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SALVINI INSISTE SUL RITORNO DEL SERVIZIO MILITARE, IL SINDACATO DEI CARABINIERI LO ZITTISCE: “ARRUOLARE GIOVANI IMPREPARATI E’ UN RISCHIO”

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

E ANCHE OGGI HA RIMEDIATO LA SUA QUOTIDIANA BRUTTA FIGURA… IL 71% DEL GIOVANI E’ CONTRARIO, QUALCUNO SE NE RICORDERA’ IN CABINA ELETTORALE

È sempre stato un suo cavallo di battaglia, la guerra in corso alle porte dell’Europa non gli ha fatto cambiare idea: Matteo Salvini vuole il ritorno del servizio militare obbligatorio.
Il leader della Lega ha rilanciato la sua proposta pochi giorni fa durante un comizio a Pinzolo, poi allo stabilimento di Novavita di Giulianova e ancora ieri sera (giovedì) a Capitello, nel Salernitano: “Se ci date fiducia”, quando saremo al governo “farò di tutto per reintrodurre un annetto di servizio militare. Per i nostri ragazzi e per le nostre ragazze potrebbe essere molto utile”.
Era una vecchia proposta del 2018, riciclata da Salvini anche durante questa campagna elettorale, nonostante gli anni passati al governo prima Conte I e poi Draghi.
Nonostante l’invasione russa dell’Ucraina abbia cambiato lo scenario generale, come ha sottolineato Antonio Nicolosi, segretario generale di Unarma, sindacato dell’Arma dei carabinieri: “La leva militare obbligatoria è un palliativo che non risolverebbe i problemi del comparto difesa italiano: arruolare giovani impreparati rischia anzi di creare complicazioni organizzative nei Comandi in un momento delicato per la difesa internazionale“.
La sospensione della leva militare in tempo di pace fu introdotta dalla legge delega 331 del 2000, su impulso dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella, all’epoca ministro della Difesa.
Quattro anni dopo il governo Berlusconi II con la legge Martino anticipò al 2005 la sospensione: al Senato il 29 luglio 2004 anche la Lega votò a favore dello stop al servizio militare obbligatorio.
Salvini invece, da segretario del Carroccio, ha fatto ben presto della leva obbligatoria un suo mantra. Già nel 2015, ad esempio, su Facebook si trova traccia di un suo attacco a Fedez: “Penso che un anno di servizio militare gli farebbe bene”.
Pochi anni dopo diventa uno dei suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale. E anche da ministro dell’Interno del governo gialloverde, Salvini (a parole) parla di “reintrodurre il servizio militare alcuni mesi e il servizio civile per i nostri ragazzi”. Il motivo? “Così almeno si impara un po’ di educazione che i genitori non sono in grado di insegnare”.
Così diceva ad agosto 2018, con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta che invece spiegava: “I nostri militari sono e debbono essere professionisti“.
Oggi sembra di assistere a un dejà vu: Salvini ancora ripete di essere favorevole al ritorno “del servizio di leva, magari su base regionale“. “Credo sia un passo avanti quello di insegnare ai giovani che non esistono solo i diritti ma anche i doveri“, ha detto martedì sera durante il comizio sulle coste abruzzesi.
Il giorno dopo è arrivata la replica di Nicolosi: “L’esercito italiano vanta eccellenze riconosciute in diversi teatri di guerra, tant’è che spesso gli Usa chiedono l’apporto dei carabinieri italiani. L’introduzione di adolescenti da formare rappresenterebbe sì un’iniezione di aria fresca per le Forze Armate, oggi sottorganico e stressate, ma per risolvere i problemi del comparto militare è importante puntare sulla qualità, sulle competenze e sulla preparazione, non solo sulla quantità di personale”, spiega il segretario del sindacato dell’Arma dei carabinieri.
“È il motivo per cui Unarma chiede da tempo di valorizzare le professionalità nelle Forze dell’Ordine con incentivi e meriti. La disciplina è un valore nelle forze di pubblica sicurezza – conclude Nicolosi – ma non vogliamo che la leva sia raccontata come metodo punitivo: è un onore essere al servizio del Paese”.
Anche gli italiani sono divisi sulla possibilità di reintrodurre la leva militare obbligatoria. Secondo un sondaggio realizzato dalla società IZI fra il 22 e il 23 agosto, il 53,5% degli intervistati è favorevole, mentre il 46,5% è contrario. Una leggera maggioranza a favore del sì, dunque, dovuta però al fatto che oltre due terzi degli over 55 vorrebbero il ritorno del servizio militare.
Già gli intervistati che hanno tra i 35 e 54 anni esprimono un 56,5% di sì. Mentre la situazione si ribalta completamente nella platea degli under 35: il 71,1% dei giovani, infatti, è contrario al ritorno della leva militare. Inoltre, anche tra i favorevoli, emergono dei distinguo: il 45,9% ritiene che i giovani debbano poter scegliere tra il servizio militare e il servizio civile, mentre un altro 10,2% ritiene che la leva debba riguardare solo coloro che non studiano e non lavorano. Inoltre, 4 intervistati su 10 sottolineano che la leva dovrebbe dare spazio a competenze e istruzione, non solo alla formazione militare.
(da agenzie)

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“LAVORAVO 16 ORE AL GIORNO PER 100-200 EURO AL MESE”: UN GIOVANE CUOCO VICENTINO, YURI ZAUPA, SI LICENZIA E DENUNCIA LA SUA STORIA DA INCUBO

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

PER IL TITOLARE INVECE ANDAVA TUTTO BENE: “I GIOVANI VANNO SFRUTTATI”…IL RAGAZZO GUIDAVA DA SOLO LA CUCINA DI UN LOCALE

Lui è un giovane cuoco vicentino, Yuri Zaupa, e la sua storia sta rimbalzando sui social: per il suo lavoro da gennaio a giugno 2022 è stato pagato 100-200 euro al mese per 80 ore settimanali di lavoro a Cornedo Vicentino.
Quando ha chiesto di essere messo in regola, secondo le sue parole, il titolare gli avrebbe risposto che “i giovani vanno sfruttati”. Ora Yuri, come riporta il Corriere del Veneto dopo aver raccontato l’accaduto in un lungo post su Facebook, è pronto a fare causa.
Nel commentare amaramente il suo caso, non manca di fare cenno alle parole dello chef Alessandro Borghese che aveva lamentato la poca voglia di sacrificio delle nuove promesse dell’alta cucina. “Borghese ci ha visto lungo: i giovani non hanno voglia di lavorare – chiosa ironico il giovane – e, dopo questa esperienza, io sicuramente ne ho persa un po’”.
E’ lui stesso a raccontare la sua storia. “Nel mese di settembre 2021 comincio la mia nuova esperienza in un locale di recente concezione a Cornedo Vicentino. Propongo la MIA cucina, con il MIO punto di vista sulla cucina Veneta, o più in generale, Mediterranea – scrive sulla sua pagina Fb – . Il mio unico requisito? Essere in regola e avere un contratto che mi permetta di vivere serenamente, per il resto a me basta cucinare”.
Per i primi 4 mesi “decido di accettare un contratto ridicolo: 16 ore part-time, nonostante il mio monte ore settimanale si aggirasse intorno alle 80. Stringo i denti: dopotutto ho cominciato la gavetta all’età di 14 anni – prosegue – . Mi faccio prendere dalla novità, il posto mi piace e acconsento, ancora una volta, alle condizioni del titolare: mantenere basse le spese per il personale per i primi 4 mesi e poi alzare le retribuzioni e pensare di offrirmi un contratto a tempo indeterminato”.
Poi la scoperta: “naturalmente non è andata così: da gennaio a giugno 2022 vengo pagato 100-200 euro al mese, su mia richiesta ovviamente, poveraccio, ‘mica ti spetta la busta paga di diritto’. Da tenere a mente: 80 ore settimanali, cucina gestita solo da me, dalla colazione alla cena”. Yuri alla fine deve rinunciare al suo sogno. “La stessa passione che mi ha accecato per 6 mesi senza una busta paga mi ha portato a cercare lavoro altrove – riferisce – Immaginate la faccia del titolare quando ho comunicato la mia partenza: tradito, preso per i fondelli, i giovani sono inaffidabili”.
Il titolare si sarebbe espresso in modo inequivocabile: “i giovani vanno sfruttati, non ho mai preso più di 1200 euro al mese quindi non li prenderai nemmeno te, poco importano le tue capacità”. —
(da agenzie)

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LA RONZULLI NON SA DI COSA PARLA: “RIGASSIFICATORI SUBITO PER ESTRARRE GAS NATURALE NAZIONALE, IN MODO DA ESSERE INDIPENDENTI DALL’ESTERO”

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

QUALCUNO LE SPIEGHI CHE QUESTI IMPIANTI RIPORTANO IL GAS DALLO STATO FISICO LIQUIDO A QUELLO AERIFORME, NON C’E’ ALCUNA “ESTRAZIONE DI GAS

Licia Ronzulli ha le idee confuse sui rigassificatori. Almeno è quanto si evince da un tweet, accompagnato da card ancora più esplicita, della senatrice di Forza Italia candidata in Lombardia, Piemonte e Puglia.
“La realizzazione dei rigassificatori permetterebbe al nostro Paese di importare gas liquido e renderci indipendenti dall’estero”, scrive sui social Ronzulli aggiungendo che “senza i No dei 5 stelle e della sinistra, riusciremo a superare la crisi energetica e mettere al sicuro le nostre famiglie e imprese”.
Dimentica, tra l’altro, che proprio in queste ore il sindaco meloniano di Piombino – porto in cui è previsto un rigassificatore – ha detto no (con l’assicurazione dei vertici di Fratelli d’Italia, sostiene) a ospitare l’impianto. Ancora più esplicita e confusa (nonché in parte contraddittoria col tweet) la foto che accompagna il tweet: “Rigassificatori subito! Per estrarre gas naturale nazionale e renderci indipendenti dagli approvvigionamenti all’estero”.
I rigassificatori, se ne evince dal suo ragionamento, servono a estrarre gas sul territorio abbattendo così le importazioni. Una panzana.
Gli impianti di questo tipo, infatti, permettono di riportare il gas dallo stato fisico liquido a quello aeriforme. Nessuna “estrazione” di gas naturale nazionale né indipendenza dall’estero, visto che l’origine del gas sarebbe comunque fuori dai confini italiani, dove verrebbe solo riportato allo stato gassoso, appunto, per essere immesso nella rete.
(da agenzie)

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SUBITO DOPO IL VOTO PIU’ DI UN LEADER RISCHIA DI ESSERE FATTO FUORI DAI NEMICI INTERNI: NELLA LEGA SALVINI HA BLINDATO I FEDELISSIMI ED EMARGINATO I GIORGETTIANI MA DEVE FRONTEGGIARE SEMPRE PIÙ SCONTENTI

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

NEL PD BONACCINI SMANIA PER DETRONIZZARE LETTA E NEL M5S GRILLO È GIA’ PRONTO AD APRIRE LA FAIDA PER IL POST-CONTE… IN FORZA ITALIA BISOGNERA’ SOLO CAPIRE SE, TELEFONANDO A BERLUSCONI, RISPONDERA’ ANCORA LA RONZULLI

«Ora si fa il massimo per aiutare Enrico Letta». Nelle recenti parole di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, candidato in pectore alla segreteria del Partito democratico già quando il leader era Nicola Zingaretti, la parola chiave è l’avverbio: «ora». Inteso: vietato parlare di questioni interne al Pd prima del voto del 25 settembre. Dopo, ecco, dopo potrebbe aprirsi un’altra fase: fare il massimo per diventare segretario.
Ma mica quello dei dem è l’unico anticipo di congresso di partito che si consuma alle Politiche.
Sentite Luca Zaia, presidente della Regione Veneto: «Le liste? Non le ho fatte io e non rispondo di quello che faccio. Le analisi si fanno alla fine». Poi la chiosa d’obbligo: «Ora lavorare pancia a terra per portare a casa il risultato». Ora. Pure in Veneto gli avverbi sono il sale della politica.
Quindi c’è il Movimento 5Stelle, dove sono almeno in due gli aspiranti leader che aspettano con ansia di verificare a quanto si fermerà la rimonta, o presunta tale, di Giuseppe Conte: Virginia Raggi e Alessandro Di Battista. L’ex sindaca di Roma, pur quarta su quattro candidati veri alle comunali della Capitale, si sente pronta per il grande salto: «Ero candidabile — ha detto polemicamente subito dopo la sua esclusione dalle liste — per il futuro dicono alle alleanze di questi anni». Ci sarebbe pure Beppe Grillo, che ben più di Dibba è sembrato ansioso di liberarsi della leadership di Conte.
Paradossi dell’era del Rosatellum, nella quale i leader possono plasmare come creta i gruppi parlamentari, escludendo gli sgraditi e promuovendo i pretoriani, e però rischiano di avere il controllo assoluto di deputati e senatori e non più quello del partito. Dei suoi fedelissimi Conte ha addirittura fatto un pacchetto, prendere o lasciare, gli iscritti grillini hanno preso.
Non è dato sapere quanti parlamentari eleggerà il Movimento — ma certo saranno al 90 per cento sangue del sangue del suo presidente. Che però ha bisogno di restare almeno in doppia cifra per continuare a dirigerli da capo politico. Sotto, la faida è garantita ed aprirla potrebbe essere appunto Grillo.
Il caso più complesso è senz’altro quello di Salvini. Anche le candidature della Lega sono salvinismo puro: fuori i giorgettiani, fuori i Sì Vax e fuori i filo Ue; dentro tutti i fedelissimi del Capitano, vecchi e nuovi. Eppure l’ex ministro dell’Interno e aspirante tale si trova nella situazione scomoda di rischiare d’essere l’unico sconfitto di una coalizione vincente.
Nelle rilevazioni degli ultimi sondaggi il partito di Meloni cresce ancora e lo fa a scapito della Lega, anche al nord. Non è impensabile che FdI — di fatto il partito che esprime la vera candidata premier — possa addirittura doppiare la Lega. Per Salvini il Viminale potrebbe essere solo un premio di consolazione, prestigiosa quanto ultima tappa del suo cursus honorum.
Chi invece può solo arricchire il curriculum è Bonaccini. Nel Pd non è un mistero la sua ambizione. Il governatore non farà mai la prima mossa. Scenderà in campo solo se gli sarà chiesto. Non dalle correnti, anzi in questi anni ha più volte rifiutato la corte di Base riformista, la corrente di Lorenzo Guerini e del non ricandidato Luca Lotti. Ma la richiesta non è un problema: in caso di disfatta a chiedergli di scendere in campo sarebbe il fronte dei sindaci: Giorgio Gori, Dario Nardella, Antonio Decaro e altri, gli stessi che già erano pronti a lanciarlo quando doveva essere lo sfidante di Zingaretti. La nascita del Conte bis fermò l’operazione.
Ci sarebbe anche un altro partito che potrebbe uscire malconcio dalle urne: Forza Italia. Ma è una forza politica senza congressi e senza successione. Resterà solo da capire se, chiamando Silvio Berlusconi, a rispondere per lui sarà ancora Licia Ronzulli.
(da La Repubblica)

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L’UNGHERIA DI ORBAN E’ PREOCCUPATA PERCHE’ CI SONO TROPPE DONNE ISTRUITE NEL PAESE

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

“TROPPE DONNE ALL’UNIVERSITA’ E TROPPE INSEGNANTI SONO UN PERICOLO PER L’ECONOMIA”: L’ANALISI E’ UN DELIRIO SOVRANISTA

Sembra un film distopico, ma è la realtà. In Ungheria, secondo un rapporto redatto dall’organismo parlamentare di controllo economico dello Stato, si sta facendo troppa “educazione femminile”.
I filoni di questa assurda storia sono tre: troppe donne all’università, troppe donne insegnanti e troppe caratteristiche femminili nell’istruzione. Secondo il rapporto, il primo problema è che – il prossimo autunno – il 54,5% delle matricole universitarie, ovvero iscritte al primo anno, saranno donne. Il tutto con un tasso di abbandono universitario più alto nella popolazione maschile. Insomma, vuol dire più donne laureate rispetto agli uomini.
Questo, per l’Ungheria, è un problema: il pericolo è che le donne laureate siano meno propense a sposarsi e ad avere figli. Una vera e propria ossessione per Orban, che da tempo sta cercando di rilanciare il tasso di natalità nel Paese, che resta comunque in calo nonostante le politiche pro famiglia. Nel rapporto si parla di “rischio di favorire le donne, danneggiare l’economia e penalizzare gli uomini”.
Il punto, per chi scrive questo rapporto, non è però solo questo: allo stesso tempo viene segnalato che l’82% dei docenti sono donne. Qui inizia un discorso ancora più surreale che distingue i “tratti maschili” dai “tratti femminili” e si sottolinea come senza equilibrio tra i due si rischia di crescere degli uomini che non sanno cosa fare con “un frigorifero congelato, un rubinetto che gocciola o un mobile che è arrivato imballato ma non c’è nessuno che lo monti”.
C’è persino una lista di questi tratti differenti: “Se l’istruzione favorisce le caratteristiche femminili, come la maturità sociale ed emotiva, la capacità di lavorare molto, l’obbedienza, la tolleranza per la monotonia e le capacità verbali – si legge – e provoca una sovrarappresentazione delle donne nelle università, l’uguaglianza dei sessi ne viene indebolita”.
Gli uomini, invece, sono “più inclini allo spirito imprenditoriale, alla matematica, alla logica e alla meccanica, e ad assumere rischi”.
Se a loro “non viene consentito di svilupparsi senza restrizioni, correranno il rischio di sviluppare problemi mentali e comportamentali”.
(da Fanpage)

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CON GIORGETTI È SEMPRE LA SOLITA STORIA: STREPITA, SCALPITA MA POI SE LA FA SOTTO E SI ALLINEA

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

L’ALA GOVERNISTA DELLA LEGA, CHE CI HA SBOMBALLATO PER MESI SBANDIERANDO AI QUATTRO VENTI IL DRAGHISMO SENZA LIMITI, È STATA PRATICAMENTE FATTI FUORI DALLE LISTE… SOLO I PESI MASSIMI, COME IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, AVRANNO UN POSTO SICURO

Le sanzioni? «È stata una dichiarazione di guerra alla Russia, ma non potevamo non valutare le conseguenze sul nostro sistema economico di alcune regole che ci siamo dati. Sono alleate della guerra commerciale sul gas da parte di Putin».
Il tetto al prezzo del gas? «Se le regole non possono cambiare perché qualche grande Paese si oppone (la Germania, ndr), allora non possiamo non porre un tema di scostamento di bilancio».
Dimenticate le voci di chi immaginava Giancarlo Giorgetti con un piede fuori della Lega, magari per avvicinarsi a Carlo Calenda e Matteo Renzi.
L’uomo apparso ieri all’ultimo giorno del Meeting di Rimini, il più governista dei ministri del Carroccio, l’ufficiale di collegamento fra Mario Draghi e il suo segretario, è tornato compiutamente fra le mura di via Bellerio.
Lo conferma una battuta di puro colore rubata poco prima di salire in auto per tornare a Varese. «Mariastella Gelmini dice di volermi nel Terzo polo? Ma lo sanno tutti che è innamorata di me…».
La storia ha un esito chiaro: Giancarlo Giorgetti tornerà in Parlamento come parlamentare di Sondrio, e c’è chi scommette verrà confermato come ministro dello Sviluppo economico.
Se Giorgetti, con la disciplina che nella Lega è costume, si è riallineato, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, i due governatori che hanno portato avanti, apertamente, una linea più moderata rispetto a quella di Matteo Salvini, si defilano. «Si sa che decide tutto Salvini – dice un ex ministro di area leghista -. Il Carroccio è l’ultimo partito leninista rimasto in Italia».
Per queste elezioni si ripete lo schema già visto altre volte, per esempio nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica, quando i governatori, sempre presenti a Montecitorio, esibivano la loro estraneità alle decisioni del segretario. Il fatto è che la Lega che vedremo nel prossimo parlamento sarà a quasi totale trazione salviniana e la prospettiva di una svolta moderata e atlantica, come l’approdo nel Ppe auspicato in passato da Giorgetti, è rimandata ancora una volta.
Solo un risultato molto pesante il 5 settembre potrà mettere in discussione il segretario federale, ma anche in quel caso gli avversari interni avranno molti argomenti per continuare a non scendere in campo in prima persona.
La linea ufficiale di Via Bellerio è: «Le esclusioni sono dovute soltanto al taglio dei parlamentari». Salvini, però, compilando le liste ha blindato praticamente solo i fedelissimi e ora deve gestire le conseguenze sui territori. Nessuno si aspettava cose diverse, la legge elettorale favorisce questo meccanismo e anche altri leader si sono comportati così. L’ala governista, però, crede che si sia andata oltre, «le esclusioni sono state mirate» si sfoga uno di quelli rimasti fuori.
Salvini ha chiesto più volte ai governatori di «metterci la faccia». Zaia ce l’ha messa, almeno fisicamente, visto che compare con il segretario nei cartelloni 6×3 che hanno riempito le strade del Veneto, ma per il resto la gestione resta poco condivisa.
Il governatore ha tenuto a farlo sapere a tutti che lui, con queste scelte, non c’entra nulla: «Io rispondo di quello che faccio e le liste non le ho fatte», il direttorio veneto di cui Zaia fa parte non è stato consultato. Risultato: dei fedelissimi del presidente entrerà in Parlamento solo Gianangelo Bof, sindaco di Tarzo (eletto a giugno con l’88%).
Per gli altri niente. Il problema non è solo di equilibrio interno, ma è anche politico, a Montecitorio e Palazzo Madama non ci saranno esponenti che sposano la linea del governatore, diversa, anche sui diritti civili e immigrazione, da quella di Salvini. In Veneto quindi il malumore, mai davvero domato, continua. I più nervosi sono i trevigiani, pozzo senza fondo di consensi leghisti, che perderà molti dei i suoi esponenti a Roma, con il fantasma, persino qui, del sorpasso di Fratelli d’Italia.
Anche più a est, nel Friuli Venezia Giulia non si respira un’aria serena. Il presidente Massimiliano Fedriga, dopo aver apertamente rimpianto Mario Draghi a cui Salvini ha tolto la fiducia, ora ha diradato le sue presenze pubbliche, almeno quelle dove si parla di politica nazionale, e in via Bellerio si teme che l’impegno in campagna elettorale non sarà così intenso.
Lo stesso Giorgetti, che pure è stato presente spesso ai tavoli con gli alleati, è rimasto di fatto isolato. Lui, dopo aver smaltito la delusione per la caduta del governo Draghi, ha deciso di ricandidarsi, ma dei suoi non si è salvato quasi nessuno, nemmeno l’ex presidente del Copasir Raffaele Volpi, né il varesino Matteo Luigi Bianchi.
La rivolta vera e proprio non c’è, anche perché gli esclusi, almeno quelli lombardi, possono ambire al piano B: un posto da consigliere regionale, (si vota in primavera), «anche se lì dovranno prendersi i voti con le preferenze», ricorda maliziosamente un fedelissimo di Salvini. Si vota tra un mese, non è certo questo il momento della resa dei conti: nella Lega non lo è mai.
(da agenzie)

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RICCHI SEMPRE PIU’ RICCHI: SUPERA QUOTA 5.256 MILIARDI DI EURO LA RICCHEZZA FINANZIARIA DEGLI ITALIANI A FINE 2021, CRESCIUTA DI QUASI 1.700 MILIARDI (+50%) NELL’ULTIMO DECENNIO

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

IL CONTANTE È CRESCIUTO DI 509 MILIARDI (+45%) A QUOTA 1.629 MILIARDI, MENTRE IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO E’ ARRIVATO A OLTRE 2.700 MILIARDI DI EURO

Supera quota 5.256 miliardi di euro la ricchezza finanziaria degli italiani a fine 2021, cresciuta di quasi 1.700 miliardi (+50%) nell’ultimo decennio.
E’ quanto si legge in una ricerca della Fabi da cui emerge che “la liquidità resta la forma preferita di allocazione del risparmio”.
Il contante è cresciuto di 509 miliardi (+45%) a quoota1.629 miliardi, con la percentuale di denaro lasciato su conti correnti e depositi stabile al 31% del totale delle masse.
In forte calo le obbligazioni (-67% a 233 miliardi di euro), mentre crescono le polizze assicurative (+78% a 1.213 miliardi miliardi), che coprono il 23% dei risparmi complessivi. È il quadro, sottolinea la Fabi “a dieci anni dal ‘Whatever it takes’ dell’allora presidente della Bce Mario Draghi per salvare l’euro”.
Secondo la Fabi, “solo nel 2021, anno di avvio della ripresa economica poi svanita con l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, il risparmio delle famiglie italiane ha generato un flusso di 320 miliardi di euro”.
“Il 61% della nuova ricchezza accantonata (143 miliardi in termini assoluti) – prosegue il Sindacato autonomo dei bancari – è stata destinata ad attività finanziarie, principalmente azioni, il 16% (72 miliardi) a liquidità e la restante parte a forme di risparmio alternative”.
A crescere è stato il peso delle azioni: con 690 miliardi rappresentava il 19% delle riserve delle famiglie nel 2011, cifra salita a 1.107 miliardi nel 2020 (22%) e poi ancora a 1.251 miliardi nel 2021, sfiorando il 24% del totale dei portafogli finanziari.
“Il bilancio dei risparmi delle famiglie italiane – commenta la Fabi – mostra ancora una volta quanto gli italiani difendano la propria ricchezza a denti stretti, nonostante la morsa dell’inflazione e la bassa remunerazione di fatto penalizzino la liquidità”.
Dalle dinamiche esaminate dalla Fabi emerge una “crescente necessità di una pianificazione patrimoniale assieme a un’attenta e oculata gestione del rischio finanziario, in un momento in cui l’obiettivo finanziario comincia a essere il giusto equilibrio tra sicurezza e rendimento”.
Elementi che potrebbero aver determinato anche l’andamento degli investimentosì i fondi comuni sono saliti in 10 anni da 235 a 661 miliardi, passando dal 6 al 15% del risparmio complessivo delle famiglie italiane. La liquidità, che comprende contante e depositi bancari, ammonta a 1.629 miliardi e corrisponde al 31% del portafoglio complessivo delle famiglie, percentuale identica a quella del 2011.
(da agenzie)

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L’INTERESSE NAZIONALE E’ LA PRIORITÀ FINCHÉ NON TOCCA GLI INTERESSI DI BOTTEGA

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

IL SINDACO DI PIOMBINO DI FRATELLI D’ITALIA, FRANCESCO FERRARI, SI OPPONE AI RIGASSIFICATORI NONOSTANTE IL SUO PARTITO SI SIA GIA’ ESPRESSO A FAVORE

«Ne ho parlato spesso anche con Meloni. La posizione del partito è chiara: in linea di massima FdI è favorevole ai rigassificatori, ma la scelta di Piombino è assolutamente sbagliata». Il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, di Fratelli d’Italia, torna a parlare del rigassificatore dopo che il progetto di Snam, con la sua nave Golar Tundra, in grado di stoccare fino a 170mila metri cubi di Gnl, è entrato nella campagna elettorale.
Sindaco Ferrari, La Russa ha detto di essere favorevole al rigassificatore a Piombino. Salvo poi correggersi poco dopo, dicendo che a Piombino il governo «mal consigliato dal Pd, ha scavalcato l’amministrazione e i cittadini e non ha approfondito le alternative». Che ne pensa?
«La Russa non ha seguito la questione di Piombino. Ha espresso un giudizio, che non è quello del partito, in maniera inaspettata. La scelta di Piombino è assolutamente sbagliata.»
Ha parlato direttamente con Meloni?
«So che nel momento in cui FdI sarà al governo valuterà posizioni diverse della Golar Tundra rispetto a Piombino».
Entro il 29 ottobre il commissario straordinario Giani dovrà rilasciare, o meno, l’autorizzazione al progetto. Come pensa che andrà?
«Il procedimento sarà corretto si concluderà con l’impossibilità di collocare la nave nel porto di Piombino per motivi di sicurezza, ambientali ed economici. Poi se il governo sarà di centrodestra sono fiducioso che prenderà atto delle grandi criticità che una nave all’interno di un piccolo porto come Piombino comporterebbe». «Non c’è compensazione che tenga di fronte a un’opera che determinerebbe un pregiudizio per sicurezza e incolumità pubblica».
(da La Repubblica)

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OMICIDIO DUGINA, I POSSIBILI MANDANTI DELL’ATTENTATO

Agosto 26th, 2022 Riccardo Fucile

QUALCUNO HA VOLUTO MANDARE UN SEGNALE A PUTIN

Per capire quali scenari si celino dietro alla morte di Daria Dugina è importante anche capire chi fosse davvero la figlia del noto “filosofo”. Era una giornalista di primo piano che lavorava per un gruppo che Washington dice essere di proprietà dell’uomo d’affari russo Evgeny Prigozhin, sotto sanzioni in Occidente per essere il padrino sia del gruppo di mercenari Wagner che della famigerata “fabbrica di troll” sui social media.
Per questo suo ruolo era soggetta a sanzioni: il governo britannico la descriveva come una “produttrice di disinformazione di alto profilo in relazione all’Ucraina e all’invasione russa dell’Ucraina”. Di nuovo, non parliamo di un “alto papavero” né di un’eminenza grigia, ma di un agente al servizio del potere.
Dopo l’omicidio, Mosca ha parlato di un caso di terrorismo di matrice ucraina. L’agenzia Tass e gli altri media vicini al Cremlino non hanno ignorato la risposta di Mikhail Podolyak, consigliere dell’ufficio del Presidente ucraino, il quale ha decisamente negato il coinvolgimento di Kiev nell’esplosione dell’auto.
La “killer con prole” venuta dall’Ucraina e uscita – non si sa come, visto che non risulta che la frontiera Nato-Russia sia così porosa – attraverso l’Estonia, è sembrata più un diversivo che un tentativo di alzare la tensione. Poi, se Kiev avesse voluto colpire in Russia, perché farlo con una propria cittadina ? Sarebbe bastato armare la mano di un ceceno o un russo arrabbiato o alla ricerca di denaro, o anche di un ucraino qualsiasi fra i milioni che vivono in territorio russo.
Va detto che lo scenario di infiltrati o partigiani ucraini è quello che lo stesso Dugin ha sostenuto fin dal principio.
Insomma, chi ha ammazzato questa giovane donna? È vero che si sono autoaccusati non meglio identificati gruppuscoli armati di oppositori interni a Putin, ma per adesso la galassia dei nemici del regime pare al massimo capace di compiere sabotaggi e semplici azioni dimostrative, non certo di confezionare, piazzare e far detonare bombe.
Poi, perché colpire Daria Dugina quando ci sono commentatori che abbaiano con molta più rabbia e venerano Putin più platealmente? Per l’establishment russo non si tratta di un attacco diretto né di una perdita: Dugin, come abbiamo visto, non è l’ideologo ufficiale di Putin, ma al massimo un agente del sistema di una delle tante agenzie di intelligence. Come pensatore politico, poi, è una voce ascoltata solo dall’estrema destra russa.
Se non fra gli oppositori, l’omicidio, allora, ha un mandante fra i siloviki, gli ambienti militari e di intelligence che tengono le leve del potere a Mosca? Se sì, serve per colpire il novello zar? Escludiamo quest’ultima ipotesi: Putin e il “filosofo” di estrema destra percorrono due strade diverse. Di certo, siamo di fronte a un personaggio, Dugin, con una discreta influenza sugli ambienti nazionalisti russi. Eliminare lui avrebbe reso le cose più semplici al Cremlino nel confrontarsi proprio con i nazionalisti, fortemente critici per gli insuccessi militari: la sua morte avrebbe offerto al Cremlino un martire da venerare e l’opportunità di mettere a tacere una voce critica “di destra”.
Secondo il noto analista Marco Galeotti, “è improbabile che l’uomo che una volta chiedeva una Russia che si estendesse “da Dublino a Vladivostok” sarà placato e i nazionalisti che sono già insoddisfatti di Putin – non hanno problemi con lui che invade l’Ucraina, ma solo con lui che lo fa così male – sentiranno un motivo in più per essere arrabbiati”.
Ai russi, in particolare ai moscoviti, le modalità di questo omicidio hanno fatto tornare in mente gli anni Novanta, quando le auto saltavano in aria spesso e per motivi abietti: un amore respinto, un debitore arrabbiato o un socio in affari criminale. Ed è proprio per questo che, per adesso, il Cremlino tiene un profilo basso: qualunque cosa va bene, anche accanirsi ancora di più sull’Ucraina, ma non essere accostati a quel periodo e alla sua instabilità.
(da agenzie)

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