Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
LA MELONI INFURIATA PER L’IPOTESI TREMONTI ALL’ECONOMIA… LEGGERE I NOMI SE AVETE IL CUORE FORTE
Alta irritazione per Giorgia Meloni alla lettura dell’articolo di affaritaliani.it che scodella una ipotetica lista dei ministri nel caso in cui Fratelli d’Italia risulti il primo partito della coalizione.
Dal suo entourage è stata liquidata come “disinformazione”. Uno per tutti: ‘’Ministro dell’Economia: Giulio Tremonti’’: ma quando mai, significherebbe inimicarsi subito l’Unione Europea.
Circolano già le prime ipotesi sulla squadra di governo. Ufficialmente Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi affermano che i nomi verranno dopo e che oggi la priorità sono “le cose da fare”.
Ma dietro le quinte le trattative sono già cominciate.
Su Affaritaliani.it la prima bozza di un’ipotesi di intesa sulla composizione del governo che potrebbe tenere insieme tutte le sue componenti, nel caso in cui – come dicono i sondaggi attuali – Fratelli d’Italia risulti il primo partito della coalizione.
Presidente del Consiglio: Giorgia Meloni
Sottosegretario alla presidenza del Consiglio: Antonio Tajani
Vicepremier e ministro dell’Interno: Matteo Salvini
Ministro degli Esteri: Franco Frattini
Ministro della Difesa: Giorgio Mulè
Ministro dell’Economia: Giulio Tremonti
Ministro dello Sviluppo economico: Giancarlo Giorgetti
Ministro dei Rapporti con il Parlamento: Licia Ronzulli
Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture: Maurizio Lupi
Ministro della Pubblica Amministrazione: Alessandro Cattaneo
Ministro della Giustizia: Giulia Bongiorno
Ministro del Welfare e del Lavoro: Guido Crosetto
Ministro del Turismo: Massimo Garavaglia
Ministro della Transizione Digitale: Massimiliano Capitanio
Ministro delle Politiche Agricole: Daniela Santanchè
Ministro dell’Istruzione: Francesco Lollobrigida
Ministro della Salute: Alberto Zangrillo
Ministro dei Beni Culturali: Alberto Barachini
Ministro delle Disabilità: Erika Stefani
Ministro dello Sport: Paolo Barelli
Ministro del mare: Giovanni Donzelli
Presidente della Camera: Riccardo Molinari
Presidente del Senato: Annamaria Bernini
(da Affariitaliani)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
È, POLITICAMENTE PARLANDO, UN LADRO CHE ELOGIA IL SUO FURTO
Che un multimiliardario proponga, sorridendo, un’aliquota fiscale uguale per tutti, dal piccolo commerciante al grande manager, dalla ragazza con la partita Iva al professionista strapagato, è una oscenità non solamente politica, anche morale, che rischia di sfuggirci, e sicuramente sfuggirà – come da anni accade – ai suoi elettori.
Perché la progressività delle tasse è un elementare principio di equità, e il ricco che propone al povero di pagare la sua stessa aliquota è, politicamente parlando, un ladro che elogia il suo furto.
Siamo così compresi a parlare della Giorgia e del Salvini che rischiamo di dimenticare chi è, a destra, largamente il peggiore, primo artefice del deterioramento della politica italiana.
Colui senza il quale nulla è spiegabile, non la deriva populista della destra italiana (fu il primo dei populisti), non il complessivo deterioramento culturale dell’intero quadro politico, sinistra compresa (fu il primo dei semplificatori, dei demagoghi, dei soppressori del linguaggio critico a vantaggio della ciancia pubblicitaria).
La sua immagine recente, vuoi del vecchietto accattivante, vuoi dell’anziano e saggio moderato, è tipicamente consolatoria.
Serve a dimenticare che Berlusconi è stato il nostro Trump, ha svuotato la destra conservatrice e borghese per farne una fabbrica di demagogia (fa testo il disgusto di Montanelli) e soprattutto ha tenuto bene da conto – come Trump, come tutti gli straricchi – i suoi interessi personali.
Il più di destra, a destra, è sempre lui: da trent’ anni.
Michele Serra
(da la Repubblica)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
HA RIFIUTATO LE AVANCES DI RENZI E MANTIENE APLOMB ISTITUZIONALE
E Pier Ferdinando Casini? Il senatore di Bologna, eletto nel 2018 nelle file del centrosinistra con gran travaglio della base dem, per ora resta a guardare.
Ieri passeggiava nelle stanze della casa che fu di Giacomo Leopardi a Recanati, in olimpica pace a praticare silenzio e compostezza. Il suo orizzonte resta chiaro: è quello del centrosinistra di Enrico Letta, col quale ha anche parlato nei giorni scorsi, accordandosi col leader dem di stare a vedere come si mettono le cose.
Casini rimane a disposizione di una candidatura, anche nella sua Emilia Romagna, ma non chiede posti. Non si ritira, come hanno fatto Vasco Errani e Pierluigi Bersani, né si fa avanti, come Luigi Di Maio o Bruno Tabacci. Calma e gesso, predica pure a chi lo conosce bene.
Tra i dem già c’è allerta sulle sue mosse. C’è chi giura che il senatore, che siede a Roma dal 1983 e che l’anno prossimo compirebbe 40 in Parlamento, si sia già avvicinato alla lista ” Demos”, ispirata alla Comunità di Sant’Egidio, che candiderà i suoi rappresentanti nei collegi plurinominali del listone Progressisti e Democratici, creato dal Pd per sé e per gli alleati.
Lui scuote la testa – niente di vero – e guarda avanti. Di certo c’è solo che non seguirà Matteo Renzi nella sua avventura centrista e solitaria, nonostante proprio il leader di Italia Viva avesse sponsorizzato la sua corsa alla presidenza della Repubblica, fermata solo all’ultimo dal bis di Mattarella.
E nonostante Casini sia comunque legato all’ex segretario Pd da una forte amicizia, ribadita anche nell’ultimo passaggio bolognese di Renzi, quando il senatore sedeva in prima fila alla presentazione all’opificio Golinelli del libro del numero uno di Iv, “Il Mostro”.
Per le Politiche però il senatore bolognese, che del resto non ha mai aderito a Italia Viva, abbandona l’ex rottamatore. Anche se il futuro appare incerto.
A Bologna una candidatura di Casini, già faticosa nel 2018, sarebbe stavolta praticamente impossibile. La “città più progressista d’Italia” di Matteo Lepore, che già digerisce male l’accordone col centro di Carlo Calenda, stavolta non ci starebbe.
C’è però il resto della Regione, e c’è anche Roma, dove Casini risiede. Si vedrà. Intanto il senatore prosegue con il consueto aplomb istituzionale, evitando il valzer delle liste come pure le polemiche dei talk show pre- elettorali. Due giorni fa era a Castenaso, al funerale delle due ragazze morte a Riccione. Profilo basso e poche chiacchiere, per il senatore che aveva firmato la mozione per trattenere Mario Draghi al governo.
“Casini pensa già al prossimo giro al Quirinale” sussurrano i maligni, a destra. E per arrivarci non sarebbe nemmeno necessario l’ennesimo giro in parlamento, secondo alcuni. Casini, che è stato presidente della Camera tra il 2001 e il 2006, conserverebbe infatti a Roma un ufficio e diversi legami e potrebbe così restare in ogni caso a due passi dalla politica.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
ALTRIMENTI DOVREBBE RACCOGLIERE LE FIRME ALL’ULTIMO MINUTO: 750 FIRME PER OGNI COLLEGIO PER UN TOTALE DI 37.750 PER LA CAMERA E 19.500 PER IL SENATO
Se +Europa dovesse decidere di confermare l’accordo con il Pd, Azione si ritroverebbe senza simbolo e dovrebbe procedere alla raccolta delle firme necessarie per presentarsi alle elezioni, a meno che il leader di Azione non si allei con Italia Viva
Dopo lo strappo di Carlo Calenda con il Partito Democratico e l’addio alla maxi-coalizione di centrosinistra, per il leader di Azione si aprono due strade in vista delle elezioni del 25 settembre.
Già perché se la direzione di +Europa, convocata nelle prossime 24 ore, dovesse confermare l’alleanza con i dem e, di conseguenza, di rompere il sodalizio con Azione, Calenda si ritroverebbe senza il simbolo di +Europa, indispensabile per evitare la raccolta firme per candidarsi alle elezioni.
Senza il simbolo di Emma Bonino (che a sua volta, nel 2018, venne messo a disposizione da Bruno Tabacci), Azione dovrebbe raccogliere 36.750 firme per la Camera e 19.500 per il Senato, 750 per ogni collegio. Il rischio di non presentarsi in tutti i collegi potrebbe comportare il mancato superamento della soglia di sbarramento del 3 per cento. Un’operazione non facile, anche perché le firme devono essere raccolte su liste già compilate e autenticate.
L’altra via che potrebbe seguire Azione è quella di allearsi con Italia Viva di Matteo Renzi. Durante l’intervista con Lucia Annunziata, Calenda ha aperto a un confronto con Renzi: «Sentiremo cos’ha da dire. Sicuramente faremo scelte idealiste», sottolineando però che «negli ultimi due giorni ho ricevuto dai renziani contumelie, qualsiasi scelta non coincida con quella di Renzi per loro è una scelta da traditore della patria».
Insomma, la situazione anche tra Azione e Italia Viva non è delle più serene. Ma alleandosi con Renzi, il partito di Calenda potrebbe risparmiarsi la “trafila” delle firme. Questo perché Italia Viva è esonerata dalla raccolta delle firme perché fa parte dei partiti che hanno costruito almeno un gruppo parlamentare, alla Camera o al Senato, entro il 31 dicembre 2021.
Calenda, dal canto suo, non sembra però essere molto preoccupato dalla questione, come dichiarato durante l’intervista a Mezz’ora in più: «Se dovremo raccogliere firme le raccoglieremo, e se non ce la faremo vuol dire che l’offerta era davvero molto debole».
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
MAGI: “IL PATTO CON IL PD? PER NOI RESTA VALUTAZIONE POSITIVA”
Dopo che Carlo Calenda ha dichiarato che uscirà dall’accordo elettorale siglato martedì scorso con il Partito democratico, i vertici di +Europa hanno annunciato di riunire la propria direzione per valutare sul da farsi. L’incontro dovrebbe avvenire fra questa sera e domani.
Già nelle scorse ore, il partito di Benedetto Della Vedova ed Emma Bonino aveva espresso «forte apprezzamento» per l’intesa stretta con il Partito Democratico.
Non si esclude dunque che Azione, dopo aver rotto con i dem, possa presentarsi alle elezioni del prossimo 25 settembre senza +Europa, che potrebbe decidere invece di confermare l’accordo siglato con i dem. Calenda intanto starebbe valutando se sussistono le possibilità di un’alleanza con Italia Viva di Matteo Renzi.
In tutto questo si è esposto anche Riccardo Magi, presidente di + Europa: «C’è grande sorpresa per la decisione unilaterale presa da Calenda. Noi continuiamo a dare una valutazione positiva al patto col Pd. Nel patto siglato col Pd era evidente che ci sarebbero state altre liste ed era evidente che ci sarebbe stato un rapporto politico privilegiato con noi, basato sulla continuità dell’azione del governo Draghi, rispetto al patto elettorale con le altre liste. Ieri Letta lo ha ribadito».
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
LA SCELTA DI CALENDA DI NON MANTENERE IL PATTO FIRMATO CON IL PD RIAPRE NUOVI SCENARI
Quelle del nostro titolo sono le domande che tutti i protagonisti e gli osservatori della scena politica si stanno ponendo in queste ore, dopo la rottura (che vi avevamo anticipato stamattina) di Carlo Calenda con il Pd.
E allora, cosa può succedere? Andiamo per punti.
1 – La determinazione “d’impulso” di Calenda lo porterebbe alla corsa solitaria, uno contro tutti, là in mezzo, come nella esperienza del voto per il Campidoglio. Ma ha un doppio problema: politico e di regole. Quello politico è ben noto, si lega a colui che lo scelse prima come ambasciatore all’Unione Europea e poi come ministro dello sviluppo economico. Insomma, Matteo Renzi. Il rapporto tra i due è quel che si sa, lo scontro di due ego non banali (per usare un eufemismo) ha già fatto scintille a più riprese. Ma neanche un perito calligrafo della politica saprebbe distinguere la linea di Azione da quella di Italia Viva. Renzi, cintura nera di discese ardite e risalite, potrebbe essere alla fine disposto, in nome dell’alleanza, al sacrificio supremo: il nome di Calenda nel simbolo elettorale.
Non è solo altruismo; da sola Italia Viva rischia di non raggiungere la soglia di sopravvivenza del 3 per cento, mentre con Azione (che a sua volta deve capire se e quanto si è indebolita nei sondaggi per il sì-anzi-no col Pd) il centro riformista potrebbe puntare più in alto.
L’accordo con i renziani sarebbe utilitaristicamente prezioso per Calenda, che in caso di distacco da +Europa dovrebbe in fretta e furia raccogliere le firme se si volesse presentare da solo, mentre un’alleanza con Iv annullerebbe il problema.
Come arrivare all’aggancio? Ci vorrebbe un pronubo (esclusi per manifesta incompatibilità i due presidenti Rosato e Richetti). Occhio all’esterno più stimato da entrambi, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
2 – Emma Bonino e +Europa, come detto, devono decidere se seguire Calenda e Azione o restare alleati di Letta. Stamattina, non per caso, hanno diffuso un comunicato – mentre già infuriavano le voci sul voltafaccia di Calenda – per confermare il giudizio positivo sull’accordo, quasi a dire “sia ben chiaro, noi non cambiamo idea”. Ma ora dovranno valutare bene, e per questo la loro direzione di domani non è scontata nei suoi esiti.
3 – Senza Calenda la composizione della coalizione disegnata da Letta si sposta naturalmente verso sinistra. A questo punto la consultazione interna a Sinistra Italiana non riserverà sorprese, e anche per Luigi Di Maio non ci sarà più alcun impedimento (forse anche per essere candidato al maggioritario).
Ma ora la questione è un’altra: i seggi sicuri o contendibili senza Calenda quanti saranno? E, non solo per sopperire a questo problema non certo secondario, perché non riaprire la porta a un accordo con Giuseppe Conte e il M5s, come chiedono Fratoianni e la stessa sinistra Pd di Orlando, Boccia e Provenzano?
La fedeltà all’agenda Draghi, dicono in molti (anche Franceschini) non è più forte della necessità di evitare una disfatta elettorale. Se si è imbarcato Nicola Fratoianni, che era all’opposizione, perché ostracizzare Conte, che fino a tre settimane fa era in maggioranza?
Tempo per l’accordo in extremis c’è, ma resta una questione non solo diplomatica di prima grandezza: che si fa con Di Maio e i suoi? Chi dice agli uni e agli altri che, dopo essersi inviati così tante tonnellate di insulti che nessun termovalorizzatore riuscirebbe mai a smaltirle, si dovrebbero ora rimettere a lottare insieme, e a votarsi reciprocamente all’uninominale?
(da Open)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
IL PD: “CALENDA HA INIZIATO LA CAMPAGNA ELETTORALE PER CONSEGNARE L’ITALIA AGLI ALLEATI DI PUTIN E ORBAN”
La risposta di Enrico Letta alla rottura di Carlo Calenda è arrivata nel giro di pochi minuti. Dopo che il leader di Azione ha ufficializzato la fine dell’alleanza con il Pd, Letta lo ha accusato su Twitter di non essere in grado di gestire alcuna alleanza: «Ho ascoltato Carlo Calenda. Mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda. Noi andiamo avanti nell’interesse dell’Italia».
A questo punto la prossima mossa di Azione potrebbe essere quella di allearsi con Matteo Renzi e la sua Italia Viva.
Calenda ha detto che al momento non ha deciso nulla ma che ha intenzione di sentire l’ex premier per capire le sue proposte.
La condanna per la rottura arriva anche da Marco Meloni, coordinatore della segreteria del Pd: «Oggi Carlo Calenda ha iniziato la sua campagna elettorale per consegnare l’Italia alla destra alleata di Putin e Orban. Il Pd, con europeisti progressisti ambientalisti e civici, glielo impedirà, e darà all’Italia un governo per crescita, diritti, lotta alle diseguaglianze».
Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde, ha dichiarato invece che il suo gruppo rimarrà alleato con il. Pd: «In politica contano le relazioni tra persone e il reciproco rispetto pur nelle differenze. Per questo esprimo vicinanza e sostegno a Enrico Letta. Continuiamo a lavorare con responsabilità per la democrazia, la giustizia sociale e ambientale, confermando la nostra alleanza. Prendo atto della scelta di Calenda che ha scelto gli interessi del suo partito anziché rafforzare il campo per battere la destra».
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
“L’INCERTEZZA POLITICA STA AUMENTANDO”: PER GLI OPERATORI USA, DRAGHI ERA UN GARANTE
«Wall Street monitora con particolare attenzione la situazione energetica in Europa, per la quale una eventuale crisi vedrebbe l’Italia particolarmente esposta». È questa, in sintesi, la voce dominante sui mercati finanziari americani all’indomani della revisione in difetto del giudizio di Moody’ s sull’Italia. L’agenzia Usa, pur confermando il rating Baa3, ha rivisto al ribasso le prospettive da «stabili» a «negative».
Come per la società anche per Wall Street l’annunciato venir meno della presenza di Mario Draghi nel ruolo di premier potrebbe essere un elemento di turbativa, ma l’analisi degli operatori si deve leggere dal prisma della crisi energetica che incombe sull’Europa a causa della guerra russo-ucraina e del contingentamento del gas di Mosca.
Di cui alcuni Paesi sono fortemente dipendenti, come la Germania, considerata il motore d’Europa, il cui rallentamento avrebbe ricadute su tutta l’Eurozona. «Uno scenario – spiegano a Wall Street – in cui l’Italia appare esposta, e in virtù del quale alcuni fondi potrebbero procedere a correzioni o revisioni più o meno marginali delle loro posizioni in merito agli asset del Paese detenuti nel portafogli».
Ben inteso, i mercati finanziari americani hanno ben altre priorità in questo momento, a partire dall’inflazione. Mercoledì sarà data lettura dell’indicatore di luglio, atteso in rallentamento all’8,7% dal 9,1% per effetto principalmente del calo della benzina, sebbene quello core sia atteso in crescita al 6,1% dal 5,9%. Attorno a questo dato saranno modulate le nuove scelte della Federal Reserve, al cui vaglio c’è un nuovo rialzo compreso tra 50 e 75 punti base, e le indicazioni che giungeranno a fine mese dal summit dei banchieri centrali di Jackson Hole, in Wyoming.
Oltre a questo, ci sono le minacce recessive e la crisi mai risolta delle catene di approvvigionamento. Per gli operatori Usa, però, Draghi era un garante, ed è per questo che il viaggio americano di metà settembre del premier uscente, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a una settimana circa dal voto delle politiche, «viene visto come l’opportunità per rassicurare gli investitori a stelle e strisce sulla solidità dei fondamentali del Paese».
Rispetto, appunto, a quanto detto da Moody’ s secondo cui per l’Italia ci sono «rischi materiali sulle prospettive di crescita legati all’esecuzione del Pnrr e alle forniture energetiche». Constatando i progressi effettuati di recente sul fronte dei conti pubblici, Moody’ s ha osservato come «la fine del governo Draghi e le elezioni anticipate del 25 settembre 2022 aumentano l’incertezza politica». A fine luglio anche S&P aveva espresso cautela portando l’outlook da positivo a stabile. Per Fitch, la terza principale agenzia di rating, non ci sono invece implicazioni a breve termine (la volatilità politica è già scontata nel rating “BBB” con outlook stabile) e il Pnrr «resterà una priorità per qualsiasi governo, di qualsiasi colore».
(da la Stampa)
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Agosto 7th, 2022 Riccardo Fucile
OSSERVATORIO PRESIEDUTO DA COTTARELLI: DAL 2016 A OGGI LE ROTTAMAZIONI SONO SEGUITE L’UNA ALL’ALTRA E HANNO PORTATO ALLA RISCOSSIONE DI SOLO 18 MILIARDI SUI 53 PREVISTI… A DIMOSTRAZIONE CHE GLI EVASORI NON PAGANO NEANCHE QUANDO LI AGEVOLI. PERCHE’ SE NE FOTTONO
Assieme alla flat tax la rottamazione delle cartelle fiscali è uno dei cavalli di battaglia del centrodestra. Ma il tema non dispiace nemmeno ai 5 Stelle, come dimostrano le scelte dei due governi guidati da Conte. Si dice rottamazione, ma forse si dovrebbe parlare di condono, quanto meno sotto mentite spoglie.
La scusa è quella di fare pulizia nel magazzino dell’Agenzia delle entrate, che a tutt’ oggi ha accumulato ben 1.100 miliardi di euro di tasse di non riscosse, ed al tempo stesso di aiutare chi non ce la fa salvo poi finire col blandire i tanti italiani che hanno conti in sospeso col Fisco e che tirano a campare in attesa del colpo di spugna vero e proprio, il condono tombale.
Le domande «Con l’avvicinarsi delle elezioni, si torna a parlare di “rottamazione” delle cartelle esattoriali. Non è una novità – segnala uno studio dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli –
In realtà, negli ultimi anni le rottamazioni sono seguite una all’altra. Tuttavia, solo una piccola parte dei soggetti potenzialmente coinvolti ha presentato domanda e le riscossioni effettive sono state sistematicamente meno della metà di quelle previste». Complessivamente, tutti i provvedimenti di «rottamazione» dal 2016 ad oggi hanno infatti portato alla riscossione di 18 miliardi (più 2 ancora riscuotibili) sui 53 previsti.
I governi
Tra la rottamazione varata nel 2016 dal governo Renzi e la Rottamazione bis si potevano estinguere i debiti fiscali rateizzando di pagamenti senza interessi di mora e sanzioni.
Nel 2018, cambio di governo e di maggioranza, arriva il governo Conte 1 che apre una terza finestra con «Rottamazione-ter» aumentando per tutti il numero delle rate e soprattutto salvando anche quei contribuenti che dopo aver aderito alla rottamazione bis non avevano pagato le rate previste.
Sempre nel 2018 arriva poi anche il cosiddetto «Saldo e stralcio», che consentiva ai soggetti in gravi difficoltà economiche (ovvero con un Isee familiare inferiore a 20.000 euro) di estinguere i debiti iscritti tra il 2000 ed il 2017, riducendo le somme dovute ed azzerando sanzioni e interessi. Si arriva all’anno scorso quando il governo Draghi, per far fronte alle difficoltà di liquidità dovute alla crisi pandemica, col decreto «Sostegni» differisce i termini di pagamento per le rate non ancora versate nel 2020 e per quelle da versare nel 2021 dei precedenti provvedimenti.
Altra toppa, o se vogliamo un’altra sanatoria, arriva poi quest’ anno col «Sostegni-ter» che ha riammesso ai benefici della «Rottamazione-ter» e del «Saldo e stralcio» i contribuenti che non avevano versato le rate del 2020/2021.
Tornando al 2018, sempre il governo Conte 1, decide di annullare i debiti di importo residuo fino a 1.000 euro (comprensivo di capitale, interessi di mora e sanzioni) relativi al periodo 2000-2010.
Nel 2021, con la scusa della crisi, il decreto «Sostegni» ha poi alzato l’importo a 5.000 euro (ma solo per chi nel 2019 aveva un imponibile inferiore a 30.000 euro).
Risultati? Scarsi, tanto che il monte di tasse arretrate è praticamente ancora tutto lì.
Per «Rottamazione» e «Rottamazione-bis» – segnala infatti lo studio dell’Ocpi – hanno fatto domanda in 2,3 milioni per 45 miliardi di debiti. Al netto della «rottamazione», quindi senza interessi e sanzioni, era previsto un gettito di 26 miliardi: ma ne sono arrivati appena 11 perché dopo aver presentato domanda in molti non hanno versato le somme dovute nei termini previsti.
Per «Rottamazione-Ter» hanno presentato domanda in 1,4 milioni per un debito di quasi 44 miliardi: riscossione prevista 26,3 miliardi, mentre quella effettiva è stata appena di 6,3, con 1,7 miliardi ancora riscuotibili nelle prossime rate.
Infine, per «Saldo e stralcio»: 400.000 domande, incasso previsto 1,3 miliardi, incasso effettivo 700 milioni.
Le quote inesigibili
In sostanza, conclude l’Osservatorio, solo una piccola parte dei 19 milioni di soggetti con debiti fiscali ha fatto domanda. E anche per chi l’ha presentato, le riscossioni effettive sono state meno della metà del previsto. Ma oltre a questo i dati confermano anche che una quota consistente di tasse, come sostiene da tempo il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, non é più riscuotibile
(da agenzie)
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