Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
LA RETE NON PERDONA E LA CLIP DIVENTA VIRALE
Se la notizia del raggiungimento di un accordo tra Matteo Renzi e Carlo Calenda per la nascita di un Terzo Polo liberal è proprio il lieto fine a cui molti centristi auspicavano, non si sono fatte attendere le polemiche che, come al solito, hanno spopolato sui social.
Tutto è nato da un video pubblicato su Twitter dalla pagina Abolizione del suffragio universale: all’interno del filmato emerge tutta l’incoerenza di Carlo Calenda che, nel novembre 2021, si esprimeva con parole non certo lusinghiere sul leader di Italia Viva Matteo Renzi e sul progetto di un nuovo Centro.
Ospite a L’Aria che Tira, Carlo Calenda nel novembre 2021 diceva: “Di Renzi non me ne frega niente, chiedetemi un’altra cosa, di questo Centro che come un fritto misto una volta va a destra una volta a sinistra a seconda di che posto gli danno, mi fa orrore. Non ne voglio sapere. Non è uno sfogo, mi sono rotto le palle”.
Poi, la frase incriminata del leader di Azione: “Non farò politica con Renzi perché questo modo di fare politica mi fa orrore. Chiaro? Devo mettere una bandiera, me lo scrivo addosso?”.
Non mancò la stoccata sulla Leopolda: “Chissene frega della Leopolda, è un gruppo di persone che si incontra una volta l’anno dicendo che sono i più bravi, i più fighi, i più simpatici, che quello può andare in Arabia Saudita, se la suonano e se la cantano. Se quello là gli dice che i 5 Stelle fanno schifo, dicono che fanno schifo, è un gruppo di persone che parla solo di quello che dice il loro leader, ma chissene frega di quello che dice il loro leader, ma parliamo di quello che va fatto per l’Italia. Se poi loro una volta all’anno si vogliono incontrare invece di andare a fare una vacanza insieme, si incontrano tra di loro e ti dicono ‘quanto siamo belli, quanto siamo fighi, quanto siamo coerenti’ fatti loro, sono felice per loro”.
Un discorso, questo, che di certo lasciava poco spazio all’immaginazione e alla possibilità di una futura alleanza tra Azione e Italia Viva, come venne fatto ironicamente notare allora a Calenda dalla presentatrice Myrta Merlino: “Caro Renzi, se sei in ascolto ti direi così a occhio che con Calenda è finita”.
“No, non è all’ascolto perché è a Dubai a fare una conferenza pagata, non è all’ascolto perché non gliene può fregare di meno di ascoltare, è in un paese che, deve ringraziare Dio, continua a dargli uno spazio mediatico spropositato mentre lui va a guadagnare dei soldi mentre è pagato dagli italiani”, l’affondo finale del leader di Azione.
Che adesso sia davvero cambiato qualcosa?
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 73% DEI CONTROLLI SONO EMERSE IRREGOLARITA’ (TANTO POI ARRIVA IL CONDONO DEI SOVRANISTI E LA FANNO FRANCA)
Ogni anno sono tanti i giovani che si trovano a “fare” la stagione in condizioni sempre peggiori. Pochi accettano di spiegare come vivono: ecco cosa ci hanno raccontato
«Denunciare le condizioni di lavoro in cui mi sono trovata da stagionale, con un’intervista, vorrebbe dire non lavorare più per tutta la vita».
Siamo nel culmine della stagione estiva e iniziano a spegnersi i riflettori sulla situazione dei lavoratori stagionali. Ogni anno sono in tantissimi, soprattutto giovani, a lamentare offerte di lavoro scorrette, illegali e dannose per la propria salute. Sui social non mancano post e video di testimonianze.
Ed è proprio su TikTok che, a metà giugno, è diventato virale il racconto di Francesca Sebastiani, 22enne campana. 280 euro al mese per 10 ore e mezza al giorno in un negozio: è questa la proposta di lavoro che le ha fatto la titolare e che lei ha rifiutato.
«Voi giovani d’oggi non avete voglia di lavorare», così le ha risposto la datrice di lavoro. Ora che i riflettori si sono spenti, racconta di come sia stata sorpresa dal fatto che in molti l’abbiano contattata, soprattutto la stampa, perché – spiega in un altro video – la situazione in cui si è trovata «non è un’eccezione».
Quello di Sebastiani non è un caso isolato, ma il suo racconto ha colpito perché il numero di persone che denuncia sfruttamento nel lavoro stagionale non sembra proporzionale alla reale entità del fenomeno.
I dati più recenti dell’Ispettorato sul lavoro, anche se non molto aggiornati, sono eloquenti: dal 73% delle ispezioni fatte nei settori della ristorazione e dell’alloggio, sono emerse irregolarità riguardanti l’inquadramento dei lavoratori.
I giovani non hanno voglia di lavorare?
La riduzione negli anni del numero di ragazzi e ragazze disposti a lavorare un’intera stagione con paghe basse e orari fuori norma è un fenomeno diffuso non solo nel nostro Paese e, in qualche caso, la prima conseguenza è che alcuni servizi nel settore chiudono o aumentano i prezzi.
Una delle vicende più eclatanti ha di recente riguardato Gardaland, il parco divertimenti più grande d’Italia, che a giugno si è trovato a dover limitare le attrazioni a causa della «forte carenza di lavoratori stagionali che sta sperimentando il settore turistico». Anche qui non sono mancate le critiche: la pagina Facebook del parco è stata invasa il mese scorso da commenti sul tema. «Basterebbe pagarli il giusto e non sempre andare al ribasso», avevano denunciato in molti.
«Non mancano il lavoro o la voglia, ma le giuste condizioni»
Proprio su Facebook sono molti i gruppi creati ad hoc dai lavoratori stagionali e, gran parte, sono nati per denunciare le problematiche del settore.
Stagionali in rivolta è uno di questi. «Scusate se vivo al Sud e non voglio lavorare con un contratto part-time per poi fare il doppio delle ore», scrive una ragazza sul gruppo. «Sono stanca che non ci siano proposte di lavoro consone, veritiere e all’altezza di un vero e proprio contratto di lavoro», scrive un’altra.
In molti condividono anche gli scambi che hanno avuto con i titolari, come nel caso di Gabriele: «Dovresti lavorare come barman dalle 18:00 all’1:30», gli propongono. «Dovrei trasferirmi?», chiede. «Sì, per 1200 euro al mese». «Con il giorno libero?», chiede ancora Gabriele. «Sì, tranne agosto», dice il titolare. Lo stagionale in questione rifiuta la proposta e lo denuncia su Facebook, come molti altri.
Nonostante la rabbia e le tante denunce che appaiono in rete, però, in pochi hanno voglia di prendere la parola pubblicamente. «No, non ho tempo e voglia. Ho già denunciato ad altri giornalisti, ma non si è mai concretizzato nulla», risponde a Open il fondatore di uno dei gruppi Facebook nati per denunciare le condizioni degli stagionali.
In molti credono che la situazione non possa andare in una direzione diversa, altri hanno timore di ripercussioni. «Ho molta esperienza da stagionale. Ne avrei da dire a riguardo, ma se parlo, mi minacciano», così ci ha risposto Valeria (nome di fantasia), una lavoratrice che ha preferito non esporsi in video. «Devi sottostare alle loro leggi, non a quello dello Stato», dice. Poi aggiunge: «E devi stare zitta».
C’è però anche chi è uscito allo scoperto e ha detto «basta», anche a costo di perdere il lavoro.
Giulia Cordasco ha lavorato, nell’estate 2019, come vicedirettrice in un grande stabilimento balneare. «Grandi aspettative al colloquio», racconta a Open. «Quando ho iniziato a lavorarci però le cose sono cambiate». Cordasco ci spiega che gli orari previsti dal contratto non sono mai stati rispettati dai titolari, così come le paghe e le mansioni previste inizialmente. Durante la stagione ha deciso, però, di prendere nota di quello che accade nello stabilimento per poi riferire tutto in Diario di un lavoratore stagionale – tratto da un disagio vero (Dialoghi Edizioni, 2021), un libro autobiografico in cui denuncia pubblicamente le scorrette condizioni di lavoro in cui si è trovata da stagionale.
Dopo l’uscita del libro la sua vita è andata avanti nel turismo, ma a condizioni di lavoro migliori e all’impiego – attualmente full time – ha affiancato l’attività in un’associazione di consumatori: «Ho riscontrato molta vergogna nel parlare dei propri problemi lavorativi e vorrei essere la persona di cui avrei avuto bisogno io quando lavoravo allo stabilimento».
La preoccupazione di sindacati e avvocati
«Spesso alle aziende viene data la possibilità di avere il tempo per sanare quelle irregolarità che non sono particolarmente gravi. Ma questo non è stato letto come un aiuto alle società per mettersi in regola, è diventato piuttosto l’ennesimo escamotage per raggirare le norme».
Così Monja Caiolo, di Filcams Cgil – il sindacato dei lavoratori del Terziario – spiega a Open come le problematiche dello sfruttamento nel settore degli stagionali siano diventate strutturali. «Ogni estate tentiamo di sensibilizzare i lavoratori, soprattutto quelli che si trovano costretti ad accettare condizioni di lavoro scorrette pur di avere una forma di reddito».
Sono diverse le persone che si rivolgono ai sindacati e ad avvocati del lavoro per capire se le offerte che ricevono sono corrette o meno o per conoscere meglio i propri diritti. Quelli meno tutelati, riferisce Cajolo a Open, sono «la garanzia del giorno di riposo, la retribuzione delle ore di straordinario, il riconoscimento della malattia e la presenza di un contratto».
Il fatto che, sebbene in modo anonimo, i giovani dipendenti scelgano di parlare e confrontarsi è tra i fattori che stanno migliorando il quadro generale, dice ancora Cajolo. «Bisogna creare lavoro sano, stabile e che permetta di vivere dignitosamente, e non solo sopravvivere», conclude la sindacalista.
(da Open)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL PREMIER UNGHERESE E’ L’IDEOLOGO DI QUELLA “DEMOCRAZIA ILLIBERALE” ALLA QUALE PUTIN SI È ISPIRATO… POI C’E’ LA FRATELLANZA CON IL PARTITO DI ESTREMA DESTRA SPAGNOLO VOX, DEFINITO DA TUTTI I MEDIA IBERICI “NEOFRANCHISTA”
Sarà pure cipria, ma vien da dire: finalmente. Decine di interviste, ore di talk show, lunghissimi girati di documentate inchieste, non erano riusciti a far dire a Giorgia Meloni quello che adesso – a poco più di un mese dalle elezioni politiche – ha deciso di sostenere: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche».
Ora, lasciamo perdere i tempi verbali. «Ha consegnato», dice la leader di Fratelli d’Italia, come se davvero queste cose le avesse dette e ripetute in tutti questi anni e nessuno se ne fosse accorto.
Come non ci fossero stati tra i suoi militanti nostalgici saluti romani e richiami al nazismo e al fascismo ogni volta derubricati a folklore, operetta, nostalgia.
Mettiamo da parte l’ampia opera di revisionismo sulla Shoah che la destra italiana in tutte le sue forme ha contributo a diffondere, accusando poi di tradimento l’allora leader di An Gianfranco Fini che a Gerusalemme, allo Yad Vashem, si era inginocchiato parlando di «male assoluto».
Anche perché in quel periodo Giorgia Meloni era insieme a Fini, nello stesso partito, e anche se poi lo accusò di aver tradito la destra, è già agli atti il suo rifiuto di antisemitismo e leggi razziali: «Il partito fascista avrebbe potuto dire no a Hitler e non lo fece», disse anni fa (come se si trattasse di una svista)
La novità è in quella condanna «senza ambiguità della privazione della democrazia», ed è nel successivo richiamo alla libertà che Meloni consegna alla stampa estera in un lungo messaggio recitato in tre lingue diverse: francese, inglese e spagnolo (è un crescendo, perché la terza è sicuramente la lingua che padroneggia di più, ma anche qui chi si divertirà a fare meme e imitazioni non ha capito che tutto questo fa parte – e a ragione – di una narrazione che funziona: Giorgia una di noi. Con le nostre pronunce sghembe, le nostre esitazioni e i nostri “così non si dice” manifesti).
Quindi evviva, finalmente un po’ più di chiarezza sul fascismo (certo, c’è una riga dopo l’equiparazione al comunismo che anzi ancora vive e fa disastri, perché sotto elezioni non è che il messaggio può essere stravolto completamente), ma insomma, siamo davanti a un passo avanti nel solco della democrazia.
Peccato che per difendersi dagli articoli pessimi usciti sulla stampa internazionale, Meloni scivoli in un antichissimo vizio che ricorda il peggior Berlusconi anni ’90.
A danneggiarne l’immagine non sarebbero la storia del suo partito e le uscite poco felici del suo personale politico. È piuttosto, secondo la sua versione, «il potente circuito mediatico della sinistra, che qui in Italia è molto forte nelle redazioni dei giornali e in quelle dei programmi televisivi».
Sembra di risentire il Cavaliere, quando nel 2009 a Porta a Porta parlava della stampa comunista estera cattiva «insufflata dalla sinistra». O di rivederlo quando ai comizi distribuiva libretti anti-comunisti dipingendo qualcosa di simile a mostri a tre teste che mangiano bambini.
Vuole rassicurare i nostri principali alleati europei, Meloni. Ma per farlo infanga l’Italia descrivendola come un Paese dalla democrazia interrotta, con i media asserviti a partiti di potere che perdono le elezioni ma restano al governo. Con il solito armamentario vittimistico populista che tanto bene ha portato a un partito molto diverso dal suo, il Movimento 5 stelle, meno di cinque anni fa.
A dispetto di tutto, poi, quando un leader politico manda un messaggio registrato – seppure in tre lingue – quel che bisogna fare non è solo ascoltare quel che c’è, ma quel che manca.
E quel che manca è naturalmente una risposta credibile a quello di cui il segretario Pd accusa Meloni quando dice che la sua è solo un’incipriata: i legami con il premier ungherese Viktor Orban, rimasto vicino a Vladimir Putin (da cui Fratelli d’Italia ha invece preso le distanze) e ideologo di quella “democrazia illiberale” alla quale lo stesso presidente russo si è ispirato.
La fratellanza con il partito di estrema destra spagnolo Vox, definito da tutti i media iberici (saranno comunisti anche quelli?) “neofranchista”. Così come non c’è la sua idea di mondo, tutta Dio, Patria e Famiglia (naturale) declinata più volte e questa sì, nostalgica della destra che fu. Vuole rassicurare, Giorgia Meloni, e per questo parla solo di “libertà” e di sostegno all’Ucraina, alla Nato e perfino di quanto tenga – lei che non lo ha mai votato – al Piano di ripresa e resilienza europeo.
Bisogna sempre festeggiare i ravvedimenti, se ci sono.
Bisogna però sempre guardarsi dai non detti, che restano. E non riguardano solo il passato, sul quale ci sarebbe da fare un’analisi non affrettata, ma profonda, magari in Italiano. Riguardano anche il futuro: una certa idea dell’Italia.
(da La Repubblica)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL SUO ERA UN METODO COLLAUDATO: NON FACEVA RISULTARE LE NUMEROSE VISITE E RENDEVA FALSE DICHIARAZIONI PER NASCONDERE IL SUO RICORSO ALLA LIBERA PROFESSIONE
Dirottava i pazienti in una struttura sanitaria convenzionata, intascando sistematicamente i soldi delle visite. Un “tesoro” accumulato nel giro di pochi anni, e che ora rischia di dover restituire.
La corte dei conti della Toscana ha condannato a un maxi risarcimento da 1 milione di euro un ex professore dell’università di Pisa, endocrinologo, accusato di aver provocato un grave danno erariale con un disinvolto ricorso alla libera professione. L’uomo, già sospeso dal servizio, era finito al centro di una inchiesta penale per peculato, in cui si ipotizzava proprio un metodo collaudato per nascondere una florida attività da privato.
Secondo le accuse, nel periodo compreso tra il gennaio 2011 e l’agosto 2016 l’ex professore si sarebbe appropriato di una fortuna non facendo risultare numerosissime visite: «Avrebbe occultato il proprio doloso comportamento — si legge nella sentenza, depositata nei giorni scorsi — tra l’altro rendendo false dichiarazioni in sede di instaurazione dei rapporti lavorativi, dichiarando di non versare in situazioni di incompatibilità».
Contestata la violazione degli obblighi di servizio. «Comportano il dovere di richiedere l’autorizzazione per lo svolgimento di attività professionale extra lavorativa — si legge ancora — ovvero di astenersene, nonché di riversare le somme indebitamente percepite».
In sede penale il docente universitario era stato condannato con l’accusa di peculato, reato poi derubricato in abuso d’ufficio: la Cassazione, però, aveva dichiarato il non doversi procedere a causa della prescrizione.
Nei giorni scorsi l’epilogo del processo contabile, e la batosta da un milione di euro: i giudici hanno ordinato il risarcimento a favore dell’erario, individuando come amministrazione danneggiata l’Università di Pisa.
Negli ultimi mesi numerosi altri medici toscani sono stati condannati per danno erariale: il caso più clamoroso quello dell’ex responsabile delle Usca di Rosignano Marittimo (Livorno), pizzicato in spiaggia o a giocare a tennis negli orari in cui avrebbe dovuto garantire assistenza ai malati di Covid. L’uomo si sarebbe assentato da lavoro per oltre 104 ore, pur risultando presente sui registri della struttura.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
LA MELONI, PER AZZOPPARE IL TENTATIVO, INCORAGGIA LA FORMAZIONE DI UN LISTONE UNICO DEI MODERATI TOTI, LUPI, BRUGNARO E CESA PER SFILARE VOTI A FORZA ITALIA
Non è solo il centrosinistra ad avere il mal di pancia da centro per la nascita dell’alleanza Calenda-Renzi. Anche nel centrodestra la decisione finale dei centristi Lupi, Toti, Brugnaro e Cesa di entrare in coalizione, considerando ormai fallita l’ipotesi di un Terzo Polo insieme ad Azione e Italia viva, sta creando qualche nervosismo.
Specie se, come è in discussione in queste ore, i quattro centristi di centrodestra dovessero decidere di confluire in una lista unica.
Ufficialmente posta al confine della coalizione, per evitare appunto che elettori moderati dubbiosi possano accogliere l’invito a spostarsi da Forza Italia alla formazione di Calenda, Renzi e delle ministre ex-Forza Italia Gelmini e Carfagna, due candidate simbolo della crisi del partito di Berlusconi.
Ma se questo è lo scopo dell’iniziativa di Lupi, Toti, Brugnaro e Cesa, vuol dire che lo smottamento del partito del Cavaliere è considerato possibile, o addirittura auspicabile.
Per la sua rinuncia a tenere alta la bandiera dei moderati e la lenta acquiescenza alla linea radicale di Salvini. Per il suo coinvolgimento nella crisi del governo Draghi, innescata da Conte ma portata a termine dalla Lega. Per il progressivo ma inesorabile abbandono del centrocampo.
Ancor di più le cose si complicano se si diffonde la sensazione che una spinta a incoraggiare le mosse dei centristi del centrodestra venga da Meloni, disponibile, tra l’altro, a cedere collegi uninominali che toccherebbero al suo partito sulla base dell’algoritmo delle medie dei sondaggi.
La tesi è confermata, tra l’altro, da un articolo di Rotondi, padre nobile, ormai dei dc berlusconiani, che ripercorre la vicenda trentennale della spaccatura dei Popolari dopo l’avvento del maggioritario, e, dato a Cesare, cioè a Berlusconi, quel che è di Cesare, sostiene che è venuto il momento di passare con la Meloni.
Parole che hanno suscitato un putiferio nel mondo, ormai ridotto, degli ex-dc. E hanno acceso più di un sospetto dentro Forza Italia.
Non sarà, si chiedono, che Giorgia soffia sul fuoco per essere sicura che la somma dei voti di Forza Italia e Lega sia inferiore a quella di FdI, e nulla possa contrastare la sua ascesa a Palazzo Chigi?
A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca, diceva il vecchio Andreotti.
(da “la Stampa”)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
NON SFACCIATO COME QUELLO DI SALVINI, MA NON E’ CHE CAMBIANDO NOME IN “TREGUA” CAMBI LA SOSTANZA
La Flat Tax generalizzata sui cui Lega e Forza Italia stanno battagliando a colpi di aliquote nel programma fiscale di Fratelli d’Italia, primo partito della coalizione secondo i sondaggi, non c’è, perché l’idea di tassa piatta è limitata ai redditi incrementali.
E non c’è nemmeno la «pace fiscale», sostituita da una «tregua fiscale» diversificata secondo la situazione dei contribuenti.
Fdi mira a dare le carte della coalizione (con un voto in più rispetto agli alleati «il nome indicato per Palazzo Chigi è il mio», ha detto Giorgia Meloni). E anche in campo economico punta a distinguersi dai vicini di banco.
«Patto fiscale» per cittadini e imprese
Quello elaborato dal dipartimento Economia e finanza di FdI coordinato da Maurizio Leo è un «patto fiscale» per cittadini e imprese. Che ripesca anche alcune idee (fallimentari) del passato recente
Spicca, fra queste, la voluntary del contante, per far emergere i beni nascosti nelle cassette di sicurezza che secondo le stime più recenti superano i 100 miliardi. Per attrarre i contribuenti, l’idea è di applicare le imposte al 50% del contante regolarizzato, sul presupposto che quella quota corrisponda (a forfait) alle annualità ancora accertabili dal fisco. L’ipotesi si era già affacciata a fianco delle vecchie voluntary, ma è stata sempre stoppata da polemiche politiche e dubbi tecnici sulla possibilità di escludere somme frutto di riciclaggio o autoriciclaggio.
Sempre sul contante FdI propone di rialzare la soglia a 3mila euro.
Non parliamo di condoni, ma di «tregua fiscale» (è più fine)
«Fratelli d’Italia non vuole condoni», sottolinea a chiare lettere il testo del piano fiscale che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare.
Apre però a una «tregua fiscale» per facilitare le regolarizzazioni, con meccanismi differenziati a seconda degli importi e della situazione del contribuente, con il filo rosso della «regola del 5»: l’imposta resta dovuta, ma rateizzabile in 5 anni e con sanzione appena del 5%.
Le due proposte entrano nel programma dei «primi 100 giorni».
Per affrontare l’emergenza, sempre al debutto andrebbe tagliata l’Iva su energia (in parte è già così) e beni di prima necessità, approfondito l’intervento sul cuneo fiscale e introdotte agevolazioni per ridurre la pressione fiscale delle imprese in proporzione a investimenti e assunzioni.
Il tutto in vista di una riforma più ampia, che nel dovrebbe condurre a un’Irpef a tre aliquote (23% fino a 15mila euro, 27% fino a 50mila e 43% sopra), al superamento dell’Irap e al riordino delle leggi fiscali in un Codice unico tributario.
Tutti questi temi dialogano con la legge delega tentata senza successo dal governo Draghi. Ma al menù FdI aggiunge altri ingredienti, come un concordato preventivo a regime fra partite Iva e fisco. Il Fisco predeterminerebbe i redditi del contribuente per due anni, anche grazie al completamento della precompilata Iva; e l’interessato, aderendo, otterrebbe una semplificazione degli adempimenti e soprattutto un’esenzione su eventuali redditi aggiuntivi.
Il piano traccia anche una serie di ipotetiche coperture.
Tra queste, accanto alle classiche tax expenditures e a una spending review più ambiziosa di quella definita dal governo Draghi, si fa spazio anche una web tax più ampia e l’eliminazione del reddito di cittadinanza.
Tagli ai servizi, in pratica, e agli aiuti agli indigenti.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
I DUE ESPERTI SPIEGANO CHE LE COPERTURE ANNUNCIATE NON BASTANO E NON SONO NEANCHE FATTIBILI
Se dal centrosinistra non stanno arrivando moltissime proposte e ancora manca un programma condiviso da consegnare agli elettori in vista del 25 settembre, il centrodestra si è già sperticato in promesse elettorali supersoniche.
Dalla flat tax di Salvini al 15% (senza spiegare come ottenere le coperture e, di fatto, non inserita all’interno del programma nonostante il leghista continui a parlarne), ai numeri da circo annunciati da Silvio Berlusconi nei suoi vari video per alimentare la propria nuova-vecchia campagna elettorale: dagli alberi da piantare, fino ai dentisti gratis per gli anziani.
E poi c’è il tema dell’assistenza previdenziali e di quelle pensioni minime che – secondo queste promesse – saranno portate a mille euro anche per chi non ha mai potuto versare contribuiti.
Missione impossibile.
Oggi su La Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno smontato pezzo per pezzo quella promessa di pensioni a mille euro. E si parte dalle “coperture” annunciate dallo stesso Berlusconi e da Forza Italia.
Partiamo dai miliardi che potrebbero arrivare dalla rimodulazione (e non dalla cancellazione) del Reddito di cittadinanza.
“Berlusconi e i suoi consulenti fingono di avere una soluzione semplice e ovvia. Tra l’altro, sulla carta lo strumento per togliere il RdC a chi rifiuta una ragionevole offerta di lavoro alla sua portata esiste già, ma ha portato sin qui a sanzioni (non alla cancellazione del sussidio!) in non più di un centinaio di casi: questo proprio perché decidere chi può lavorare e chi no non è affatto semplice, e si presta a un contenzioso senza fine.
Una seconda fonte di coperture verrebbe da una revisione della spesa (cioè un taglio della spesa pubblica “inutile”) di 10 miliardi”.
Insomma, è già impossibile e questo basterebbe già a chiudere la questione. Ma arriviamo al totale.
Perché secondo i recenti studi, la proposta di alzare le pensioni a mille euro (quelle minime) avrebbe un costo annuo per lo Stato di circa 33 miliardi di euro (e coinvolgerebbe circa 6 milioni di cittadini).
Secondo i forzisti e il centrodestra (anche se Giorgia Meloni sembra essere più concreta, tanto da chiedere ai suoi alleati di non arrampicarsi sugli specchi con promesse non realizzabili), circa 20 miliardi si dovrebbero recuperare con “revisione delle spese fiscali, ossia quelle miriadi di detrazioni, deduzioni e riduzioni di aliquota di imposta per categorie particolari di utenti o per spese specifiche”.
Un progetto irrealizzabile e che segue la dinamica delle ciliegie: una tira l’altra. Perché questa revisione delle spese fiscali (con tutti gli annessi e connessi) è un’atavica promessa della politica. Insomma, in tanti hanno utilizzato questo grimaldello per le proprie campagne elettorali, ma le spese – nel corso degli anni – sono aumentate in ogni legislatura.
Nessun governo, di nessun colore, ha mai potuto fare cassa seguendo quella direzione. Perché troppe sono le variabili, troppi i costi di gestione (che porterebbero alla creazione di nuove tasse.
Insomma, Boeri e Perotti hanno un’idea piuttosto chiara della promessa di Berlusconi: “In sintesi, le coperture della proposta sulle pensioni di Berlusconi sono pura fantasia. Non sorprende quindi che Berlusconi non si sia nemmeno peritato di indicare le coperture per un’altra promessa, l’azzeramento delle spese dentarie per i pensionati”
(da NextQuotidiano)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO MARATTIN E’ ANDATO A ESAMINARE LA PROPOSTA FIRMATA DA SALVINI E SIRI DEPOSITATA IN PARLAMENTO… SOLO IN FUTURO AL 15% E AL COSTO DI 38 MILIARDI E SENZA COPERTURE REALI
“La flat tax (= aliquota unica) proposta dalla Lega in realtà è un sistema a 18 aliquote”, ha scritto oggi, sul suo profilo Twitter, il parlamentare Iv, presidente della Commissione Finanze, Luigi Marattin.
Un breve thread che contiene una speranza: “dal punto di vista della comunicazione la faranno franca anche stavolta?”, si chiede Marattin.
“Ieri sera – ricorda Marattin – ero ad un dibattito Tv con Armando Siri, il quale ha affermato che la proposta di flat tax al 15% è quella depositata in parlamento, e mi ha invitato a leggerla. E così ho fatto. È l’AS 1831 a prime firme Siri e Salvini, presentata il 27 maggio 2020”.
Vediamo insieme a Marattin cosa dice la proposta
“Gli slogan lanciati dal Carroccio in questi giorni (e in questi anni) non lascerebbero dubbi: flat tax vuol dire aliquota unica. Quindi ci aspettiamo un sistema con una sola aliquota fiscale, al 15%. Purtroppo nel disegno di legge c’è scritto tutt’altro. Vediamo”, ci spiega Marattin.
“Si tratta – sottolinea Marattin – di un sistema che passa dal reddito individuale al reddito familiare, quando la Lega (vedi documento Commissioni del 30 Giugno 2021 o delega fiscale un anno dopo) ha sempre votato per il mantenimento del sistema attuale. Ma sono quisquilie”
Andando avanti, Marattin ci spiega che: “Prima di tutto ci sono da calcolare le deduzioni. In modo facile? Beh non proprio. Giudicate”, scrive, allegando questo documento. “Veniamo al punto fondamentale: a questo reddito familiare, dopo le complicate deduzioni, applichi un’aliquota secca del 15%, vero?”, chiede Marattin.
“Come vedete dal testo, oltre all’aliquota del 15% – fino a certi livelli di reddito a seconda di che famiglia sei – ce ne sono altre 14”, ci dice Marattin.
Ma quattordici, a quanto pare, ci spiega Marattin, non bastano: “per le famiglie che non rientrano nelle definizioni date, valgono comunque le normali aliquote Irpef, che – bontà loro – vengono ridotte a 3. Per un totale di 18 aliquote: la flat quella al 15% + 14 + 3)”. Siamo, dunque, a quota 18 aliquote.
“Ovviamente – prosegue Marattin – non poteva poi mancare il grande classico della Lega: il rinvio al futuro. Alla fine, si dice: ‘si vabbè ma non preoccupatevi, eh. Questo è solo all’inizio. Poi in futuro la facciamo davvero l’aliquota unica’. Ma non è finita”.
“La copertura finanziaria – come potete vedere dal testo postato da Marattin – si basa su un ‘aumento di fedeltà fiscale conseguente alle misure di cui al presente titolo’.
Come sanno anche i sassi, si possono usare a copertura gli aumenti di fedeltà fiscale GIÀ verificati. Ma in nessun caso si può usare un aumento eventuale derivante dalle misure che si stanno introducendo e che si sta appunto cercando di coprire.
È una norma basilare di contabilità pubblica, che tuttavia populisti di ogni ordine e grado hanno sempre fatto finta di ignorare”.
“Questa – conclude Marattin – è la storia di Armando Siri. L’uomo che inventò l’aliquota unica a 18 aliquote. Il 25 settembre sta a noi scrivere un’altra storia: quella di chi, sventolando l’orgoglio italiano, manda per sempre in soffitta questo populismo cialtrone”.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2022 Riccardo Fucile
NORMAN GOBBI, IL RESPONSABILE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DEL CANTON TICINO, HA REPLICATO A VITTORIO SGARBI, AUTORE DI UNA SFURIATA PER ESSERE STATO FERMATO DALLA POLIZIA SVIZZERA AL VALICO DI CHIASSO PERCHÉ AVEVA SUPERATO LA FILA CON IL LAMPEGGIANTE ACCESO
“Questa è la Svizzera e il Canton Ticino signor Sgarbi, dove i deputati non hanno auto blu e men che meno dotate di lampeggianti prioritari”. Da Bellinzona, capitale del Canton Ticino, arriva una replica piccata a Vittorio Sgarbi, autore di una sfuriata su Facebook per essere stato fermato, sabato scorso nel pomeriggio, al valico autostradale di Chiasso-Brogeda, dalla polizia stradale ticinese e dalle guardie di confine svizzere, perché sorpreso a viaggiare su un’auto blu, con tanto di lampeggianti in funzione, sorpassando la colonna di veicoli dei vacanzieri, diretti verso il confine italo-svizzero.
A rispondere al deputato e critico d’arte, che a causa di quell’episodio ha dichiarato che mai più avrebbe messo piede in Svizzera, è stato, sempre via social, Norman Gobbi, responsabile del Dipartimento delle Istituzioni, il ministero di Giustizia e Polizia del Canton Ticino.
Non siamo all’incidente diplomatico ma poco ci manca. Anche perché pare che l’agente della Polizia di Stato che guidava l’auto con a bordo Sgarbi, reduce dal Locarno Film Festival, abbia insultato i poliziotti che l’hanno fermato.
“Diciamo che verso i miei uomini entrambi non si sono comportati molto bene”, dice a Repubblica Norman Gobbi.
Il deputato e critico d’arte, lo ricordiamo, non si è lamentato solo per la multa di 500 franchi inflitta al suo autista-poliziotto, ma pure per essere stato trattenuto in automobile, senza possibilità di scendere, durante gli accertamenti svolti dagli agenti e le guardie di confine.
“Poliziotti, arroganti prepotenti e bugiardi”, si era infuriato Sgarbi. Comportatisi, vale la pena sottolinearlo, come si comportano tutte le polizie d’Europa, italiana compresa, quando fermano un’auto. “Le regole sono regole”, ha tenuto a precisare il ministro Gobbi.
(da agenzie)
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