Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA HA DECINE DI DIRIGENTI NEI GUAI CON LA GIUSTIZIA, ANCHE PER REATI MOLTO GRAVI… ECCO L’ELENCO
«Prenderemo questo esempio e lo porteremo anche al governo della nazione». Era il 2020 quando, lanciando la candidatura della sindaca Roberta Tintari, Giorgia Meloni definì l’amministrazione di Terracina un modello da replicare all’esecutivo.
A distanza di due anni, mentre la leader di Fratelli d’Italia è in testa nei sondaggi e punta a diventare la prima premier donna, quel «modello» è finito con 59 avvisi di garanzia, 13 misure cautelari e l’arresto della stessa Tintari.
Ma l’inchiesta della Procura della Repubblica di Latina che ha fatto crollare rovinosamente la roccaforte di FdI in terra pontina non è isolata. Non è un semplice incidente di percorso nella marcia degli eredi di Alleanza Nazionale verso palazzo Chigi.
Negli ultimi anni si susseguono indagini a carico di esponenti del partito della Meloni in mezza Italia. Ecco, dunque, un altro pericolo.
Da una parte c’è quello, più volte agitato del sedicente fascismo e dell’antieuropeismo, di chi ammicca agli estremisti e ai razzisti, fa il saluto romano e flirta con le anime nere di mezzo mondo, e dall’altra c’è quello della legalità.
Tanto che storici esponenti di FdI, quando si lasciano andare a delle confidenze a microfoni spenti, ammettono: «Non abbiamo classe dirigente».
Il nodo
Ministro della Gioventù ad appena 31 anni, con l’ultimo governo di Silvio Berlusconi, e subito inquadrata come l’astro nascente della destra italiana da Gianfranco Fini – quello stesso leader di An che lei poi bollerà come un traditore – Giorgia Meloni ha compiuto una carriera politica sfolgorante. Ora però, mentre si sente già la vittoria in tasca e dopo che ha ridimensionato il leader leghista Matteo Salvini, il problema non sembra più solo quello delle idee, delle braccia tese o di qualche sedicente camerata di troppo.
Il fronte della legalità è critico per la presidente di FdI. Il suo non è più un partitino e sembra difficilmente controllabile.
Sono lontani i tempi in cui il confronto era tutto con il gruppo dei Gabbiani e lo storico esponente dei missini di Colle Oppio, Fabio Rampelli, o con i fedelissimi Guido Crosetto e Ignazio La Russa. L’aspirante premier continua a confidarsi con il suo cerchio magico, con la sorella e il cognato Francesco Lollobrigida, ma fuori da quel cerchio c’è molto di più e spesso non sembra esserci molto di buono. Il caso Latina è emblematico.
Manette nella ex palude
Quante volte “Khy-ri”, come si faceva chiamare la Meloni quando frequentava la chat di Undernet Italia e sfogava la sua passione per il fantasy, ha percorso la Pontina, divorando quei settanta chilometri che separano Roma da Latina, e si è recata nel capoluogo pontino. Lì ha legami solidi. Tanto che nel 2018 è stata eletta alla Camera proprio nel collegio di Latina. Anche se la leader di FdI glissa sull’argomento, proprio dal capoluogo pontino le sono arrivati però i primi imbarazzi notevoli.
Giovanni Di Giorgi, suo amico ed esponente di Fratelli d’Italia, ha visto la sua giunta crollare sotto i colpi delle indagini, arrivate a ipotizzare la costituzione di ben tre associazioni per delinquere all’ombra del Comune sotto la sua consiliatura.
Un sindaco finito anche in carcere, per poi eclissarsi dalla politica, e che dopo un simile naufragio ha visto nel 2016 trionfare i civici con il cuore a sinistra, che hanno preso la guida dell’amministrazione comunale per un ventennio retta dalle destre. Con lui è stato detto addio a quello che era considerato il laboratorio nero.
Nello stesso periodo a Latina era inoltre assessore ed è poi stato eletto deputato Pasquale Maietta. L’onorevole, un commercialista, era uno degli uomini su cui puntava il partito. Sembrava inarrestabile. Presidente del Latina Calcio, portò la squadra in serie B e la Meloni allo stadio era ospite d’onore.
Poi si scoprirà che ad accompagnare i vip in tribuna c’era il boss Costantino “Cha Cha” Di Silvio, amico Di Maietta, e che il deputato, nominato anche tesoriere di FdI a Montecitorio, per la mafia rom sarebbe stato il punto di riferimento.
Accusato anche di aver riciclato enormi somme di denaro in Svizzera, pure lui è finito in carcere, i processi sono in corso e la Dda di Roma ha da tempo acceso un faro sulle campagne elettorali affidate al clan Di Silvio, gli stessi a cui avrebbe chiesto di compiere per lei delle estorsioni l’ex consigliera regionale di centrodestra Gina Cetrone, passata da FdI a Cambiamo con Toti, a sua volta finita dietro le sbarre e attualmente imputata.
La Meloni è tornata nel capoluogo pontino nel 2021, invitando a votare i suoi candidati alle elezioni comunali. Abbracci, sorrisi, photopportunity sul lungomare, ma ecco che, a 24 ore di distanza dall’abbraccio con il suo capogruppo, anche quello immortalato e diffuso sui canali social, è emerso che il locale esponente di FdI Andrea Marchiella era un pregiudicato.
«Non avevo detto nulla, non votatemi», si è giustificato lui, una volta smascherato su una condanna definitiva per reati societari.
Perso ormai dal 2016 il capoluogo pontino, restava Terracina, dove da vent’anni fino al mese scorso l’amministrazione era sempre stata di destra, prima con un sindaco di An e poi di FdI.
La città balneare – a lungo retta dall’eurodeputato di FdI Nicola Procaccini, e poi passata a Roberta Tintari – era considerata appunto un «modello da esportare». La Meloni non si era preoccupata troppo quando all’inizio dell’anno era finito ai domiciliari il vicesindaco Pierpaolo Marcuzzi, pronto a una candidatura per le regionali con Fratelli d’Italia. Non sarebbe rimasta turbata neppure dalla scelta di Procaccini di ingaggiare proprio Marcuzzi come collaboratore a Bruxelles.
Ma ecco che in arresto questa volta è finita la stessa sindaca e Procaccini, uno degli uomini più vicini alla leader, è stato raggiunto da un avviso di garanzia. Una maxi inchiesta sulla gestione delle spiagge ha messo in luce un sistema di pressioni, favori e abusi ignorati, con regole calpestate in riva al mare in cambio di voti.
Tanto che alcuni imprenditori finiti nelle maglie di Mafia Capitale avrebbero spostato i loro affari sul litorale terracinese, uno dei quali conosciuto da Procaccini proprio ai tempi in cui era portavoce dell’allora ministro Meloni. Gli indagati? Ben 59.
E come se non bastasse diversi sono gli esponenti di FdI che, in base a quanto riferito dai pentiti alla Direzione distrettuale antimafia di Roma, avrebbero ingaggiato il clan Di Silvio per comprare voti e fare attacchinaggio.
Rivelazioni su cui le indagini sono in corso, ma su cui alcuni processi sono già arrivati a sentenze definitive, trasformando quelle che erano ipotesi in verità giudiziarie. Quello pontino è però solo un esempio delle tante grane che big e gregari di Fratelli d’Italia stanno avendo sul fronte giudiziario.
Indagati ovunque
A Milano ha fatto rumore il caso della “Lobby nera” al centro dell’inchiesta di Fanpage, che ha portato la locale Procura ad aprire una delicata inchiesta. La consigliera comunale Chiara Valcepina è tra gli indagati e gli inquirenti hanno ipotizzato, a vario titolo, i reati di riciclaggio e finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio.
E ad essere indagato è stato subito pure l’eurodeputato Carlo Fidanza, anche lui di Fratelli d’Italia e vicinissimo alla leader. Il parlamentare europeo, che per quella vicenda si è autosospeso dal partito, parlando con un giornalista di Fanpage ha descritto le modalità con cui era possibile far avere al partito denaro in nero da utilizzare in campagna elettorale: «Abbiamo le lavatrici per fare il black».
E come se non bastasse nel giugno scorso è stato pure indagato per corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio relativamente alle dimissioni del consigliere comunale Giovanni Francesco Acri, il cui figlio sarebbe stato assunto da Fidanza come suo assistente.
Un sistema che avrebbe avuto come capo Roberto Jonghi Lavarini, il cosiddetto «barone nero», neonazifascista candidato nel 2018 proprio da FdI e già condannato a due anni di reclusione per apologia di fascismo aggravata dall’odio razziale.
Restando al Nord c’è poi l’indagine della Procura di Piacenza sul deputato Tommaso Foti, accusato di corruzione e traffico di influenze. Per gli inquirenti, il fratello d’Italia, insieme all’assessore comunale Erika Opizzi, anche lei di FdI, si sarebbe fatto promettere dall’imprenditore Nunzio Susino denaro come prezzo «della propria mediazione illecita» affinché il Comune procedesse con il cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni.
A Siena è stato indagato il deputato Salvatore Caiata, ex pentastellato saltato sul carro della Meloni, accusato di autoriciclaggio nell’inchiesta Hidden Partner. Un uomo che era stato scelto anche come segretario regionale in Basilicata nonostante proprio per una prima grana giudiziaria fosse stato allontanato dall’ex capo dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio.
E il Tribunale di Asti ha condannato a cinque anni di carcere Roberto Rosso, per voto di scambio politico-mafioso.
Difficoltà che sono però nulla rispetto a quelle che Fratelli d’Italia sta avendo al Sud, nelle regioni d’origine di quelle che investigatori e analisti definiscono mafie tradizionali.
A Palermo, in occasione delle ultime elezioni amministrative, ancor prima che si aprissero le urne è stato arrestato Francesco Lombardo, candidato di FdI, accusato di voto di scambio e, nello specifico, di aver incontrato Vincenzo Vella, boss di Brancaccio, per chiedergli sostegno elettorale.
«La criminalità organizzata è il nostro primo nemico», hanno subito specificato in quell’occasione dal partito. Ma l’elenco degli uomini della Meloni ritenuti vicini ai clan è lungo.
Prima di tornare in Forza Italia lo scorso anno, un ruolo di primo piano in FdI lo aveva del resto in Calabria l’avvocato Giancarlo Pittelli, arrestato nel 2019 nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott sulla cosca Mancuso della ’Ndrangheta di Vibo Valentia e poi arrestato di nuovo nel 2021 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria su un traffico di rifiuti gestito dalla cosca Piromalli.
E pensare che, il 15 aprile 2017, proprio la Meloni twittò: «La comunità di FdI cresce, si rafforza e dà il suo benvenuto a Giancarlo Pittelli: un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia». Valore di cui ben presto forse avrebbe preferito fare a meno.
Sempre in Calabria è poi stato arrestato tre anni fa per mafia l’ex consigliere regionale Alessandro Niccolò, finito nell’inchiesta Libro Nero sulla cosca Libri, che era stato scelto dalla Meloni come coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia a Reggio.
In manette è finito pure il consigliere regionale Domenico Creazzo, incappato nell’inchiesta Eyphemos della Dda di Reggio Calabria con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso con la potente e temuta cosca Alvaro di Sinopoli.
Quadro pesante pure in Campania.
La Procura di Napoli ha indagato l’ex candidato alla Camera ed ex consigliere regionale Luciano Passariello in un’inchiesta sullo smaltimento dei fanghi, e il consigliere comunale di Battipaglia, in provincia di Salerno, Franco Falcone, è stato arrestato con l’accusa di concussione.
In Puglia, infine, arrestato Andrea Guido, consigliere comunale di Lecce, coinvolto in un’inchiesta sul clan camorristico Moccia e accusato di corruzione.
I paradossi
Abbastanza forse per dire che oltre al problema fascismo c’è quello legalità.
Eppure qualche imbarazzo soprattutto le indagini per mafia dovrebbero crearlo alla presidente di Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni ha detto più volte che ha deciso di impegnarsi in politica dopo le stragi dei corleonesi, dopo l’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e ha più volte definito la lotta alla mafia «il primo problema da risolvere».
Da risolvere a quanto pare anche all’interno del suo partito con cui vuole porsi alla guida del Paese.
(da TPI)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
CHE LAGNA IL BUONISMO SUL VOTO “PER”… TUTTI ABBIAMO IL DIRITTO DI CERCARE DI EVITARE L’OPZIONE CHE CONSIDERIAMO PEGGIORE
So benissimo che la cosa che più conta nel voto è quello che le forze politiche vogliono, i programmi, gli ideali, i contenuti. L’idea di paese, insomma.
Bene così, allora? Proprio no.
Perché una visione così “piatta” del confronto elettorale, così razionale, quasi contabile, esclude una parte fondamentale delle scelte umane, non solo politiche.
È vero che è giusto votare per un programma, per un’idea d’Italia, per un leader. Ma è altrettanto vero che tutti noi abbiamo il diritto assoluto di “votare contro”, di cercare in tutti i modi di evitare, e di far evitare al paese, l’opzione che consideriamo peggiore.
Non solo è legittimo. È anche giusto.
Se esiste uno schieramento che, in gran parte, in questi anni ha ammiccato plaudente a Putin, a Orban e alle democrazie illiberali di mezzo mondo, beh, il “voto contro” da diritto individuale si trasforma in dovere politico. E patriottico.
Se esiste un leader che fino a una manciata di giorni fa voleva farla finita con le armi all’Ucraina, voleva andare a trovare Putin a Mosca, che dire, il voto contro diventa una scelta obbligata.
Se esiste uno schieramento che, al di là delle belle parole, mette in discussione la compattezza europea, il voto contro è un appiglio che può salvare l’Italia.
Anche perché, va detto, i programmi scritti a tavolino sembrano fatti apposta per ripulire le malefatte di anni e anni di brutta politica e bruttissima propaganda. Non basta dirsi tolleranti per esserlo, non basta dirsi antirazzisti per non essere razzisti: sarebbe tutto troppo facile. E infatti la fanno facile.
Se la politica è scelta di campo, è anche scelta del campo che non ci piace. La politica è porre confini. E il confine oggi è lì dove lo hanno spostato i fantomatici moderati del centrodestra accucciandosi al servizio dei sovranisti e portando a compimento il draghicidio del 20 luglio. Quello è il punto di non ritorno, la sedicente destra oggi è quella che ha scelto scientemente di cacciare dalla guida del Paese l’italiano più illustre e con più credibilità internazionale.
E allora votare bene significa anche votare contro, per evitare che la destra sovranista e antieuropea riesca a vincere, o almeno per evitare che stravinca.
Troppo poco? Almeno è qualcosa.
Filippo Rossi
(da Huffpost)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI ITALIANI HANNO ATTACCATO L’EUROPA PER ANNI, ORA PER CONVENIENZA SVENTOLANO LA BANDIERA DELL’EUROPEISMO PER PRENDERSI I SOLDI DI QUEL PNRR CHE HANNO AVVERSATO
In campagna elettorale, purtroppo, si rischia di incappare in clamorose bugie professate da politici che si intestano battaglie di ogni genere e vendono fumo al miglior offerente.
In questi giorni stiamo assistendo ad uno spettacolo che, se non ci fossero di mezzo le sorti del Paese, farebbe quasi sorridere per quanto sfiori il ridicolo.
Il centrodestra, infatti, si è affezionato all’idea di farsi promotore di un progetto politico che vuole “più Italia in Europa e più Europa nel mondo”.
Peccato che coloro i quali oggi amano professarsi ferventi europeisti siano gli stessi che negli anni hanno tenuto un atteggiamento coerentemente antieuropeista. E gli va dato atto di questa linearità.
I sovranisti italiani hanno avuto sempre, costantemente, posizioni di attacco e conflitto con l’UE, per compiacere gli amici sovranisti a Bruxelles.
E a parlare sono i fatti, anche quelli recenti. Dopo essersi opposti per ben 5 volte in Parlamento europeo alla creazione di misure di sostegno finanziate dall’Europa come Recovery Plan nazionali, il 15 luglio 2020 Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato compatti contro la Risoluzione per l’adozione a Bruxelles del Next Generation EU e per la creazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il famoso Pnrr.
In ballo oltre 200 miliardi all’Italia per affrontare al meglio, insieme alle risorse del Bilancio pluriennale europeo, le problematiche e le sfide del nostro Paese.
Sfide che, la pandemia prima e la crisi economica dopo, hanno reso ancora più urgenti per il sostegno alle fasce più deboli, per sanare ferite, anche sociali, acuitesi negli ultimi due anni.
E sfide necessarie per il rilancio del Paese in chiave di sostenibilità, per il mondo del lavoro, dell’istruzione, della cultura e ricerca, per sbloccare infrastrutture essenziali a rendere competitiva l’Italia a livello internazionale.
Fondi accessibili se, e solo se, si approvano una serie di riforme che l’Unione europea si aspetta dall’Italia e senza le quali perderemmo una occasione storica.
Fondi, invece, che rischiamo di perdere a causa della irresponsabilità delle stesse forze politiche che hanno fatto cadere il Governo Draghi, il quale stava procedendo a tappe forzate per realizzare le azioni del Pnrr.
Al riguardo, ricordiamo infatti, che entro la fine di dicembre 2022, l’Italia deve rispettare 55 impegni complessivi, legati in gran parte all’approvazione di deleghe legislative o atti amministrativi complessi con numerosi concerti e pareri.
Se saranno conseguiti, potrà chiedere, e nel caso ricevere, una terza rata da 21,8 miliardi, che – al netto del prefinanziamento iniziale – porterà nelle casse circa 19 miliardi di euro.
Se non saranno raggiunti non otterremo nulla. E le conseguenze negative ricadranno sui nostri cittadini.
Pensiamo al capitolo lavoro: c’è in ballo il potenziamento di almeno 250 centri per l’impiego, nonché l’avvio delle procedure di assunzione e l’entrata in servizio di quasi 8.800 dipendenti per gli uffici di processo dei tribunali penali e civili.
Nel settore ambientale basta ricordare l’aggiudicazione dei progetti presentati dalle nove autorità del sistema portuale nell’ambito del programma Green Ports, o il rimboschimento di aree verdi urbane ed extraurbane, attraverso la piantagione di 1.650.000 alberi.
Senza considerare, poi, la concessione di almeno 300 nuove borse di ricerca agli studenti e la realizzazione di circa 7.500 posti letto aggiuntivi negli alloggi per gli studenti.
E ancora: entro la fine dell’anno dovrà essere completato il Polo Strategico Nazionale, un’infrastruttura che dovrà ospitare dati e servizi pubblici considerati critici o strategici.
Ci sono poi i traguardi legati all’aggiudicazione dei progetti per aumentare la resilienza delle reti del sistema elettrico e l’appalto (o gli appalti) per la messa in opera della ferrovia ad alta velocità sulle linee Napoli-Bari e Palermo-Catania.
Quelli per le aree interne, volti a migliorare i servizi e le infrastrutture sociali di comunità; l’adozione del Piano di investimenti per la rigenerazione urbana nelle aree metropolitane; la riforma del sistema di istruzione primaria e secondaria e quella della giustizia tributaria, che mira alla professionalizzazione dei componenti delle Commissioni tributarie e a ridurre il contenzioso e gli arretrati. Così come i decreti attuativi delle riforme della giustizia civile e penale.
Misure indispensabili per rilanciare l’Italia dopo anni di grandi sacrifici e anche per colmare quel divario, ormai atavico, tra il Nord e il Sud del Paese.
Un’occasione storica che ogni classe politica responsabile non avrebbe mai messo a rischio. Il Pnrr destina, infatti, almeno il 40% delle risorse al Sud. QuestOo è il centrodestra in Italia, teniamolo a mente.
Questo è il vero programma di governo dei sovranisti all’amatriciana nemici del Pnrr. Questa è la credibilità di cui godono in Europa: pari a zero.
(da Huffpost)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
COSA SI NASCONDE DIETRO IL PRESIDENZIALISMO IN ITALIA
No, stavolta non è soltanto un’elezione. Non si tratta unicamente di votare per un nuovo Parlamento, che poi a sua volta voterà la fiducia a un nuovo esecutivo.
Ora la posta in gioco è ben più alta, tocca il cuore stesso dello Stato. Presidenzialismo, ecco la parola.
E dunque una Costituzione riscritta dalla testa ai piedi, come promette la destra guidata da Giorgia Meloni, vincitrice annunciata di questa tornata elettorale.
Anzi un superpresidenzialismo, giacché nel 2019 Fratelli d’Italia ha raccolto firme nelle piazze attorno a una proposta estrema, secondo la quale il presidente della Repubblica presiede pure il Consiglio dei ministri.
Non che l’idea sia nuova di zecca. In Assemblea costituente ebbe in Piero Calamandrei il più illustre paladino, con lo sguardo puntato sull’America. Non se ne fece nulla, perché i suoi colleghi temevano piuttosto il Sudamerica, avendo fatto esperienza del fascismo.
I primi a proporre l’elezione diretta del capo dello Stato furono i fascisti, monarchici, nel 1957. Un ossimoro, dato che il re non viene eletto. Ma l’Italia è terra d’assurdi e paradossi: non a caso avevano simpatie monarchiche i nostri due primi presidenti della Repubblica, Enrico De Nicola e Luigi Einaudi.
Sarà per questo, sarà per una sfida al senso comune, che i campioni del presidenzialismo si rintracciano pure fra i partiti di sinistra.
Due soli nomi: Bettino Craxi e Massimo D’Alema. Il primo sposò il modello presidenziale nel 1987, al congresso del Psi di Rimini, dopo averlo evocato già nel 1979, con la sua proposta di «Grande riforma».
Il secondo presiedeva la Bicamerale che nel 1997 votò in favore d’un semipresidenzialismo alla francese, scartando il sistema parlamentare inglese del premierato, però subendo infine uno sgambetto all’italiana da parte di Silvio Berlusconi, che all’ultimo minuto ne affossò i lavori.
Insomma, una vecchia storia, sia pure costellata d’insuccessi.
Sicché non meravigliamoci se il presidenzialismo stavolta avrà successo.
D’altronde noi italiani siamo presidenzialisti per vocazione, per aspirazione.
Da una ricerca pubblicata dalla Nave di Teseo (Presidenti d’Italia) s’apprende che l’Amministrazione pubblica italiana ospita oltre 70mila presidenti, seduti sulle poltrone di tutti i nostri enti, portenti ed accidenti; tanto che per stipendiarli spendiamo 390 milioni di euro l’anno, cifra che supera il bilancio d’una grande città.
E allora sarà forse questo l’argomento decisivo: con il presidenzialismo si risparmia. Ne paghi uno soltanto, gli dai tutti i poteri, sicché in ultimo dimagrisce anche lo Stato, oltre che la democrazia italiana.
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
A VERDI E SINISTRA ITALIANA ANDRA’ IL 20% DEI SEGGI
L’accordo sull’alleanza tra Pd, Verdi e Sinistra italiana arriva dopo un’ultima trattativa di un’ora nella sede dem al Nazareno tra Enrico Letta, il segretario di SI Nicola Fratoianni e il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli.
Un patto di natura «elettorale», ha sottolineato il segretario dem che ha voluto citare le divisioni sul sostegno al governo Draghi, ma anche le battaglie comuni su ambiente e politiche sociali portate avanti in sede europea: «Oggi sigliamo questo accordo elettorale collegato allo spirito della legge elettorale – ha spiegato Letta – e ciò significa orientare l’esito del parlamento, la solitudine delle nostre forze politiche porterebbe a una maggioranza a trazione delle destre».
Il segretario dem ha poi lanciato un monito agli alleati della coalizione: «Il senso di responsabilità prevalga sulle altre considerazioni nei prossimi giorni di campagna elettorale».
Letta ha poi specificato che gli accordi siglati in questi giorni i diversi partiti del centrosinistra «sono separati ma compatibili: un patto elettorale e un accordo elettorale oggi: questa intesa è compatibile con quanto negoziato martedì scorso», con il leader di Azione Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova di +Europa.
Il segretario dem ha poi sottolineato che «non si tratta di un accordo di governo», bensì di «intese basate sull’attuale legge elettorale (il Rosatellum) che può portare la destra unita ad avere la maggiorana dei due terzi del Parlamento».
E Letta ha aggiunto: «Io lancio questo allarme: senza questi questi accordi elettorali, che sono a difesa della Costituzione, la Costituzione sarebbe a rischio, potrebbe essere riformata da soli da Salvini e Meloni».
Le condizioni dell’accordo
Sui seggi uninominali l’accordo raggiunto dal Partito Democratico con Verdi e Si è 80% (Pd) e 20% (Verdi-Si). Dopo l’accordo siglato con Carlo Calenda, i dem avevano concesso ad Azione e +Europa il 30%, mentre per il Pd restava il 70% dei candidati da eleggere con il sistema maggioritario. Sempre in base all’accordo sottoscritto con il leader di Azione, nei seggi concessi a Sinistra italiana e Verdi non ci saranno figure apicali dei due partiti, ma personalità della società civile e alcuni dirigenti di partito.
«Regalare seggi a questa destra estrema non è accettabile, rispetto a ciò che sappiamo potrebbero fare. Costruire un fronte ampio, pur con le differenze che conosciamo, è dirimente», ha dichiarato in conferenza stampa il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli.
«Sentiamo la responsabilità di salvaguardare la Costituzione rispetto a una destra estrema che la vuole cambiare, guardando al presidenzialismo – ha aggiunto -. Davanti a una destra alleata con Vox in Spagna, con Marine Le Pen e con Afd in Germania, noi sentiamo forte senso di responsabilità».
Bonelli ha poi aggiunto: «La difesa della democrazia viene prima di tutto, non ci può esser lotta contro il cambiamento climatico se non facciamo prima una battaglia per la democrazia: dobbiamo concentrare le nostre energie per battere la destra estrema, si apre una fase nuova».
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
DAL 2020 FDI HA CREATO UN LABORATORIO CULTURALE, FINANZIANDO INTELLETTUALI D’AREA PER DARE LORO VISIBILITA’…ECCO CHI NE FA PARTE E COME FUNZIONA
Se c’è un intellettuale ampiamente citato nella destra radicale negli ultimi anni, questo è senza dubbio Antonio Gramsci. È solo apparentemente un paradosso storico ed ideologico. Il concetto di “egemonia culturale” è il perno per l’intera area che gravita attorno al mondo di Fratelli d’Italia, il partito divenuto vero magnete dell’arcipelago della destra extraparlamentare. Conquistare le teste – e la pancia – da anni è l’imperativo categorico.
Il partito di Giorgia Meloni dal 2020 ha creato uno specifico laboratorio in questo senso, con lo slogan “controegemonia culturale”: opporsi al resto del mondo politico partendo dalla costruzione di una cosmogonia di miti e valori. Creare appartenenza e comunità. E, alla fine, consenso elettorale.
A dirigere il tutto è Alessandro Amorese, editore toscano, poco noto fuori dall’area della destra. Nome più conosciuto è quello del vice responsabile nazionale, Emanuele Merlino, figlio di Mario Merlino, lo storico esponente di Avanguardia nazionale.
Giovane autore dei testi di fumetti di case editrici di destra, Merlino junior è molto vicino alla galassia nera cresciuta attorno a Casapound.
Memo per il governo Meloni: “Finanziare i nostri autori”
Il laboratorio di Fratelli d’Italia è una sorta di snodo organizzativo della pubblicistica della nuova destra italiana, diventata particolarmente attiva negli ultimi dieci anni, seguendo il filone dell’identitarismo di matrice francese.
Nella pubblicazione “Controegemonia: il bollettino editoriale di Fratelli d’Italia”, distribuito sul sito istituzionale del partito di Giorgia Meloni, c’è un elenco dei libri consigliati ai militanti, con una bibliografia per la formazione culturale. Non stupisce che vi siano solo editori dichiaratamente di area. Le parole d’ordine, d’altra parte, della “controegemonia” sono chiare: “Bisogna organizzare e, se si è al governo, finanziare festival, rassegne, presentazioni, momenti di dibattito con autori nostri”, scrive Emanuele Merlino nell’editoriale introduttivo.
“Gli intellettuali d’area sono quelli che poi creano suggestioni, vengono intervistati e possono rappresentare il partito, o le idee a noi vicine, ovunque sia necessario ma per farlo devono acquisire una visibilità che i media mainstream non concedono”, scrive ancora il vice responsabile nazionale del “laboratorio di editoria” di Fratelli d’Italia, preparando il terreno alla conquista del mondo culturale, qualora Giorgia Meloni fosse eletta.
La conquista del potere passando attraverso l’industria culturale è d’altronde una vera fissazione per la destra.
Simone Di Stefano, in un intervento di qualche anno fa, spiegava che Casapound, il movimento che all’epoca dirigeva, poteva già contare su un manipolo di camerati ben piazzati in Rai e che era necessario fare di più: creare quadri, scuole di giornalismo, reti di autori e iniziative.
Il volto dell’intellettuale sognato dall’area della destra italiana è ben delineato dalla accurata bibliografia presente nel documento di Fratelli d’Italia. Chiara è anche la “matrice”. Sono due la case editrici di punta dell’area, ben delineate ideologicamente.
Tra Evola e Junger
Nel mondo missino degli anni ’70 e ’80 c’era una divisione netta. Da una parte la destra gentiliana, in doppio petto, con un aplomb istituzionale.
A quest’area, soprattutto nel mondo giovanile, si è sempre contrapposta l’ideologia dei “figli del sole”, gli allievi di Julius Evola, il filosofo ispiratore di Ordine nuovo che aveva avuto stretti rapporti con la cultura della Germania nazionalsocialista.
In quello stesso periodo in Francia nasceva la nouvelle droite di Alain de Benoist, il filosofo padre del movimento identitario. Radicale, sostenitrice di una differenziazione tra i popoli – eredità del razzismo biologico, ritenuto ampiamente superato -, schierata apertamente contro i principi della rivoluzione francese dell’uguaglianza, della fraternità e della libertà. Quel pantheon di autori, movimenti d’idee, politiche culturali oggi è la base di una buona parte dell’editoria della destra che forma la classe dirigente di Fratelli d’Italia.
Si chiama “Passaggio al bosco”, richiamo all’omonimo libro di Ernst Junger (saggio uscito in Italia nel 1991 con il titolo “Il trattato del ribelle”), una delle case editrici sponsorizzata dal laboratorio editoriale del partito di Giorgia Meloni.
Si definisce un progetto “politicamente scorretto”, ha stretti rapporti con l’associazione Casaggì, sigla di riferimento dei giovani di Fratelli d’Italia a Firenze, e presenta un catalogo decisamente radicale. La sezione “Tabù” è aperta da “Audacia, scritti e discorsi di Benito Mussolini”, segue l’imperdibile “La dottrina del fascismo” (di Benito Mussolini e Giovanni Gentile), poi “La marcia su Roma”, di Giacinto Reale e infine il pamphlet di Gabriele Adinolfi, ideologo di Casapound, “Né fronte rosso né reazione” dedicato all’organizzazione Terza posizione.
A colpire, però, è il volume è “Cattolici e identitari” di Julien Langella, riportato nell’elenco dei libri consigliati. L’autore è un nome noto in Francia, passato alle cronache come uno dei cofondatori dell’organizzazione “Generation identitaire”, il gruppo creato nel settembre del 2012 e poi sciolto lo scorso anno dal ministero dell’interno francese con l’accusa di istigazione all’odio razziale.
Tra le motivazioni del decreto di scioglimento c’è, tra l’altro, la missione della nave “C Star”, un cargo utilizzato dall’organizzazione di estrema destra nel 2017 per una sorta di blocco navale simbolico contro le organizzazioni umanitarie, nelle acque del Mediterraneo centrale.
“Una milizia privata”, viene definita l’iniziativa nel testo del decreto di scioglimento firmato il 4 marzo del 2021 dal governo d’oltralpe, che fa riferimento ad una “simbologia e retorica marziale, (…) una formazione paramilitare”.
La stessa casa editrice ha poi pubblicato il volume “Sangue e terra”, firmato da Gian Marco Concas, tra i fondatori della sezione italiana di Generazione identitaria, ex ufficiale della Guardia costiera a capo della missione della C Star.
I fumetti dell’ex dirigente di Forza nuova
Nel documento del laboratorio del partito di Giorgia Meloni c’è l’editore milanese Ferrogallico, specializzato in fumetti. Nel documento vengono consigliati i racconti su Nietzsche, Yukio Mishima, Nino Benvenuti e la rivisitazione di 1984 di George Orwell.
Nel catalogo della casa editrice spiccano poi le immancabili foibe, con autore lo stesso Emanuele Merlino e la controstoria sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, dove la tesi è l’innocenza dei Nar, nonostante le tante condanne ormai definitive e una verità storica consolidata.
La presentazione di quel volume avvenne nella sede della fondazione Alleanza nazionale il 9 settembre del 2020, alla presenza dei deputati di Fratelli d’Italia Federico Mollicone e Paola Frassinetti, suggellando così un alleanza. Culturale e politica.
Uno dei successi editoriali di Ferrogallico è stato il fumetto Adam, dedicato alla storia di Adam Kabobo, il ghanese condannato negli anni passati per l’omicidio di tre persone a Milano.
Scritto dal vice direttore de La Verità Francesco Borgonovo, presenta la vicenda con toni horror, e il giovane migrante come posseduto da demoni ancestrali. Il migrante diventa una sorta di zombi che si aggira nelle città italiane. Il volume quando uscì venne distribuito insieme alla Verità, replicando l’accordo editoriale con quotidiani nazionali che era già stato sperimentato in passato con Il Giornale, per un altro fumetto del catalogo sulle foibe.
L’editore Ferrogallico è diretto da Marco Carucci (socio di maggioranza), già coordinatore negli anni passati per la Lombardia di Forza Nuova. Ha poi abbandonato il partito di Roberto Fiore, avvicinandosi all’area di Casapound.
Compagno di classe di Matteo Salvini, oggi Carucci è uno dei principali punti di riferimento del mondo culturale della destra italiana. La sua casa editrice e il catalogo dei fumetti sono una presenza fissa alle feste annuali del movimento fondato da Gianluca Iannone.
Non mancano, però, contatti più mainstream: la sua casa editrice è riuscita negli anni scorsi a chiudere un accordo con la Mondadori e a distribuire le opere anche grazie ad accordi con alcune amministrazioni locali. Due anni fa l’assessorato regionale alla scuola della Toscana propose di distribuire “Foiba rossa”, firmato da Emanuele Merlino, scatenando le proteste di alcuni storici.
La rete editoriale
Le due case editrici sono appena la punta dell’iceberg. In attesa del risultato del 25 settembre, il laboratorio editoriale del partito di Giorgia Meloni lavora alla creazione di una solida rete per la galassia della destra identitaria e sovranista. Con organizzazione, certo, ma anche con fondi: “In questi anni siamo, tutti, andati in ordine sparso – scrive Emanuele Merlino nel documento “Controegemonia” – . Un comune invitava un autore, con i costi che uno spostamento comporta, e poi il comune vicino invitava lo stesso autore un mese dopo dovendo ripagare aereo, albergo etc quando, coordinandosi, avrebbero potuto compartecipare alle spese”. Ottimizzare, camerati.“Non è folle? Non è uno spreco? Con i soldi risparmiati – prosegue – si potevano comprare copie da regalare, promuovere campagne social e realizzare tutte quelle possibili iniziative utili all’autore, all’editore, al comune che si amministra”.
Come? “Oggi, grazie ai social, e ai giornali locali, è possibile fare così tanta promozione che i nostri autori, le nostre case editrici e, soprattutto, le nostre idee possono acquisire così tanta forza da sfondare il ghetto dell’area e arrivare ovunque”.
La strategia c’è e si chiama Fratelli d’Italia: “Se crediamo in questo partito la risposta è una sola”. Ed è proprio questo l’obiettivo del “Laboratorio editoria” di Fratelli d’Italia: aiutare “a organizzare festival, tournée, eventi”. I soldi non mancano, spiega Merlino: “Le capacità ci sono, i fondi, se indirizzati, pure”. Se poi si andrà al governo tutto diventerà più semplice.
Il network di Casapound
L’idea di creare una rete distributiva dell’editoria della destra radicale non è nuova. Nel 2017 l’editore di riferimento di Casapound Altaforte ha partorito un accordo che riunisce la principali case editrici dell’area – comprese Ferrogallico e Passaggio al bosco – attorno al proprio marchio editoriale. Nel 2019 il network era pronto a sbarcare al Salone del libro di Torino, ma venne fermato dagli organizzatori del festival che rescissero il contratto con l’editore. Apparentemente la rete di Altaforte è una sorta di catalogo unificato, pubblicizzato e distribuito dal sito. Ma dietro c’è una ragnatela di festival, presentazioni e promozioni.
Crescono anche i numeri, con fatturati che sono raddoppiati alla vigilia del Covid; soldi che Altaforte – marchio in capo a Francesco Polacchi, ex Blocco studentesco e dirigente di Casapound – era pronto ad investire in librerie e nuove iniziative.
L’editoria e la “controegemonia” sono oggi uno dei punti di contatto tra il mondo del movimento fondato da Gianluca Iannone e il partito di Giorgia Meloni. Emanuele Merlino è uno dei traghettatori, che sta portando dentro Fratelli d’Italia l’esperienza accumulata nel mondo culturale della destra radicale.
Si creano poi vere e proprie camere di compensazione, punti di contatto visibili. Come le presentazioni nelle sedi istituzionali del partito, nei locali della fondazione An di via della Scrofa. Fratelli d’Italia è pronta a fornire mezzi economici, i contatti giusti, la macchina social della propaganda, gli agganci con il tanto vituperato mainstream.
L’obiettivo è riunire sotto il comune cappello elettorale l’intera area, preparandosi alla conquista della macchina culturale. I voti alla fine saranno solo il suggello di un patto molto più profondo. E radicale.
(da TPI)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
STRUTTURE PORTUALI, IL CENTRO CONGRESSI DI BOERI, LA DARSENA TURISTICA, LE PROVVEDITORIE MARINE. TUTTO RUGGINE… I LAVORI SONO COSTATI PIÙ DI 400 MILIONI, E TUTTA L’AREA INTERESSATA È TUTTORA INUTILIZZABILE
«La Maddalena (A Madalena in gallurese, Sa Madalena in sardo) è un comune italiano di 10.635 abitanti della provincia di Sassari costituito dall’arcipelago di La Maddalena facente parte dell’omonimo parco…». Ma come, chiederete, ci vuoi leggere Wikipedia?
No, ma siccome Christian Solinas, da quando è governatore e Commissario Straordinario non ha trovato un minuto in tre anni e mezzo per andare a vedere in quali condizioni disastrose versano le opere millenaristiche costruite per il G8 del 2009 e mai (mai!) usate vale la pena di partire dall’inizio. Meglio: dalla fine.
L’indecoroso cadavere del grande hotel di lusso ricavato dall’ex ospedale militare sulla strada litoranea più trafficata, un cinque stelle senza una spiaggia, senza un giardino, senza un albero, senza una piscina, senza una spa, costato oltre 91 milioni di euro attuali (902.970 euro per ognuna delle 101 camere: mai arredate!), giace abbandonato dietro un’alta palizzata carceraria.
Pavimentazione sgretolata, erbacce, piante e alberelli che sbucano ovunque. Unico segno di vita il militare di turno addetto a fermare eventuali curiosi che, non sia mai!, potrebbero fare foto imbarazzanti.
Per capirci: se anche esistessero aspiranti ospiti e occupassero mediamente 70 camere al giorno pagando 200 euro a notte per 100 giorni l’anno (magari!) le spese rientrerebbero in 65 anni.
Ammesso che chef, camerieri, sommelier e così via lavorassero gratuitamente. E il cibo e i vini arrivassero da Babbo Natale… Un investimento demenziale. Tant’ è che non c’è un solo albergatore, in tanti anni, che si sia sognato di fare un’offerta. Marameo!
Per non dire del resto. A partire dall’avveniristico centro congressi progettato da Stefano Boeri e proiettato come un immenso sperone luccicante sull’acqua, bellissimo il giorno dell’apertura-risarcimento ai visitatori, a metà settembre 2009 (dopo il G8 spostato all’Aquila), per la presentazione delle Louis Vuitton series ma oggi irriconoscibile per la facciata «ventilata con esagoni di vetro» via via sbrindellata e spazzata via dal vento e dalla sciatteria d’una manutenzione vergognosamente mai fatta.
Così come da anni, dopo una stagione di apertura ai tempi in cui tutto l’insieme era stato affidato a Emma Marcegaglia (poi rimborsata con 21 milioni di euro per «mancato guadagno» visto che le acque non erano state bonificate) non c’è la minima cura per l’hotel Porto Arsenale (detto ironicamente «Hotel Obama» perché lì doveva andare) oggi abbandonato a se stesso senza che un’anima pia abbia un po’ di pietà e butti un po’ di acqua alle piante maestose annientate da siccità e menefreghismo.
E lo stesso vale per tutte le altre strutture portuali, ricettive, formative e convegnistiche che dovevano «trasformare l’Arsenale della Maddalena in uno dei principali poli marittimi del Mediterraneo occidentale». La darsena turistica, le Provveditorie Marine, lo «Stecco» di alloggi per gli ospiti… Tutto ruggine.
Scalcinato. Corroso. Assediato dalle sterpaglie… E questo è quello che si vede! Peggio ancora è quanto sta sotto, sui fondali.
Lo spiegava anni fa, in un servizio di Fabrizio Gatti e Lirio Abbate, un tecnico che lavorava agli scavi: «Più scavavi nel fondale, più trovavi fanghi contaminati. La benna tirava su melma densa come cioccolata e nera come pece. Erano sicuramente idrocarburi pesanti. Hanno deciso di lasciarli lì perché senza la costruzione di una diga ermetica, avrebbero inquinato l’arcipelago». Liquami abbandonati dai militari americani e italiani, del tutto indifferenti per decenni al tema dei veleni tossici.
E così melmosi che «là sotto» gli stessi sommozzatori addetti alla sicurezza non avrebbero mai potuto offrire certezze.
Al punto che Silvio Berlusconi, fino ad allora duro con i giornalisti che «scrivevano notizie non vere» sui ritardi e così ottimista da invitare al G8 Gheddafi «a parlare dell’Africa al mondo intero», decise alla fine di aprile del 2009 di usare la faccenda come scusa per spiegare come mai, di colpo, aveva spostato il summit all’Aquila: «C’erano preoccupazioni per il sistema di sicurezza».
Dopo di che spiegò che certo, forse quella della Maddalena «sarebbe stata una sede eccessivamente lussuosa, non in sintonia col momento che attraversiamo globalmente», ma «i lavori continueranno e arriveranno al completamento assoluto e totale» e questo «più importante centro di attrazione del Mediterraneo» accoglierà «almeno otto grandi manifestazioni all’anno». Sì, ciao…
Sia chiaro: addossare il fallimento del progetto al solo Cavaliere o ai suoi collaboratori non sarebbe giusto. Forse fu un errore la stessa scelta iniziale di Romano Prodi e dell’allora governatore sardo Renato Soru, attaccati un po’ da tutti, dai forzisti agli indipendentisti fino ai no global, convinti che la decisione fosse stata presa non per amore dell’isola ma per isolare i black block dopo il G8 di Genova.
Certo non sono stati all’altezza della sfida i diversi premier e i vari governatori di destra e di sinistra e così i sindaci e i partiti e le burocrazie alternatisi negli anni. Fatto è che dal momento dell’annuncio dell’opzione Maddalena, 14 giugno 2007, sono passati oltre quindici anni. E i lavori già costati più o meno ufficialmente 328 milioni, pari a 402 milioni di euro di oggi (ammesso che dai e dai i costi veri non siano addirittura più alti, come temono molti dei più combattivi avversari dell’enorme spreco di risorse, come Pierfranco Zanchetta, già assessore provinciale all’ambiente e deputato regionale) non sono ancora finiti.
E dopo tanti scandali, processi, silenzi, condanne, assoluzioni, promesse, inchieste della Corte dei Conti, reportage e polemiche d’ogni genere, tira un’aria sempre meno ottimista. Tanto più che le bonifiche, già spacciate per eseguite da Berlusconi («è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia», Ansa 4/12/08) devono ancora essere effettuate sul serio e tutta l’area interessata è di fatto tuttora inutilizzabile. Peggio: dopo essere sbarcato per un tour elettorale poco prima di diventare governatore, il sardo-leghista Christian Solinas non risulta essere più tornato alla Maddalena.
Di più: nonostante sia stato scelto e confermato come Commissario Straordinario per le Bonifiche da quattro governi (Gentiloni, Conte giallo-verde, Conte giallo-rosso e Draghi), nello stesso archivio regionale Ansa dove spicca per oltre tremila citazioni, si trovano solo suoi sparuti accenni. Tra i quali, più di due anni fa, questo: «Come Commissario ma ancor più come presidente della Regione ho ritenuto doveroso, dopo anni di ritardi, imprimere un’accelerazione decisiva…».
Sinceramente: chi l’ha vista? Fatto sta che a un certo punto, informato sul degrado delle opere destinate al G8, lo stesso governo Draghi è intervenuto con un decreto che dava a Solinas tre milioni e mezzo l’anno per il 2022, 2023 e 2024 «per la manutenzione straordinaria» del patrimonio sempre più degradato e assegnava alla sua struttura commissariale una pattuglia composta da un dirigente e tre funzionari che si dedicassero espressamente al problema. Troppo poco? Forse. Era comunque un segnale di attenzione. Sono passati più di sei mesi. Silenzio. Totale. E non sono stati fatti neppure i bandi…
Gian Antonio Stella
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
ARRUOLATORI RUSSI IN AZIONE IN TRANSNISTRIA ATTRAVERSO MESSAGGI PRIVATI SUI CELLULARI E VOLANTINI CLANDESTINI
Il passaparola dei reclutatori scorre sulle chat per soli adepti della causa moscovita. Oppure di mano in mano con volantini stampati alla buona e ben ripiegati nelle tasche di gente fidata.
Si cercano volontari a stipendio fisso per rinforzare i 1.500 uomini delle truppe russe in Transnistria: artiglieri, cecchini, incursori, esperti in mimetizzazione e sabotaggi. Forze fresche da tenere con il binocolo puntato sull’Ucraina e il mirino contro la Moldavia.
Mosca sta correndo ai ripari dopo che Kiev ha letteralmente murato i posti di confine con l’enclave dove vigono le regole dell’Unione sovietica, ben lubrificate da ogni sorta di traffico illecito. Non è facile far affluire militari di carriera o soldati di ventura accompagnati da un passaporto acconciato per il transito attraverso l’Ucraina.
La chiamata alle armi è rivolta soprattutto ai moldavi. È segreta e illegale: la Transnistria non è riconosciuta dalla comunità internazionale e l’operazione coinvolge cittadini con passaporto moldavo che si trovano a servire un esercito straniero. Non si sa in quanti stiano rispondendo, ma fonti in Transnistria assicurano che non sono in pochi. E con quasi duemila soldati di Mosca nei paraggi, non è che a Chisinau si dormano sonni tranquilli.
La Moldavia attraversa una crisi pesante, con l’economia messa in affanno dalla guerra e dal sostentamento di mezzo milione di profughi passati a partire dal 24 febbraio.
Per i 2,5 milioni di abitanti con il reddito più basso d’Europa (lo stipendio mensile medio non arriva a 430 euro) la generosità nell’accoglienza avrà un prezzo salato. E con l’autunno alle porte non potrà che andare peggio.
La tariffa del gas è salita fino a 1.424 euro per 1.000 metri cubi, dai 628 di gennaio.
Il mestiere delle armi, con divisa e “zeta” in bella vista, vorrebbe sedurre specialmente quella parte di popolazione maschile moldava rimasta senza un lavoro remunerativo e che non ha smesso di votare per l’opposizione filorussa.
Viene promessa una paga a partire da 35.000 rubli russi (550 euro), un alloggio in Transnistria dopo cinque anni di servizio militare, tre pasti al giorno e pacchi alimentari aggiuntivi, abbigliamento, assistenza medica gratuita, possibilità di pensionamento dopo 20 anni e avanzamento di carriera.
Vladimir Thorik, cronista investigativo moldavo, è riuscito a fingersi disoccupato e filorusso. «Non importa se sei un civile. Nessuno nasce con un fucile», gli ha detto l’arruolatore. «Se vuoi imparare, imparerai», ha aggiunto prima di elencargli tutti i benefit della “professione” al servizio del Cremlino.
Quando con i colleghi Nicolae Cuschevici e Dumitru Baciu ha provato a ricostruire le identità degli emissari russi, i reporter della testata Rise hanno scoperto che si tratta di due russi da anni impiegati in Crimea e Transnistria al servizio dei piani di Putin.
Nel Paese i motivi di preoccupazione non sono mai mancati. In molti pensano che il tentativo di mettere in scena un “golpe bianco” non sia del tutto esaurito. Il sabotaggio istituzionale secondo fonti giudiziarie locali è stato sventato con l’arresto dell’ex presidente, il putiniano Igor Dodon, tuttora agli arresti domiciliari con l’accusa di “tradimento e corruzione” per i quali rischia fino 20 anni di detenzione, e rafforzato con l’avvio di una caccia ad alcune influenti personalità della politica e della finanza vicine all’opposizione filorussa.
Il Parlamento ha rinnovato per altri 60 giorni lo stato d’emergenza, conferendo al governo poteri speciali per affrontare le conseguenze dell’invasione in Ucraina.
A differenza di quanto accade in molti Paesi europei, i notiziari moldavi continuano ad aprire le edizioni con le corrispondenze di guerra. Odessa è a due ore d’auto, e lì sta per approdare la prima nave commerciale da mesi, mentre il cargo con il grano diretto in Libano ha attraversato il Bosforo. I turchi hanno poi annunciato per oggi la partenza di altri tre cargo di cereali.
Sono le uniche buone notizie. Il governatore della regione di Donetsk ha dichiarato che tre civili sono stati uccisi e cinque sono rimasti feriti in attacchi a una fermata del bus.
Anche le autorità locali di Mykolaiv, Kharkiv e Dnipropetrovsk hanno riferito che le loro regioni sono state bombardate. Mentre le forze ucraine hanno riconquistato due villaggi intorno alla città orientale di Sloviansk, ma sono state respinte alla periferia della città di Avdiivka. Secondo lo stato maggiore di Kiev, la Russia potrebbe lanciare una nuova offensiva nella regione meridionale ucraina di Kherson. Ma è proprio qui che si attende da un momento all’altro il contrattacco di Kiev. E per allora i nuovi arruolati dell’esercito russo in Transnistria dovrebbero entrare in servizio.
(da Avvenire)
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Agosto 6th, 2022 Riccardo Fucile
OTTIMA IDEA FAR PAGARE DI MENO CHI HA DI PIU’ E FAR PAGARE DI PIU’ CHI HA DI MENO: CONTINUA LA PRESA PER IL CULO DEL CENTRODESTRA
Silvio dalla parte dei ricchi ma con il voto dei pensionati e delle casalinghe intortate dalle sue telenovelas.
A distanza di anni stiamo ancora lì.
E non è un caso che Forza Italia, votata anche da tanta gente comune, dal 1994 in poi sia stata un baluardo a difesa deglli interessi dei ricchi e di Silvio Berlusconi ma con il voto di chi ricco non era ma era inebriato dal profumo della ricchezza.
E adesso continua la campagna social del leader di Forza Italia. «Comincio con un proverbio: una pillola al giorno leva il medico di torno. Una pillola al giorno del nostro programma dovrebbe levare di torno i signori della sinistra». A dirlo è Silvio Berlusconi in un video pubblicato sui social.
«La pillola sono le tasse. Quando saremo al governo applicheremo una flat tax al 23%, per tutti, famiglie e imprese, per alleggerire l’oppressione fiscale, per combattere davvero l’evasione, per aumentare le entrate dello Stato».
Poi, rivolgendosi agli elettori, aggiunge concludendo: «Se sei d’accordo, se pensi sia giusto lasciare più denaro nelle tasche degli italiani, per far ripartire consumi e investimenti, il 25 settembre devi andare a votare e naturalmente devi votare Forza Italia».
(da agenzie)
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