Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
LA COERENZA FATTA PERSONA…IN OCCASIONE DEL REFERENDUM DICEVA: “BASTA ALL’INQUINAMENTO DEL NOSTRO MARE, NO ALLE TRIVELLE”
Trivellare i mari italiani per estrarre fonti energetiche? Giorgia Meloni, nel corso degli ultimi anni, ha cambiato radicalmente idea sulle politiche ambientali ed energetiche italiane, anche in vista delle elezioni del prossimo 25 settembre.
Oggi la leader di Fratelli d’Italia, ospite della rassegna “La Piazza”, organizzata da Affari Italiani, ha puntato il dito contro un certo «ambientalismo ideologico» che, a detta sua, «ci ha impedito, per esempio, di estrarre il gas dai nostri mari: quindi prima lo dovevamo prendere dalla Russia, ora dobbiamo andarlo a prendere dall’Algeria, quando avremmo (potuto avere) gas italiano».
Una posizione chiara, netta e precisa.
Tuttavia Meloni, in occasione del Referendum abrogativo sulla durata delle trivellazioni in mare del 2016, si disse favorevole allo stop.
La sua posizione sul referendum del 2016
Nel quesito referendario di 6 anni fa si chiedeva: «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?».
Il quesito riguardava esclusivamente la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, mentre non riguardava le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare svolte a una distanza superiore alle 12 miglia dalle coste italiane, ossia a circa 22,2 chilometri. Il referedum non raggiunse il quorum.
La leader di Fratelli d’Italia, all’epoca, faceva proprio parte dei sostenitori del «Sì», che equivaleva a dire dare l’ok allo stop di tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla coste italiane, quando sarebbero scaduti i contratti con le varie aziende, tra cui Eni ed Edison.
In diversi post pubblicati sui social da Giorgia Meloni è possibile leggere la posizione che aveva all’epoca sul tema: «Domani andrò a votare al referendum sulle trivelle e voterò sì. Rivolgo un appello ai cittadini: non fate passare sottotraccia un referendum molto importante per la qualità del nostro ambiente e la difesa del nostro mare. Non andare a votare, come invita a fare Renzi, sarebbe un aiuto ad alcune grandi lobby che sono legate a questo Governo».
Ma non solo. Anche sul sito ufficiale di Meloni si legge: «Domenica 17 aprile andiamo a votare sì al referendum per dire basta alle trivellazioni, basta all’inquinamento del nostro mare e basta a un governo ipocrita e servo dei poteri forti che sta affamando il popolo italiano per fare gli interessi di amici e parenti». Insomma, ideologicamente contraria nel 2016, concretamente favorevole nel 2022.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
QUESTO E’ IL CLIMA IN CUI LA INCOMPETENTE MELONI CI RACCONTA LA BALLA DEGLI HOTSPOT IN LIBIA PER BLOCCARE I MIGRANTI: CHISSA’ A QUALE GOVERNO INTENDE RIVOLGERSI
Che Fathi Bashagha, il premier libico nominato dal Parlamento di Tobruk, stesse progettando di entrare con le armi a Tripoli, nella speranza di trovare una leggera resistenza tra le milizie fedeli al primo ministro ad interim del governo di unità nazionale sostenuto dalle Nazioni Unite, Abdul Hamid Dbeibeh, era chiaro a tutti.
E l’offensiva non si è fatta attendere. Si torna infatti a sparare per le vie della capitale libica, dove gruppi di milizie legate ai due fronti si sono affrontate per le strade provocando anche vittime civili, almeno undici secondo al-Jazeera.
E i media locali riferiscono che Bashagha sta viaggiando verso la città con l’intento di prendere il potere. Secondo Libya Observer, sono sette le zone della città dove si sta combattendo al momento, tra cui “Bab Ben Ghashir, Jamhouria Street, Zawiya Street, Nasir Street”.
È stato proprio l’ex ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale ad ammettere che gli scontri a Tripoli avvengono nell’ambito di un tentativo delle sue forze di eliminare le milizie che appoggiano Dbeibeh, in una “professionale” operazione “militare” denominata “la Grande Pesca”.
“È iniziata nelle prime ore di oggi nella città di Tripoli una limitata operazione militare per porre fine al gruppo” che “sostiene il governo uscente, strenuamente attaccato al potere“, si legge in una dichiarazione pubblicata in carta intestata del suo esecutivo e rilanciata su Twitter dal sito Libya Observer.
“Questa operazione che abbiamo denominato ‘La Grande Pesca’ sarà limitata, minuziosa e completata in breve tempo secondo regole militari professionali. Il governo libico, annunciando a tutti i figli del suo popolo la buona notizia della fine dell’era del gruppo della corruzione, valorizza gli sforzi dei figli dell’esercito nazionale e dei capi militari che conducono lotte cariche d’onore”.
Arriva anche la risposta di Dbeibeh che “accusa il primo ministro parallelo Fathi Bashagha di aver innescato le violenze a Tripoli dopo aver rifiutato i colloqui di pace per tenere elezioni entro la fine dell’anno”.
Parole alle quale ribatte l’ufficio stampa di Bashagha che “smentisce le dichiarazioni rilasciate dal governo uscente di unità nazionale in merito al rifiuto da parte del governo libico di qualsiasi trattativa”: “Bashagha, per sei mesi, dopo aver ricevuto la fiducia al proprio governo, ha accolto con favore tutte le iniziative locali e internazionali per risolvere pacificamente la crisi del trasferimento dei poteri, senza ricevere però alcuna risposta da parte del governo uscente”, si legge.
Sugli scontri sono intervenute anche le Nazioni Unite, dicendosi profondamente preoccupate per le violenze e i bombardamenti indiscriminati nei quartieri popolati da civili a Tripoli che, secondo quanto riferito, “hanno causato vittime e danni alle strutture, inclusi gli ospedali. L’Onu chiede l’immediata cessazione delle ostilità e ricorda a tutte le parti i loro obblighi ai sensi dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario di proteggere i civili. È inoltre imperativo – ricorda l’Unsmil, la missione Onu nel Paese – che tutte le parti si astengano dall’utilizzare qualsiasi forma di incitamento all’odio e alla violenza“.
“Gli ospedali di Tripoli hanno finora accolto cinque feriti – dicono fonti mediche ad al-Arabiya – L’ambulanza del Centro di Medicina d’Urgenza e Sostegno è riuscita a soccorrere una cittadina di 20 anni che aveva riportato una lesione agli occhi nei pressi della Fiera Internazionale di Tripoli”, scrive su Facebook lo stesso centro. Secondo al-Jazeera, invece, i feriti, molti dei quali in condizioni gravi, sono già 31.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
COSI’ LA RIFORMA CARTABIA VA VERSO IL FLOP E I PROCESSI ANDRANNO IN FUMO: OBIETTIVO RAGGIUNTO
Agli uffici giudiziari italiani mancano 1.617 magistrati, il 15,3% dell’organico.
Una scopertura che arriva a punte del 17,9% a Bologna, del 23,3% a Roma, del 24,3% a Reggio Calabria.
E che in tutto il Paese sta causando ingolfamenti e rinvii di processi anche a distanza di anni, scatenando le sollevazioni degli avvocati.
I numeri riportati da Repubblica, però, preoccupano soprattutto in vista dell’entrata a regime della riforma del processo penale voluta dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, che renderà “improcedibili” (cioè estinti) i procedimenti che durano più di due anni in grado d’Appello e un anno in Cassazione (con un periodo “cuscinetto”, per le impugnazioni proposte fino al 2024, in cui i termini sono prorogati rispettivamente di un anno e di sei mesi).
La nuova legge si applica ai reati commessi dal 1° gennaio 2020, perciò gli effetti inizieranno a vedersi nei prossimi anni. E anche se dal ministero tentano di rassicurare, sembra evidente che la mancanza di toghe – se non risolta – manderà in fumo migliaia di processi per l’impossibilità di portarli a termine nei tempi previsti.
A Roma, per esempio, la scopertura ammonta a trecento magistrati (compresi gli onorari) e più di cinquecento amministrativi. E a Ferragosto il presidente del Tribunale ha dovuto formalizzare in un provvedimento quella che era già una situazione di fatto: dal prossimo 15 ottobre, i processi penali collegiali (cioè quelli per i reati più gravi) non inizieranno prima di sei mesi dal rinvio a giudizio.
“È l’ammissione che ad oggi i procedimenti non hanno, da parte della giurisdizione, tutto il tempo di cui necessitano”, la reazione infuriata della Camera penale. Secondo i dati ottenuti da Repubblica sulle altre grandi città italiane, nel distretto della Corte d’Appello di Torino (che comprende gli uffici giudiziari del capoluogo e della provincia) mancano 96 magistrati su 612, in quello di Milano 145 su 924, in quello di Palermo 76 su 480. Per quanto riguarda il personale di cancelleria, si segnala un -26% a Milano e un -30% a Firenze.
Poi c’è il caso Genova: l’assegnazione di tre giudici in via esclusiva al maxi-dibattimento sul crollo del ponte Morandi ha aggravato una situazione già drammatica nel settore dibattimentale penale, dove mancano sette giudici su 19.
Così capita che le prime udienze dei processi per i reati considerati “a bassa priorità” vengano fissate al 2025. “Un aprioristico diniego di giustizia” e “una violazione del principio della ragionevole durata del processo” per la Camera penale regionale, che ha proclamato uno sciopero proprio in occasione della prossima udienza del processo sul Morandi, il prossimo 12 settembre.
Di fronte a questo quadro, dal ministero rispondono vantando successi sull’edilizia giudiziaria e soprattutto rivendicando l’assunzione di oltre ottomila addetti all’ufficio del processo, figure ausiliarie dei magistrati previste dal Pnrr, che hanno preso servizio negli scorsi mesi.
Anche qui, però, non è tutto liscio: le retribuzioni non eccezionali scoraggiano i giovani ad accettare gli incarichi nelle città con maggiore costo nella vita (che spesso sono anche quelle dagli uffici più in difficoltà) come Venezia, Roma o Milano.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
AL MINISTERO DELL’ECONOMIA STA PENSANDO A PANETTA CHE, PERÒ, POTREBBE SCEGLIERE IL RUOLO DI GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA…UN ALTRO PROFILO CHE RISCUOTE GRADIMENTO È QUELLO DI DARIO SCANNAPIECO, AL TIMONE DI CDP … VERSO LA RICONFERMA DESCALZI E DELFANTE
Quel che è certo è che da diverse settimane ormai, da quando è caduto Draghi, in casa Fdi si guarda con attenzione anche alle cariche pubbliche in scadenza, al cui rinnovo dovrà provvedere il prossimo governo. La più importante è quella di governatore di Bankitalia
È una partita che si intreccia con quella per il futuro ministro dell’Economia: il preferito di Giorgia Meloni è Fabio Panetta, oggi nel board della Bce. Un nome che in questo momento la leader di Fdi mette davanti ad altri possibili, quali Giulio Tremonti e Maurizio Leo, responsabile economico del suo partito.
Ma Panetta potrebbe optare proprio per il ruolo di governatore della Banca d’Italia, e anche in questo caso – pare – non mancherebbe la benedizione della presidente di Fratelli d’Italia.
Nella prossima primavera scadrà il mandato dei manager delle grandi partecipate: Eni, Enel, Poste, Terna, Leonardo, Enav.
Il centrodestra, se andrà al governo, vorrà dare un segnale di cambiamento. Ma sembra da escludere un ribaltone. Ci sono due figure molto stimate da Giorgia Meloni: quelle di Claudio Descalzi, ad di Eni, e di Matteo Del Fante, alla guida di Poste. Descalzi, peraltro, è stato un applaudito ospite dell’edizione 2021 di Atreju, la manifestazione della destra giovanile.
Descalzi e Delfante sono due dirigenti che viaggiano verso una conferma. Più incerto il futuro degli altri manager. Un altro profilo che riscuote gradimento, negli ambienti meloniani, è quello di Dario Scannapieco, nominato dal governo Draghi al timone di Cassa depositi e prestiti.
Un ruolo chiave, Cdp, può avere in partite chiave come quella di Ita, sulla cui privatizzazione Meloni ragiona non senza perplessità. Altri nomi in ascesa quelli dell’amministratore delegato del Credito Sportivo, Andrea Abodi. E non è da escludere l’ingresso nel grande giro delle nomine del vicepresidente di Veronafiere Matteo Gelmetti, che fa parte del comitato scientifico della fondazione Fare futuro.
C’è infine la grande battaglia della Rai. Anche in questo caso, il centrodestra non è intenzionato a dare il senso di una immediata rivoluzione, ma chiederebbe a Carlo Fuortes, attuale ad, una svolta netta nei palinsesti e nei tg
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
CHI È COSTRETTO A LASCIARE I PALAZZI DELLA POLITICA VEDE GRILLO COME FUMO NEGLI OCCHI. E C’È CHI PROFETIZZA: “FARÀ LA NOSTRA STESSA FINE”
Convitato di pietra, ombra sulla campagna, arbitro silente: Beppe Grillo nelle ultime settimane si è inabissato, è scomparso dai radar del dibattito politico e segue le prime fasi della campagna elettorale dal mare. Il garante Cinque Stelle è intervenuto solo per «ghigliottinare» i parlamentari con due mandati già alle spalle, ribadendo il vincolo di due legislature massimo per chi corre con il Movimento e per criticare Luigi Di Maio e gli altri scissionisti, ridotti insieme ai transfughi al rango di «zombie».
Negli ultimi giorni il suo blog si è occupato di energia pulita dallo spazio, lenti a contatto intelligenti per diagnosticare il cancro, traghetti elettrici, moda e natura. L’ultimo post con riferimento al mondo dei partiti è di una settimana fa: una foto su Instagram per prendere in giro lo slogan leghista «credo», paragonandolo a una marca di rasoio per calli. Una frecciata nel nulla.
La scelta dei tempi Insomma, temi politici arrivederci o quasi, alla faccia delle liste e delle polemiche. Il garante si è sfilato e questa di per sé non è una novità. L’ultima campagna elettorale da protagonista per Grillo risale al 2014, alle Europee vinte dal Pd renziano con tanto di maalox preso poi dall’allora leader M5S. Anche nel 2018, anno del trionfo alle Politiche, Grillo si era tenuto lontano dalle piazze e dalle tv per comparire al comizio finale e fare poi i conti una volta superato lo scoglio del voto. E cosi anche stavolta, pare. Ma in un contesto totalmente diverso.
Il messaggio sibillino « Osserva», dice chi lo ha sentito. «Farà il punto con Conte il 26 settembre», assicurano i ben informati. Un messaggio sibillino secondo alcuni, routine invece per chi vive in prima linea la rifondazione contiana. Ambienti vicini al presidente stellato ribadiscono che i due, Conte e Grillo, sono in contatto continuo, quotidiano. Qualcosa, però, tra il garante e i Cinque Stelle si è rotto.
Chi è costretto a lasciare i palazzi della politica perché arrivato al secondo mandato vede il garante come fumo negli occhi. «È stato coerente con noi, un po’ meno con sé stesso», punge uno stellato riferendosi al contratto di collaborazione da 300mila euro annui che Grillo ha siglato con il partito. E c’è chi profetizza: «Farà la nostra stessa fine», alludendo alla possibilità (per ora da fantapolitica) che il Movimento possa cambiare logo nei prossimi mesi, tagliando fuori il garante – che di fatto ha in mano il simbolo – dai gangli di potere.
A leggere le liste tra collaboratori al blog del garante e figure di riferimento dell’entourage dello showman genovese – come il suo commercialista, Enrico Maria Nadasi (socio anche dell’associazione genovese M5S legata al simbolo) – si ha l’impressione che Grillo condivida il percorso contiano e che, anzi, abbia dato il suo supporto nella realizzazione di un M5S rifondato.
Ma i vertici contiani fanno sapere che «al momento non è prevista la presenza di Grillo ai comizi». Per il Movimento si preannuncia una campagna low cost, anche per via delle mancate restituzioni dei parlamentari che cominciano a pesare sulle casse del partito.
Secondo quanto riferisce l’Adnkronos il budget previsto sarebbe di 300mila euro, cifra che comprenderebbe anche le spese per il comizio finale, in programma a Roma il 23 settembre.
I Cinque Stelle sembrano orientati a «opzionare» per il gran finale Piazza Santi Apostoli (nel 2013 il comizio fu a San Giovanni in Laterano e nel 2018 in Piazza del Popolo). Proprio in questa occasione – salvo ripensamenti dell’ultimo minuto – Grillo dovrebbe tornare a calcare le scene del M5S.
I precedenti
Cinque anni fa, nel marzo 2018, in piazza del Popolo il garante aveva ammonito: «Le piazze forse sono un po’ passate di moda, non lo so, può darsi che la riprenderemo questa cosa. Noi adesso dobbiamo applicare il nostro programma». E aveva predetto: «Quando i cittadini avranno gli strumenti per fare un referendum da casa, il movimento potrà anche sciogliersi, siamo un movimento biodegradabile». Lo scioglimento del Movimento non c’è stato, ma gli stellati hanno di sicuro cambiato pelle. E ora aspettano un segno dal fondatore, che da giorni è chiuso in un silenzio assordante. «Rimane una colonna del Movimento», commenta uno stellato. Che poi però punge: «Ma si sa, nelle ristrutturazioni anche le colonne cambiano».
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
GLI OVER 60 FAREBBERO BENE A CORRERE SUBITO A FARSI INOCULARE VISTO CHE ATTENDERE È UN RISCHIO: I VACCINI AGGIORNATI A OMICRON NON ARRIVEREBBERO PRIMA DI UN MESE O DUE. INOLTRE SAREBBERO QUELLI AGGIORNATI A OMICRON 1 E NON ALLA VERSIONE 5 CHE ATTUALMENTE IMPERVERSA IN EUROPA
Conviene fare subito la quarta dose o è meglio aspettare i vaccini aggiornati?
La domanda che si fanno tutti gli over 60 in questo periodo è: conviene aspettare i vaccini aggiornati o è meglio fare subito la quarta dose? Basterebbe il proverbio per rispondere a questa domanda, «Meglio un uovo oggi che una gallina domani»
Evidentemente però si è smarrita un po’ di saggezza popolare se solo il 16,7% degli over 60 l’ha già fatta.
Molti attendono i vaccini aggiornati, ma come ha spiegato ieri l’immunologo Sergio Abrignani si tratta di un rischio. Le nuove dosi infatti potrebbero venire superate dalle mutazioni del virus. Il suggerimento degli esperti dunque è di coprirsi subito per evitare di contagiarsi e soprattutto di ammalarsi gravemente in questi mesi.
Quali vaccini nuovi dovrebbero arrivare?
Le autorità sanitarie negli Stati Uniti, in Europa e nel Regno Unito stanno già esaminando i primi vaccini aggiornati a Omicron, ma anche se fossero approvati, risultando dunque sicuri ed efficienti, e non si verificassero lentezze nella produzione, non arriverebbero prima di un mese o due. Inoltre i primi ad arrivare sarebbero quelli aggiornati a Omicron 1e non alla versione 5 che attualmente imperversa in Europa. Gli esperti considerano comunque questo un passo avanti, perché è probabile che simili vaccini offrano una protezione maggiore di quelli attuali.
Ciò non toglie che, in particolare per over 60 e fragili, la priorità resti la quarta dose subito per non restare scoperti. Va ricordato infatti che i vaccini attuali, in particolare se appena fatti, proteggono ancora all’85 per cento dalla malattia grave.
Chi fa la quarta dose ora poi potrà fare anche il vaccino aggiornato?
Sì, la quarta dose è il rinnovo della protezione del passato ciclo vaccinale di tre dosi, dedicata alle persone anziane e fragili in cui l’immunità tende a indebolirsi più che nei giovani e sani. Il vaccino aggiornato sarà un nuovo farmaco, che probabilmente verrà raccomandato a tutta la popolazione, compreso a chi ha fatto la quarta dose, magari aspettando due mesi di distanza.
E i guariti cosa possono fare?
Una guarigione negli ultimi sei mesi può essere considerata come una dose, ma resta che per gli over 60 in totale dovrebbero essere quattro e per gli under 60 tre.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
A DIMOSTRARE I LEGAMI CON L’INTELLIGENCE MILITARE RUSSA È LA CHIAMATA AL CAPO DEL 5° DIPARTIMENTO DELLA GRU, L’UNITA’ CHE PROVVEDE ALLE ELIMINAZIONI FISICHE
Adela non sarebbe stata sola. La spia russa che ha vissuto per quasi un decennio in Italia, infiltrando il comando Nato di Napoli, non sarebbe stata un “lupo solitario” ma parte di “un branco”: figure autonome e indipendenti, pronte però a fare squadra per sostenersi l’un l’altra e risolvere problemi operativi.
Agenti che per non lasciare tracce evitano persino i contatti con i diplomatici e i “normali” inviati dei servizi.
Trascorrono esistenze insospettabili per anni, spesso in Paesi lontani, e poi si riuniscono per portare a termine la missione: la sceneggiatura della popolare serie tv “The Americans” calata nella realtà della nuova Guerra Fredda.
L’inchiesta realizzata da Repubblica con il sito investigativo Bellingcat , il settimanale Der Spiegel e The Insider ha svelato la doppia vita della 007 che è riuscita a penetrare in profondità il quartiere generale atlantico e statunitense.
Nei dieci anni di missione in Europa ha usato l’identità di Maria Adela Kuhfeldt Rivera, ma in realtà si chiama Olga Kolobova: la figlia di un colonnello dell’Armata Rossa, pluridecorato per le sue missioni in Iraq, Siria e Angola ai tempi dell’Urss. Il suo vero nome è stato confermato da un elemento inequivocabile: Olga ha usato sul profilo WhatsApp la stessa foto postata da Maria Adela agli amici italiani.
E il legame con l’intelligence militare è dimostrato dai tabulati del suo cellulare, ottenuti da Bellingcat : lo scorso 23 febbraio ha chiamato il telefono del comandante del Quinto Dipartimento del Gru, l’unità più riservata che ha condotto “i programmi illegali”.
Si tratta di una cellula del reparto che ha cercato di avvelenare in Inghilterra Sergej Skipral e ha messo a segno altri omicidi in Occidente: il compito di questo nucleo super-selezionato è quello di inserire “agenti in sonno” nei Paesi della Nato, dove restavano per anni prima di entrare in azione. Come Maria Adela- Olga.
(da La Repubblica)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
VENTICINQUE DI QUESTI CONTENEVANO INFORMAZIONI CONTRASSEGNATE COME “TOP SECRET” E DOCUMENTI SENSIBILI CON INFORMAZIONI SULLA CENTRAL INTELLIGENCE AGENCY (CIA) E SULLA NATIONAL SECURITY AGENCY (NSA)
Il bubbone sta per esplodere. Lunedì Donald Trump sarà incriminato per aver sottratto dei documenti riservati dalla Casa Bianca. Una serie di carte scottanti tra cui, secondo quanto riporta l’Fbi, informazioni sulla Cia e la Nsa. Ma la domanda che si stanno facendo tutti è: come mai il puzzone si teneva stretti questi faldoni? Facile. Quelle carte sono un’arma di ricatto spendile in qualsiasi momento.
Sotto la pressione dei repubblicani e sotto richiesta di Donald Trump stesso, è stato reso pubblico il documento attraverso il quale l’Fbi ha ottenuto dal giudice della Florida l’autorizzazione per la clamorosa perquisizione avvenuta l’8 agosto a Mar-a-Lago, ormai residenza primaria dell’ex presidente da quando ha lasciato la Casa Bianca.
Nella sua richiesta lunga 38 pagine – ma con molti tratti oscurati – l’Fbi ha argomentato che ci sono «probabili motivi per credere» che materiali classificati sulla sicurezza nazionale siano portati in modo improprio in luoghi «non autorizzati» e che durante la perquisizione c’era la probabilità di trovate «prove di ostruzione».
L’Fbi aveva aperto un’indagine penale il 9 febbraio, dopo che gli archivi nazionali avevano inviato una raccomandazione. La dichiarazione giurata afferma che 14 delle 15 scatole ricevute dagli archivi nazionali all’inizio dell’anno – che Trump aveva preso e portato con sé dalla Casa Bianca – contenevano informazioni riservate: alcune fonti citano ben 185 documenti riservati.
Venticinque di questi contenevano informazioni contrassegnate come «top secret». Nella una tranche di documenti consegnati agli archivi nazionali all’inizio di quest’ anno, gli agenti dell’Fbi hanno infatti trovato documenti sensibili con informazioni sulla Central Intelligence Agency (Cia) e sulla National Security Agency (Nsa).
Alcuni documenti erano contrassegnati come Hcs e potrebbero riferirsi a informazioni su spie in Paesi stranieri le cui vite sarebbero state a rischio se le loro identità fossero state rivelate.
Altri erano contrassegnati come Fisa, un riferimento alla raccolta di informazioni che coinvolge persone sospettate di spionaggio o terrorismo.
Gli agenti hanno anche trovato documenti che potrebbero contenere intercettazioni di segnali di comunicazioni e intelligence estere non destinate a essere rilasciate a governi o cittadini stranieri, nonché documenti non destinati a essere condivisi senza l’approvazione del suo proprietario originale. Insieme all’affidavit è stato reso pubblico anche il documento in cui il Dipartimento di giustizia spiega perché ha oscurato così tanto dell’affidavit stesso.
La nota afferma che gli investigatori hanno redatto parti della dichiarazione giurata perché ricca di dettagli che potrebbero fornire una tabella di marcia per chiunque intenda ostacolare le indagini in futuro. In particolare si parla dell’identità dei testimoni: se fosse rivelata «potrebbero essere soggetti a ritorsioni, intimidazioni o molestie e persino minacce alla loro incolumità fisica», osserva la corte. Aggiungendo: «Nel caso in oggetto queste preoccupazioni non sono ipotetiche». La corte fa anche menzione di un aumento delle minacce specifiche di violenza agli agenti dell’Fbi legati al caso e delle minacce violente al personale dell’Fbi in generale sulla scia della perquisizione dell’8 agosto. «Sono necessari piccoli ma importanti oscuramenti per proteggere l’incolumità del personale delle forze dell’ordine».
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2022 Riccardo Fucile
LA LEGGE PREVEDE L’OBBLIGO MA LE SANZIONI SCATTANO SOLO DOPO LA DENUNCIA DEL CLIENTE… L’ENNESIMO FAVORE AGLI EVASORI FISCALI
I più pigri si sono attrezzati con cartelli improvvisati: ‘No bancomat, no carte di credito. Fuori servizio’. Gli altri lo dicono a voce. “Purtroppo, non c’è linea”. “Purtroppo, si è rotto il Pos”. “Purtroppo, oggi proprio non ne vuole sapere di funzionare”.
Le strade per chiedere e imporre il pagamento in contanti, quando la legge dice che si devono accettare i pagamenti digitali, sono sempre le stesse. Con più o meno cortesia.
Come dimostrano i casi di cronaca che ricorrono, con i taxi particolarmente allergici alle carte e tanti piccoli esercenti, ma anche bar e ristoranti, che continuano a scrivere i conti sui pezzi di carta. Resiste anche una pratica antica, l’offerta di qualche euro di sconto a chi accetta di saldare il conto con le banconote.
La legge c’è ma le sanzioni non arrivano quasi mai. Perché? Per i trasgressori dell’obbligo di accettare pagamenti digitali, sono esentati solo tabaccai, benzinai e studi associati, è prevista dal 1 luglio 2022 una sanzione di 30 euro, alla quale si aggiunge il 4% del valore della transazione per cui viene rifiutata l’accettazione del pagamento.
Il problema è un altro. L’esercente non può essere sanzionato se non viene denunciato dal cliente a cui viene negato il pagamento elettronico.
E qui c’è il limite della legge e la spiegazione dei comportamenti che si registrano ovunque, nonostante la legge.
Non è facile trovare chi di fronte a un Pos rotto, alla linea che non c’è e alla cortese richiesta di pagare in contanti, è pronto a opporre fermezza, a discutere, a rinunciare all’acquisto e a impiegare tempo per denunciare. Per farlo, deve chiamare la Guardia di finanza e procedere alla verbalizzazione sul posto oppure fornire le informazioni via telefono, anche in modo anonimo. Solo dopo, può scattare il controllo.
E comunque, anche per i casi di malfunzionamento del Pos, per mancanza di linea o quando si presentano ‘comprovati problemi di malfunzionamenti tecnici dei dispositivi’ non sono previste sanzioni. Saranno poi i finanzieri a dover accertare il disservizio.
L’ostinata resistenza ai pagamenti digitali, che nasconde evidentemente anche una quota consistente di evasione fiscale, ha nella legge un sostanziale alleato.
Servirebbero controlli seri, insieme a una riduzione delle commissioni e dei costi a carico degli esercenti, magari rendendo gratuite le micro transazioni, per spingere veramente i pagamenti digitali.
(da agenzie)
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