Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
IN UN LIBRO FA A PEZZI I SOVRANISTI DE’NOANTRI: “IN EUROPA E NEL MONDO LA DESTRA COLTIVA RELAZIONI CON I SOLITI: ORBÁN E LE PEN PER SALVINI, VOX E TRUMP PER MELONI. SONO ATLANTISTI, MA NON EUROPEISTI”
Dalla sua scrivania Claudio Cerasa, 40 anni, direttore del Foglio, può osservare le bottiglie di vino rosso allineate nella libreria di fronte. Il corriere gli ha appena portato un gioco comprato per il figlio su Amazon, Among Us. «Si svolge su un’astronave e consiste nel riconoscere gli impostori senza pietà. È perfetto per capire il futuro della destra italiana: senza riconoscere gli impostori della libertà, il Paese rischia di finire male».
Che cosa ha capito?
«Che non è il fascismo il vero pericolo, ma il complottismo. Lo strizzare l’occhio ai no Vax e ai no Euro, strillare che le ong sono pagate da Soros. Vedere dittature ovunque. Il complottismo è questo: difendere non la libertà in assoluto, ma la libertà di essere estremisti».
La destra è estremista?
«Nella gestione della pandemia la destra sovranista è stata parte del problema, più che parte delle soluzioni. Ma è estremista anche sul resto».
Cioè?
«È estremista e complottista in economia. Ha il terrore della concorrenza, non riesce ad accettare la competizione del mercato. Ed è garantista soltanto a parole. Se tocchi le carceri riemerge la logica dello scalpo, sintetizzabile nella frase “bisogna buttare via la chiave”».
Vi coglie una doppiezza?
«Le parole d’ordine dei suprematisti bianchi le ritrovi nei testi della destra estremista. Se un islamico fa una strage saltano su, si interrogano su quali sono le radici di quel gesto; se una strage la compie un suprematista bianco la destra lo derubrica a pazzo. E poi non hanno mai condannato con parole chiare e definitive l’assalto a Capitol Hill. Il trumpismo non rinnegato della destra mi pare più pericoloso del fascismo rinnegato».
In Italia la destra non si è messa la cipria?
«Lo ha fatto. Ma in Europa e nel mondo coltiva relazioni con i soliti: Orbán e Le Pen per Salvini, Vox e Trump per Meloni. Sono atlantisti, ma non europeisti».
Giorgia Meloni si è fatta più cauta?
«Ancora nel 2016 diceva che tra Putin e Renzi fosse preferibile il primo».
Putin oggi è l’amico di cui vergognarsi?
«Era l’algoritmo per scardinare l’europeismo e porre le basi per la distruzione della democrazia liberale: il putinismo della destra è stato questo, una triangolazione tra un dittatore e i suoi utili idioti».
Perché scrive che i populisti sono i peggiori nemici dei giovani?
«La destra non si fa scrupoli nell’aumentare il debito pubblico, l’attenzione principale è rivolta ai pensionati, le proposte più importanti della destra sono figlie di quota 100. Dopodiché i giovani si sono vaccinati più di tutti».
Come lo spiega?
«Hanno capito da tempo che la politica ha un impatto sulle loro vite. E forse hanno iniziato a capire che i populisti non fanno né l’interesse del popolo né quello dei giovani».
Rino Formica dice che rischiamo di finire come in Ungheria.
«Vedo che Giorgia Meloni non si fa più vedere in giro con Orbán, Salvini sì. Lei in Europa sta con i conservatori polacchi, che vedono gli ungheresi come fumo negli occhi per la loro contiguità a Putin. Però sui diritti siamo sempre lì: Meloni la pensa come il premier ungherese».
Che farà Meloni una volta a palazzo Chigi?
«Potrà gestire il potere e dare un contentino al suo mondo. Oppure diventare la Tsipras di destra».
Cos’ è più probabile?
«La seconda. Meloni non è una marziana a Roma. Tutti la conoscono nei palazzi del potere, la chiamano per nome, Giorgia. E il suo essere romana non è più un tratto di debolezza. È un punto di forza. È un argine all’estremismo degli stessi barbari che si trovano nella sua coalizione».
Letta come lo vede?
«Ha le doti del cacciavite, però non gli occhi del vincitore. Più occhi del cuore, modello Boris, che occhi di tigre. Gli manca la cazzimma».
Quando è diventato direttore scrisse: “Il mio Foglio tiferà sempre per Renzi e Berlusconi. La coppia più bella del mondo”. Lo pensa ancora?
«All’epoca ne ero convinto. Non era un inciucio, ma un compromesso. Una caratteristica che è diventata il filo conduttore necessario nell’Italia di questi anni. L’Italia è così: compromesso contro l’estremismo. Meglio il primo che il secondo, no?».
Quando ha scritto il primo pezzo?
«A 14 anni. Per il giornale della Provincia di Palermo. Un articolo su un paesino dove andavo d’estate con i miei genitori, Chiusa Sclafani. Lo buttai giù con la macchina da scrivere. Venne titolato così: “Un paese dove si piantano patate e crescono musicisti”».
Quando è entrato in un giornale?
«All’Università realizzai Comuniversity, un magazine patinato totalmente autofinanziato. A vent’ anni collaborai con Radio Capital e La Gazzetta dello sport. Per la rosea mi occupavo, per le pagine romane, delle primavere di Roma e Lazio, seguivo il calcio a 5, il nuoto, il canottaggio».
Il primo scoop?
«Un giorno, prima di un Roma-Lazio, scovai Roberto Mancini, all’epoca allenatore dei biancocelesti, che giocava al calciotto al circolo Due Ponti. Lo rincorsi, gli feci delle domande sulle formazioni, incredibilmente mi rispose. Il pezzo finì in prima pagina».
Com’ è arrivato al Foglio?
«Grazie a Giuseppe Sottile che mi offrì uno stage nel 2005. La Gazzetta era lì lì per assumermi, ma io non me la sentivo di fare solo il giornalista sportivo per tutta la vita».
Che mito professionale aveva?
«Vittorio Zucconi. Ritagliavo i suoi pezzi, li studiavo e li riscrivevo».
E perché è diventato giornalista?
«Mio padre, Giuseppe Cerasa, è stato caporedattore a Repubblica. Da bambino mi portava alle sue riunioni di redazione. Mi mettevo in un angolino e prendevo appunti. Ho respirato giornalismo da sempre».
Che educazione ha avuto per diventare direttore del Foglio a 32 anni?
«Più che un’educazione, ho avuto un grande direttore come Giuliano Ferrara. Un privilegio unico».
Che doti deve avere un direttore?
«Essere appassionato. Fare un passo sopra la superficie delle notizie. Indicare una direzione. Dare il buon esempio. Non aver paura delle proprie idee. Investire sulle ossessioni dei colleghi. Sperimentare. E trattare il suo giornale come se fosse parte della sua famiglia».
A un giovane che vuol fare il giornalista cosa consiglia?
«Di essere curioso. Senza curiosità, per i giornali, non esiste futuro».
(da la Repubblica)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
IL SEN. DE SIANO , EX COORDINATORE DELLA CAMPANIA, VUOTA IL SACCO: “E’ GIUNTA L’ORA CHE TUTTI POSSANO COMPRENDERE COSA E’ AVVENUTO IN QUESTI ANNI”
Nunzia De Girolamo fu “fatta fuori” per favorire l’ascesa di Marta Fascina.
A sostenerlo in una nota è il senatore Domenico De Siano, ex coordinatore regionale della Campania per Forza Italia, uscito dal partito e non candidato alle prossime politiche, secondo il quale, nel 2018, un’intesa tra Antonio Tajani e Licia Ronzulli, sostenuta da Silvio Berlusconi, avrebbe comportato l’esclusione di De Girolamo dal ruolo di capolista del collegio di Benevento alla Camera «per fare spazio in lista all’allora esordiente Marta Fascina».
Secondo De Siano, la direzione regionale di Forza Italia dell’epoca non avrebbe avuto responsabilità in tal senso, contrariamente a quanto sosterrebbe la diretta interessata: «Apprendo – comincia De Siano – che la signora Nunzia De Girolamo, nel fornire la ricostruzione di quanto accaduto in Campania per la formazione delle liste dei candidati di Forza Italia in occasione delle elezioni Politiche del 2018, attribuisce alla responsabilità della dirigenza regionale al tempo in carica la scelta di non candidarla in posizione utile, diversamente da quanto in precedenza convenuto».
Quindi, rivela quella che per lui è la verità: «Al tempo la decisione di estromettere Nunzia De Girolamo dalla posizione apicale della lista, utile per l’elezione, fu assunta dalla dirigenza nazionale e segnatamente dagli onorevoli Antonio Tajani e Licia Ronzulli, con il placet del presidente Berlusconi».
Con il chiaro obiettivo, aggiunge l’ex forzista, «di fare spazio in lista all’allora esordiente Marta Fascina».
De Siano afferma di avere prove di quanto dice: «Custodisco la documentazione che costituisce prova di quanto affermo. È questa la pura e semplice verità». E conclude: «È giunta l’ora che tutti possano comprendere cosa è avvenuto in Forza Italia in questi anni».
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
EMILIANO: “CON IL M5S IN PUGLIA AVREMMO VINTO TUTTI I COLLEGI” – BOCCIA, UOMO DI LETTA E MINISTRO DI CONTE: “SEPARARCI DAL M5S E’ STATO UN ERRORE”… BETTINI: “L’ASSE CON IL M5S? DOPO IL 25 SETTEMBRE SI VEDRA’”
C’è chi lo dice apertamente: l’alleanza tra Pd e M5S va ricostruita. C’è chi mostra nostalgia per quello che è stato e che adesso non è più. E c’è chi dichiara che in fondo quell’asse c’è ancora: se non a livello nazionale, in tante altre realtà territoriali.
Di certo, nel Pd, tra i più strenui difensori dell’alleanza c’è Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia che guida proprio con i pentastellati.
«Io ho da sempre lavorato a questa alleanza – ha detto due giorni fa a Ceglie Messapica intervenendo alla kermesse di Affaritaliani.it – e con me i 5 Stelle stanno lavorando bene. Per questo continuerò a far di tutto perché l’intesa possa tornare anche a livello nazionale, con il cruccio di non poterlo fare per le prossime elezioni in cui credo che in Puglia avremmo vinto in tutti i collegi».
Su quello stesso palco gli ha fatto eco Francesco Boccia, uomo di Enrico Letta e già ministro di Giuseppe Conte, per il quale separarsi dal M5S «è stato un errore, perché dopo aver superato insieme 99 cancelli ci siamo fermati al centesimo, quello della prossima legge di Bilancio. Lì abbiamo diviso le nostre strade e adesso non ci resta che marciare divisi per colpire uniti».
I nostalgici del campo largo, però, non sono solo in Puglia: tra gli esponenti del Partito democratico rimasti spiazzati e certamente delusi dalla scelta anti Draghi di Conte si possono annoverare anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando – che fino all’ultimo momento utile ha provato a sottolineare l’importanza dell’alleanza con i 5Stelle per poter provare a battere nelle urne il centrodestra – e Gianni Cuperlo che pur considerando «gravissima» la responsabilità del M5S nella caduta del governo Draghi, non ha mai nascosto di aver apprezzato – sono le sue parole – «l’evoluzione che il M5S ha avuto in questa legislatura». Considerazioni che fanno trapelare il pensiero che in futuro, forse all’opposizione, i due partiti possano riprendere il discorso interrotto.
Goffredo Bettini lo ha detto ancora più chiaramente, proprio al Corriere : «Insieme al M5S abbiamo salvato l’Italia, ottenuto miliardi preziosi dall’Europa e affrontato con dignità ed efficacia la pandemia: dopo il 25 settembre si vedrà». E poi c’è chi, come Emiliano, con i pentastellati governa una Regione: per il governatore del Lazio Nicola Zingaretti «la crisi nazionale non può intaccare il buon lavoro fatto sui territori». Infine, c’è chi avrebbe voluto che le orme dei due governatori potessero essere ripercorse anche in Sicilia: il vice segretario del Pd Giuseppe Provenzano. Così tanto che, per dirla con le parole di Emiliano, il futuro dei due partiti sembra tracciato: «Siamo destinati a provarci di nuovo».
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
L’ATTENZIONE A “INTONAZIONE, POSTURA E SGUARDO” E IL CONCETTO DI “SCELTA DI CAMPO”, MA GUAI A CITARE I SONDAGGI (TE CREDO, VISTI I NUMERI DI “FARSA ITALIA”)
All’inizio, nel ’94, fu un borsone inzeppato di cravatte regimental, spillette, adesivi, gagliardetti, 15 videocassette di programma. E una valigetta con foto di Silvio Berlusconi e la versione karaoke dell’inno scritto da lui. Nel 2001 un cd-rom con i manifesti e la brochure con 120 foto di Berlusconi.
Nel 2006, lo «spartito» degli slogan coniati dal capo, il discorso da recitare e i consigli marketing per conquistare astenuti senza sprecare soldi. Quindi, nel 2013, l’era della sobrietà: uno scatolone azzurro con una videocassetta, un cd, un frasario in pillole e slogan sulle «balle di Monti e della sinistra».
Quest’ anno il kit del «buon candidato» è virtuale, con tanto di video; la gif, mini-immagine, di Silvio Berlusconi festante e un’animazione su come votare.
In più un documento di 30 pagine che insegna «come vincere» firmato da Alessandro Cattaneo. Nato a Rho, 43 anni fa, cresciuto col pallino della politica a Pavia, dove è stato eletto sindaco a 29 anni, da ingegnere (elettronico) con fama di «secchione», declina il motto berlusconiano «chi ci crede combatte, non si ferma, e supera ogni ostacolo e vince» in 11 capitoli.
Spiegando che «l’organizzazione è tutto». E dispensando consigli a 360 gradi, da come conquistare il proprio collegio a quali temi usare. E quali no: «Sulla futura leadership di governo meglio soprassedere e ricordare il ruolo di Berlusconi che ha fatto nascere il centrodestra».
Senza trascurare l’attenzione a «intonazione, postura e sguardo», «contatto visivo» («non lasciarsi distrarre da telefonate e sms») e, naturalmente, look. Lui, volto da «bravo ragazzo che piace alle mamme», cravatta e capelli sempre in ordine, li aveva da prima di entrare in Parlamento con Forza Italia. «Ai tempi del primo kit ero ancora bambino: mi sono candidato nel 2008.
Ma nel mio dna ho i canoni berlusconiani, a parte il tifo per l’Inter: mai avuto barba, né baffi, né tatuaggi», dice.
Non è specificato nel manuale che Berlusconi non li gradisce. Si sa dal ’94, quando i candidati vennero ricalcati sul personale Publitalia. E tutti a radersi, molti convertiti al Milan. Anche se qualche eccezione fu tollerata.
«Io, Adornato e Giuliano Ferrara arrivammo con la barba e ce la tenemmo. Adornato un poco la scorciò. La tendenza di Berlusconi è guardare chi ha barba e capelli incolti come un pericoloso sovversivo. Ma nessuno ci disse nulla», sorride l’ex deputato FI, Paolo Guzzanti.
L’attenzione al dress code rimbalza dal ’94, quando Achille Occhetto in abito marrone perse il confronto con Berlusconi in tv, e poi le elezioni. Siamo ancora lì? «Il “plasticato” in Forza Italia non esiste più. Anche se per noi la forma è anche sostanza: essere educati e in ordine è rispetto per le istituzioni e per l’elettore», chiarisce il responsabile nazionale dei dipartimenti di FI.
Sui social mette in guardia: «Sono importanti. Ma va privilegiato il contatto. Mi sono candidato sindaco ai tempi in cui Obama faceva campagna elettorale su YouTube. Ci provò il mio avversario. Sembrò innovativo. Ma ebbe solo 240 visualizzazioni, su 70.000 persone. Allora meglio non sottovalutare il porta a porta: contattare associazioni, opinion leader, parroci».
Di persona, specifica la «check list per conquistare tanti voti», che raccomanda di «partecipare a tutte le cerimonie sacramentali o eventi importanti per la persona», «rispondere sempre al telefono» e ricordarsi che «un elettore di sinistra o grillino non è per forza un elettore perso». Il manuale fornisce slogan. Primo fra tutti quello sulla flat tax: «Pagare meno, pagare tutti», inventato direttamente da Berlusconi, assicura Cattaneo.
Suggerisce di usare alcuni concetti: «Scelta di campo», «lo scontro è tra noi e loro», il «centro è rappresentato da Forza Italia». E chiede di non citare i sondaggi: «Si allontanano gli indecisi e si accredita un risultato vincente dei nostri alleati». Su Calenda e Renzi consiglia di descriverne la «scarsa affidabilità».
Il primo ironizza: «Finire sul manuale è un sogno avverato». «Il nostro non è un attacco ma una difesa attiva. Questo pseudo Terzo polo (quarto nei sondaggi) ci tiene nel mirino», dice Cattaneo. E ricorda la sua prima candidatura, a rappresentante di classe il primo anno di liceo: «Venni battuto da un compagno di classe ripetente. A Calenda dico: attento che a volte chi fa troppo il primo della classe viene sconfitto».
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
ALLE ORIGINI DEL SUCCESSO DI FRATELLI D’ITALIA
Vogliamo capire la politica solo con gli strumenti della politica? Sinceramente? Uhm, mi sembra vano, forse velleitario, certamente insufficiente.
La politica oggi -per così dire- ha ragioni che la politica non spiega. C’è bisogno d’altro. Sono fra quanti amano la razionalità della politica. Talvolta addirittura mi sfugge di dire che “la politica è matematica”, ma non lo è, almeno se non amplifichiamo, e di molto, le parole, la misura e i concetti della razionalità politica. Cioè, se non ci accontentiamo di restare nel tradizionale e confortante lessico dell’interpretazione politica usuale: destra vs sinistra; liberalismo vs. socialismo e così via. Dobbiamo andare oltre.
Vediamo prima i fatti, poi l’interpretazione. Possiamo davvero dire che la crescita di Fratelli d’Italia, che nelle Europee del 2014 aveva meno del 4%; quattro anni dopo, alle Politiche, aveva ancora il 4,4%; e nel 2019, cioè tre anni fa, aveva appena il 6,4% e oggi i sondaggi gli attribuiscono qualcosa vicino al 25%, sia una crescita interpretabile con i vecchi criteri di giudizio della politica?
Cioè destra contro sinistra, ideologia contro ideologia, e così via? Al netto delle abilità della sua leader, delle posizioni atlantiste nell’aggressione russa all’Ucraina, e degli errori degli altri, ci dev’essere dell’altro alla base di questa crescita. Ancora qualche dato e poi affrontiamo il cuore della questione.
Allo stesso modo, bastano criteri politici tradizionali per capire l’ascesa e la caduta del Movimento Cinque Stelle?
Fuori dal panorama tradizionale dei partiti, esordisce sul piano nazionale alle Europee del 2014 con il 21,1%, per arrivare al 32,7% nelle politiche del 2018, dopo di che, in appena un anno, si vede dimezzare i consensi (17,1%) e oggi i sondaggi gli attribuiscono qualcosa intorno al 10%. È possibile che in tre anni (al netto della prova negativa del governo) un partito perda, più o meno, i due/terzi dei suoi elettori?
Veniamo al Pd che, sempre nel 2014, aveva raggiunto il 40,8% dei voti, per poi dimezzarli quattro anni dopo (18,8%), risalendo poi al 22,7% nel 2019, con i sondaggi che gli attribuiscono oggi qualcosa intorno al 24%. Stesso movimento dei Cinquestelle si registra per la Lega, che in cinque anni, passa dal 6,5% al 17,4% e poi arriva al 34,3% nelle Europee del 2019.
In sostanza, se guardiamo ai minimi e ai massimi nelle elezioni nazionali, tralasciando quelle locali, dove alcune differenze diventano addirittura abissali, per ogni partito abbiamo scarti incredibili, impossibili da intendere come cambi ideologici, o di strategia politica, o semplicemente interpretabili lungo l’asse tradizionale sinistra-destra.
Veniamo allora alla soluzione dell’enigma, senza citare studi, ragionamenti più complessi e con un’analiticità incompatibile con la natura breve del post.
Dopo la crisi economica del 2008, che ha rotto l’incanto della globalizzazione, in Europa e negli Stati Uniti è cresciuta una bolla pre-politica fatta di un miscuglio di emozioni, il cui dato fondamentale è il risentimento.
Risentimento verso un nemico che ha preso molte facce: contro il globalismo; contro l’immigrazione, come suo portato diretto e necessario (la globalizzazione si differenzia dal tradizionale liberismo perché prevede non solo lo spostamento delle merci, ma anche quello del capitale e del lavoro); contro il multiculturalismo (come difesa identitaria delle proprie radici, religiose, di stile di vita, di gerarchia dei valori); e contro una serie abbastanza lunga di componenti connessi o conseguenze del fenomeno generale.
Il risentimento nasce dalla percezione di una sottrazione ingiusta: dei centri urbani contro le periferie; delle categorie intellettuali contro quelle dei lavoratori a più basso reddito; delle imprese globali contro le piccole imprese.
Il fenomeno del risentimento è alimentato dalla politica e dai leader temporanei che, volontariamente o involontariamente, se ne fanno interpreti, ma è resa possibile solo dalle connotazioni cognitive con cui viene giudicato il mondo.
Se sono convinto che sia un complotto a determinare il futuro del mondo; se sono convinto che l’immigrato è un pericolo (anche se ho in casa qualcuno di loro che aiuta nelle vicende domestiche o che serve nelle professioni più umili); se sono convinto che il sapere è semplicemente un modo per ottenere il potere, allora alla razionalità politica si sostituisce qualcosa di molto diverso, più emotivo, intimamente connesso al modo in cui si acquisiscono e si interpretano i fatti del mondo.
Questa bolla si manifesta in politica in tanti modi, e sicuramente uno dei modi attraverso cui guardare alla qualità della leadership di un politico è proprio come “governa” la bolla.
Nel 2012-14 si sintonizza con la “rottamazione” di Matteo Renzi: vede la critica radicale alla classe dirigente; vede una parola d’ordine accordata con un sentire comune; vede una nuova presenza nel campo politico che poteva scardinare l’ordine esistente.
Subito dopo, repentinamente, la bolla si sposta però sul Movimento Cinquestelle. La sua critica radicale, iconoclasta, contro la classe dirigente si fa ancora più netta e l’offerta (poi clamorosamente delusa) di palingenesi generale permette a Grillo di superare il 30%.
In meno di un anno la bolla si sposta poi su Salvini. È il momento in cui il “nemico” è l’immigrato, perciò l’insieme informe di paure, attese e ansie che prende una differente traduzione politica, e perciò la Lega diventa il primo partito appena un anno dopo.
In questi ultimi mesi la bolla si sposta su Meloni, l’unica non ancora alla prova del governo, che interpreta l’insoddisfazione verso idee e trasformazioni della società lontane dalla tradizione e dall’identità del Paese.
Il risentimento è un magma indistinto nei suoi esiti politici, perché ne può prendere di vari e opposti, ma non sulle sue ragioni di fondo.
Il sentimento prevalente è quello di una “espropriazione” della “sovranità” popolare di determinare il futuro del Paese, da forze e valori che appaiono estranei, quando non nemici.
Ha una componente economica (e d’altro canto ogni statistica, in ogni paese occidentale, segnala la crescita delle diseguaglianze); ha una componente valoriale; ha una componente antropologica, tanto che si vota chi appare più vicino a sé, a prescindere dalla “razionalità” politica. Si vota per somiglianza, o per l’apparire somiglianti, non per l’analisi dei programmi.
Dicevo all’inizio che non bastano gli strumenti della politica per capire la politica, ma qui c’è da prendere atto che la politica, l’appartenenza politica, la partecipazione politica, il “fare politica” sono molto diversi da quelli immaginati dalla maggior parte degli osservatori di cose politiche.
Ogni volta razionalizzano gli eventi attribuendoli ora a questa abilità; ora a questa congiuntura; o peggio ancora, alla conseguenza delle manovre politiche.
C’è qualcosa che muove oggi la politica e che sfugge a questi meccanismi. Si tratta allora di lavorare sui bias cognitivi, che per definizione è lavoro profondo e non istantaneo; di capire che un’offerta politica non sarà mai sufficiente, se non conterrà una componente emozionale, magari di utilizzo e di trasformazione del risentimento; di una distinzione tra i fatti, che chiedono decisioni (ad esempio come rispondere alle ineguaglianze) e l’ideologia che vi è costruita intorno che, erroneamente, chiede solo protezione, come se quello che succede in una società siano solo giochi a somma-zero, in cui occorra solo battersi per avere, qui e ora, la propria parte.
Lavoro complicato, la cui parte iniziale, e fondamentale, è proprio la comprensione di quel che sta succedendo. Le situazioni nuove obbligano a strumenti nuovi di comprensione e di fare politica, altrimenti si sta dentro la bolla, e non si sa.
(da la Repubblica)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
UNA NUOVA FIGURA GIURIDICA-ISTITUZIONALE: NON UN DITTATORE MA UNO CHE DÀ L’ORIENTAMENTO, UNA FIGURA CHE ENTRERÀ PRESTO IN CONFLITTO CON LE FIGURE DI GARANZIA COSTITUZIONALE
Il 14 luglio scorso sono state sciolte le Camere. Il 22 agosto sono state presentate le liste. Un rito vissuto come se fosse avvenuto un atto normale della vita parlamentare. Invece lo scioglimento delle Camere è avvenuto non perché il governo sia stato sfiduciato ma perché ha avuto una fiducia ridotta.
Il che vuol dire che lo scioglimento anticipato delle camere è stato in realtà uno scioglimento posticipato. Doveva avvenire in precedenza. Da tempo bisognava prendere atto dell’afflosciamento della vita parlamentare: dal taglio dei parlamentari alla composizione e ricomposizione di governi antitetici. Ma questa è storia già scritta.
Fra il 22 agosto e il 25, il giorno in cui Mario Draghi ha parlato a Rimini, c’è stato un breve lasso di tempo in cui il sistema politico era in attesa di iniziare la corsa elettorale.
Ma Draghi quel giorno, al Meeting di Comunione e liberazione, ha aperto e chiuso la campagna elettorale. Il suo discorso non è stato quello di un presidente infantilmente piccato per non essere stato sostenuto fino alla fine della legislatura. Sotto c’è qualcosa di più importante che prepara una evoluzione generale del quadro politico.
Dopo l’inno alla sua attività di governo, il gloria a chi lo ha sostenuto e a chi lo ha guidato, gli elogi ai sindacati e a tutti, ai sofferenti e ai gaudenti, in un’orgia di ringraziamenti, Draghi ha liquidato il partito degli amici di Draghi. Al Terzo polo ha detto in pratica “siete irrilevanti”.
Al Pd ha detto di non sbracciarsi “tanto non governerete”. Alle destre ha detto “otterrete la maggioranza ma non illudetevi che questa sia una condizione di stabilità politica, anche voi dovrete fare i conti non con l’agenda Draghi, ma con il metodo Draghi”, cioè la capacità di mettere insieme la maggioranza con l’opposizione, cioè creare condizioni di basso conflitto perché solo così è gestibile un paese che ha una politica economica e sociale condizionata dall’Europa. «Nessuno stato potrà fare da solo», ha detto Draghi.
Ma se nessuno stato può fare da solo e lo stato politico sovranazionale non c’è diventa necessario un “lord protettore”.
Si crea dunque una condizione astratta e concreta insieme. Astratta perché non è istituzionalmente presente; concreta perché sta nella realtà del Commonwealth: gli stati che appartengono a un impero comune mantengono un certo grado di autonomia ma in realtà sono in una situazione di garbato colonialismo.
Non dico che siamo nella situazione inglese del 1650. Ma con quel discorso Draghi ha dato il via a una nuova figura giuridica-istituzionale che supera l’assetto costituzionale del paese.
Il lord protettore è chi usa la legge perché egli stesso è la legge, dispone della forza perché egli è la forza, manipola le istituzioni perché è egli stesso le istituzioni, gode della fiducia del potere esteri perché è punto di riferimenti del potere sovranazionale.
Questo è il lord protettore moderno, non un dittatore ma uno che dà l’orientamento, il consiglio. Per il lord protettore il paese deve essere sereno, unito, deve superare le difficoltà economiche e sociali perché restare nella cabina di regia dell’impero.
Il lord protettore è una nuova figura che entrerà presto in conflitto con le figure di garanzia costituzionale del paese. Non dico che sarà il conflitto fra Cromwell e Carlo I, ma vedo all’orizzonte una situazione nella quale il lord protettore diventa incompatibile con la struttura democratica dell’assetto costituzionale del paese, che prevede una Repubblica parlamentare.
(da EditorialeDomani)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
BENVENUTI NEL “MODELLO GENOVA”, LA GRANDE PATACCA DI TOTI E SOVRANISTI ASSOCIATI
L’ospedale San Martino di Genova, il più grande della Liguria, dalla prossima settimana sospenderà per tre mesi gli interventi chirurgici programmati per dare priorità solo quelli oncologici e alle urgenze.
Una misura a cui l’ospedale ricorre per la prima volta nella sua storia e che non ha mancato di suscitare reazioni in Consiglio regionale.
Il Partito Democratico ha parlato di «un provvedimento senza precedenti, che dimostra l’incapacità della Giunta Toti di gestire e risolvere i problemi della sanità ligure». Solo il personale infermieristico al San Martino accusa una carenza di «230 professionisti, che si aggiungono alla mancanza di anestesisti, tecnici di laboratorio e di radiologia».
Una situazione davanti a cui Ferruccio Sansa, capogruppo della lista Sansa in consiglio regionale, annuncia di voler rispondere con «una manifestazione di piazza».
In Liguria, fa notare, «si aspettano anche 50 giorni per operare una persona malata di tumore. Quasi due mesi. Può fare la differenza tra guarire e non guarire. È la terribile responsabilità che si porta addosso chi governa la nostra sanità».
La direzione sanitaria del San Martino, come ha rivelato oggi Il Secolo XIX, ha parlato di «provvedimento doloroso, ma inevitabile», confermando lo scenario descritto da Sansa.
«Dobbiamo garantire le urgenze e la chirurgia oncologica. Una donna con un tumore al seno deve essere operata in un mese, ma eravamo arrivati anche a 50 giorni». Secondo una stima saranno rinviate a dicembre almeno 200 operazioni non urgenti: «Ci rendiamo conto che penalizziamo chi aspetta per ernia, varici o altro, ma non c’era scelta».
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
LA NOTIZIA E’ TOTALMENTE INVENTATA E NON POTREBBE NEANCHE REALIZZARSI SECONDO LA LEGGE ITALIANA
«Ci rubano il lavoro» è uno degli slogan che più si sente ripetere da chi è contrario all’accoglienza degli immigrati nel nostro Paese.
Dal 2019 però, in Italia, è possibile ottenere il sussidio del reddito di cittadinanza e la narrativa, quindi, si è adeguata.
Infatti, sui social hanno iniziato a circolare narrazioni di immigrati che «ci rubano i sussidi».
Una di queste racconta il caso di «un marocchino» che vive nel nostro Paese da 13 anni che, grazie ai tanti aiuto dello Stato, riuscirebbe a sbarcare il lunario senza dichiarare un centesimo, e addirittura a fare vivere la madre in Italia con tanto di pensione. L’aneddoto, però, è completamente inventato, come dimostrano le molte incongruenze con la legge italiana.
Per chi ha fretta:
Normalmente un storia tanto eclatante sarebbe stata ripresa dai giornali, ma di questa non si trova traccia.
Una vicenda del genere, se vera, dovrebbe essere segnalata alle autorità e non tramite i social.
È altamente improbabile che un cittadino marocchino ottenga il permesso di soggiorno – necessario per richiedere la cittadinanza – con le condizioni descritte nella storia.
È impossibile che un individuo che lavora in nero ottenga un permesso di soggiorno.
La soglia di reddito per richiedere il RdC è minore di quella necessaria per ottenere la cittadinanza italiana.
Analisi
Uno dei post che in questi giorni circolano molto su Facebook. nell’immagine si legge: «Ecco, io non capisco: un marocchino racconta che abita in Italia da 13 anni e ha sempre fatto lavori saltuari, tutti in nero, un po’ dappertutto, con tanto di permesso di soggiorno. E’ sposato e ha tre figli. Da due anni ha la cittadinanza italiana, così come tutta la sua famiglia e abita in una casa popolare. Percepisce il Reddito di Cittadinanza, per 780 euro perché il suo ISEE è pari a zero; per la moglie e ogni figlio riceve un assegno familiare di 175 euro. L’assegno che gli arriva dall’INPS è pari a 1.480 € al mese. Naturalmente continua a lavorare in nero, guadagnando circa 800/900 euro al mese. A luglio la sua mamma vedova, compirà i 65 anni farà il ricongiungimento familiare in Italia con il figlio (le pratiche sono già avviate; mancano data e firma) e percepirà un assegno di pensione sociale di 580 euro. La signora anziana, pur mantenendo la residenza in Italia, potrà tranquillamente domiciliare in Marocco, dove uno stipendio medio è di circa 250 euro. quindi 580 euro sono da benestante. Tutto senza che nessuno abbia mai rimesso un centesimo di contributi INPS. Ci sono italiani che hanno lavorato versando oltre 40 anni di contributi e superano appena 1.000 € nette al mese. C’è qualcosa che non funziona o è solo una mia impressione? Mi faccio delle domande…
Le criticità del racconto
Ci sono varie ragioni per cui questa situazione non può verificarsi, e la maggior parte di queste ha a che vedere con lo status legale di cui godono gli immigrati in Italia.
Ricercando su Google le parole chiave del racconto che circola su Facebook, è possibile verificare che, per quanto eclatante, la storia non è stata ripresa da nessuna testata giornalistica, il che costituisce un indizio della sua falsità.
Stando all’aneddoto, il protagonista avrebbe ottenuto la cittadinanza italiana 2 anni fa. É però molto difficile che ciò sia veramente accaduto. Secondo la legge n. 91 del 5 febbraio 1992, infatti, i cittadini stranieri posso richiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza regolare sul suolo italiano. Caso che corrisponde a quello della storia. Tuttavia, la regolare residenza sul territorio del nostro Paese, come indicato dalla legge Bossi-Fini (n. 189 del 30 luglio 2002), è legata all’ottenimento di un permesso di soggiorno.
È proprio quest’ultimo l’elemento che costituisce l’incongruenza principale, rendendo la storia estremamente improbabile: per ottenere il documento, infatti, i richiedenti devono essere considerati rifugiati o devono lavorare regolarmente in Italia.
L’improbabile status di rifugiato
Nel caso dei rifugiati, la cittadinanza può essere ottenuta dopo 5 anni di regolarità. Nell’aneddoto, però, il protagonista ha ottenuto lo status di cittadino dopo 11 anni di residenza, ben 6 anni dopo il primo momento utile.
Va considerato, inoltre, che il Marocco è un Paese relativamente pacifico – nonostante gli scontri con la Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi per il controllo del Sahara Occidentale – e democratico, dal quale non si hanno notizie di persecuzioni di minoranze etniche o religiose. Ciò significa che secondo i parametri espressi dal Ministero dell’Interno, risulta difficile che un cittadino marocchino ottenga asilo in Italia.
Come spiega il sito del Ministero, esiste un altro tipo di protezione, definita «sussidiaria e umanitaria», pensata ad hoc per coloro che non possono ottenere lo status di rifugiato. Questa forma di protezione internazionale, però, viene riconosciuta ai cittadini marocchini solo nell’1% dei casi
L’improbabile cittadinanza per lavoro in nero
Assodato che è altamente improbabile che il protagonista della storia abbia ottenuto il permesso di soggiorno – e quindi la cittadinanza – in quanto rifugiato, rimarrebbe la possibilità che il documento sia stato rilasciato per lavoro.
Tuttavia, anche qui l’aneddoto si contraddice, perché «il marocchino», avrebbe lavorato sempre e solo in nero. Il che significa che l’attività lavorativa non potrebbe valere ai fini dell’ottenimento del permesso.
Inoltre, per ottenere la cittadinanza italiana i cittadini stranieri che la richiedono devono necessariamente rispettare dei parametri reddituali. Nel caso di un individuo coniugato con tre figli a carico (come raccontato nella storia) il reddito richiesto è di 12.913 euro annui, ben superiori all’«Isee pari a zero» di cui si legge nella storia. Inoltre, il reddito in questione non permette l’ottenimento del reddito di cittadinanza, erogabile solo a individui con un Isee inferiore a 9.360 euro.
Il ricongiungimento con la madre
In ultima, ai cittadini italiani è consentito fare domanda per il ricongiungimento familiare per i genitori. Tuttavia per ottenere il permesso, il familiare deve risiedere sul territorio italiano per almeno dieci anni, dei quali gli ultimi due dovranno essere continuativi.
Solo così la madre del protagonista potrebbe ottenere la pensione dello Stato italiano. Anche qui la storia è incongruente, quindi, poiché alla madre non verrebbe erogata la pensione per i prossimi dieci anni, e di certo non potrebbe tornare a vivere in Marocco.
Conclusioni:
Molti utenti stanno condividendo la storia, indignati dal fatto che un cittadino che paga i contributi possa godere di tanti sussidi. L’aneddoto, però, è totalmente inventato e non potrebbe realizzarsi secondo la legge italiana.
(da Open)
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Agosto 30th, 2022 Riccardo Fucile
ESSENDO DI PURA RAZZA PADANA E NON UN IMMIGRATO, NESSUN LEADER SOVRANISTA DEDICA UN POST INDIGNATO ALLA NOTIZIA
Un 21enne, Matteo Angelo Errigo, è stato arrestato dalla Squadra mobile di Milano con l’accusa di violenze sessuali su quattro donne, tra i 19 e i 33 anni, commesse tra maggio e giugno scorso.
Il giovane, secondo gli inquirenti, con grande probabilità ha applicato sempre lo stesso schema: le ha seguite “a bordo di un monopattino elettrico”, mentre uscivano a volte da palestre delle zone centrali della città, e poi le ha aggredite, anche mentre parlavano al telefono, costringendole a subire atti sessuali. Per poi scappare sempre alla guida del monopattino.
L’ordinanza di arresti domiciliari è stata firmata dal giudice per le indagini preliminari Roberto Crepaldi su richiesta del pm Pasquale Addesso.
L’inchiesta, come si legge nell’ordinanza, vede al centro “quattro diversi episodi di violenza sessuale, tutti commessi tra il maggio e il giugno” scorso dal giovane, con precedenti per maltrattamenti sulla madre.
Tutti gli episodi sono stati denunciati dalle vittime. Le indagini della Squadra mobile sono arrivate all’identificazione del 21enne da una serie di elementi: “L’acquisto di un monopattino simile a quello ripreso sul luogo o in zone prossime a quelle delle violenze, la rassomiglianza dell’indagato” con le descrizioni fornite dalle vittime, i riconoscimenti delle stesse, il confronto delle “celle agganciate dal suo cellulare con gli spostamenti dell’aggressore”, i suoi “accessi alla metropolitana” e il suo “abbigliamento”.
L’uomo si spostava spesso tra il Piemonte e la Lombardia. Le violenze contestate nell’ordinanza sono state però tutte commesse a Milano.
Secondo quanto ricostruito, in un caso la vittima di 23 anni appena uscita dalla palestra di viale Toscana è stata “seguita per diversi metri” e poi aggredita. Una 20enne ha poi denunciato altri abusi in via Vallarsa, il 14 giugno: stava parlando al cellulare ed è stata raggiunta da Errigo con il mezzo elettrico alle spalle, poi fatta cadere.
Una 33enne ha subito violenze con lo stesso schema in via Ripamonti il 27 maggio. Lo stesso giorno è stata aggredita una 29enne mentre rincasava, non lontano da Porta Romana.
“Io ero paralizzata nel corpo, ma per fortuna ho avuto la prontezza di urlare, non ho detto parole, ma urlavo, ad un certo punto si è sentito lo scatto di un portone. Appena il mio aggressore ha sentito il rumore mi ha lasciato a terra, si è alzato ed è corso verso il monopattino che ha preso ed è scappato”. Così uno racconti messi a verbale da una delle quattro vittime.
La ragazza, che ha subito abusi in via Vallarsa, ha spiegato di essere stata aggredita alle spalle, mentre era “concentrata sullo schermo” del telefono, e di essere stata buttata “a terra, girata, con lui davanti a me”. Ha fornito subito agli agenti una descrizione di quel giovane, che aveva un accento “di Milano” e che era vestito con t-shirt e bermuda.
E pure dettagli sul monopattino “quasi tutto nero con una striscia arancione fluo sul davanti”. Decisive nell’inchiesta anche le immagini delle telecamere di sorveglianza che hanno ripreso le violenze.
In un altro caso, quello degli abusi su una 33enne in via Ripamonti a maggio, la donna ha raccontato che il 21enne si è prima avvicinato chiedendole informazioni e poi, approfittando di un momento di distrazione, l’ha spinta con “veemenza facendomi rovinare al suolo”. Anche lei si è messa a urlare a “squarciagola” e così ha attirato l’attenzione di un ragazzo che passava in bici e l’aggressore è fuggito.
La donna ha anche consegnato agli investigatori un file audio con la voce del 21enne perché, quando lui le si è avvicinato, lei stava mandando messaggi vocali.
Un’ora e mezza dopo, verso le 2.30 di notte, una 29enne ha denunciato di essere stata aggredita mentre rientrava a casa ed era al telefono col suo compagno. La donna è riuscita ad allontanarlo “spingendolo con le mani e urlando”. Lei ha tentato anche di inseguirlo, ma poi “mi sono accorta – ha messo a verbale – che lo stesso stava ritornando indietro proprio di verso di me”, si è messa di nuovo ad urlare e l’uomo è scappato definitivamente.
Il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza parla di un “lavoro di indagine particolarmente accurato”, tanto che è stato accertato che sono stati usati due monopattini diversi dal 21enne, che vive tra Milano e la provincia di Alessandria.
Accertamenti passati anche per l’analisi dei profili social del giovane. Recente il caso, inoltre, della 16enne che ha denunciato una violenza sessuale avvenuta nella notte fa il 28 e il 29 agosto in Piazza Castello: si tratta però, dicono gli inquirenti, di un’indagine diversa.
(da agenzie)
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