Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
“LETTA NON HA CAPITO CHE BISOGNA PARLARE PER SLOGAN, RENZI HA IL CARATTERE DI UN PROVINCIALE FRUSTRATO, CONTE NON SI È RESO CONTO CHE GRILLO ASPETTA CHE PASSI IL SUO CADAVERE”… “I SOVRANISTI NON HANNO CAPITO CHE L’ITALIA È UN PAESE A SOVRANITÀ LIMITATA. TUTTO SI DECIDE A BRUXELLES O A WASHINGTON. SE LAGARDE SMETTE DI COMPRARE BOT ITALIANI, FINIAMO CON IL SEDERE PER TERRA”… “LE ELEZIONI ITALIANE SARANNO OSSERVATE DALL’INTELLIGENCE DI TUTTO IL MONDO”
“Macché aprile, è agosto il più crudele dei mesi. Ma come? Io me ne stavo tranquillo al mare, e il Churchill dei Parioli dà il calcio sui maccheroni del centrosinistra e rinnega l’accordo? Aho’, sarà l’estate, ma a me sembra che le sinapsi di tutti stiano girando al contrario…».
Le sue invece funzionano benissimo. Con Roberto D’Agostino il problema non è farlo parlare: è farlo smettere. Alluvionale, divagante, divertente, certo: ma sempre benissimo informato e molto lucido.
Dunque, dicevamo del Churchill dei Parioli.
«No, da adesso Carlo Calenda è Bullo da solo. Per carità, nel suo pieno diritto di fare tutti gli strappi, strappetti e strapponi che vuole. Però sembra quel signore che vedeva arrivare il diluvio universale ed era indeciso se uscire con l’ombrello…».
Ma alla fine è lui che ha rotto con Letta o Letta con lui?
«Ah, qui Freud ci avrebbe scritto quattro libri, che so, una Psicopatologia della politica quotidiana. Calenda mi sembra un bipolare con qualche disturbo di personalità. O forse non ha capito che quella che Letta gli offriva non era un’alleanza politica, ma sui numeri. Un Fronte repubblicano, come lo chiama Marcello Sorgi. In Francia lo si fa al secondo turno, quando tutti si uniscono per impedire che vinca Le Pen. In Italia, dove il secondo turno non c’è, prima del primo, per impedire che stravinca Meloni».
Circostanza che pare scontata.
«Sì. Però io dei sondaggi non mi fido troppo. Sono cento telefonate, fatte oltretutto a numeri fissi, tipo telefono della nonna. Infatti a ogni elezione escono gli articoli sui sondaggisti che non avevano previsto questo o quello…».
Non divaghiamo. Letta avrà qualche responsabilità pure lui…
«Poverino, ci ha provato. Ha tanti difetti, il primo dei quali è che non ha capito che in tivù o sullo schermo di un telefonino bisogna parlare per slogan. Un articolo è troppo complesso, bisogna limitarsi a occhiello, titolo e catenaccio, e forse è troppo anche così. L’alleanza gli è esplosa in mano perché hanno tutti degli ego sovradimensionati. Anche la Dc erano almeno cinque partiti in uno, ma composti da gente con le rotelle a posto. E invece qui Italia Calenda est».
E Renzi?
«Renzi mi ricorda uno che vince alla lotteria e perde il biglietto. Ma come? Porta il Pd al 40 per cento e poi lo distrugge? Ha talento, dicono. Vero: ma in politica più del talento conta il carattere. E il suo è quello di un provinciale frustrato, che vorrebbe farsi accettare, non ci riesce (a Firenze, poi, la città più classista d’Italia, dove Renzi resta quello che viene dal contado) e allora fa lo spaccone. Alla fine, farà l’alleanza con Calenda e poi naturalmente litigheranno».
Resta Conte.
«Poverino, non si è reso conto che Grillo gli sta resettando il Movimento. Infatti Grillo sta zitto, non fa campagna, si gode le vacanze a Porto Cervo e sulla riva della Costa Smeralda aspetta che dopo la disfatta passi il cadavere del Ciuffo catramato. Conte finirà come senatore semplice a raccontare a tutti di quando contava qualcosa e parlava con Merkel… Lo fa già».
Davvero?
«Sì. È stato l’unico italiano beneficiato dalla pandemia, altrimenti mai sarebbe finito a Palazzo Chigi. Fra un po’ inizierà a rivedere i filmini di quando andava al G8, come le dive sul viale del tramonto. Del resto, da anni propongo l’istituzione di una specie di San Patrignano per i celebro-lesi caduti».
Avanti a destra, allora: Giorgia Meloni.
«Su di lei c’è un mistero».
Quale?
«Perché non dica chiaro e tondo: io sono antifascista. Ha già detto che è atlantista, europeista, pro Ucraina. Quando le chiedono dell’antifascismo, parte sempre con la supercazzola del passato consegnato alla storia e così via. Ma dilla, ‘sta frase, no? Perché non la dice?».
Perché mezzo partito non gradirebbe.
«E allora è vero che con una classe dirigente di La Russa e Santanché assortiti non va da nessuna parte. Crosetto ha detto proprio a La Stampa che gli uomini per governare li hanno ma non sono noti. Sarà. Però ricordo che, alle amministrative a Roma, Meloni ha candidato un impresentabile tribuno radiofonico, oltretutto laziale. Ve lo ricordate Michetti? Vero che, nella stessa tornata, a Milano Salvini ha candidato Bernardo, il pediatra con la pistola caro a Ronzulli. Roba da matti».
Salvini e Berlusconi?
«Il Truce e il Banana? Gli unici due veri antifascisti d’Italia, nel senso che come detestano loro Giorgia non la detesta nessuno. Salvini in privato la chiama “Rita Pavone”».
Però sono loro ad avere provocato le elezioni e il probabile ingresso di Meloni a Palazzo Chigi.
«A Salvini qualcuno ha fatto presente che, continuando così, era tutt’altro che certo che nel 2023 sarebbe stato ancora il segretario della Lega. A Berlusconi le badanti Ronzulli e Fascina hanno fatto balenare la possibilità di prendersi una rivincita, anche perché nel frattempo Gianni Letta non viene più ascoltato, è stato estromesso dai consiglieri. Ma il suo vero pensiero sugli alleati Silvio l’ha detto un anno fa in un momento di residua lucidità: Meloni o Salvini a Palazzo Chigi? Ma che scherziamo?».
Invece ci andranno. Ma un governo Meloni quanto durerebbe?
«Mah. La destra vincerà per forza, ma questi non hanno capito che l’Italia è un Paese a sovranità limitata. Dove si decide davvero, a Bruxelles o a Washington, l’idea che vadano al potere a Roma due amiconi di Putin come Salvini e Berlusconi non piace tanto. Mai le elezioni italiane saranno osservate dall’intelligence di tutto il mondo come queste. Meloni ha sbagliato a dare l’intervista alla Fox: è la tivù più vicina a Trump, invece di rassicurare ha ulteriormente preoccupato. Ma basta che Lagarde smetta di comprare Bot italiani e finiamo tutti con il sedere per terra»
Non sembra molto ottimista.
«Per nulla. Siamo sull’orlo del burrone. Anzi, visto che sono al mare a Sabaudia, siamo sull’orlo del burino».
(da La Stampa)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
NEL TERZO “POLLO” C’E’ LA TENTAZIONE DELLA CORSA PARALLELA
Cosa succederà nel terzo Polo, sull’asse Azione-Italia Viva? In questo momento è difficile anche solo cercare di prevederlo.
Perché molte voci all’inizio del pomeriggio parlavano di un accordo a portata di mano, di colloqui addirittura già indirizzati sulla ripartizione dei seggi all”uninominale. Ma la verità vera è che i contatti sono stati scarsi e fin qui poco produttivi.
Non ci sono solo le ruggini del passato mai del tutto sopite tra i due leader (ancora ieri sera l’accenno di Calenda al conflitto sostanziale di interesse di Renzi riguardo ai rapporti con il principe saudita Mohammed bin Salman ha avuto la reazione che si può immaginare nel diretto interessato – quello italiano…).
Ma soprattutto da una parte e dall’altra si sta soppesando ogni elemento pro o contro l’intesa: conviene oggi a Italia Viva collegarsi con Azione, e viceversa? E se sì, con che rapporti di forze?
Perché Italia Viva, come si sa, ha già impostato una campagna elettorale basato sullo slogan all’americana «Dammi il cinque» per indicare un obiettivo molto ottimistico, che metterebbe il partito in sicurezza in entrambi i rami del parlamento.
Dall’altra parte le aspettative di consensi erano maggiori, soprattutto dopo il successo di critica e di pubblico delle elezioni comunali di Roma, con la lista di Calenda al 20%, davanti addirittura al Pd.
Ma qui viene il punto dolente, che si sta vagliando da una parte e dall’altra, ovvero i risultati degli ultimi sondaggi realizzati tra sabato e ieri. Che ridimensionano molto il potenziale di Azione, sia per il sì-poi-no dell’adesione alla coalizione Letta, sia per il dato aritmetico del distacco dell’alleato +Europa.
Addirittura il sondaggio di YouTrend per Sky le promette, o per meglio dire minaccia, molto meno del 3% necessario per entrare da sola in Parlamento, e suppergiù con lo stesso peso di Italia Viva.
E allora in queste ore in tutti e due gli stati maggiori si sta verificando se sia meglio collegarsi, coalizzarsi o marciare divisi: perché ciascuna delle due forze sa bene che mettersi insieme non equivale mai a una somma matematica certa, e può più spesso portare perdite di suffragio tra chi quel matrimonio non lo sopporterebbe.
E infine, ma mai ultimo, quando ci sono di mezzo Renzi e Calenda, c’è anche il gusto della provocazione: perché è tutt’altro che scontato che l’espediente indicato da Calenda per non dover raccogliere le firme (la presenza di un suo simbolo all’europarlamento) sia accettabile per la commissione elettorale italiana.
Se così non fosse, l’alleanza con Renzi più che utile sarebbe obbligata. Ma con una trattativa a quel punto più onerosa (in ballo ci sono ripartizione dei seggi, ma anche apparizioni televisive e nome nel simbolo).
Sia quel che sia, dalle parti di Renzi e dalle parti di Calenda si comincia a ragionare sull’intesa ma anche sulla rottura.
E non è un caso che da Italia Viva si faccia trapelare la convocazione di una riunione, domani sera, estesa anche alle nuove forze in arrivo: il centro torinese di Portas (un signore che i voti li ha sempre avuti in proprio) e soprattutto il nuovo soggetto dell’ex sindaco di Parma Pizzarotti
(da Open)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
LE PROIEZIONI SUL NUMERO DEI SEGGI AI VARI PARTITI
Il centrodestra potrebbe ottenere il 61% dei collegi uninominali alla Camera e il 64% al Senato.
È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Cattaneo che analizza le medie di tutti i sondaggi pubblicati nell’ultimo mese alla luce della nascita del possibile terzo polo di Renzi e Calenda.
L’istituto Cattaneo esclude tuttavia che il centrodestra unito possa ottenere i due terzi dei seggi parlamentari, utili per poter approvare in autonomia riforme della Costituzione senza passare dal voto popolare.
Stando ai dati, secondo l’istituto, il centrodestra dovrebbe ottenere il 46% dei consensi, il M5s circa l’11%, Italia Viva e Azione unite si attesterebbero al 6% mentre il centrosinistra è avvalorato al 30%. Secondo lo studio, così potrebbero essere suddivisi i seggi alla Camera sommando le quote uninominali, proporzionali e estere: cdx 245, csx 107, M5s 27, Iv-Az 16, Svp 3, altri 2.
Quanto al Senato: cdx 127, csx 51, M5s 12, Iv-Az 7, Svp 2, altri 1.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL DELIRIO DEL PRIMO CITTADINO LARIANO CHE HA PROPOSTO LA DEPORTAZIONE NELLE ZONE DESERTE DELL’ISOLA FACENDO INCAZZARE I POLITICI SARDI
Le polemiche d’estate in politica sono un po’ come i tormentoni musicali: non si scappa. E nell’imminenza del Ferragosto si ritaglia un o spazio l’intemerata del sindaco di Como Alessandro Rapinese che, ha proposto di trasferire tutti i clandestini In Barbagia. Provocando – e sarebbe stato strano il contrario – il risentimento bipartisan di molti suoi colleghi che vivono in Sardegna.
Rapinese, eletto a giugno alla testa di una lista civica di destra, in una dichiarazione al quotidiano cittadino «La Provincia» sbrocca: «Se io fossi il legislatore non consentirei la libera circolazione a chi non ha i documenti in regola . E mentre si attende che vengano rimpatriati ci sono ampie zone deserte della Barbagia che potrebbero ospitarli».
Un idea non isolata se è vero che persino il premier britannico Boris Johnson ha provato a deportare tutti i «sans papier» del suo Paese in Ruanda.
«Ti sbatto in Sardegna!» era però frase risuonava in decenni passati nei b-movie e negli sketch della tv in bianco e nero. Ma i luoghi comuni hanno evidentemente le stesse vite dei gatti. E così, per quanto l’idea di Rapinese appartenga alla fantapolitica, la reazione della Sardegna non è tardata ad arrivare.
«La zona deserta è la sua testa, non la Barbagia»: così Ugo Cappellacci, deputato e coordinatore regionale di Forza Italia, commenta le affermazioni del sindaco di Como.
«Ritengo superfluo addentrarmi in una risposta di senso compiuto al sindaco di Como per le sue deliranti affermazioni sulla deportazione forzosa di migranti in Sardegna» interviene stamane il presidente dell’Anci Sardegna, Emiliano Deiana.
E come era facie prevedere sono arrivate le scuse del sindaco di Como: «La Barbagia è la prima che mi è venuta in mente ma non ce l’ho assolutamente con la Sardegna che è una terra che conosco e amo».
Ma ormai la cazzata è fatta.
Va detto che l’amministrazione comunale di Como si è resa protagonista negli ultimi anni di imbarazzanti «scivoloni» sul tema degli immigrati in città .Anni fa il municipio emise un ‘ordinanza che multava i volontari che portavano un pasto caldo ai senzatetto. In tempi più recenti l’assessora ai servizi sociali postò un video sui social in cui lei stessa andava a strappare le coperte a chi dormiva sotto i portici del centro cittadino.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
UGO ROSSI CONTESTA A CALENDA LA ROTTURA DEL PATTO CON IL PD: “SPETTACOLO AVVILENTE”
Calenda perde qualche pezzo. “Sono sempre stato convinto della necessità di costruire una forza politica liberale e democratica in grado di rompere l’assurdo schema destra-sinistra. Azione mi era sembrata il luogo migliore per coltivare questo obiettivo e queste elezioni erano una bella occasione, un banco di prova. Ho sempre pensato che l’obiettivo non fosse in contraddizione con un dialogo col Pd, a condizione che quel partito si decidesse a compiere quella scelta sempre rinviata di voler essere a tutti gli effetti un partito socialdemocratico europeo».
Lo dice Ugo Rossi, ex presidente della Provincia di Trento e ora consigliere provinciale di Azione.
Dopo la rottura con il Pd, Rossi ha deciso di chiudere l’esperienza con il partito di Calenda.
«Non voglio partecipare a questo spettacolo avvilente, chiuderò il mio mandato in consiglio provinciale ma non sotto il simbolo di Azione», ha aggiunto Rossi.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
SE NON SARANNO CENTRATI ENTRO DICEMBRE, RISCHIA DI SALTARE LA RATA DA 19 MILIARDI DEL RECOVERY FUND
Un’eredità pesante. La fine anticipata della XVIII legislatura lascia in carico al nuovo governo che uscirà dal voto del 25 settembre un altro dossier aperto che pesa sulle riforme fin qui adottate dai tre governi che si sono succeduti dal 2018: perché con lo scioglimento delle Camere rischiano di restare al palo o quantomeno di rallentare il loro cammino i 434 decreti attuativi (tra cui i 10 contenuti nel nuovo Dl Aiuti bis atteso oggi in Gazzetta Ufficiale) necessari a rendere pienamente operativi i provvedimenti legislativi varati finora e ancora rimasti sulla carta.
E per 146 è già scaduto il termine previsto per l’adozione. Una partita che si intreccia con il Pnrr e i 55 obiettivi che l’Italia dovrà centrare entro dicembre per ottenere da Bruxelles la terza rata di fondi europei da 19 miliardi.
Perché se la politica si ferma si blocca anche o almeno rallenta il lavoro degli uffici dei ministeri che lavorano alla messa a punto dei decreti attuativi. Anche se il Governo guidato da Mario Draghi ha dato un forte impulso all’adozione di quegli atti necessari a far camminare le riforme sulle proprie gambe.
Al momento del suo insediamento il 13 febbraio dello scorso anno aveva ereditato dai due passati governi guidati da Giuseppe Conte 497 decreti molti dei quali collegati all’emergenza Covid.
Al carico ricevuto dal suo predecessore si è aggiunta la mole dei decreti necessari a far decollare le riforme del suo esecutivo e i Dl emanati sull’onda anche della nuova emergenza legata al conflitto in Ucraina e al caro energia.§
In tutto, tra vecchi e nuovo esecutivo, uno stock di quasi 1.200 provvedimenti il cui smaltimento ha raggiunto una quota che sfiora il 64% (764 decreti adottati) e che nel passato si attestava tra il 45 e il 50 per cento.
Un’accelerazione impressa grazie anche al nuovo modello organizzativo voluto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli con una nuova rete permanente per l’attuazione costituita da un referente per ciascuna amministrazione coordinata dall’ufficio del programma di Governo di Palazzo Chigi.
Una percentuale che sale al 74,9% se si guarda quanto fatto dall’attuale esecutivo sullo stock ereditato dal governo Conte II. Ma nonostante i ritmi di adozione siano stati serrati restano sui tavoli dei ministeri ancora decreti attuativi importanti da portare al traguardo che riguardano le leggi e i decreti leggi del governo uscente, in tutto 300.
A partire dai 19 provvedimenti necessari per rendere pienamente operativa la riforma degli Its (si veda la pagina 2). Al decreto Pnrr 2 ne mancano ancora 29 (su 38 complessivi) così come l’attuazione della legge di Bilancio 2022 che ne aveva al suo attivo 151 attende ancora 49 decreti.
Il primo decreto legge aiuti invece (Dl 50/2022) convertito meno di un mese fa ha già portato a casa sei importanti atti come il provvedimento delle Entrate con le modalità sulla cessione e tracciabilità del credito d’imposta come contributo straordinario in favore delle imprese a forte consumo di gas naturale e il Dm dello Sviluppo economico che individua i soggetti erogatori di attività formative e digitali per il credito d’imposta «formazione 4.0».
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
I POLTRONARI DI CENTRODESTRA SOGNANO FABIO PANETTA MINISTRO DELL’ECONOMIA O PREMIER PER NON AVERE PROBLEMI DI “PRESENTABILITÀ”
Si fa presto a dire “facciamo il governo”. Matteo Salvini smania per tornare a fare il ministro dell’Interno e vuole mettere bocca sulla lista dei ministri di un eventuale governo Meloni. Il “Capitone” non ricorda che i ministri vanno proposti al presidente della Repubblica ed è quest’ultimo che poi li nomina.
Non di rado, ad alcune proposte il Colle si oppone (come avvenne per Paolo Savona proposto ministro dell’Economia da Lega e M5s nel 2018 e rimbalzato dallo stesso Mattarella o per il magistrato Nicola Gratteri che Renzi voleva ministro della Giustizia nel 2014 e Napolitano rispedì al mittente).
Mattarella non sarà spettatore non pagante di un governo di centrodestra. Il presidente vuole precise rassicurazioni, e farà sentire la sua voce, su tre ministeri pesanti: Esteri, Interno, Economia.
Il Quirinale eserciterà la sua influenza per affossare proposte non all’altezza del ruolo e dei tempi. Anche per evitare i veti del Colle, qualche maneggione del centrodestra culla l’ipotesi di proporre come ministro dell’Economia (o addirittura come presidente del Consiglio) l’ex Dg di Bankitalia e oggi membro del Comitato esecutivo della Bce, Fabio Panetta.
E’ bastato che l’economista incontrasse Giorgia Meloni al compleanno di Gianfranco Rotondi alla Casina di Macchia Madama (i due, tra l’altro, non si erano mai visti prima) per dare fiato alle trombette dei poltronisti di destra.
Sì perché c’è una fetta di futuri parlamentari, anche dentro Fratelli d’Italia, che non vuole perdere l’occasione di andare al governo per problemi di “presentabilità”, di un leader o di un ministro, agli occhi dei mercati.
Panetta pero’ non ha molta voglia di sporcarsi con la politica: punta alla poltrona di governatore di Bankitalia alla fine del mandato di Ignazio Visco.
(da Dagoreport)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
COTTARELLI, BOERI E TRIA: “INSOSTENIBILE, PURA PROPAGANDA, COSTEREBBE 80 MILIARDI E FAVORIREBBE SOLO I REDDITI ALTI”… “VA CONTRO LA COSTITUZIONE CHE PARLA DI TASSAZIONE PROGRESSIVA”
La flat tax al 15% domina la campagna elettorale. Nei giorni scorsi Silvio Berlusconi e proprio ieri Matteo Salvini sono tornati a proporla. Oggi la misura della cosiddetta “tassa piatta” è in vigore per le Partite Iva con un reddito fino a 65 mila euro annui. Ma il progetto dei due leader del centrodestra è di estenderla a tutti.
Ovvero, come ha spiegato ieri il Capitano, ai lavoratori dipendenti. Che però sono circa 18 milioni. Nel 2018 l’allora responsabile economico del partito Armando Siri aveva quantificato il costo della misura in 50 miliardi di euro. Che sarebbero stati compensati dall’emersione del sommerso, secondo la sua tesi.
Una tassa piatta al 23%, invece, costerebbe tra i 20 e i 30 miliardi ogni anno. Ma soprattutto: a chi conviene una flat tax? Quali categorie favorisce di più?
La flat tax è l’aliquota unica di tassazione che secondo le due proposte di Lega e Forza Italia dovrebbe essere al 15% o al 23%. Secondo le proposte il finanziamento per attuare una simile riduzione della fiscalità sui redditi arriverebbe da contributi, esenzioni, deduzioni, detrazioni e bonus. Ovvero le cosiddette tax expeditures che oggi consentono “sconti” sull’Irpef. Il problema è che in base all’articolo 53 della Costituzione – “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” – la fiscalità in Italia è intesa come progressiva. Ovvero si dovrebbe ampliare in base all’aumento dei guadagni. E già questo può costituire un ostacolo all’implementazione della flat tax nel sistema fiscale italiano.
Salvini dice che «nell’arco di cinque anni» è possibile portare la tassa piatta in Italia. Oggi la flat tax è in vigore in alcuni paesi europei:in Russia è in vigore una flat tax al 13%; la Romania e la Bulgaria hanno un’aliquota unica del 10%; quella dell’Ungheria è al 15%; in Estonia è al 20%.
Altri paesi hanno in vigore un sistema di tassa piatta. Per esempio il Jersey, un paradiso fiscale che appartiene alla Corona britannica. Qui la flat tax è fissata al 20%. E quali effetti avrebbe la flat tax sui redditi?
Cosa succede ai redditi con l’aliquota unica
Un documento dell’ufficio studi della Uil sostiene che per i redditi fino a 27 mila euro si andrebbe a pagare di più rispetto al sistema attuale (che prevede 4 aliquote dal 23 al 43%). I calcoli dicono che un cittadino con un reddito di 11 mila euro lordi l’anno dovrebbe pagarne 1.819 di tasse in più, il 200%. Mentre chi percepisce 17.600 euro il 72%, chi incassa 23 mila euro il 29%. La tassazione cambia per chi guadagna intorno ai 30 mila: -22%.
Per chi ha più di 50 mila euro le tasse diminuiscono del 43%.
Ma, come è stato spiegato all’epoca dai proponenti, l’effetto negativo sui redditi bassi sarebbe stato compensato da una detrazione (indicata all’epoca intorno ai 3 mila euro annui). Lavoce.info ha pubblicato nel 2018 uno studio che prendeva in considerazione la proposta della Lega all’epoca del governo con il Movimento 5 Stelle.
In questo caso la progressività fiscale veniva realizzata da da «una deduzione di 3 mila euro che va moltiplicata per il numero dei componenti se il reddito familiare è inferiore a 35 mila euro, per il solo numero di quelli a carico nel caso di reddito familiare tra 35 mila e 50 mila euro, zero oltre questa cifra». E una clausola di salvaguardia che permetteva di usare la vecchia tassazione se più conveniente.
Il finale però è sempre lo stesso: «la riforma porta a risparmi modesti per la classe media se confrontati con quelli della classe più ricca, che invece assorbirebbe più della metà del totale. Il fabbisogno necessario è anch’esso molto elevato. Cinquanta miliardi da recuperare tra (auspicata) minore evasione, maggiori altre imposte (quali?) e minori spese».
Gli economisti
Oggi La Stampa prova anche a calcolare l’ammontare dei costi per il Tesoro. «Sono tutte proposte insostenibili perché hanno un costo altissimo – spiega l’economista della Bocconi Tito Boeri –. Bisognerebbe rifare i calcoli, ma in base alle vecchie stime siamo attorno agli 80 miliardi, e quella di Forza Italia costa addirittura ancora di più. E quindi, se Lega e Forza Italia devono seguire il consiglio del loro candidato premier Giorgia Meloni, che ha detto di avanzare solo proposte che fattibili, è meglio che la ritirino immediatamente. Perché è una presa in giro. Voglio capire dove trovano 80 miliardi per una operazione di questo tipo».
«L’aliquota del 15% che propone Salvini è certamente troppo bassa. Una simile riforma costerebbe moltissimo, diverse decine di miliardi», aggiunge Carlo Cottarelli. Che su Twitter ha scritto: «La flat tax non mi piace. Non va demonizzata, ma va presentata per quello che è: un sistema di tassazione che redistribuisce meno di quello attuale e che (al 23%) ha un alto costo per le finanze pubbliche che dovrà essere colmato con altre tasse o tagli di spesa (oggi o domani)».
Per Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia nel governo Conte 1, «la flat tax è una cosa complessa, occorre saperla immaginare e scrivere. In passato si sono lette cose che non stavano né in cielo né in terra. Affermazioni come quelle di Salvini e Berlusconi sono solo propaganda, mentre la questione è molto seria perché si tratta di rivedere il sistema fiscale e anche la spesa. Oggi gran parte degli italiani paga meno del 15% di tasse, cosa significa estendere a tutti la flat tax: si fa pagare di più a chi paga di meno?».
(da Open)
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Agosto 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’ATTACCO ALLA BASE AEREA RUSSA DI NOVOFEDOROVKA, A BEN 200 KM DALLA LINEA DEL FRONTE
L’Ucraina ha dimostrato che “può colpire la Crimea”. Lo scrive su Twitter Phillips O’Brien, professore di studi strategici all’università di St Andrews in Scozia, dopo le esplosioni che si sono verificate nell’aerodromo di Saki in Crimea, penisola ucraina occupata dai russi nel 2014.
L’aeorodromo, collegato alle operazioni della flotta russa nel mar Nero, si trova a 200 km di distanza dalla linea del fronte.
“Cosa stanno facendo gli ucraini è estremamente importante. Dimostrando che possono colpire la Crimea, porteranno i russi a dover estendere le loro capacità di difesa. I russi dovranno proteggere un’enorme area dietro le linee del fronte”, ha twittato O’Brien.
Il commento arriva dopo che le autorità della Crimea hanno confermato le esplosioni nell’aerodromo e mentre sui social circolano diversi video di forti esplosioni nel sito militare.
Secondo il Guardian, è significativo che sia stato colpito un sito così in profondità nelle retrovie russe: ciò suggerisce che sia stato usato un missile balistico e che i recenti attacchi ucraini alla contraerea russa abbiano permesso al missile di raggiungere l’obiettivo.
(da agenzie)
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