Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
“OPERA DELL’ESERCITO REPUBBLICANO NAZIONALE: PUTIN E’ UN USURPATORE E UN CRIMINALE”… “CI SARANNO ALTRI ATTACCHI A FIGURE DI PRIMO PIANO DEL CREMLINO”
Ilya Ponomarev, un ex membro della Duma russa che è stato espulso per attività anti-Cremlino, ha affermato che ci sarebbe la mano di un gruppo di partigiani russi dietro un’autobomba che ha ucciso Darya Dugina, la figlia di uno degli stretti alleati politici del presidente.
Lo riferisce il Guardian. Il dissidente, parlando da Kiev dove risiede, ha sostenuto che l’attentato sia stata opera “dell’esercito repubblicano nazionale (NRA)”.
“Ieri sera si è verificato un evento importante vicino a Mosca. Questo attacco apre una nuova pagina nella resistenza russa al Putinismo. Nuova, ma non l’ultima”, ha affermato l’ex parlamentare, che durante un programma televisivo ha letto quello che ha affermato essere un manifesto del gruppo partigiano in questione.
Un documento in cui si definisce “Putin un usurpatore del potere e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, scatenato una guerra fratricida tra i popoli slavi e mandato i soldati russi a una morte certa e insensata. E che sarà deposto”.
Nel documento la figlia di Dugin viene descritta come “obiettivo legittimo perché fedele compagna del padre, che sosteneva il genocidio in Ucraina”.
Secondo Ponomarev l’Nra sarebbe pronto a condurre ulteriori attacchi simili contro obiettivi di alto profilo collegati al Cremlino, inclusi funzionari, oligarchi e membri delle agenzie di sicurezza.
L’ex deputato, l’unico a votare contro l’annessione della Crimea nel 2014 e bandito da Mosca, è diventato cittadino ucraino nel 2019.
Da Kiev, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha lanciato il programma televisivo February Morning in lingua russa per dar voce all’opposizione.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
ALEKSANDR DUGIN HA INDOTTRINATO A LUNGO PUTIN PER CONVINCERLO A INVADERE L’UCRAINA: “NON SI TRATTA SOLO DI DENAZIFICARE IL PAESE, È UNA BATTAGLIA CONTRO L’OCCIDENTE, CIOÈ L’ANTICRISTO”… MA CI SONO ANCHE DMITRY KISELYOV, DIRETTORE DELL’AGENZIA D’INFORMAZIONE ROSSIYA SEGODNYA, MARGARITA SIMONYAN, AD DI RUSSIA TODAY E IL FALCO PARANOIDE VLADIMIR SOLOVYOV
Nello sforzo di contenere la Russia e il suo attacco ingiustificato all’Ucraina, l’Occidente ha imposto sanzioni di varia natura sulle persone che sostengono il regime di Vladimir Putin. In questa lista ci sono ministri e deputati, oligarchi e amici personali del presidente russo, comandanti militari e dirigenti di società statali. Ci sono anche noti propagandisti.
Il falco paranoide Vladimir Solovyov, tra l’altro proprietario di una villa sul lago di Como; c’è Dmitry Kiselyov, direttore dell’agenzia d’informazione Rossiya Segodnya; ci sono Margarita Simonyan, amministratrice delegata di Russia Today, e Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, e Olga Skabeyeva, altra conduttrice tv pro Cremlino. Le sanzioni poi hanno colpito personaggi meno importanti come Artyom Sheinin o Sergei Brylyov.
Si può essere d’accordo o meno sul sanzionare i giornalisti più sfacciatamente pro Cremlino, punendoli in sostanza per le loro parole. Eppure non si può non accorgersi che c’è un intero gruppo di persone – intellettuali, che lavorano anche loro con parole e idee – che sono sfuggite quasi completamente al perimetro sanzionatorio occidentale. Lo fa notare un editoriale uscito poco fa sul Moscow Times, giornale online che aveva sede a Mosca e si è trasferito ad Amsterdam dopo l’invasione del 24 febbraio.
Vladislav Inozemtsev, l’autore dell’articolo, scrive che “le sanzioni, concentrandosi sui semplici propagandisti, hanno dimenticato obiettivi molto più importanti. Coloro che hanno creato l’ideologia russa moderna e l’hanno attivamente diffusa per anni non sono stati toccati”.
Si tratta di esperti di relazioni internazionali e politologi. Putin non è un dilettante impazzito, fa notare giustamente Inozemtsev, ma un leader che segue in modo abbastanza consequenziale il canovaccio tracciato da questo gruppo di intellettuali.
Uno dei più noti è Sergey Karaganov: stretto consigliere prima di Boris Eltsin poi di Putin, preside della Facoltà di Economia e Affari Internazionali dell’Università di Mosca, è stato anche parte del direttivo internazionale del Council on Foreign Relations, uno più influenti think tank americani di politica estera.
Non c’è dubbio che appartengano a Karaganov molte delle idee con cui Mosca ha giustificato l’invasione dell’Ucraina. Come prima cosa, secondo Karaganov, il crollo dell’URSS avrebbe lasciato i popoli attorno alla Russia, compreso quello ucraino, privi di un vero senso di nazionalità e quindi incapaci di affermarsi come stati sovrani.
Da ciò deriverebbe la missione del Cremlino di costruire un’unione eurasiatica incentrata sul predominio di Mosca (anche per proteggere i diritti dei russofoni sparsi nella regione). Per far questo, afferma Karaganov, la Russia sarebbe autorizzata a riscrivere l’ordine della sicurezza mondiale ed europea, se necessario usando la forza.
“Oggi siamo entrati in un periodo piuttosto acuto, credo, di dieci anni di demolizione attiva delle regole del gioco creato dall’Occidente dopo il crollo dell’URSS”, ha detto Karaganov in un’intervista recente. E ha aggiunto: “Se mi chiedeste cosa vorrei ottenere alla fine, risponderò che non vorrei riprodurre nemmeno il sistema di Yalta, ma il ‘concerto delle grandi potenze’ che si è creato in seguito agli esiti delle guerre napoleoniche”.
Gli altri ideologi indicati dal Moscow Times sono Fyodor Lukyanov e Timofei Bordachev. Questo trio – scrive Vladislav Inozemtsev – insieme a Dmitry Suslov, Andrei Ilnitsky e Andrei Sushentsov ha glorificato per anni la svolta verso est della Russia, “sostenendo che l’alleanza di Mosca con Pechino avrebbe posto fine alla supremazia dell’America”.
Questi intellettuali sono gli ideatori della cosiddetta “dottrina Putin”, che – secondo Foreign Affairs – implica “il rovesciamento delle conseguenze del crollo sovietico”, e consiste nel “dividere l’alleanza transatlantica e rinegoziare l’assetto geografico che pose fine alla Guerra Fredda”.
Tra gli strumenti di propaganda ideologica, spiega il Moscow Times, ha avuto un ruolo determinante il forum e think tank moscovita Valdai Discussion Club. Per anni questo club ha intrattenuto rapporti con accademici e politici occidentali, “influenzandoli – scrive Inozemtsev – “e portandoli in Russia per ‘dibattiti scientifici’ culminati in incontri annuali con Sergei Lavrov, Dmitry Medvedev e Vladimir Putin”.
C’è da dire che questi incontri avrebbero potuto anche essere utili, se solo i politici e gli accademici in questione avessero preso sul serio le idee dei loro colleghi russi. Il Moscow Times osserva che “a nessuno di questi brillanti visionari e pensatori è mai stato vietato di viaggiare in Europa e ancora oggi sono ospiti frequenti dei media occidentali”.
In alcuni casi – continua il Moscow Times – questi intellettuali russi starebbero cercando oggi di riposizionarsi nel mondo accademico occidentale, “se gli sforzi di Putin dovessero fallire”. Ma c’è almeno un politologo a cui questo cambio di casacca è sicuramente precluso.
È l’ultra reazionario Alex Dugin, il più radicale e appariscente del gruppo, colpito da sanzioni nel 2015 per aver fomentato le violenze in Donbass. Non è chiaro quanto la leadership russa lo ascolti davvero, anche perché l’Università di Mosca lo ha allontanato. All’indomani dell’invasione, Dugin ha spiegato in questi termini la guerra in Ucraina: “Non si tratta solo di denazificare il paese e proteggere il Donbass, è una battaglia contro l’Occidente, cioè l’Anticristo”.
In effetti la domanda posta dal Moscow Times è abbastanza legittima: che senso ha sanzionare persone come Maria Zakharova (portavoce del ministero degli Esteri russo), se poi si lasciano indisturbati i professori che l’hanno istruita in quel modo? All’Università statale per le relazioni internazionali di Mosca, secondo il Moscow Times, il rettore Anatoly Torkunov e professori come Alexei Podberyozkin “stanno facendo del loro meglio per trasformare l’ateneo in una fabbrica che produce sempre più laureati alla ‘Zakharova’ che insistono sulla supremazia russa e sul potere della forza, non delle regole, nella politica globale”.
Colpire intellettuali per le loro idee è sempre delicato e molto opinabile, ma la vera questione non è nemmeno questa. L’articolo del Moscow Times ci ricorda che alla base putinismo c’è un corpo di dottrine che si è sviluppato alla luce del sole negli ultimi 25 anni. “La guerra si spiega con decisioni maturate dentro lo stato russo”, ha spiegato lo storico Andrea Graziosi, docente all’Università di Napoli Federico II, autore di saggi sull’Unione Sovietica tradotti in tutto il mondo. “È davvero superficiale non leggere quello che dicono i russi del perché l’hanno cominciata. Non dicono che l’hanno fatto per paura della Nato, cui si accenna in qualche documento; dicono di averlo fatto per cambiare l’ordine mondiale nato nel 1991 e che questo era il momento giusto per farlo”.
(da il Messaggero)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL CASO DI CARLOTTA CHIARALUCE CAPOLISTA ITALEXIT NEL LAZIO
“Italexit? CasaPound è casa mia, ma ha fatto la scelta di non presentare il simbolo alle elezioni. E io, da donna e imprenditrice che si è sempre impegnata in prima persona in politica, ritengo di poter e dover dare il mio contributo in un momento così difficile per il popolo italiano”.
A parlare all’Adnkronos è Carlotta Chiaraluce, esponente di CasaPound, candidata capolista alla Camera nel Lazio con Italexit.
“Dopo le vessazioni del covid, tra green pass e vaccini imposti, i negozi e i ristoranti chiusi per mesi, una crisi economica incombente che minaccia di far pagare il prezzo più caro ai meno tutelati, agli autonomi, ai piccoli imprenditori, alle famiglie, candidarmi per difendere quel poco che resta della nostra libertà era una scelta quasi obbligata. Entreremo in Parlamento e saremo la voce di coloro che sono stati emarginati, ghettizzati e lasciati senza lavoro dal Governo Draghi. Sono queste le battaglie che condivido con il movimento di Gianluigi Paragone, che ha coraggiosamente deciso di candidarmi capolista alla Camera nel Lazio, fregandosene di chi avrebbe potuto storcere il naso per la mia appartenenza a un movimento giudicato ‘radicale’. E’ per questo che diamo fastidio, badiamo al sodo. Il resto è solo propaganda”.
Diciamo che non potendo raggiungere il quorum come Casapound si e’ optato per presentare candidati con Paragone.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
AD AOSTA, STANGATE PER CHI VA DA PARRUCCHIERI E DENTISTI – A TORINO SONO SALATISSIME LE TINTORIE… LE CITTÀ PIÙ ECONOMICHE SAREBBERO NAPOLI, PESCARA E PALERMO
Milano si conferma la città più cara dove fare la spesa alimentare, ma ad Aosta spetta il primato dei servizi più costosi. Il dato emerge da una indagine del Codacons che ha messo a confronto prezzi e tariffe di un paniere di beni e prestazioni nelle principali città italiane, per capire come cambia lo scontrino medio degli italiani a seconda della zona di residenza.
Sul fronte degli acquisti alimentari a Milano, per riempire un carrello contenente prodotti che spaziano dall’ortofrutta al pesce, si spendono circa 116 euro, il 17,7% in più della media nazionale (98,58 euro) e addirittura il +54% rispetto alla città più economica, Napoli, dove per gli stessi acquisti bastano 75 euro.
Tra le città più care si posiziona anche Torino dove per gli acquisti alimentari si sborsano 103,96 euro. In cima alla lista anche Bologna dove per mangiare servono 105,01 euro così come Trieste che richiede in media 107 euro mensili per riempire il carrello. A Roma invece si spendono 101, 91 euro e a Venezia 98,95 euro.
Per i servizi, dal ginecologo al dentista, passando per tintorie e parrucchieri, è Aosta la città dove si spende di più, con una media di 458 euro per un paniere ad hoc, il 29,7% in più sulla media nazionale.
Tra le città più costose figurano anche Trento e Bologna mentre le più economiche, in base allo studio del Codacons, sarebbero Napoli, Pescara e Palermo.
Non mancano le curiosità: per il taglio capelli uomo conviene trasferirsi a Catanzaro, dove bastano appena 14,29 euro contro i 26,3 euro di Trieste, il cappuccino meglio a Roma (1,18 euro) che a Trento (1,68 euro), mentre per lavare e stirare un abito in tintoria i cittadini di Torino spendono in media 8,43 euro, il 25% in meno della media nazionale. Il petto di pollo più economico è venduto a Pescara (in media 8,82 euro al kg), le alici più “salate” a Roma (9,71 euro al kg), proibitivo il salmone a Milano (quasi 30 euro al kg).
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
GIORGIO MALAVASI HA TRASFORMATO UN RUDERE DI CAMPAGNA IN UNA CASA SOLARE, FACENDO A MENO DEL GAS
La crisi energetica sta mettendo a dura prova ristoratori, aziende e cittadini. Se in questi giorni aumentano sempre più le proteste di chi non riesce a pagare le bollette, c’è chi non è sfiorato dalla questione.
É il caso di Giorgio Malavasi, giornalista di economia verde, che ha trasformato un vecchio rudere di campagna nella «casa più efficiente del Veneto».
Inaugurata a luglio 2021 e progettata dall’architetto Denise Tegon, l’abitazione di Giorgio si trova a Spinea, in provincia di Venezia, ed è una «casa solare» che non è nemmeno allacciata al gas.
Pannelli fotovoltaici, batterie che raccolgono energia e coibentazione in legno del Trentino: così si presenta la casa biocompatibile a zero emissioni di Giorgio. Il tutto al costo di meno di un caffè al giorno. «Considerando bollette e tassa rifiuti, e compresi i costi fissi dell’allacciamento alla rete elettrica per salvaguardare le giornate più rigide d’inverno, abbiamo speso in un anno circa 800 euro. Visti i 650 euro pagati dal gestore per l’energia prodotta in eccesso, il conto è presto fatto: ci costa solo 50 centesimi al giorno», ha detto Malavasi riportato dal Corriere della Sera.
Ci guadagnano tutti: «Lo Stato, la famiglia e l’economia»
Oltre ad essere economica, la casa di Giorgio è molto comoda in inverno. Basta che che qualcuno sia presente e il calore resta a lungo. «A voler essere onesti, ogni volta che invito qualcuno lo dovrei anche pagare – dice ironicamente –, con il solo calore corporeo sprigionato da una tavolata di amici nella mia cucina, scaldo la casa per i tre giorni successivi».
Se nei mesi freddi il caldo che permane a lungo è ottimo, nei periodi estivi è meno semplice da gestire a causa delle alte temperature. «In questo caso abbiamo un solo condizionatore. L’energia è prodotta in abbondanza dai pannelli sul tetto e la parete in mattoni ottocenteschi, ricavata dalle pareti del rudere che c’era prima, serve come isolante. E sia d’estate che d’inverno entra in gioco la geotermia», spiega Giorgio, che ci tiene a sottolineare come abbia costruito questa casa non solo per motivi economici.
«L’efficientamento energetico, la mancata dipendenza dalle fonti fossili e da qualche Paese dalla politica sgradevole, l’emersione di tutto il lavoro nero che un tempo inquinava l’edilizia, fa sì che ci guadagnino tutti: lo Stato, la famiglia, l’economia generale. E pure l’onestà. In fin dei conti».
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO ACCUSA IL LEADER DI AZIONE DI NON AVER PRESO IN CONSIDERAZIONE LA SUA CANDIDATURA A MILANO
Un botta e risposta che appassionerà i cultori della materia, quello tra Carlo Calenda, leader di Azione, e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini.
Tema: la candidatura di quest’ultimo nelle liste dell’alleanza centrista alle Politiche. Candidatura o autocandidatura? Fatta di persona o solo per messaggio? Su questo i due si stanno rintuzzando nelle ultime ore, a liste del Terzo Polo praticamente fatte.
Calenda, infatti, ha risposto questa mattina a Gabriele Albertini che, in un’intervista a Il Giorno, aveva accusato il leader di Azione di aver voluto “conservare i seggi blindati per gli uomini di Azione”. “Non mi ha neppure risposto. La mia candidatura poteva rappresentare un valore in più dal punto di vista elettorale”, aveva aggiunto Albertini. il quale aveva detto che il leader di Italia viva Matteo Renzi ha invece “insistito per la mia candidatura a Milano”.
Netto Calenda sui social: “Non vedo Albertini dall’epoca di Scelta Civica, direi quasi dieci anni. Una settimana fa ha chiesto una doppia candidatura a Milano con un messaggio. Non essendo mai stato iscritto ad Azione, mi è sembrata una proposta quantomeno stravagante”.
Affermazioni a cui Albertini replica a sua volta mostrando all’Adnkronos uno scambio di sms. “Come sapete – scrive Albertini nell’sms inviato ai vertici di Azione- non ho chiesto niente, che non fosse la conferma di un offerta fattami da MEB (attraverso una telefonata che Maria Elena Boschi avrebbe fatto ad Albertini per conto di Matteo Renzi, ndr). Che lui (Calenda, ndr) ha respinto col suo 50% di posti spettanti”.
Il che potrebbe significare, fa capire l’ex sindaco di Milano, che tra i due leader del Terzo Polo non ci sia stata interlocuzione nella scelta dei candidati o che, pur essendoci stata, Renzi abbia accettato la candidatura di Enrico Costa da parte di Calenda.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
“E’ UN TRADIMENTO DEI PRINCIPI SU CUI AZIONE SI E’ FONDATA”
Tra non poche polemiche, Azione e Italia Viva scelgono di candidare al listino proporzionale del collegio di Bari Massimo Cassano, direttore generale dell’Arpal ed ex sottosegretario al Lavoro nei governi Renzi e Gentiloni.
Cassano si stacca così dal centrosinistra del governatore Michele Emiliano, che ha sostenuto finora.
«Da oggi in poi metto a disposizione di Azione la mia esperienza e la rete di amministratori. Sono di questo convinto ed ovviamente tutte le mie scelte politiche sono conseguenti e conformi alle iniziative ed alle posizioni che Carlo Calenda assumerà nel panorama nazionale e regionale a cominciare dalla mia collocazione all’opposizione del governo regionale», ha dichiarato Cassano. E aggiunge: «Credo con Azione di rappresentare meglio le istanze di modernità dei miei territori e sono orgoglioso di parlare il linguaggio della verità contro i populismi di destra e di sinistra».
Tra le priorità politiche ha già delineato la necessità, a suo avviso, di realizzare una rete industriale di termovalorizzatori, di gassificatori o rigassificatori.
«La crisi energetica ha ridicolizzato quanti in Puglia si sono schierati contro il Tap lisciando il pelo ad un ambientalismo datato ed inconcludente», ha commentato. Cassano sarebbe in seconda posizione dietro Mara Carfagna: potrebbe quindi rientrare in Parlamento. Della sua rete dovrebbe poi esserci a Taranto, Massimiliano Stellato, il capogruppo in Consiglio regionale di Puglia popolare che alle ultime comunali aveva appoggiato il centrodestra.
Il Direttivo di Azione Bari: «Tradimento dei nostri principi»
Oggi il Consiglio Direttivo Azione Bari ha manifestato dissenso per queste candidature in vista delle elezioni del 25 settembre. «La nascita di un polo liberal democratico non può affondare le sue radici nel trasformismo politico. Il programma presentato il 18 agosto da Carlo Calenda contiene forti contraddizioni con la figura politica del candidato Massimo Cassano, autorevole esponente del governo Emiliano in regione Puglia. Non si può combattere un sistema di potere clientelare, assistenzialista, inefficace, anti-sviluppo e culturalmente retrogrado, affidandosi ad alcuni dei suoi più autorevoli protagonisti», si legge in una nota del Consiglio. I nomi del listino proporzionale di Bari sono, a loro avviso, un «tradimento dei principi su cui Azione si è fondata, a partire da quello del riconoscimento del talento e del merito».
E l’attacco va in particolare alla segreteria provinciale e alla segreteria regionale che «non hanno saputo e non hanno voluto opporsi alla delegittimazione degli organi territoriali».
Accusano Azione di non aver preso in considerazione le 3 candidature avanzate dal Consiglio Direttivo di Azione Bari e denunciano la scelta poco trasparente del partito. Pertanto, chiedono «di conoscere in dettaglio come sia stata effettuata la selezione delle candidature e come siano state approvate le liste elettorali coinvolgenti il territorio della città di Bari, per la Camera e per il Senato».
(da il Messaggero)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL 36ENNE DARIO DISTASO, LAVORATORE DI UBER EATS, HA OTTENUTO UN’ORDINANZA CON CUI UN GIUDICE DI PALERMO OBBLIGA LA PIATTAFORMA A PAGARE AI FATTORINI ACQUA, SALI MINERALI, CREME SOLARI E SALVIETTINE UMIDIFICATE QUANDO CI SONO CONDIZIONI DI CALDO INSOSTENIBILE
Ha 36 anni e non è fidanzato perché «non me lo potrei nemmeno permettere – scherza Dario Distaso, rider – e poi la mia vita è complicata già così”.
In verità Distaso, che lavora per Uber Eats, la vita è riuscito a complicarla anche alla piattaforma che si occupa di delivery, consegne a domicilio che d’estate, col caldo siciliano, diventano spesso un’impresa. E infatti Dario è riuscito a ottenere, con l’assistenza della Nidil-Cgil, un’ordinanza con cui un giudice di Palermo, Giuseppe Tango, gli ha riconosciuto il diritto ad avere acqua, sali minerali, creme solari e salviettine umidificate. Non solo per lui, ma – così ha stabilito il Tribunale – anche per gli altri, quando ci sono condizioni di rischio e di caldo insostenibile.
Distaso di questo è contento, «ho fatto qualcosa che vale pure per gli altri, la mia iniziativa è stata posta in essere proprio per sostenere anche i colleghi. Se la legge prevede qualcosa – dice il rider – è giusto che valga per tutti quelli che sono, siamo, nelle stesse condizioni».
Non teme ritorsioni sul lavoro, aggravamento delle condizioni o licenziamento. «Non si devono permettere – spiega risoluto – io ho sempre fatto più del dovuto, credo in questo lavoro e lo svolgo con coscienza».
«Noi rider – dice Distaso – siamo come numeri, sfruttati e spesso abbandonati a noi stessi, questa sentenza ci restituisce dignità mettendo un punto fermo: le aziende non possono trattarci al pari di semplici lavoratori autonomi, ma adesso devono ascoltarci».
È solo un fattorino, a volere dirlo in italiano, in un mondo dove l’anglofilia nasconde spesso sacche di sfruttamento, lavori al limite, retribuzioni basse, ma Dario sta costringendo le aziende del settore a cambiare la propria politica sulla gestione del personale.
All’inizio del mese un altro rider, di Glovo, aveva ottenuto un provvedimento analogo, ma ad personam.
«Lavoriamo in tutte le condizioni climatiche – racconta – e devo dire che d’inverno è anche più pesante, per chi, come me, si sposta in bici o col monopattino. Ma in questi ultimi giorni di gran caldo la situazione è insostenibile, riesci a fare un paio di consegne e poi quasi non capisci più dove sei, cosa stai facendo. Tutto per un migliaio di euro al mese, se lavori come un matto».
Dario scende in strada ogni giorno da mezzogiorno alle due del pomeriggio, ovvero «gli orari in cui è più facile fare le consegne, ma d’estate finisco stremato e zuppo di sudore per il caldo torrido, mentre d’inverno è la pioggia a tormentarci».
Non solo caldo, perché i sistemi delle piattaforme, per ottenere maggiori introiti, consentono i pagamenti in contanti: «I clienti scelgono cosa mangiare tramite le app – spiega Distaso – ma quando arriviamo per la consegna c’è chi ci minaccia e di soldi non ne vediamo. Col rischio di prendere botte da una baby gang che opera nel centro storico di Palermo, ma anche di perdere il lavoro per le consegne non fatte e per i sospetti di frode che possono ricadere su di noi”.
I contratti di collaborazione non danno garanzie o certezze, basta un infortunio per rimanere a casa, le entrate mensili sono ancora troppo basse e, come se non bastasse, non c’è nessuno pronto ad ascoltare.
«Una consegna viene pagata 2 euro e 50 centesimi lordi – sottolinea Dario -. È una miseria anche perché ci sono giornate dove i ritiri si contano sulle dita di una mano, mentre altre volte c’è una geolocalizzazione incomprensibile. Fino a qualche tempo fa c’era un responsabile a cui poter esporre i nostri problemi, poi eliminato: abbiamo incontrato i manager di Uber, ai quali abbiamo cercato di spiegare cosa non va, ma per tutta risposta ci hanno tolto alcuni bonus».
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
E QUESTA SAREBBE UNA CHE SI DOCUMENTA… ALTRO CHE L’8% DI DOMANDE DI PROTEZIONE ACCOLTE, SIAMO INTORNO AL 50% DI AVENTI DIRITTO
Giorgia Meloni ancora una volta ha rilanciato la proposta del ‘blocco navale’, una strategia di gestione dei flussi migratori che fa parte da anni dei piani di Fratelli d’Italia.
La dicitura ‘blocco navale’ nell’accordo quadro siglato dal Centrodestra non c’è, perché, ha spiegato la stessa Meloni, si tratta di un “concetto sempre frutto di una mistificazione. La proposta di Fratelli d’Italia da sempre dice che noi dobbiamo chiedere all’Europa una missione europea, in accordo con le autorità libiche, per difendere i confini europei”.
Ma è davvero possibile realizzarlo?
Le ultime dichiarazioni della presidente di Fdi del resto non lasciano spazio a dubbi: “Fratelli d’Italia vuole il blocco navale: una missione europea, in accordo con gli Stati del nord Africa, , con anche l’istituzione in territorio africano di hotspot gestiti insieme all’Unione europea dove vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto alla protezione internazionale da chi non ce l’ha”.
Perché non ha alcun senso parlare di blocco navale
Questa proposta presenta diverse falle. “Una proposta in questi termini rischia di essere così generica al punto da non significare nulla. L’idea di accordi dell’Unione europea con i Paesi africani per la gestione del flusso migratorio non è nuova, se ne parla almeno da 15 anni, non si capisce in cosa consisterebbe la novità. Meloni non dice che tipo di accordi si potrebbero fare. È una questione geopolitica complessa, che non si può ridurre a uno slogan da bar”, ha spiegato a Fanpage.it Luca Masera, professore di diritto penale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Brescia e membro del consiglio direttivo di ASGI.
“Tra l’altro le missioni europee per controllare i confini dell’Ue nel Mediterraneo (come l’operazione Themis, ex Triton, gestita da Frontex ndr) ci sono già, cosa dovrebbero fare di diverso da quello che fanno? Dire ‘vogliamo una missione europea’ è dire il nulla”.
“Se lo scopo è invece quello di non permettere più alle persone di partire, bloccando le frontiere dei Paesi africani, questo non ha nulla a che vedere con quello che può fare il governo italiano, perché sarebbe un problema di gestione della sicurezza nei Paesi di provenienza, in particolare la Libia. Ma la Libia non è in grado di gestire le partenze, perché non ha nemmeno un governo centrale capace di controllare le bande criminali che operano nel territorio”.
“L’unica parte del discorso di Meloni che mi sembra minimamente concreta – ha aggiunto Masera – è l’esternalizzazione della valutazione delle richieste, con la creazione degli hotspot. Una proposta che sembra un po’ scimmiottare l’idea portata avanti da Boris Johnson, e che è stata già bocciata, cioè quella di trasferire in Ruanda la valutazione delle richieste di protezione.
Ma la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza importante di dieci anni fa, ci dice che se qualcuno è in mare e scappa da un Paese come la Libia non può essere riportato in Africa, in un Paese che non è un Paese sicuro. Questo è il primo ostacolo giuridico”.
La proposta di Meloni non si può mettere in pratica anche perché presenta anche un’altra criticità: “Trasferire gli hotspot in Africa non è solo una scelta meramente geografica, vuol dire far venir meno la stessa natura del diritto di asilo, garantito dal diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, perché la valutazione delle domande non sarebbe più sottoposta a tutte le garanzie che ci sono nel vaglio delle domande in Italia. In sostanza, se ci fossero davvero degli hotspot in Africa non ci sarebbe alcuna certezza di avere un’autorità giudiziaria in grado di verificare la correttezza della valutazione di queste domande. Quindi il diritto di asilo da un diritto fondamentale si trasformerebbe in una mera concessione benevola dello Stato, che a questo punto potrebbe decidere di riconoscere la protezione, sulla base di criteri totalmente discrezionali e senza alcun controllo dell’autorità giudiziaria, come è attualmente. Non è una differenza da poco. È la differenza che c’è tra un diritto, che posso far riconoscere davanti alla pubblica amministrazione e in seconda battuta, se me lo nega, davanti a un giudice, e una mera concessione. In pratica la morte e lo svuotamento del diritto d’asilo che nella nostra struttura costituzionale è uno dei diritti fondamentali”.
Le percentuali (sbagliate) di Meloni sulle domande d’asilo
Giorgia Meloni, probabilmente per dare forza al suo discorso e portare avanti la proposta del blocco navale, dice anche un’altra cosa: “Da quando la sinistra è al governo 800mila migranti sono sbarcati illegalmente: solo l’8% di questi ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione, gli altri, quasi tutti maschi in età adulta, sono immigrati clandestini”.
La percentuale dell’8% è totalmente infondata. Basta consultare i dati della Commissione nazionale del diritto d’asilo del Viminale, relativi al 2021.
Come si può vedere da questa tabella, su 53.609 richieste d’asilo nel 2021, il 14% si sono concluse con il riconoscimento dello Status di rifugiato, mentre il 14% dei richiedenti ha avuto la Protezione sussidiaria, cioè le due forme della Protezione internazionale. Sommandole si ottiene il 28%, non certo l’8% che cita Meloni.
“Meloni può anche dire che la Terra è piatta, ma deve anche dimostrarlo – ha commentato a Fanpage.it Gianfranco Schiavone (ASGI) – Dire che solo l’8% dei richiedenti ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione non è una forzatura, è un completo rovesciamento della realtà. Come si vede dalla tabella, solo in fase amministrativa – perché questi dati non tengono conto degli esiti dei ricorsi – vediamo che nel 2021 il 14% di chi ha fatto domanda ha ottenuto lo Status di rifugiato e il 14% la Protezione sussidiaria. Si arriva quindi al 28%”.
Ma c’è di più. Per calcolare questa percentuale dovremmo considerare anche gli esiti dei ricorsi contro i dinieghi. La percentuale di diniego è rilevante (intorno al 70%) ma uno studio, pubblicato nella rivista giuridica ‘Questione Giustizia’, evidenzia una percentuale tra il 35 e il 40% di accoglimento di ricorsi (bisogna considerare anche che non tutti fanno ricorso, perché magari si disperdono e scappano per paura).
“Visto un tasso così alto di successo dei ricorsi, dalla percentuale del 28% della Protezione internazionale potremmo, rimanendo bassi, arrivare almeno al 35%, una percentuale molto lontana da quella dichiarata da Meloni. Significa che tra le persone che fanno domanda almeno una su tre ha diritto alla protezione”, ha sottolineato Schiavone.
Infine si dovrebbe considerare anche che in Italia abbiamo un’altra forma di protezione, cioè la Protezione speciale, che oggi esiste e che era stata di abrogata di fatto da Salvini, che viene data a quelle persone che pur non essendo titolari di una forma di protezione internazionale, sono comunque considerate a rischio di persecuzione e tortura in caso di ritorno nel Paese di origine.
“La Protezione speciale riguarda quelle persone che non possono essere riconosciute titolari di una protezione internazionale, ma che si sono comunque costruite una vita in Italia e si sono integrate, hanno una casa e un lavoro, non hanno commesso reati significativi. Secondo la tabella del ministero dell’Interno quindi a quel 35% dobbiamo sommare un altro 14%. Aggiungendo anche in questo caso qualche punto in più per i ricorsi, vediamo che non più una su tre, ma almeno una persona su due ha un esito positivo di protezione”, ha concluso Schiavone.
(da Fanpage)
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