Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
LA MELONI LA USA PER RACCATTARE DUE VOTI IN PIU’, LA SINISTRA DIMENTICA CHE NEL MSI C’ERANO FIOR DI GALANTUOMINI (E QUANDO BERLINGUER INCONTRAVA ALMIRANTE DI NASCOSTO?)… LA FACESSERO FINITA ENTRAMBI
La due domande da porsi sono: perchè la Meloni continua a usare la fiamma, simbolo del Msi, visto che non ci azzecca nulla?
Perchè certa sinistra (non tutta) le chiede di togliere quel simbolo, come fosse il demonio?
La risposta ai quesiti è semplice.
La Meloni lo usa perchè qualche vecchio elettore del Msi è ancora vivo e qualche voto in più fa comodo. Infatti in futuro lo eliminerà, in nome del poltronismo borghese e della “collocazione” conservatrice e atlantista che permette di entrare nei salotti buoni di Confindustria.
Certa sinistra, a corto di idee, invece non ha capito che il problema non è la “fiamma” sinonomo, a sentire questi ignoranti, di fascismo, ma il sovranismo, il razzismo e la negazione dei diritti civili.
Domanda provocatoria: ma se il Msi era il demonio, per quale ragione un leader rimpianto del Pci come Enrico Berlinguer si incontrava di nascosto con Giorgio Almirante per evitare che giovani di destra e di sinistra si massacrassero nelle piazze per fare il gioco della “strategia della tensione”, i cui fili venivano manovrati dai servizi segreti (non solo stranieri)?
Sotto la fiamma si sono candidati due vicepremier (Giuseppe Tatarella e Gianfranco Fini), un ministro degli Esteri (ancora Fini) e numerosi altri ministri (da Publio Fiori ad Altero Matteoli, da Francesco Storace a Mirko Tremaglia, noto per le battaglie in difesa degli italiani all’estero), senza contare governatori e sindaci.
E tutti zitti.
Dall’area missina, infatti, provengono diverse persone di cui il nostro Paese dev’ essere orgoglioso.
Al primo posto, tra questi, c’è naturalmente Paolo Borsellino, in gioventù esponente del Fuan, il movimento degli universitari di destra vicino al Msi. Il giudice non ha mai rinnegato il suo passato. Anzi. «Alcuni suoi veri amici», scriveva nel 1993 il collega Giuseppe Ayala, «erano gli stessi che frequentava negli anni dell’università. Penso a Giuseppe Tricoli, il professore di storia con il quale passò l’ultimo giorno della sua vita. O ad Alfio Lo Presti, un bravo ginecologo. A Guido Lo Porto, il deputato del Msi». E concludeva: «Queste amicizie forti di Paolo mi hanno fatto riflettere su un punto, sulla assurda criminalizzazione dei missini, fra i quali ci sono tantissime persone perbene. Perché non dirlo anziché attardarsi nel retaggio delle sciocche generalizzazioni?».
Sempre restando in Sicilia, veniva dagli ambienti missini anche Beppe Alfano, giornalista ucciso dalla mafia nel 1993, così come l’avvocato Enzo Fragalà, già parlamentare di An, ammazzato dalle cosche nel 2010 perché cercava di convincere i suoi assistiti a collaborare con la giustizia.
E va ricordato Beppe Niccolai, deputato del Msi dal 1968 al 1976 e autore di una relazione alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia che fu definita «una cosa seria» da Leonardo Sciascia.
Davvero per qualcuno è una storia di cui la destra dovrebbe vergognarsi?
Domanda provocatoria finale: forse non dovrebbe vergognarsi di più la Meloni nel continuare a usarla nel simbolo?
Perchè in politica economica, sociale ed estera Fdi non ha nulla a che vedere con il Msi.
In quel Movimento “Sociale” non venivano eletti nelle istituzioni collusi con la “‘ndrangheta”, ma uomini che venivano uccisi dalla mafia.
E tanto basti.
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
L’ALLARME DEL “NEW YOKER”: L’ITALIA È L’EPICENTRO DI QUESTA STRATEGIA, CHE AVREBBE IL SUO COMPIMENTO CON LA VITTORIA DI GIORGIA MELONI
Un’internazionale reazionaria è al lavoro nelle democrazie occidentali, per piegarne le regole allo scopo di trasformarle in autocrazie conservatrici. Il modello, anche per gli Usa del trumpismo, è l’Ungheria di Orbán.
L’Italia è coinvolta, al punto che con le elezioni del 25 settembre potrebbe diventare il prossimo banco di prova per questa strategia globale.
L’allarme per il “barlume del nostro futuro autoritario” è stato lanciato dal “New Yorker”, col reportage del 27 giugno di Andrew Marantz dalla Conservative Political Action Conference a Budapest, e il collegamento col nostro paese sta nella partecipazione di italiani come il parlamentare europeo di Fratelli d’Italia Vincenzo Sofo, il vice segretario della Lega Lorenzo Fontana, e il presidente di Nazione Futura Francesco Giubilei.
La Cpac è una conferenza fondata nel 1974 dall’American Conservative Union, con discorso inaugurale di Ronald Reagan. Dunque un conservatorismo tradizionale, oggi più in linea con Liz e Dick Cheney che aborriscono Trump e il trumpismo. Con Donald però è stata deragliata verso posizioni sempre più estremistiche su immigrazione, diritti sociali e snaturamento della democrazia.
Il 19 e 20 maggio la Cpac ha tenuto il primo evento all’estero, scegliendo Budapest perché modello da seguire per scardinare le democrazie dall’interno. La linea per il futuro dell’Europa sono più Brexit, anche se Orbán evita la Huxit, perché ha troppo da guadagnare da Bruxelles e preferisce ostruirla stando dentro.
Il richiamo della foresta è la protezione delle radici giudaico-cristiane, anche se di giudaico c’è rimasto poco, e cristiano non descrive una fede religiosa ma la base del suprematismo bianco.
Globalisti, gay e “woke” sono anatemi. L’abilità di Orbán è stata costruire il dispotismo usando le leggi per aggirarle, modello esportabile del “Goulash Authoritarianism”.
Controllare i media per zittire l’opposizione; colonizzare le università; manipolare il sistema elettorale per ottenere maggioranze solide, da usare allo scopo di cambiare le regole a piacimento.
Così nasce l’autoritarismo travestito da democrazia. Ma vediamo chi sono, e cosa ci facevano, gli italiani che erano a Budapest.
Iniziamo da Sofo. Classe 1986, milanese figlio di calabresi, già fondatore del blog “Il Talebano”, l’eurodeputato è famoso soprattutto per essere il fidanzato di Marion Maréchal-Le Pen, nipote della leader di Rassemblement National. Responsabile giovanile a Milano de La Destra-Fiamma Tricolore di Francesco Storace, si è poi avvicinato alla Lega, della cui svolta sovranista uno degli artefici.
Alle europee 2019 Salvini lo fa eleggere a Bruxelles. È il premio per le idee sovraniste espresse attraverso “Il Talebano”. È dal blog di Sofo che nasce il laboratorio “Mille Patrie”: l’atto fondativo è un convegno del 2015 a cui partecipano Salvini, l’allora europarlamentare Fontana e delegazioni del movimento di estrema destra francese Bloc Identitaire e degli xenofobi tedeschi di Pegida. Cosa aveva in mente Sofo?
Creare un «fronte identitario italiano » che comprendesse, oltre alla Lega, anche FdI. Nel 2017 a Firenze “monsieur Le Pen” organizza «il primo evento politico congiunto delle due forze». A febbraio 2021, dopo la decisione del Carroccio di entrare nel governo Draghi, Sofo lascia la Lega e aderisce a FdI.
Veniamo, dunque, a Budapest. Il senso della presenza lo spiega lo stesso Sofo in un post del 22 maggio 2022: «Sono stato a Budapest per rappresentare FdI. Ho spiegato che siamo in una società nella quale non c’è più nulla da conservare perché le sinistre progressiste hanno bruciato tutto. Il nostro compito è quello di essere ricostruttori. Del ruolo centrale della famiglia come nucleo fondante della società. Del tessuto economico locale distrutto dalla concorrenza extracomunitaria. Della coesione sociale lacerata da diseguaglianze provocate dal darwinismo sociale sottostante alla globalizzazione. Di un rapporto con la nostra storia e la nostra identità. Di un rapporto complementare con la nostra Chiesa. Di un sentimento patriottico. Di un’Europa che torni a essere faro di civiltà».
Musica per le orecchie di Giubilei, giovane intellettuale vicino a Meloni. Presidente della Fondazione Tatarella e del movimento di idee “Nazione Futura”, è autore del libro “Giorgia Meloni – la rivoluzione dei conservatori”. L’edizione spagnola è stata pubblicata dalla casa editrice “Homo Legens”, legata a Vox.
È Fontana l’altro nome italiano di richiamo a Budapest. Vicesegretario della Lega, già ministro per la Famiglia e la Disabilità nel governo Conte I. Veronese, ultracattolico e ultraconservatore, tifosissimo dell’Hellas. Nel 2019 è uno dei promotori a Verona del Congresso mondiale delle famiglie. Una tre giorni della destra integralista- oscurantista inondata di soldi dalla Russia di Putin e che riunisce nazionalisti ortodossi russi, conservatori evangelici americani e ultrà cattolici italiani.
Agli ospiti vengono regalati feti di plastica. Perché l’antiabortismo è uno dei temi chiave. L’opinione di Fontana sull’aborto? «La prima causa di femminicidio nel mondo». E la Russia di Putin? «Il riferimento per chi crede in un modello identitario di società».
Nemico dichiarato di immigrazione, matrimoni gay e “gender”, il vice di Salvini nel 2018 ha chiesto l’abolizione della legge Mancino, emanata nel 1993 per punire gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista.
Ma di che stupirsi? Nel 2015 Fontana viene fotografato a Verona accanto al ras neofascista di Forza Nuova Luca Castellini. Tutti schierati per il Family Pride.
(da La Repubblica)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
IL RITRATTO DI UN MEDIOCRE “DI PROFESSIONE NULLAFACENTE”
E il Papeete, e i pasticci sul Quirinale, e quanto sono bravi e saggi Giorgetti e Zaia, e i sondaggi in picchiata, e Giorgia Meloni che mette la freccia e sorpassa pure al Nord. E poi, e poi
Però alla fine, Matteo Salvini, zitto zitto, contro la sua natura, con la tattica del fregapiano, è salito sul taxi di Giuseppe Conte e ha tenuto aperta la portiera pure a Silvio Berlusconi.
Quanto basta per affondare le larghe intese e portare l’Italia al voto anticipato. Certo, lo attende un futuro da gregario, ed è per questo che vuole ritentare il doppio passo da ministro dell’Interno. Ma Giorgia, che ha visto la cura che riservò a Luigi Di Maio, non si farà convincere facilmente.
Salvini nasce a Milano, il 9 marzo 1973, sotto il segno dei Pesci.
L’uomo Pesci è rancoroso e non sempre incline a dire la verità. È alto un metro e ottantacinque, peso sugli ottantasette chili, ma un po’ a fisarmonica. Maturità classica, cinque esami in sedici anni di ateneo, come un personaggio strepitoso della striscia Usa Doonesbury , al quale l’autore Garry Trudeau fa dire: «Il primo anno di università sono stati i cinque anni più belli della mia vita».
Ma in realtà, fin da ragazzo, Matteo è molto rapido nel parlare. Ha quindici anni quando partecipa in tv a Doppio slalom , un gioco a quiz con Corrado Tedeschi che fa domande non facili. Diventa anche campione, prima di essere spodestato. Quando non conosce la risposta si butta lo stesso e improvvisa, al volo.
Ama il Milan, la pesca, cercare funghi e consegna le pizze, da grande vorrebbe fare il giornalista sportivo.
A vent’ anni è di nuovo in tv, a Il pranzo è servito , che Davide Mengacci ha riciclato dopo Corrado Mantoni. Matteo sfida la campionessa, è abbastanza bravo ma alla ruota della fortuna gli esce sempre «dieta», che non dà punti, e perde. Fa in tempo a presentarsi: «Matteo, di professione nullafacente, in attesa di dare esami». E brucia l’avversaria sulla soluzione di un rebus: incassare tangenti. E aggiunge: «Vengo da Milano e ne so qualcosa, se non indovino io, chi indovina?».
È un professionista in abbandoni, nel senso che quando si sente pronto a lasciare il nido non perde tempo a salutare papà rondine e mamma rondine. Vent’ anni con Umberto Bossi del resto, a sentirsi dire due volte al giorno che non capisce un accidente, sfiancherebbero un bue. Silvio Berlusconi invece gli sta antipatico a pelle, largamente ricambiato.
Non ne vuole sapere delle cene settimanali che si sorbiva il suo ex capo, è immune al fascino di Silvio e soprattutto vuole spodestarlo, cosa che gli riesce alle elezioni del 2018, quando si toglie la soddisfazione di parlare lui dalla tribunetta del Quirinale, con Giorgia Meloni che fa ala da una parte e il Cavaliere che mastica amaro dall’altra.
Ora le strade si sono solidamente ricongiunte sulla via della Damasco elettorale, però non c’è simpatia, solo business.
Ma l’abbandono più eclatante e quello del fratello di latte Luigi Di Maio, al quale l’aveva unito la chimica di due ragazzotti che mettono in soffitta i padri nobili. Anche se la vendetta è un piatto semi freddo, e dopo il tonfo del Papeete vale la sintesi che ne fa Federico Palmaroli, alias Osho, in un vignetta di allora. I due sono al telefono. Di Maio: «Che vuoi ancora?». Salvini: «Aspetto un bambino».
Ma di discese ardite e di risalite è ricolma la carriera di Matteo. Prende la Lega al misero 4 per cento di eredità che gli lascia Bossi e la porta al 34 per cento delle Europee. In mezzo c’è la copertina di Time che lo descrive come l’uomo «in missione per disfare l’Europa», ci sono le felpe e le divise con le scritte, il rosario e il crocifisso, c’è «la pacchia è finita» rivolto agli immigrati, ci sono i porti bloccati, le magliette con Putin che «mezzo di lui vale più di due Mattarella», ci sono i «buongiorno amici, buon pomeriggio amici, buonasera amici» che gli valgono folle di ragazzi osannanti e comizi stracolmi.§
Sono i tempi della «Bestia», la possente macchina della propaganda messa in piedi da Luca Morisi e decaduta, per i tempi mutati, anche prima che il suo inventore si facesse da parte.
Salvini aveva dimenticato la raccomandazione di Giancarlo Giorgetti: «Matteo, mettiti la foto di Renzi sulla scrivania, e ricorda sempre come si può rotolare in fretta dopo aver dominato».
Qua e là per il leader della Lega anche qualche velata accusa di plagio: le foto con le fette di pane spalmate di Nutella sembrano prese da Bianca di Nanni Moretti e il «prima gli italiani» c’è chi dice che sia copiato da Giorgia Meloni, che avrebbe anticipato anche l’«America first» di Donald Trump. Eccola Giorgia, la bestia nera di Matteo. Andava tutto così bene prima che lei si mettesse in mezzo.
Ha provato politicamente ad azzopparla in tutti i modi, macché. Ogni settimana nei sondaggi lei saliva e lui scendeva, un incubo. Gli è andata anche in casa, pure a Milano, a fare la padrona.
Perfino quando Matteo si è buttato con più decisione a fare il putiniano, con la velleità di chiudere lui l’accordo di pace a Mosca, Giorgia ha invece sposato l’atlantismo, senza subire perdite nel suo elettorato, contro ogni pronostico.
E quindi, almeno per ora, Matteo si vede costretto a scomodare Giulio Cesare e uno di suoi motti: se non puoi batterli, unisciti a loro. Che nella traduzione letterale suona così: se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico. Sempre che Giorgia ci caschi.
(da il Corriere della Sera)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
TUTTI I NOMI IN LIZZA TRA DISPERSI, RICICLATI, JOLLY E USATO SICURO
Il ritorno di Silvio Berlusconi è una finta sorpresa. La sua candidatura al Senato era data per scontata negli ambienti politici, così come circola con insistenza il suo desiderio di diventare presidente dell’assemblea di Palazzo Madama. Non potendo diventare la prima carica dello Stato, si accontenterà almeno della seconda. E pazienza se non potrà essere presente con costanza.
Così la decisione del fondatore di Forza Italia apre ufficialmente le danze alla corsa alla candidatura. E per quasi tutti i partiti del centrodestra, escluso Fratelli d’Italia, c’è un macigno da rimuovere: garantire un posto agli uscenti o quantomeno una exit strategy dignitosa.
Nelle ultime ore si è fatta avanti anche Michela Vittoria Brambilla, finora in Forza Italia, che vuole riportare in parlamento le battaglie animaliste sempre sotto le insegne della coalizione. Magari anche al di fuori del perimetro degli azzurri.
C’è tuttavia la necessità di proporre qualche new entry, come quello della giornalista Maria Giovanna Maglie, molto gradita al leader della Lega, Matteo Salvini.
Stesso discorso per l’ex magistrato Carlo Nordio, contesto tra i vari alleati. In caso di candidatura, però, la preferenza andrebbe a Giorgia Meloni, che lo ha sostenuto come candidato di bandiera per la presidenza della Repubblica. Magari con la promessa di ottenere la nomina a ministro della Giustizia.
Altro nome conteso potrebbe essere l’infettivologo mediatico, Matteo Bassetti, che ambisce a un posto governativo, esattamente alla casella del ministero della Salute. Nel frattempo potrebbe accontentarsi di un posto a Montecitorio. Salvini ha sempre avuto parole al miele per le sue posizioni sulla pandemia, ma sono noti i buoni uffici pure con il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, parte della gamba centrista dell’alleanza di centrodestra. Eppure alla fine, Fdi potrebbe spuntarla grazie alla maggiore capacità di garantire un seggio.
Fratelli d’Italia è inoltre intenzionata a inserire tra i candidati alcuni fedelissimi per blindare i numeri in aula, al netto della riconferma praticamente in blocco degli uscenti, dal toscano Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione del partito, al friulano Walter Rizzetto, passando per il sardo Salvatore Deidda.
Al Nord l’assessore della Regione Veneto, Elena Donazzan, è un’ipotesi che circola con insistenza. Viene dato per certo il ritorno dell’ex deputato di Alleanza nazionale, Giuseppe Consolo, che ha il proprio bacino elettorale a Roma.
Sempre nel Lazio, roccaforte meloniana, sono in tanti ad ambire all’ingresso in parlamento. Andrea De Priamo, dopo l’esperienza da consigliere comunale al Campidoglio, è quotato per il salto alla Camera. E ancora: l’ex centrista Luciano Ciocchetti è in ascesa, così come la consigliera regionale Chiara Colosimo.
In Campania Sergio Rastrelli, figlio d’arte (Antonio Rastrelli è stato leader locale del Movimento sociale italiano), che nel 2021 è stato nominato responsabile del partito nella città di Napoli. Di recente i detrattori hanno pubblicato dei manifesti in cui faceva il saluto romano, rivendicando il credo fascista.
Insomma, non proprio tappeti rossi stesi per Rastrelli jr. Tra le new entry è in quota Fabio Roscani, presidente di Gioventù nazionale, l’organizzazione giovanile del partito, per dare un segnale di ringiovanimento della classe dirigente.
La Lega deve assolvere alla missione di equilibrare i volti nuovi e le conferme: il ligure Edoardo Rixi può essere certo di un posto in lista, in virtù della lealtà totale al leader, insieme ai capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Al di là della possibile corsa dei presidenti di Regione, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana, si vocifera della candidatura dell’assessore allo sviluppo economico in Veneto, Roberto Marcato, fautore della spinta autonomista, in quota Zaia.
A Roma, un pallino di Salvini è Simonetta Matone, che avrebbe preferito anche nella corsa al Campidoglio al posto di Enrico Michetti.
A Napoli, invece, è calda la pista dell’ex magistrato Catello Maresca, nonostante la pesante batosta alle ultime Comunali. Il jolly dalla società civile potrebbe essere Annalisa Chirico, giornalista di impronta garantista.
Per Forza Italia pochi posti e usato sicuro: Erica Mazzetti, Flavio Tosi, Giulio Gallera§
Per Forza Italia la vera necessità è quella di spingere i parlamentari a non ricandidarsi, perché i posti buoni saranno molti di meno, per il combinato disposto del taglio dei parlamentari e della riduzione dei consensi rispetto alle elezioni del 2018.
Molti hanno la certezza di un posto blindato, tra questi Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, sempre più volti del berlusconismo. In Toscana Erica Mazzetti, altra deputata uscente, ha buone chance di essere ricandidata.
L’ex candidato sindaco a Verona, Flavio Tosi, è invece uno dei nomi nuovi per avere un posto in lista, mentre in Lombardia l’ex assessore della giunta Fontana, Giulio Gallera, è dato per candidato. All’insegna dell’usato sicuro. In linea con l’immagine berlusconiana.
(da tag43.it)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
E’ SCRITTO NEL PROGRAMMA UFFICIALE DELLA LEGA, MA NON SANNO NEANCHE DI COSA PARLANO
Depotenziare l’arma dello scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose: è uno dei punti del programma elettorale della Lega di Matteo Salvini, depositato al Viminale insieme al simbolo.
“Attualmente, quando in un Comune la commissione prefettizia accerta che la collusione con una organizzazione criminale sia di un singolo consigliere e/o funzionario pubblico, quasi sempre viene sciolto il Comune. Proponiamo invece che la decadenza riguardi solo la singola persona collusa. Nel caso di funzionario colluso, allontanamento dello stesso e creazione di un fondo ad hoc per i commissari prefettizi volto all’assunzione di personale esterno e quindi certamente non colluso, che vada a sostituire il funzionario corrotto”.
La narrazione iper-semplicistica della Lega dimentica però che per sciogliere un Comune difficilmente basta un singolo colluso: il Testo unico degli enti locali richiede la sussistenza di “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori (…) ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”.
A rilevare, quindi, non sono elementi formali come l’esistenza di un’indagine a carico di singoli amministratori o funzionari, ma la sussistenza di un reale pericolo che l’attività dell’amministrazione sia piegata agli interessi dei clan mafiosi.
Ed è per valutare questo aspetto che il ministero degli Interni nomina un’apposita Commissione di indagine prefettizia che svolge un approfondito esame dell’attività amministrativa trasmette le conclusioni di questo lavoro del comitato provinciale per l’ordine pubblico (che esprime il suo parere al riguardo) e poi al ministro dell’Interno, il quale decide se archiviare oppure sottoporre la proposta di scioglimento al Consiglio dei ministri, che delibera nel merito.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, inoltre, lo scioglimento non presuppone la commissione di reati da parte degli amministratori né l’esistenza di prove inconfutabili sui collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali: il Viminale gode di ampia discrezionalità nella ricostruzione del contesto ambientale e nella valutazione degli elementi sui collegamenti, diretti o indiretti, o sulle forme di condizionamento della vita amministrativa da parte della criminalità di stampo mafioso.
Per questo l’idea leghista di risolvere il problema rimuovendo una presunta “mela marcia” servirebbe solo a depotenziare il sistema di prevenzione e contrasto alle mafie.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE NELLE NOSTRE PRIGIONI È ILLEGALE: IL SOVRAFFOLLAMENTO MEDIO È AL 120% E NON BASTANO LE LACRIME DI COCCODRILLO A RISOLVERE IL PROBLEMA
Sessantamila italiani che si sono uccisi in un anno: fantascienza? Eppure accadrebbe se la proporzione di chi si sta togliendo la vita in carcere (10,6%) si replicasse nella popolazione in libertà (suicida 16 volte meno).
Da quando a Verona è morta Donatella, la 27enne detenuta il cui suicidio ha spinto il suo giudice di sorveglianza a interrogarsi sul fallimento proprio e del sistema, già altre tre persone si sono tolte la vita: 51 da inizio anno, quasi già quanto le 54 dell’intero 2021 accomunate da disagi psichiatrici, dipendenze (1 detenuto su 3 ma solo tre carceri hanno programmi mirati), e sovraffollamento medio al 120% ma con picchi locali anche al 150%.
Ecco perché, sotto l’intermittente commozione per l’eccezione statistica dei suicidi, stride l’ipocrisia del tollerare invece l’ordinaria eccezione alla legalità in carcere, quale registrata dalle visite dei Radicali e dell’associazione Antigone in 85 istituti: 5 minuti e 20 secondi alla settimana in media di servizio psichiatrico per detenuto, psicologi per 10 minuti e mezzo settimanali a cranio, quasi 6 celle su 10 senza docce (benché una norma le imponga dal 2000), quasi un terzo senza i minimi 3 metri quadrati calpestabili, carceri non allacciate alla rete idrica che suppliscono con 4 litri potabili a detenuto, 10 minuti alla settimana di telefonate ammesse dal regolamento del 1975.
Ancora non cambiato (introducendo i telefoni in cella anche in chiave anti-suicidi) da una politica che, per calcolo di dividendo nelle urne o per paura di pedaggio elettorale, lascia sul binario morto pure le più complessive riforme proposte in questi anni dalle commissioni Giostra e Ruotolo.
E tace agli elettori quanto intanto questa fuorilegge fabbrica-carcere nemmeno riesca a consegnare la supposta merce-sicurezza al consumatore-collettività, se 62 detenuti su 100 sono già alla seconda carcerazione e 18 persino alla quinta o più.
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
“E’ MORTO UN SERVO, UN MASSONE”… LO STATO CONTINUI A TOLLERARE QUESTA FOGNA CRIMINALE, SI INTERVIENE SOLO PER INDAGARE UN RAGAZZO CHE VA IN UCRAINA PER DIFENDERE LA LIBERTA’
Le parole stridono con la stima e il rispetto di cui la figura del conduttore e divulgatore morto oggi gode in Italia
Ci sono le emoji dei festoni e della bottiglia di spumante stappata. Tutto accanto a una foto del conduttore televisivo Piero Angela, morto oggi all’età di 93 anni.
Mentre arrivano messaggi di cordoglio dai tanti che nel corso della sua lunga carriera avevano avuto a che fare con il divulgatore, i commenti sotto la foto, pubblicata nel canale Telegram Radiogreg non gli risparmiano gli insulti. «Pe**o de mer*a, servo» scrive un utente. «E ora brucia all’inferno, servo dei nasoni, Crodino per tutti!», replica Alessandro in un moto d’odio.
Un altro canale Telegram, Potus Italy accusa invece Piero Angela di non aver raggiunto i suoi traguardi grazie alle sue capacità ma solo una presunta vicinanza alla massoneria.
Secondo chi condivide il post: «Il padre di Piero Angela, Carlo Angela, venne iniziato in Massoneria nel 1905, e raggiunse il 33º grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale divenne Maestro Venerabile della Loggia Propaganda all’Oriente di Torino (di cui fu poi Maestro Venerabile Onorario fino alla morte) e Presidente del Collegio dei Maestri Venerabili della stessa città». Non solo, si sostiene anche che «l’8 giugno 1949, cinque giorni dopo la sua morte, si svolse il rito massonico funebre presso il tempio della Loggia Propaganda». Fino ad arrivare alla sentenza: «Suo figlio Piero non è uno scienziato non ha nessuna laurea però scrive libri a divulgazione scientifica. È soltanto figlio di un gran massone».
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
“FINALMENTE SIAMO USCITI DA UN PERIODO DI REPRESSIONE”
Ospite del programma di Rai 3 Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, il divulgatore spiegava come le coppie omosessuali nascono esattamente come quelle etero, attraversando le stesse fasi
A 92 anni, mentre in Italia infervorava il dibattito per l’approvazione del disegno di legge Zan, Piero Angela, ospite in collegamento al programma di Rai 3, Che tempo che fa, aveva dato anche una lezione sull’omosessualità e sulla “naturalezza” dei rapporti tra persone dello stesso sesso.
L’aveva fatto per presentare Superquark+, un programma in dieci puntate andato in onda su RaiPlay a partire dallo scorso 21 ottobre, dedicato all’amore dal punto di vista della scienza.
O, come ebbe a dire lo stesso Angela, «a tutte le coppie». «Faccio nella prima puntata una premessa e dico che parleremo prevalentemente della coppia uomo-donna – spiegava il conduttore – ma sappiamo che oggi, finalmente, le coppie omosessuali hanno potuto trovare una liberazione da una repressione terribile che è durata lungo tutta la storia».
Poi, entrando nel vivo del discorso, aveva detto: «È una cosa importante da capire perché spesso viene vista l’omosessualità, come un rapporto fisico, contro natura, in realtà le coppie omosessuali fanno esattamente lo stesso percorso: attrazione, innamoramento, gelosia, vita di coppia, figli. Hanno sentimenti, amori, passioni esattamente come le coppie eterosessuali. Bisogna capirlo bene».
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2022 Riccardo Fucile
UN DURO COLPO STRATEGICO PER I RUSSI CHE CERTIFICA CHE LA CONTROFFENSIVA UCRAINA STA AVENDO SUCCESSO
La notizia è stata pubblicata dalla testata ucraina The Kyiv Independent e riprende una dichiarazione di Vitaly Kim, governatore ucraino dell’Oblast di Mykolaiv.
Secondo Kim il comando dell’esercito russo avrebbe lasciato la città di Cherson per trasferirsi sulla sponda opposta del Dnipro, il fiume che passa accanto alla città ucraina.
Se la notizia fosse confermata, avrebbe un’importanza anche simbolica: Cherson è stata la prima metropoli ad essere conquistata dai russi e negli ultimi giorni l’esercito ucraino aveva avviato una serie di azioni militari per riprendere la città.
A fine luglio le truppe di Kiev avevano distrutto un ponte di Cherson per tagliare le vie di comunicazione dei russi, l’azione era stata rivendicata anche da Mykhailo Podoliak, consigliere di Volodymyr Zelensky: «Gli occupanti dovrebbero imparare a nuotare attraverso il fiume Dnipro, oppure dovrebbero lasciare Cherson finché è ancora possibile. Potrebbe non esserci un terzo avvertimento».
Per i russi sarebbe un duro colpo anche dal punto di vista strategico. Intere truppe erano state spostate dalla regione del Donbass, dove Masca occupa quei territori ottenuti dopo mesi di battaglie, e si stava preparando per un eventuale scontro su larga scala.
Ipotesi che, come raccontato dal Wall Street Journal, non rientrava assolutamente nei piani ucraini. Il consigliere Podoliak aveva escluso un attacco frontale, anzi confermava l’intenzione di procedere come «mille punture d’api».
(da agenzie)
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