaborazione con il direttore d’orchestra russo Gergiev.
I russi denunciano anche il presunto “rifiuto di servire i cittadini russi” da parte di alcune banche italiane “compresi i dipendenti delle rappresentanze diplomatiche”.
Si citano Unicredit, le Poste, Banca Intesa.
Il rapporto prosegue con la denuncia delle presunte discriminazioni nei confronti dei “dipendenti della Missione permanente russa presso la FAO e di altre organizzazioni internazionali a Roma” a cui la Vodafone si sarebbe rifiutata di “collegare un numero a un contratto di servizio già esistente o di stipulare un nuovo contratto di servizio individuale”.
Al report del ministero si aggiungono le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Medvedev che ha criticato le sanzioni “illegittime” contro i familiari dei politici russi, paragonandole ai metodi mafiosi e citando ‘Ndrangheta e Cosa Nostra.
Medvedev aggiunge quindi con sarcasmo che l’Occidente potrebbe abbracciare “anche altre regole familiari progressiste: per esempio, ci sono molte cose utili nei modi della ‘Ndrangheta e di Cosa Nostra italiane”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
ANZI: MOLTE SOCIETÀ DEL DRAGONE SONO FUGGITE DA MOSCA
Per tutta la vita Mao Zedong ha vissuto un rapporto conflittuale con la Russia. Sin dai tempi in cui si batteva, prima che la sua rivoluzione contadina trionfasse, per far capire agli emissari sovietici che in Cina gli operai non avevano la forza di condurre la lotta di classe (fondamentalmente per il loro esiguo numero), il Grande Timoniere ha sempre mal tollerato la supponenza con cui Stalin e i suoi successori lo guardavano dall’alto in basso, come fosse una sorta di «parente rozzo del socialismo internazionale».
Chissà cosa penserebbe oggi Mao dell’inversione di ruoli tra Mosca e Pechino: nella capitale originaria del movimento comunista, il Pcus non esiste praticamente più; a Oriente, invece, il cielo, almeno nella teoria, è ancora rosso, il Pcc è saldamente al comando e il «socialismo con caratteristiche cinesi» (che i padri del marxismo realizzato consideravano come fumo negli occhi) ha trasformato un Paese sottosviluppato, sovrappopolato e isolato nella seconda economia del mondo e nel primo avversario strategico degli Stati Uniti.
Se un tempo erano i comunisti cinesi ad andare a Mosca in pellegrinaggio, adesso il percorso avviene nella direzione opposta. E il Washington Post , in un articolo basato su fonti «ben informate», spiega ora come i russi, in crisi per lo stallo imprevisto in Ucraina, abbiano (disperatamente) chiesto aiuto ai cinesi.
Mosca ha bisogno urgente di forniture militari, tecnologiche e finanziarie. Pechino è l’unico alleato che può fare la differenza. E qui entra tuttavia in campo la forza ineluttabile della Realpolitik. Perché se il presidente Xi Jinping ha sin dall’inizio dichiarato il suo sostegno incondizionato a Putin, accusando gli Stati Uniti e l’Occidente tutto di aver causato la guerra contro l’Ucraina con il «provocatorio» allargamento a Est della Nato, nei fatti si è guardato bene dal mettersi in rotta di collisione con Washington.
Il discorso, come emerge dai dialoghi riportati dal quotidiano americano, è semplice: su un piano politico e diplomatico, la Cina è dalla parte della Russia, considera le sanzioni occidentali «un abuso illegale», gli aiuti militari a Kiev un «azzardo», tanto da assicurare a Mosca il suo «pieno appoggio» sulla scena internazionale. Ma, alla prova dei fatti, i cinesi non hanno praticamente mosso un dito.
Anzi: molte grandi società (per esempio i giganti telefonici) hanno abbandonato la Russia. Le banche e i gruppi tecnologici si guardano bene dal continuare a «fare affari» con Mosca per non incorrere nelle sanzioni secondarie da parte americana. Nessun sistema d’arma (e forse neppure ricambi) ha superato la lunghissima frontiera tra i due giganti globali.
Ecco dunque che i russi hanno insistentemente chiesto ai loro partner di adempiere a tutti gli impegni promessi, quanto meno di rispettare gli accordi economico-strategici precedenti l’invasione iniziata il 24 febbraio. Secondo il Washington Post , i dialoghi tra i funzionari dei due Paesi sono stati «intensi».
Ma i risultati non si sono visti: «Pechino – dice la fonte anonima di parte cinese – resta convinta sostenitrice delle ragioni della Russia, consideriamo le sanzioni illegali, ma non possiamo ignorare gli interessi nazionali in questa vicenda. E il nostro governo metterà sempre e comunque il benessere del popolo cinese davanti a ogni considerazione». In altre parole: a meno che non si trovi un sistema per annullare gli effetti delle sanzioni primarie e secondarie, la Repubblica Popolare non muoverà un dito proprio per non rischiare di essere danneggiata a sua volta.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
“HA MANDATO IN DISCARICA LA MIA LEGGE, NON SARO’ COMPLICE”… SOLO SERVO DELLA LOBBY DEI BALNEARI
“La 145 è stata mandata in discarica da un ministro del mio partito e da un ramo del Parlamento che non l’ha voluta proteggere”.
A scriverlo, in una chat Whatsapp che include balneari e parlamentari vicini alle loro istanze – riporta Repubblica – è Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista all’Agricoltura. “La 145” è la legge 145 del 2018, voluta da Centinaio quando era ministro del Turismo del governo Conte I, che prorogava la validità delle concessioni demaniali marittime fino al 2033.
E il ministro che l’ha “mandata in discarica” è il suo compagno di partito Massimo Garavaglia, suo successore nell’incarico.
Il riferimento è all’approvazione al Senato, dopo mesi di stallo, del disegno di legge sulla Concorrenza che metterà a gara le concessioni a partire dal 2023, come l’Unione europea chiede dal 2006 con la direttiva Bolkestein. Per i gestori che non otterranno il rinnovo sono previsti indennizzi, la cui quantificazione però è stata rimessa ai decreti attuativi da approvare entro fine anno.
“Ci ho provato in mille modi ma bisogna ammettere la sconfitta“, scrive Centinaio in chat. “Io volutamente non sono andato in Aula. Non volevo essere complice di questa m…“, comunica ai balneari.
E polemizza ancora con Garavaglia: “Io andrò avanti a occuparmi di melanzane e zucchine perché nel campo del turismo c’è gente più brava di me. Chiedo agli amministratori di togliermi dal gruppo. È meglio per tutti. Vi abbraccio con le lacrime agli occhi”.
Il testo passerà alla Camera a conclusione di un iter iniziato a dicembre: il mese scorso, per sbloccare il via libera in Commissione Industria, era intervenuto lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi che, snobbando i partiti, aveva deciso di scrivere direttamente alla presidente del Senato per chiedere che il provvedimento fosse calendarizzato il prima possibile.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
DA BRUXELLES ARRIVANO LE MISURE CONTRO LA STORICA AMANTE DEL PRESIDENTE RUSSO, ALINA KABAEVA
Stavolta l’uno-due diretto, personale, contro Putin è micidiale.
Per la prima volta viene colpito lui, Vladimir Vladimirovich. Gli Stati Uniti vanno a sanzionare asset collegati al presidente della Federazione Russa tra cui quattro nuovi yacht che gli americani considerano suoi, oltre l’ormai famoso Scheherazade (sequestrato a Marina di Carrara da Mario Draghi) e tre società in paradisi fiscali offshore, e ieri l’Europa – resistendo ad alcune pressioni in extremis arrivate da Orban – ha colpito la compagna di Putin, Alina Kabaeva, vietandole l’ingresso in tutti i Paesi dell’Unione e ordinando il sequestro degli asset a lei riconducibili. Andare a caccia del tesoro personale di Putin non è, chiaramente, un segno di appeasement.
Se due settimane fa il National Security Council americano aveva fermato le sanzioni già pronte per la Kabaeva temendo che questa misura potesse favorire una ulteriore escalation, ci ha pensato l’Europa a farlo, e a questo punto l’amministrazione Biden non potrà che seguire.
Allo stesso tempo il Tesoro americano il 2 giugno ha sanzionato e posto le basi del sequestro di quattro yacht e tre società «direttamente collegate a Putin» senza più intermediazioni. Le società sono o a Cipro o nelle isole caraibiche di legislazione britannica: la Ironstone Marine Investments, sede alla SCF Unicom Tower, in Maximou Michailidi Street nel quartiere Neapolis di Limassol.
La società Jsc Argument, con sedi a Mosca e Gelendzhik (dove c’è il palazzo sul mar Nero del presidente russo, raccontato dall’inchiesta di Alexey Navalny). La società O’ Neill Assets Corporation, aperta nelle Cayman Islands, con sede anche a Cipro. Queste scatole offshore sono state create, scrivono gli Stati Uniti, per nascondere tra l’altro altri quattro yacht che per il Tesoro americano sono proprietà diretta di Putin: il Graceful, spostato a Kaliningrad da Amburgo poco prima dell’invasione dell’Ucraina. Il Nega. L’Olympia. Lo Shellest.
Il Dipartimento del Tesoro ha anche affermato che Putin utilizza lo yacht Nega per viaggiare nel nord della Russia, che invece lo Shellest si reca periodicamente davanti al suo palazzo sul Mar Nero, e che Putin ha fatto numerosi viaggi nel Mar Nero con il Graceful e l’Olympia.
Gli Usa sanzionano poi una società cruciale, di cui dovrete ricordare il nome. Si chiama Imperial Yachts, sede a Montecarlo e Mosca e, secondo un affidavit in un tribunale americano firmato dal Fbi, «è specializzata nel nascondere la proprietà di yacht dietro società di comodo incastrate una nell’altra, e di elencare un individuo di comodo, quindi non autorizzato come proprietario effettivo, dietro le società di comodo al fine di nascondere il vero proprietario effettivo».
Imperial Yacht nega, sostiene di non aver avuto rapporti con soggetti sanzionati, e annuncia di aver fatto causa al Fbi. Gli americani non menzionano in questa tornata lo Scheherazade, lo yacht di Putin sequestrato in Italia (che fu varato in mare sotto la gestione, appunto, della Imperial Yachts), ma in un procedimento connesso hanno sequestrato uno yacht alle isole Fiji, di nome “Amadea”: queste due barche, del valore complessivo attuale di due miliardi, sono formalmente intestate a un russo ex presidente di Rosneft, considerato un proxy di Igor Sechin (ex del Kgb e boss di Rosneft), che si chiama – come rivelò La Stampa – Eduard Khudainatov.
Notizia: ieri l’Unione europea – su richiesta formale del governo Draghi – ha inserito Khudainatov nella lista delle sanzioni. Cosa importante per gli americani, che possono ora fare altrettanto, ma anche perché Khudainatov ha comprato anni fa Villa Altachiara a Portofino la sontuosa residenza venduta, dopo la tragica morte della contessa Francesca Vacca Agusta, dal suo compagno Maurizio Raggio.
Fonti investigative italiane ritengono a questo punto «inevitabile» che la magione finisca sequestrata. E lo yacht di Putin a Marina di Carrara non tornerà più nelle mani del presidente russo. E poi c’è lei. Alina Kabaeva. Forse diventata di recente seconda moglie di Putin, la donna che un report classificato dell’intelligence americana nomina già dal 2016 «beneficiaria della ricchezza del signor Putin».
Ex campionessa di ginnastica, poi nel board di NMG, il gruppo tv di Kovalchuk di cui Putin l’ha messa a capo d’imperio, Kabaeva comanda Channel One, Russia e Ren TV, da dove ogni sera gli anchormen Vladimir Solovyov, Olga Skabeyeva e Dmitry Kiselyov intossicano la Russia di propaganda guerrafondaia e minacce di guerra nucleare all’Occidente. Lei non è da meno, quanto a proclami guerrafondai: «Ogni famiglia – ha detto di recente – ha una storia legata alla guerra.
La ginnastica russa uscirà rafforzata da questo isolamento, vinceremo». Il Regno Unito, che l’ha già sanzionata, sostiene che «Putin fa affidamento sulla sua rete di familiari, amici d’infanzia ed élite selezionata che hanno tratto benefici dal suo governo e, a loro volta, supportano il suo stile di vita. La loro ricompensa è un’influenza sugli affari dello stato russo che va ben oltre le loro posizioni formali». Kabaeva negli ultimi anni ha vissuto per lo più in Svizzera, in una dimora con eliporto a Cologny, vicino a Ginevra (dove soci di Putin arrivavano in elicottero), e forse in un’altra vicino a Lugano. Che le possieda formalmente è da dimostrare, di sicuro sono proprietarie di grossi beni immobiliari la sorella, la mamma, la nonna. Il tesoro di Putin è, in fondo, una grande Famiglia.
(da “La Stampa”)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
A UN CERTO PUNTO IL CONDUTTORE GLI HA CHIESTO DI SVELARE ALCUNI RETROSCENA POLITICI E IL SENATORE NON HA SAPUTO DIRE DI MEGLIO CHE “LO SCRIVO NEL MIO LIBRO”
Dodici citazioni nell’arco di quarantatré minuti. L’intervento di Matteo Renzi a Piazzapulita è stato un’occasione per confrontarsi sui più bollenti temi d’attualità, ma anche e soprattutto un continuo spot al libro appena pubblicato.
Non è bastato il supporto della regia, che ha a più riprese mandato in onda la copertina de “Il Mostro”. Il vero valore aggiunto, di fatto, lo ha regalato l’autore, che ha imbastito gran parte dell’ospitata poggiando sui contenuti della sua ultima fatica.
Dodici menzioni, dicevamo. Numero pieno, nel senso che non tiene conto degli ‘imboccamenti’ degli interlocutori, Corrado Formigli e Antonio Padellaro.
Per intenderci: “Ho letto il suo libro”, “ho speso 17 euro e 90”, “il suo libro dà la sensazione che se la magistratura ti acchiappa, ti distrugge” e così via.
Al netto di ciò, ci ha pensato Renzi a regalare un’uscita tutta rivolta all’autopromozione, tanto legittima quanto smodata. “Chi leggerà il libro scoprirà certe incongruenze”, “chi questo libro l’ha letto davvero sa che non c’è nessun attacco ai magistrati”, “questo libro non attacca i magistrati”. Fino agli interminabili “nel libro dico che…” e “nel libro spiego che…”.
Un refrain che non si è interrotto nemmeno quando Formigli ha allargato il campo, chiedendo di svelare alcuni retroscena politici, come la mancata nomina di Nicola Gratteri a ministro della giustizia: “Lo scrivo nel libro”, ha risposto Renzi.
Ed ancora: “L’ho scritto nel mio libro, credo vi sia stata un’ampia sollevazione da parte di tanti magistrati che fecero pressione”. Identico discorso quando è stato tirato in ballo l’ex presidente del Senato: “Nel libro parlo di Piero Grasso”.
Passando per la dedica finale, con Renzi che ne ha approfittato per omaggiare Fabio Picchi, ristoratore scomparso pochi mesi fa e spesso presente a Piazzapulita. Un ultimo passaggio perdonabile, che tuttavia non annulla il giudizio di fondo, ovvero quello di un faccia a faccia legato a doppio filo all’uscita de “Il Mostro”.
Lecito domandarsi se l’ex premier avrebbe accettato l’invito di Formigli senza libro di mezzo. Come per attori e showman, pure per la politica l’opera da lanciare diventa pretesto per un’incursione.
Renzi in tal senso è in ottima compagnia. Motivo per cui la questione assume contorni rilevanti.
Serve la garanzia di uno spazio ‘pubblicitario’ per godere della partecipazione di un personaggio in un contesto generalmente ostile? Il libro, pertanto, sembra essere diventato il compromesso per arrivare ad un politico che, altrimenti, mai navigherebbe in determinate acque. E il patto, alla fine, accontenta tutti.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
ESERCITO RUSSO IN DIFFICOLTA’ ANCHE IN LUGANSK
La 35ma armata della Federazione russa sarebbe stata quasi interamente distrutta dalle truppe ucraine: lo ha annunciato Andriy Yermak, il capo dell’Ufficio del presidente ucraino, con un messaggio sul suo canale Telegram. Lo scontro sarebbe avvenuto a Izyum, nella regione nord-orientale di Kharkiv.
Secondo l’Institute for the Study of War, il think tank della difesa statunitense, le forze di Mosca «continuano ad affrontare problemi nel controllo sociale e nel contenimento delle azioni della resistenza»: l’Isw evidenzia come le forze russe non siano riuscite a riconquistare le posizioni perdute nell’oblast di Cherson e abbiano continuato piuttosto a difendere le posizioni precedentemente occupate.
Oltre a Izyum, inoltre, le offensive delle truppe del Cremlino sarebbero fallite anche a ovest di Lyman, mentre un’avanzata importante a Sloviansk viene ritenuta «improbabile».
A Severodonetsk, nel frattempo, nonostante i piccoli successi ottenuti dalle truppe russe, la controffensiva ucraina prosegue senza sosta: secondo quanto riporta la Bbc, nonostante l’avanzata dei russi verso la conquista apparisse «lenta ma inesorabile» nelle ultime settimane, oggi il governatore regionale di Lugansk ha annunciato una svolta nei combattimenti. «Non appena avremo abbastanza armi occidentali a lungo raggio, spingeremo la loro artiglieria lontano dalle nostre posizioni. E poi, credimi, la fanteria russa scapperà e basta»: queste le parole di Serhiy Haidai, secondo cui i difensori della città sarebbero riusciti a rivendicare circa un quinto di Severodonetsk. E sarebbero in grado di continuare a resistere.
(da Open)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
IL COMMENTO DI CALENDA: “QUESTO NON SA CHE FARE QUANDO SI ALZA IL MATTINO”
Alla fine è esplosa come una bolla di sapone l’ipotesi di un viaggio a Mosca di Matteo Salvini. “Avevo annunciato che ci sarebbe stata la possibilità di un viaggio in Turchia e in Russia – le parole del leader leghista – per confrontarmi con soggetti istituzionali per raggiungere due obiettivi: distensione e difesa dell’interesse nazionale italiano. Preso atto delle reazioni scomposte dei colleghi di governo, mi sono confrontato con i vertici della Lega e abbiamo convenuto di imboccare altre strade”.
Il segretario del Carroccio, in occasione del tour elettorale in Friuli Venezia Giulia, ha dichiarato ai quotidiani Il Piccolo e Il Messaggero Veneto di aver accantonato l’idea di partire per la Russia, molto criticata all’interno dell’esecutivo perché avrebbe scavalcando il ruolo di Mario Draghi.
Il presidente del Consiglio aveva chiesto “trasparenza” agli alleati ribadendo: “Il governo è allineato coi partner del G7 e dell’Ue e intende proseguire su questa strada”.
“Salvini cerca di lucrare un vantaggio elettorale sulle persone, e sono tante in Italia, che sono angosciate dalla guerra, ma non realizzano che la pace si può fare solo se la vuole Putin”, ha dichiarato a Sky Tg 24 Carlo Calenda.
“La smetta di fare questa buffonata – ha aggiunto il leader di Azione – siamo un grande paese e non possiamo essere ostaggio di uno che non sa che fare la mattina quando si alza”.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
E’ IL CAPPELLANO DELLA ONG MEDITERRANEA SAVING HUMANS
A soli 28 anni, Don Mattia Ferrari – cappellano e assistente spirituale dell’ong Mediterranea Saving Humans – è già nel mirino della criminalità libica.
Da un anno la Procura di Modena monitora i profili che sui social lo bersagliano per il lavoro che fa, che gli permette di stare a contatto con le persone che scappano in cerca di un futuro migliore, e che raccontano i soprusi vissuti in patria, mostrano le ferite, evocano i ricordi.
Nonostante le intimidazioni lui però va avanti e non perde di vista le questioni fondamentali: “Queste minacce non devono far dimenticare qual è il vero bersaglio, le persone migranti in Libia. Loro sono i protagonisti di questa storia, noi siamo gli aiutanti”, dice in un’intervista a La Stampa.
“Il disegno della mafia libica – aggiunge – è provare a eliminarci per lasciare da soli i migranti. Vorrebbero che ci fosse un grande muro tra Italia e Libia in modo che i migranti non riescano a passare. Noi abbiamo aperto una breccia in questo muro e questo fa arrabbiare la mafia libica”.
Ferrari ha raccontato la vicenda di Sami, giovane del Camerun passato per la Libia per provare ad attraversare il Mediterraneo: è stato catturato e finito nei lager, dove lo hanno torturato fino alla morte: “Era cattolico, voleva la benedizione. I compagni mi hanno chiamato e mi hanno fatto parlare con lui. L’unica cosa che ho potuto fare è stata chiedere di perdonarci per l’ingiustizia di questo sistema che lo ha costretto a lasciare il Camerun e per il coinvolgimento dell’Italia e dell’Ue nei respingimenti. Il giorno dopo aver parlato con me è morto”.
Se la prende con l’Ue, Don Mattia, perché tramite l’agenzia Frontex “viola le norme internazionali sancite dalla convenzione di Ginevra”. “Non è questa l’Europa che sogniamo – conclude – dovrebbe essere fedele ai suoi valori invece come vediamo lungo tutti i confini europei è la negazione di sé stessa”.
(da NextQuotidiano)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
PRECISI E LETALI, COLPISCONO A 80 KM DI DISTANZA
Nei giorni scorsi il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato l’undicesimo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina per difendersi dall’aggressione della Russia, un nuovo e significativo contributo che abbraccia anche il sistema d’arma M142 High Mobility Artillery Rocket System (HIMARS).
Si tratta di un mezzo lanciarazzi multiplo su ruote, leggero ad elevata mobilità e precisione. Non a caso alcuni analisti militari ritengono che l’invio di queste letali armi possa segnare un cambio di passo nel conflitto, garantendo a Kiev migliori opportunità di difesa (e contrattacco), ma senza attacchi sul territorio russo.
L’amministrazione ucraina ha infatti garantito agli USA che non sfrutterà questi sistemi per colpire basi e città della Federazione Russa; il loro impiego in tal senso, del resto, potrebbe seriamente innescare un catastrofico allargamento del conflitto, come sottolineato più volte dal Cremlino. Per scongiurare questo rischio la Casa Bianca ha deciso di inviare missili per il sistema HIMARS che non superano gli 80 chilometri di gittata, sebbene possa essere equipaggiato con munizioni a lungo raggio in grado di raggiungere i 300 / 500 chilometri. Ecco cos’è e come funziona questa arma.
Il termine HIMARS è l’acronimo di High Mobility Artillery Rocket System, ovvero sistema lanciarazzi d’artiglieria a elevata mobilità. È prodotto dalla divisione Missiles and Fire Control (MFC) di Lockheed Martin, una delle più grandi aziende al mondo specializzate nella difesa, nel settore aerospaziale e nelle tecnologie applicate agli armamenti. L’arma è stata progettata negli anni ’90 per migliorare l’efficienza, la mobilità e l’adattabilità dei sistemi MLRS M270 A1, lanciarazzi multipli analoghi agli HIMARS ma basati su mezzi cingolati. Il nuovo sistema, entrato in servizio nel 2010 e impiegato nella guerra in Afghanistan (2001 – 2021), in Siria e in Iraq, è invece installato su un camion da 5 tonnellate M1140, appartenente alla famiglia di veicoli tattici medi (FMTV) dell’esercito.
Sul sito ufficiale dell’azienda l’HIMARS viene definito come “la soluzione di artiglieria tecnicamente più avanzata, economica e sostenibile” attualmente a disposizione.
“Il futuro campo di battaglia è imprevedibile, il che rende l’adattabilità sempre più importante. A volte ciò richiederà di portare il combattimento in luoghi precedentemente ritenuti irraggiungibili”, specifica Lockheed Martin, ponendo l’accento sulla versatilità del sistema.
Il mezzo, che può essere trasportato anche su aerei C-130 e di dimensioni superiori, può raggiungere i 94 chilometri orari di velocità massima e ha un’autonomia di poco inferiore ai 500 chilometri. Una volta schierato sul campo è pronto a scagliare le sue micidiali munizioni di precisione – intercambiabili con quelle del MLRS M270 A1 – in un range compreso tra i 15 e i 500 chilometri.
I sistemi HIMARS possono essere armati con diverse tipologie di munizioni: 6 razzi guidati M30/M31 per il Multiple Launch Rocket System (MLRS) con una portata massima di 80 chilometri; 6 razzi Extended-Range Guided MLRS (ER GMLRS) da 150 chilometri; 1 missile Army Tactical Missile System (ATACMS) da 300 chilometri; o 1 missile Precision Strike Missile (PrSM) da 500 chilometri.
L’Ucraina, come specificato, riceverà dagli Stati Uniti soltanto le munizioni entro un range di 80 chilometri. Il sistema ha comunque una gittata sensibilmente superiore rispetto agli obici M177 da 155 millimetri, l’arma più potente finora consegnata dagli USA e dal Canada, che si ferma a circa 25 chilometri di portata. Il sistema di puntamento, a guida satellitare GPS, permette inoltre di colpire i bersagli rapidamente e con estrema precisione (migliorata anche dalle alette canard sui razzi).
Per tutte queste ragioni l’HIMARS rappresenta una serissima minaccia per le batterie dell’artiglieria russa. Inoltre, come riportato dal Guardian, operando a 80 chilometri sarebbe al di fuori della loro portata.
Non tutti gli analisti ritengono che il sistema possa garantire una reale svolta sul campo di battaglia, tuttavia i benefici tattici e strategici per Kiev saranno evidenti, anche alla luce della notevole affidabilità dimostrata nelle esercitazioni e in teatri di guerra.
L’HIMARS può addirittura sparare da sopra una nave, anche se non sarà certo questo l’impiego nel conflitto in Ucraina. Bastano tre militari per farlo funzionare e l’addestramento dei soldati è rapido.
(da Globalist)
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