Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
LA LEADER DI FDI HA DEI PROBLEMI A RAPPORTARSI CON LE OPINIONI DEI GIORNALI: BASTA FARE LA MARTIRE, OGNUNO E’ LIBERO DI DIRE QUELLO CHE GLI PARE SENZA ESSERE INSULTATO, NON SIAMO ANCORA IN UNGHERIA O IN RUSSIA
Com’è evidente da sempre, ci sono i fatti e ci sono le opinioni. In un mondo in cui le vere notizie stanno diventando sempre meno (perché sono sempre più le persone che riescono a darle in anteprima, visto lo strapotere dei social network), i giornali si popolano di opinioni.
E queste ultime, per loro stessa natura, sono schierate e soggettive. Di conseguenza, è del tutto normale – in un processo democratico – che Corrado Formigli faccia un tweet chiedendosi se Giorgia Meloni condannerà in maniera indignata l’omicidio di Civitanova Marche, è del tutto normale che il direttore di Domani Stefano Feltri scriva un editoriale in cui ravvisa l’utilizzo del linguaggio d’odio da parte di una certa destra, è del tutto normale che l’Huffington Post prenda in considerazione la differenza di comunicazione e dei toni di comunicazione tra la pagina Facebook di Giorgia Meloni e il suo canale Telegram.
Piuttosto strano, invece, nell’ambito della comunicazione politica e nell’ambito dell’utilizzo dei social network da parte delle varie parti in causa che concorreranno alle elezioni del 25 settembre, è la condivisione – sulle pagine social di riferimento – degli articoli e delle opinioni di questi giornalisti e di queste testate che hanno in qualche modo espresso dissenso rispetto all’operato di Giorgia Meloni o del suo stile di comunicazione.
Corrado Formigli, nella sua lettera aperta alla leader di Fratelli d’Italia pubblicata su La Stampa, ha chiesto di individuare il terreno all’interno del quale dovrà muoversi il rapporto tra politica e stampa (e tra un certo tipo di politica e un certo tipo di stampa) nella campagna elettorale e con la nuova compagine di governo che guiderà il Paese: «Nel caso – ha scritto Formigli -, si occupi di amministrare e lasci stare chi la critica, anche aspramente. Non cada nella tentazione di misurare il nuovo potere».
Dopo aver dato dello “sciacallo” a Formigli, nella giornata di ieri, Giorgia Meloni ha attaccato il quotidiano Domani e il suo direttore Stefano Feltri: «In teoria – ha scritto – non bisognerebbe neanche rispondere al direttore di un quotidiano che nemmeno compare nelle classifiche di diffusione. Nella pratica, però, l’odio diffuso in modo scientifico e consapevole da parte della sinistra è un elemento molto pericoloso per la nostra democrazia. La domanda è: se io e Fratelli d’Italia, come gli altri esponenti di centrodestra, siamo meno che umani, cioè dei demoni che si accingono a devastare l’Italia e il mondo, non dovrebbe essere legittimo, o addirittura doveroso, fermarci con ogni mezzo? Anche le menzogne sulla stampa, anche la persecuzione giudiziaria. Ma anche la violenza. C’è qualcuno che vuole esitare davanti alla possibilità di fermare con la violenza le forze del male? Chi uccide un demone (demonizzato dalla sinistra), non è forse un santo e un eroe, e non un criminale e un terrorista?».
Oggi, invece, è stata la volta di un post su Facebook che riguarda l’Huffington Post: «Il solito titolo fuorviante. Sul mio canale Telegram vengono rilanciati gli stessi e identici contenuti degli altri miei social. Per chi volesse verificare (e iscriversi)»:
La domanda che ci facciamo è: sarà una costante di questa campagna elettorale l’esposizione di titoli di giornale che vadano in contrasto con le opinioni espresse dai singoli candidati? E cosa succederà – come si è chiesto Formigli – dopo le elezioni?
(da Giornalettismo)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
GETTA LA MASCHERA ANCHE IL FONDATORE DI FRATELLI D’ITALIA, PORTATO IN GIRO DAI SOVRANISTI COME LA STATUA DELLA MADONNA PER DIMOSTRARE CHE IN FDI CI SONO “PERSONE MODERATE”
È stato spesso ospite all’interno degli studi di La7, con incontri e scontri (soprattutto con Corrado Formigli, all’epoca dell’inchiesta sulla “Lobby Nera”) con i conduttori e gli altri ospiti in studio.
Ma ieri sera, per la prima volta, c’è stata una discussione in diretta tra Guido Crosetto e Paolo Celata. Il giornalista, al timone di guida della trasmissione “La corsa al voto”, ha spostato l’attenzione su Giorgia Meloni e la sua idea politica di “famiglia” (partendo dall’aborto). E questa è stata la miccia che ha acceso il confronto.
Rispondendo ad Alessandro De Angelis, Crosetto ha posto l’accento sulla libertà di espressione di pensiero di Giorgia Meloni sul diritto di interruzione di gravidanza, in quanto cattolica, sottolineando anche come l’abolizione della legge 194 non sia mai stata nel programma elettorale di Fratelli d’Italia.
Ed è qui che Celata è entrato in tackle: “Ma ne ha parlato in un evento pubblico. Parla di famiglia e non è sposata”.
Poi la replica piccata dell’ex deputato: “Guardi che la famiglia non vuol dire essere sposati o meno. Se poi lei ce l’ha con la Meloni, se la chiami qua e ci si confronti. Io capisco che la linea di questa rete sia contro la Meloni e fate bene a dimostrarlo fin dal primo giorni. È un’evidente linea di questa rete. Lo state dimostrando anche oggi, tanto è chiaro a tutti. La linea di questa rete, del direttore. È chiarissima questa rete”.
Celata smentisce questa ricostruzione fatta da Crosetto e spiega come un talk debba esser fatto di dibattito tra i vari protagonisti.
E l’ex deputato, poi, tira in ballo quel botta e risposta (social) avuto tra il giornalista e conduttore di La7 Corrado Formigli e Giorgia Meloni sulla morte di Alika Ogochukwu a Civitanova Marche. Poi la situazione si placa e, a differenza delle volte precedenti, Crosetto non si alza e non se ne va.
Nel frattempo, infatti, Alessandro De Angelis è intervenuto per sottolineare come Giorgia Meloni dovrebbe accettare gli inviti di La7 per un confronto in studio e in diretta, come accade già in passato al duo Santoro-Travaglio e quella famosissima intervista a Silvio Berlusconi.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
DOMANI VERTICE CON LORO… IL RISCHIO CHE SI ALLEINO CON IL M5S E’ REALE… RENZI VA PER CONTO SUO
L’accordo tra Pd e Azione ha provocato la reazione di Europa Verde e Sinistra Italiana che domani incontreranno Enrico Letta in un vertice in vista delle prossime elezioni.
“Prendiamo atto dell’accordo tra Azione, +Europa e il Partito democratico, è un accordo che non ci riguarda, tra le altre cose non ne condividiamo molte cose nel merito delle questioni programmatiche. Non c’è alcun diritto di tribuna. Noi siamo una lista che ha un progetto politico che si sta radicando nel Paese, non abbiamo bisogno di diritti di tribuna”.
Così Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, commentando la proposta di Enrico Letta di offrire un diritto di tribuna ai leader dei partiti che si apparenteranno con il Partito democratico alle prossime elezioni.
“Offerta generosa, ma non ci riguarda, non ne abbiamo bisogno”, ha aggiunto il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. “Correremo perché siamo convinti di ottenere un grosso risultato nella società – continua Bonelli – a differenza di chi oggi ha un risultato drogato dalla grande esposizione mediatica che non corrisponde alla presenza elettorale e sociale nel Paese. Su questo chiederemo che ci sia, non dico una par condicio, ma un’attenzione su questo aspetto”, conclude il portavoce di Europa Verde.
Enrico Letta ha deciso di convocare per domani un incontro con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che avrà presumibilmente come oggetto proprio la ridiscussione di alcune condizioni dell’alleanza dopo il patto siglato con Calenda e Della Vedova.
Nel frattempo, fa capolino all’orizzonte un nuovo scenario: quello di una possibile alleanza di Si-Verdi con il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. Se l’Asse col Pd dovesse saltare, quindi, è questa l’ipotesi più papabile che si affaccia per le realtà politiche di Fratoianni e Bonelli. Interpellati in merito, i due leader non si sono sbilanciati e hanno pronunciato un laconico “valuteremo”.
Dopo l’accordo fra Enrico Letta e Carlo Calenda, Matteo Renzi annuncia la linea di Italia Viva: mai alleati con chi ha fatto cadere il governo Draghi. È il preambolo di una corsa solitaria, che potrebbe portare Renzi e i suoi fuori dal Parlamento.
L’accordo tra Enrico Letta e Carlo Calenda in vista delle elezioni del 25 settembre non chiude esplicitamente le porte all’ingresso in coalizione di Italia Viva. Il patto elettorale tra Partito democratico e Azione +Europa, infatti, considera altre liste all’interno dell’alleanza e si limita a mettere dei paletti per quel che riguarda le candidature all’uninominale: i leader di partito dovranno guadagnarsi l’elezione con la propria lista, nella componente proporzionale del Rosatellum. Tuttavia, anche a giudicare dalle reazioni di queste ore, l’accordo sembra la pietra tombale su ogni possibilità di ingresso dei renziani nella coalizione che proverà a contendere al centrodestra e al Movimento 5 stelle la guida del Paese.
C’è prima di tutto da considerare un dato politico: Carlo Calenda ha fatto capire di preferire la concretezza dell’alleanza con il Pd alla costruzione di un polo di centro, a forte connotazione liberale, che potesse essere autonomo alle politiche.
È saltato il percorso immaginato da Matteo Renzi e da altri esponenti centristi, probabilmente anche per effetto della rottura tra democratici e Movimento 5 stelle, che di fatto aveva già spostato verso il centro l’asse di qualunque coalizione a guida Pd. La grande casa della famiglia liberale e moderata, insomma, non la vedremo nemmeno a queste elezioni: resta una suggestione, un insieme di leader con pochi voti che ha provato a costruire un progetto politico intorno a Mario Draghi, un leader che peraltro non aveva alcuna intenzione di fasi coinvolgere.
Italia Viva, che più di tutti aveva lavorato a tale progetto, si trova isolata, proprio mentre comincia la grande rincorsa dei centristi senza esercito a un seggio nella prossima legislatura. Se è vero che Calenda stesso ha specificato che “non ci sono veti dal punto di vista della coalizione”, è chiaro che Renzi non può ridursi a mendicare un seggio in qualche uninominale per i suoi fedelissimi. Non per lui, attenzione. Già, perché non sfuggirà che uno dei punti dell’accordo vieta espressamente che all’uninominale sia possibile candidare “i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5S (usciti nell’ultima legislatura), gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)”. Questo vuol dire che, anche nel caso di un accordo tra Iv e Pd/Azione/+Europa, Matteo Renzi non potrebbe essere candidato nei collegi uninominali, men che meno avere un seggio blindato.
E, dunque, dovrebbe provare a farsi eleggere al proporzionale, raggiungendo la soglia di sbarramento del 3%. L’alternativa sarebbe entrare nelle liste del Partito democratico, sfruttando quello che Letta chiama “diritto di tribuna per i leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra”, per farsi eleggere. Piuttosto improbabile, nel suo caso.
La legge elettorale è un altro dei motivi che spingono Italia Viva ad andare da sola alle prossime elezioni. La soglia di sbarramento nazionale al 3% è un ostacolo importante, che rischia di tenere i renziani fuori dal Parlamento. Da questo punto di vista, andare in coalizione con Letta e Calenda potrebbe essere finanche controproducente, perché il rischio di rimanere stritolati da formazioni con offerte politiche molto simili è davvero alto. Andare da soli significherebbe marcare comunque una discontinuità, una differenza che potrebbe magari attrarre gli elettori centristi che non digeriscono coalizioni ampie ed eterogenee, piene di transfughi e trasformisti.
Sul piano comunicativo, poi, Renzi spera di beneficiare indirettamente di un possibile ingresso in coalizione dei Verdi/Sinistra Italiana, che gli consentirebbe di impostare una campagna elettorale molto aggressiva. In effetti, per quanto il programma di Pd/Azione sia pieno di richiami all’agenda Draghi, la presenza di esponenti che a quel governo non hanno votato la fiducia potrebbe dare ai renziani lo spazio per rivendicare di essere l’unica forza coerente fino in fondo.
Da soli e alla ricerca di un complesso 3%, però.
(da Fanpage)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
E’ UNO DEGLI EFFETTI OBBLIGATI DELL’ACCORDO TRA CALENDA E LETTA
Luigi Di Maio potrebbe essere candidato nelle liste e col simbolo del Partito democratico. Non è una boutade estiva o un colpo di calore di qualche giornalista, ma un’ipotesi che potrebbe concretizzarsi prima del previsto.
A determinare questo scenario che solo qualche mese fa sarebbe stato bollato come surreale è l’accordo siglato dal Partito democratico e Azione +Europa, fulcro della coalizione che contenderà al centrodestra la guida del Paese alle prossime elezioni politiche del 25 settembre.
Uno dei punti principali del patto firmato da Letta e Calenda, infatti, prevede l’impossibilità di candidare nei collegi uninominali “i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5S (usciti nell’ultima legislatura), gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)”.
In soldoni, ciò significa che Luigi Di Maio, sia in quanto leader di Impegno Civico (il partito fondato assieme a Bruno Tabacci), sia in quanto ex parlamentare del Movimento 5 stelle, non potrebbe correre per un seggio all’uninominale, ovvero sfidare direttamente gli avversari delle altre coalizioni per ottenere un posto in Parlamento.
Di conseguenza, l’unica strada per essere rieletto sarebbe ottenere un seggio nella quota proporzionale. Il problema è che la legge elettorale prevede la soglia di sbarramento al 3%, un ostacolo troppo alto per il partito del ministro degli Esteri. Dunque, davvero nella prossima legislatura non ci sarà spazio per Di Maio, Tabacci e altri ex grillini?
No, perché è arrivato il soccorso del Pd di Enrico Letta. Con un comunicato ufficiale, il segretario democratico ha spiegato di voler garantire il “diritto di tribuna” ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale.
Tradotto: nelle liste del Pd al proporzionale ci sarà spazio per tutti gli esclusi dal patto con Azione, oltre che per quei leader che non riusciranno a entrare in Parlamento causa soglia di sbarramento alta. Luigi Di Maio è tra questi.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
MA SE SONO “ANTISISTEMA” PERCHE’ ACCETTANO LE REGOLE DEL SISTEMA, PRESENTANDOSI ALLE ELEZIONI?
Quanto valgono nelle urne le istanze delle proteste no green pass e no vax? In un paese come l’Italia, dove lo schieramento di centrodestra è saldamente egemonizzato da una destra destra come quella di Meloni e Salvini che su nazionalismo, immigrazione e difesa della famiglia tradizionale non ha niente da invidiare all’estrema destra, il complottismo e i discorsi sulla dittatura sanitaria sono spesso l’unico spazio di mercato politico dove l’estrema destra si è potuta riciclare per trovare un po’ di visibilità e un “popolo” a cui rivolgersi, come racconta l’assalto alla Cgil del 9 ottobre 2021.
Ma l’equazione liste no vax estrema destra è sbagliata. All’interno troviamo un po’ di tutto: i comunisti sovranisti, gli antivaccinisti della prima ora, professionisti della teoria del complotto, gli ossessionati da Bibbiano e dalla teoria del gender.
Ora a raccogliere i furori delle piazze no vax e no green pass non c’è una sola lista, ma diverse simboli e coalizioni, che ricordiamolo dovranno superare lo scoglio della raccolta delle firme per mettere il simbolo sulla scheda.
L’unico sicuro di partecipare è Gianluigi Paragone con Italexit, che è anche l’unica forza politica “antisistema” (come si auto nomina il magma di sigle e personalità di cui parliamo,) presa in considerazione dai sondaggi.
Ma non c’è solo Paragone, un po’ ovunque troviamo parlamentari eletti nelle liste del Movimento 5 Stelle e poi espulsi o fuoriusciti, che erano entrati nel partito di Grillo proprio perché aveva coagulato attorno a sé molta della mobilitazione contro il decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale.
Sì, perché la storia dei no vax non inizia nel 2019 con la pandemia di Covid: se non ci fossero stati una rete anti vaccinista, network complottisti, piccoli partiti sovranisti e dei discorsi politici già consolidi (per quanto minoritari), sarebbe stato molto più difficile il coagularsi del fronte contro il green pass in piazza. E questo è evidente guardando biografie e storie dell’arcipelago che stiamo andando a raccontare.
C’è poi un effetto paradossale dato dalla crisi del Movimento 5 Stelle e dalla sua progressiva istituzionalizzazione: è probabile che non ci sarà neanche un parlamentare no vax nel prossimo parlamento, e che il frastagliato panorama delle forze anti sistema, nonostante gli appelli all’unità, non elegga nessuno. Ciò non toglie che le loro istanze politiche continueranno a permanere nel nostro panorama politico, e che un domani potrebbe conquistare anche settori politici della destra più istituzionale se sapranno ben organizzarsi, come ad esempio è successo negli Stati Uniti con i seguaci di QAnon in grado di far eleggere esponenti politici a tutti i livelli nel partito Repubblicano.
Italexit di Giangluigi Paragone
La forza più rappresentativa delle forze “anti sistema” è sicuramente Italexit. Il partito del senatore uscente Gianluigi Paragone, eletto con il Movimento 5 Stelle e successivamente espulso per la sua contrarietà al Governo Conte II, nei sondaggi è dato attorno al 2-3%. Il nome del movimento si rifà ovviamente all’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, sia politica che monetaria, ma in questi mesi si è distinto anche per la contrarietà alla vaccinazione obbligatoria e al green pass.
E non è un caso: Paragone è stato a lungo vicino alla Lega (è stato anche vicedirettore della Padania), il suo avvicinamento al Movimento 5 Stelle arriva durante la compagna contro il decreto sulla vaccinazione obbligatoria del Ministro della salute Beatrice Lorenzin. Proprio Paragone ha portato in piazza nei mesi delle proteste il virologo francese Luc Montaigner, star del movimento scomparso nel febbraio scorso, ed è di qualche giorno fa che la notizia che nelle sue liste ha imbarcato il leader dei portuali di Trieste Stefano Puzzer, che ha guidato la protesta contro il passaporto vaccinale. In Italexit, che andrà da solo alle elezioni non avendo racconto gli appelli all’unità delle sigle “antisistema”, troviamo anche William De Vecchis, senatore di Fiumicino eletto nelle liste della Lega noto per la sua vicinanza all’estrema destra, e altri tre parlamentari transfughi del M5S: Mario Giarrusso, Carlo Martelli, e Jessica Costanzo.
Italia Sovrana e Popolare: l’ammucchiata no vax e pro Putin
C’è poi Italia Sovrana e Popolare, un cartello che raccoglie forze diverse che già da qualche anno calcano le scene dei palchi “antisistema”, piccole forze che insieme tentano il salto di qualità nelle urne e nella presenza mediatica.
C’è Ancora Italia di Francesco Toscano, evoluzione di Vox Italia che lo stesso Toscano fondò con Diego Fusaro qualche anno fa, che è il partito preferito dagli utenti di ByoBlu secondo un sondaggio della stessa piattaforma, e il Partito Comunista di Marco Rizzo, ormai più “bruno” che “rosso” schierato su posizioni no vax, sovraniste e contro l’ideologia gender. Rizzo è in buona compagnia, l’ala sinistra del movimento è composta anche da Antonio Ingroia, l’ex magistrato leader della “Lista per la Costituzione”, e da Stefano D’Andrea di Riconquistare l’Italia, mini partito che declina il sovranismo a sinistra.
Con Italia e Sovrana e Popolare ci sta l’ex pentastellata Bianca Laura Granato, grande fan di Vladimir Putin (un po’ come tutti da queste parti) e l’eurodeputata Francesca Donato, uscita dalla Lega. E poi una vecchia gloria dei complottismo in salsa antimperialista Fulvio Grimaldi (recentemente richiamato in servizio come commentatore filorusso nei salotti tv), lo youtuber Lambrenedetto, il medico no vax Daniele Giovanardi (fratello di quel Carlo Giovanardi), il professore universitario milanese no green pass Andrea Zhok e altri. Il capo politico di Italia Sovrana e Popolare è Giovanna Coloni, un’insegnante sospesa per aver rifiutato il vaccino.
3V, Stop 5g e Sara Cunial: nasce Vita
Vaccini Vogliamo Verità. Ecco per cosa stanno le 3V del partito anti vaccinista italiano. Nato subito prima dell’epidemia di Covid-19, coagulatosi dentro la battaglia contro al legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale, ne rappresenta una delle frange più intransigenti e ovviamente ha sposato e alimentato la battaglia contro il vaccino per il Covid-19 e contro le misure di chiusura e distanziamento. Sono già diversi anni che 3V si candida alle elezioni racimolando qua e là qualche successo in contesti locali, come a Rimini e, non a caso a Trieste, dove alle amministrative del 2021 ha superato il 4% dei consensi eleggendo in consiglio comunale. È il brand più consolidato dell’antivaccinismo italiano ma quelli di 3V non andranno da soli, contribuendo alla lista Vita. La frontrunner del gruppo è l’ex deputata no vax del Movimento 5 Stelle Sara Cunial, nota per aver parlato già nel 2018 di vaccini come “genocidio gratuito”, e che ha già annunciatodil suo impegno “per difendere gli italiani dalla quarta dose di vaccino” alla presentazione della lista.. Qui troviamo anche Davide Barillari, già consigliere pentastellato alla Regione Lazio (quello che negli uffici del consiglio regionale si è puntato per protesta una pistola al braccio) e Maurizio Martucci, dell’Alleanza Italiana Stop 5G, altro grande claim dei complottisti.
Di Stefano e Adinolfi uniti in “Alternativa per l’Italia”
L’ex vicepresidente e candidato a qualsiasi carica di CasaPound Simone Di Stefano, dopo aver fondato il suo movimento personale (“Exit”), si è unito con il leader del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi presentando la lista Alternativa per l’Italia. Il nome richiama esplicitamente il movimento xenofobo e di estrema destra Alternative für Deutschland. I due leader hanno fatto più volte appello all’unità dell’area antisistema ma non hanno ricevuto risposte positive ad unire le forze.
(da Fanpage)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
PER MOLTI MESI ERA STATA UNO DEI PUNTI DI RIFERIMENTO DEI NO VAX
Per molti mesi era stato uno dei punti di riferimento (mediaticamente parlando) di quell’universo negazionista del Covid in Italia.
Ma da ieri, lunedì 1 agosto, la famosa Torteria di Chivasso ha chiuso definitivamente i battenti. Non, come accaduto in passato, per aver violato le norme sanitarie prescritte nelle fasi più acute della pandemia. Ma per sfratto. Sulla vetrata esterna, infatti, è comparso un avviso firmato dagli Ufficiali Giudiziari del Tribunale di Ivrea.
La Torteria di Chivasso, che aveva sede – fino a ieri – in via Orti, non riaprirà più i battenti.
Come riportato dal quotidiano La Voce di Chivasso, già nelle scorse settimane la stessa proprietaria aveva provveduto a svuotare l’intero locale. Niente più tavolini, sedie. Il bancone vuoto. Così come la vetrina in cui venivano esposti tutti i prodotti messi in vendita nel corso dei mesi e delle settimane precedenti.
E dopo le battaglie contro i dpcm – sia quelli del governo Conte, che quelli firmati da Mario Draghi (comprese tutte le norme che hanno regolamentato la campagna vaccinale, con relativi obblighi per diverse categoria) – Rosanna Spatari non ha più quel suo locale di via Orti. Colpa di un’ingiunzione da parte degli Ufficiali Giudiziari del Tribunale di Ivrea che, procedendo allo sfratto, hanno messo i sigilli alla struttura. Il motivo? Come scrive Skytg24 il Tribunale di Ivrea ha dato esecuzione allo sfratto a causa delle morosità accumulate durante il 2021, , un debito che ammonta a una cifra di circa 10mila euro.
La stessa protagonista di moltissime battaglie dialettiche (e manifestazioni di piazza in giro per tutto il Nord Italia) ha detto che in suo favore ci sono due sentenze (ma non sappiamo quali) e che quindi avrebbe potuto avere una facile rivalsa su questa situazione di sfratto.
Ma sostiene di essere stanca ci lottare e di volersi riposare e, magari, procedere con la scrittura di un suo libro. Il tutto a meno di un mese da quando, parlando in piazza a Torino, aveva detto di esser pronta a rappresentare la voce dei no vax a Roma.
(da NextQuotidiano)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
UN REGOLAMENTO DI ARERA DEL 2018 RISCHIA DI ABBATTERSI SUI CONSUMATORI
Si chiama «socializzazione degli oneri» la nuova “spada di Damocle” che rischia di abbattersi sui consumatori di energia dal prossimo inverno.
In sostanza, un accumulo di bollette non pagate da società fallite e da utenti insolventi, che si traduce in un grosso debito da spalmare sulle tasche di chi, invece, paga regolarmente.
Una sorta di “contributo di solidarietà” che l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) ha introdotto nel 2018 e che, con ogni probabilità, ricadrà sui consumatori già provati da un anno di salassi energetici.
La stessa autorità guidata da Stefano Besseghini ha lanciato l’allarme attraverso una segnalazione pervenuta a Governo e parlamento, in cui ha sollecitato «ulteriori» interventi straordinari per far fronte alle forti criticità legate ai prezzi impazziti, in particolare negli ultimi giorni.
Un inverno pericoloso
Un S.O.S. che parte dagli attuali prezzi del gas, arrivati a 200 euro a megawattora, cui vanno aggiunti quelli previsti per i prossimi 3 mesi con le minacce dello stop all’erogazione del metano in pieno inverno da parte di Mosca. Si tratterebbe, per le bollette delle famiglie, «di un incremento di oltre il 100% rispetto al trimestre in corso», annuncia Arera. Una valanga che nemmeno gli aiuti del governo riuscirebbero a fermare. Gli interventi previsti dall’Esecutivo per contenere l’impennata, infatti, «non potrebbero evitare variazioni mai verificatesi dei costi», spiega l’Autorità. Costi, a loro volta, difficilmente sostenibili per tutti i consumatori, con potenziali ripercussioni sulla tenuta dell’intera filiera.
L’incognita dell’approvvigionamento energetico
In tale scenario va poi inserito il problema dell’approvvigionamento di gas ad agosto per il trimestre ottobre-dicembre, data la ridotta liquidità dei prodotti forward. Questo, avverte l’Ente regolatore dell’energia, potrebbe accentuare la volatilità dei prezzi del gas e provocarne l’ulteriore incremento. La combinazione di incertezze sull’effettiva disponibilità di gas e i prezzi alle stelle sta comportando difficoltà per gli esercenti a reperire i volumi necessari per soddisfare la domanda, anche per uso domestico. Per molti clienti finali, questo significa faticare a concludere contratti di fornitura a partire dal 1° ottobre prossimo. Arera spiega che sia grandi consumatori di gas che singoli operatori avrebbero già denunciato difficoltà a trovare volumi di gas all’ingrosso, il che non esclude, quale estrema ratio, la possibilità di attivare il servizio «default di trasporto» per garantire il gas ai venditori rimasti senza fornitore.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“TUTTO SI DECIDERÀ, COME SEMPRE, NEGLI ULTIMI DIECI GIORNI DELLA CAMPAGNA ELETTORALE”… “CALENDA? IN COALIZIONE COL CENTROSINISTRA SARÀ PIÙ COMPETITIVO”
Alessandra Ghisleri, sondaggista, direttrice di Euromedia Research, il vantaggio del centrodestra è già incolmabile?
«Ma no. Non bisogna basarsi solo sui dati usciti in queste settimane. Tutto si deciderà, come sempre, negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale».
Quali fattori incideranno?
«Intanto abbiamo un bacino del 40 per cento di indecisi che possono essere conquistati. Metà di questi quasi sicuramente non andrà a votare: dell’altra metà almeno il dieci si potrà fare allettare da qualche buona proposta, come spesso è avvenuto in passato».
Ovvero?
« La proposta di Silvio Berlusconi di eliminare l’Ici e l’Imu nel 2008; gli 80 euro in busta paga di Matteo Renzi alla vigilia delle Europee del 2014; il reddito di cittadinanza proposto dai Cinquestelle nel 2018; la flat tax di Matteo Salvini alle Europee del 2019. Incisero profondamente sul risultato finale».
Al centrosinistra serve un asso nella manica?
«Una proposta unitaria e concreta, che non destabilizzi e parli al suo elettorato».
Al momento ogni previsione rischierebbe di esser vana?
«I Cinquestelle, grazie allo stop del secondo mandato, hanno guadagnato qualche punto dopo mesi di calo ininterrotto nelle rilevazioni. Il che conferma, tra le altre cose, che il desiderio di protesta della gente non si è estinto».
Col taglio dei parlamentari come cambia la scelta dei candidati?
«Non si possono sbagliare le scelte. Alla Camera i collegi uninominali saranno di 400mila abitanti, al Senato di 800mila. Un candidato autorevole, o più conosciuto, può imporsi su uno debole, a dispetto della capacità d’insediamento del suo partito. Anche questa è una variabile».
A Calenda cosa conviene? Allearsi o andare da solo?
«Dipende da quel che vuol fare. Se intende promuovere il suo partito, sfruttando il fatto di essere la novità assoluta di questa campagna, vorrà correre da solo. Ma a quel punto rischierà di scontare uno scarso risultato all’uninominale. Invece se entrerà in coalizione col centrosinistra sarà più competitivo anche all’uninominale, col rischio però di essere meno libero e con più compromessi sulle spalle».
E al centrosinistra conviene avere con sé Calenda o confidare che il terzo polo sottragga voti ai moderati del campo avverso?
«La prima. Senza M5S e senza Calenda diventerebbe molto complicato competere col centrodestra, che parte avvantaggiato perché molto più omogeneo. Allo stesso tempo le candidature di Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini potrebbero rappresentare una difficoltà per tutti gli attori, visto che vengono da una storia completamente diversa».
Qual è il vantaggio di Calenda nello stare nel centrosinistra?
«Beh, sì, soprattutto quando, nei giorni finali ci sarà il richiamo al voto utile: a quel punto le logiche proporzionali spariranno. E il terzo polo rischierà».
Spera di ripetere l’operazione Roma?
«Sì, e non ha niente da perdere. È l’unica novità in questo momento. L’attenzione è tutta su di lui. E non a caso sta tenendo tutti col fiato sospeso».
Le vacanze quanto condizionano la campagna elettorale?
«Lo sguardo sul voto si farà più consapevole al ritorno, quando gli italiani troveranno le bollette nelle buche delle lettere o dovranno acquistare i libri scolastici ai figli. A quel punto tornerà la vita di sempre e gli elettori saranno più disponibili a captare le proposte più concrete».
I partiti che hanno mandato a casa Draghi rischiano di pagarla nelle urne?
«C’è un mondo imprenditoriale, e di amministratori locali, che al momento è molto arrabbiato per quel che è accaduto e per quello che potrebbe accadere. E rimpiange la capacità che Draghi aveva di assumere scelte impopolari. Ora è difficile dire se questo malessere si manterrà fino al 25 settembre».
L’M5S quanto pesa?
«È ancora tra l’8 e il 10 per cento. Molto dipenderà dalla campagna che saprà fare Conte. Anche per loro sarà soprattutto nel proporzionale»
Giorgia Meloni?
«Sta facendo una campagna con i piedi per terra. Ha chiesto di non fare proposte mirabolanti, perché sa di avere gli occhi di tutti puntati addosso».
Insomma, al centrosinistra conviene essere il più largo possibile?
«Sì, l’unione fa la forza, ma allo stesso tempo deve passare un unico messaggio coerente, altrimenti l’elettore coglierà i rischi di una grande ammucchiata».
(da La Repubblica)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“SONO UN GIORNALISTA DI PARTE E FACCIO DOMANDE: “LO SA CHE I SUOI COLLEGHI DI PARTITO CHE FACEVANO LE BATTUTE NAZISTE SONO ANCORA AL LORO POSTO?… “LA MELONI CHE NE PENSA DEL SUO AMICO VIKTOR ORBAN CHE INNEGGIA ALLA “RAZZA” E VAGHEGGIA UN’UNGHERIA BIONDA E PURA. E SE SARÀ PREMIER, ANDRÀ ANCORA AD ABBRACCIARLO?”
Cara Giorgia Meloni, le scrivo questa lettera per provare a fissare alcuni paletti che permettano a lei, leader di un importante partito e aspirante presidente del consiglio, e a noi giornalisti, di convivere fino al 25 settembre e anche dopo. Nel rispetto reciproco dei diversi ruoli.
Due giorni fa, mentre guardavo al telegiornale le immagini atroci dell’assassinio di Alika a Civitanova Marche, sono stato preso da un gesto istintivo. Ho afferrato il cellulare e ho fatto un tweet, rivolto a lei e a Matteo Salvini.
Chiedevo se sarebbe arrivato su questa vicenda orribile un vostro messaggio di indignazione attraverso i canali social. Una domanda a mio parere del tutto legittima, visto che da anni assistiamo da parte sua e della destra sovranista a un autentico bombardamento contro gli immigrati, indicati esclusivamente come un problema di sicurezza pubblica e un ostacolo alla crescita e al benessere degli italiani. “Invasione”. “Sostituzione etnica”. Concetti ripetuti da lei, martellanti.
L’omicidio di Alika, compiuto nella più completa indifferenza dei cittadini presenti, ci ha mostrato a che livello di ignavia, per non dire risentimento sordo e rabbioso, sono arrivati tanti italiani che da anni assistono al più completo degrado del linguaggio e della cosa pubblica. Un uomo inerme massacrato mentre c’era chi faceva i filmini. Nella stessa regione dove Luca Traini aveva tentato una strage, anche questa volta contro quegli africani che in tanti, troppi disinvolti post lei ha ritratto con toni allarmistici e degradanti.
Nel suo racconto, sono sempre i poveri italiani le vittime. D’altronde, è dei loro voti che ha bisogno. Ma mi ha sempre colpito l’assenza di pietà umana che le macchine social di Lega e Fratelli d’Italia hanno mostrato verso volti e persone di cui sappiamo poco o niente. E che spesso sono storie di violenza, miseria estrema, guerra. Ma non voglio dilungarmi su argomenti che lei definirebbe “buonisti”.
Andiamo al sodo della questione. Dopo una lunga storia politica mirata ad allontanare dai nostri confini i migranti, a demonizzarli, a condannarli senza attendere tre gradi di giudizio, a immaginare bellicosi blocchi navali (senza peraltro spiegare nel dettaglio come farli) era legittimo oppure no domandarle se e cosa avrebbe scritto sull’assassinio a mani nude di un ambulante nigeriano da parte di un italiano criminale e razzista?
Anche perché, nei telegiornali della sera, non vi era traccia di un suo commento. In compenso, un suo collega deputato della Lega, Riccardo Augusto Marchetti, invocava a proposito di quell’omicidio l’azzeramento degli sbarchi.
Come dire che Alika, arrivando in Italia, quella morte se l’era un po’ andata a cercare.
Dunque, il tweet. Alle 20.22, mentre Fratelli d’Italia tace. Un’ora e dieci dopo, la sua risposta, nella quale mi dà del propagandista e dello sciacallo. Ecco, questo è un altro punto nevralgico della questione.
La propaganda la fanno i politici, legittimamente, per farsi votare. Nei comizi e sui balconcini digitali, evitando accuratamente intermediazioni giornalistiche. Noi facciamo domande, esprimiamo opinioni, critichiamo.
Col solo limite della legge. Nel fare quel tweet a lei rivolto sono stato di parte? Certo, e lo rivendico.
Rivendico il giornalismo che prende parte, se prender parte significa fare battaglie sulle idee e sui valori. Esprimo un forte dissenso sulla sua visione della società e intendo farlo senza essere insultato per questo da chi rappresenta le istituzioni democratiche. Politica e informazione devono restare ben separate, oserei dire in uno stato di diffidenza permanente.
Poteri autonomi e, ovviamente, reciprocamente rispettosi. Fra poco, forse, governerà l’Italia. Ecco, nel caso, si occupi di amministrare e lasci stare chi la critica, anche aspramente.
Non cada nella tentazione di misurare il nuovo potere. E, se può, metta in agenda una riforma della Rai anziché ridursi anche lei a piazzare qualche direttore e conduttore adorante qua e là. Di più, si batta per lo scioglimento della commissione di vigilanza Rai, un unicum europeo, un Minculpop minore. Per quanto mi riguarda, sul fronte della destra, mi impegno a fare accuratamente il mio lavoro.
Continuando a occuparmi delle lobby nere che avvelenano il sovranismo italiano – a proposito, i suoi colleghi di partito che facevano i saluti romani e le battute naziste sono ancora al loro posto, lo sa? – e indagando sulle future alleanze europee, a cominciare dal suo amico Viktor Orban che inneggia alla “razza” vagheggiando un’Ungheria bionda e pura. Lei che ne pensa? E se sarà premier, andrà ancora ad abbracciarlo? Cordialmente.
Corrado Formigli
(da La Stampa)
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