Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
MAI VISTI TANTI SEDICENTI “FASCISTI” DA STADIO: SOTTO GLI SLOGAN, IL NULLA… ORDINE, STRADE SICURE, VIA IL REDDITO DI CITTADINANZA AI POVERI: ROBA DA FAR RIVOLTARE NELLA TOMBA
Certe volte la vita è una faccenda complicata. Ne sa qualcosa il signor
Hermes Fantuzzi, pensionato di 62 anni, «figlio di genitori comunisti», uomo moderato e «dalle passioni politiche sbiadite», appena assunto come nuovo guardiano del museo «O Roma o morte. Un secolo dalla Marcia».
Stacca i biglietti all’ingresso: 7 euro intero, 15 euro famiglia, visita guidata 45 euro. Dice che il suo lavoro richiede un continuo sforzo di mimetizzazione: «Devo stare calmo e farmi vedere nella parte, perché arrivano certi invasati incredibili. Gente che piange, gente che si inginocchia, gente che ringrazia. Stivaloni nazisti, paramenti da guerra. Dovreste leggere che dediche lasciano sul libro delle presenze, con tanto di nome e cognome». Quante presenze? «Siamo oltre due mila biglietti staccati in questi giorni». E chi sono? «Laziali, marchigiani, siciliani, lombardi, 7 persone di Forlì, 4 di Predappio. Questo per dire che Mussolini interessa agli italiani».
È da Predappio che passa il fiume nero. Mai così strabordante, alto sugli argini fissati dalla Costituzione. Una preghiera alla cripta nel cimitero di San Cassiano. Una maglietta con la croce celtica e un boia chi molla come souvenir
Il piccolo museo è stato inaugurato il 22 aprile al posto di un bar, si trova sulla strada principale all’ingresso del paese. Nessun finanziamento pubblico lo sostiene, però può contare sul patrocinio di «Rinascimento» di Vittorio Sgarbi e di San Patrignano, del sindacato Ugl e di alcuni negozianti della zona. Le timide perplessità dei contrari a questa iniziativa sono state zittite con due frasi di rito: «Interesse storico» e «nessuna intenzione apologetica».
Ma per capire di cosa si tratti, basterebbe dire che uno dei due responsabili dell’allestimento, nonché il cerimoniere, è l’avvocato Francesco Minutillo di Forlì, già segretario provinciale di Fratelli d’Italia. Carica lasciata dopo aver scritto su Facebook questa frase: «Solo un nuovo manifesto di Verona contro islamici e negri ci può salvare. Nuove leggi razziali e tutela della cristianità: ecco cosa dovremmo fare. Ma gli italiani, popolo bue, non lo faranno anche per colpa della nostra schifosa Costituzione scritta dai maiali partigiani».
Eccolo il museo voluto dall’avvocato Minutillo. Sono busti del duce, quadri, sculture, libri, armi e vestiti del Ventennio. Materiale interamente messo a disposizione dalle collezioni private degli italiani. Il diario delle visite è piazzato prima dell’uscita, come il registro delle presenze a un funerale. E davvero ogni messaggio è seguito dalla firma, con nome e cognome. «Con onore sempre. A Noi!».
«Complimenti per la mostra. Per non dimenticare mai chi ha vissuto e combattuto per la libertà e per la grandezza d’Italia». «Gruppo Alpini Golasecca Verona. Complimenti! Molto educativa». «Una mostra che crea un esempio di presente. Grazie». «Il neo figlio della lupa, Giuseppe R. Vi saluta romanamente!». «Una mostra necessaria». «Un dovere ricordare». «A noi!». «Bellissima!». «Onore!». «Spettacolare!». «Dux». «Camerata Andrea B. Da Grumo Nevano. Presente!». «Solo Tu potresti risollevare l’Italia». «Onore al Duce!». E via così.
Predappio è nera. Fa affari sul fascismo e sul negazionismo. Fa affari sui simboli di morte. Ma quanto è nera l’Italia e chi ci guadagna? Esci dal museo e incontri il signor Ferrino Benizzi con al collo un ciondolo d’oro con la faccia di Mussolini: «Vinceremo a mani basse le elezioni del 25 settembre, sarà un trionfo per Giorgia Meloni. È l’unica rimasta con una sola parola. Mi gioco la gamba buona che vinceremo e cancelleremmo quella porcata del reddito di cittadinanza».
Anche il signor Pier Luigi Pompignoli, titolare di un negozio di souvenir fascisti, pure lui con un Mussolini d’oro al collo, esprime personali sentimenti di ottimismo: «Non ho mai visto tante gente a Predappio come in questa estate elettorale». E se domandate all’organizzatore del museo Minutillo cosa pensi della situazione politica, lui risponderà così: «Speriamo di vincere. Ma non mi fido di nessuno. Quando eravamo giovani e militavano nel movimento, Giorgia Meloni aveva posizioni di vera destra, ora le sta rinnegando nel nome del consenso. È una persona che sta insultando il suo passato».
E se ti sposti verso il cimitero, dove in fondo a destra c’è la cripta con le spoglie di Benito Mussolini presidiata dai volontari con la camicia nera, vedi arrivare turisti mussoliniani in bermuda e infradito: «Oggi a Riccione il cielo è nuvolo e giù fa troppo caldo». Vedi i fidanzati Igor Parenti e Alessia Gagliardi da Ponzano Romano, veterinari, per una sosta lungo la strada delle loro vacanze: «Ci sentiamo rappresentati dal passato. Da questo passato. Speriamo che sia la volta buona per chi crede nei nostri valori».
Arrivano in visita un padre e un figlio della Repubblica Ceca, due fidanzati del litorale laziale che restano dentro per un’ora abbondante. Una famiglia di origini persiane: marito, moglie e figlioletta ignara di tutto. Altri due fidanzati che avanzano verso la tomba mano nella mano. Il signor Carlo Palmiero da Lecco, «amministratore delegato di grossi gruppi siderurgici», ora in pensione: «Sono molto contento. Sta per finire l’epoca dei bibitari-occupa-poltrone. Non dico che Giorgia Meloni sia una figura politica stupefacente. Ma è l’unica rimasta coerente. E la coerenza paga». Cosa si augura dal suo governo sperato? «Una vita serena per noi pensionati. Strade sicure. Ordine. Mi auguro che vengano tolti di mezzo i pericoli. E poi voglio che vengano limitati gli stipendi massimi dei manager statali. Lei lo farà, ne sono sicuro, Giorgia lo farà. E state tranquilli: lo farà senza affacciarsi da un balcone con le mani sui fianchi!».
Intanto, al negozio di souvenir fascisti «Ferlandia Predappio», un signore di mezza età sceso da una Mercedes GLE 400 sta soppesano il valore intrinseco di un’aquila imperiale «in vetroresina» da 45 euro: la compra.
Vendono anche svastiche, bottiglie di vino Dux, finto olio di ricino, adesivi, «Msi», Almirante, un libro apologetico su «Ordine Nuovo», rune, targhe degli alpini e della Folgore, gagliardetti fascisti, elmetti da SS, finte bombe a mano, la maglietta «Molti nemici molto onore» e quella «Credere, ubbidire, combattere», il giubbotto «Me ne frego» a 39 euro. Entrano due ragazzi pieni di tatuaggi della Lazio e anche, entrambi, con una croce celtica tatuata sul polpaccio: provano una felpa nera con sopra scritto «Italia. Fedeltà».
Sulla saracinesca del negozio ci sono gli adesivi di chi è passato qui durante questi anni: «Hellas Verona appartiene a noi». «Tradizione». «Forza Nuova». «Veneto Fronte Skinheads», decine di gruppi, sigle della galassia nera. Sono sedicenti fascisti che si apprestano a brindare per il primo partito che li rappresenterà in Parlamento
Il ragazzo con la celtica tatuata sul polpaccio ne è convinto, esce dal negozio di souvenir con i nuovi acquisti in un sacchetto: «Lascia perdere le tattiche elettorali di questi giorni, Giorgia è una di noi. Hai sentito cosa diceva di Mussolini quando era giovane? Diceva: “Io penso che Mussolini sia stato un buon politico. Tutto quello che ha fatto l’ha fatto per l’Italia”. Quindi…». E quindi: ammesso che Giorgia Meloni ultimamente abbia preso le distanze dal fascismo, i fascisti di Predappio non hanno preso le distanze da Giorgia Meloni.
(da “la Stampa”)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
L’ULTIMO CASO È QUELLO DELLA BOLOGNESE ANNA MARIA BERNINI, PIAZZATA NEL COLLEGIO BLINDATO UNINOMINALE DI PADOVA A SCAPITO DELLA PRESIDENTE DEL SENATO ELISABETTA CASELLATI, “CATAPULTATA” INVECE IN BASILICATA
Vigilia di liste. Vigilia di drammi, psicodrammi e accuse anche nel centrodestra. «Non è un mestiere facile perché c’è qualcuno contento e qualcuno meno contento, non si può dire di sì a tutti» ammette il segretario della Lega Matteo Salvini.
«Tutti saranno valorizzati. Mi auguro non ci siano polemiche, sono cose fisiologiche nella formazione delle liste che ci sia chi è più contento e chi meno, ma se si chiude una porta si apre un portone» la butta sul diplomatico-persuasivo il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani.
Per quanto riguarda il partito di Berlusconi, che a causa del taglio dei parlamentari e dei sondaggi poco favorevoli rischia di passare da 123 a una cinquantina di deputati e senatori, già si intuisce quello che potrebbe succedere sui territori martedì mattina. In Veneto, infatti, il vice coordinatore regionale Dario Bond ieri ha sbattuto la porta dichiarando che Fi «ha perso il rapporto con il territorio ed è ridotto a un disco volante gestito da zone remote».
Il motivo? La candidatura della capogruppo al Senato Anna Maria Bernini nel collegio uninominale di Padova a scapito della presidente del Senato Elisabetta Casellati, che verrebbe invece «catapultata» in Basilicata. Il coordinatore regionale Michele Zuin dice che «Casellati è una punta di diamante del partito, forse hanno ritenuto che possa dare un impulso maggiore a quel territorio» ma è chiaro che la necessità di far posto alla bolognese Bernini, dato che Forza Italia in Emilia Romagna non può garantirle la certezza di essere eletta, sta creando un effetto domino pericoloso.
«Il popolo lucano merita rispetto» alza la voce il consigliere regionale Gerardo Bellettieri, chiedendo senza mezzi termini un posto sicuro per Giuseppe Moles, potentino, oggi sottosegretario all’Editoria.
Posti sicuri che si starebbero materializzando, per il momento, per il presidente della Lazio Claudio Lotito (al maggioritario in Molise al Senato, alla Camera c’è il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa) e per i big uscenti Maurizio Gasparri e Renata Polverini (entrambi nel Lazio, con buoni posti al proporzionale). Mentre il senatore Francesco Giro, noto per avere in tasca sia la tessera di Forza Italia che quella della Lega, ha annunciato l’addio dopo 25 anni in Parlamento.
La temperatura, del resto, sta salendo anche dalle parti di via Bellerio. Ieri, insieme all’annuncio della candidatura al proporzionale in Puglia del presidente di FederAnziani Roberto Messina, sono arrivati i primi messaggi d’addio dei senatori Mario Pittoni e Toni Iwobi (primo eletto di origine africana a Palazzo Madama). Pittoni ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo: «Ho concordato di lasciare spazio ad altri in vista di probabili responsabilità nella prossima compagine di governo». Iwobi, invece, si è levato qualche sassolino dalla scarpa: «Non sempre l’impegno politico è riconosciuto come dovrebbe. Sono comunque orgoglioso di aver mantenuto la fedeltà e la coerenza politica durante il mandato, nonostante inviti di altri partiti».
E fuori lista dovrebbero finire molti «salviniani» di seconda fascia come i lombardi Ugo Parolo e Paolo Formentini. «Questo non è ancora nulla – assicura chi immagina i nomi degli altri esclusi eccellenti -. Vedrete cosa accadrà dopo la notte dei lunghi coltelli quando certa gente si troverà al terzo o al quarto posto del listino».
In Veneto, dove la base ribolle per i mancati risultati sull’autonomia e per la gestione «centralizzata» del partito, a creare più di un mal di pancia è la candidatura al Senato, nel maggioritario a Vicenza, dell’europarlamentare Mara Bizzotto. «Vogliono prendere due piccioni con una fava – sibilano gli antagonisti del commissario regionale Alberto Stefani -. Al suo posto, in Europa, andrà Paola Ghidoni, prima dei non eletti».
Gli unici a non avere problemi, se non quello di riempire le liste evitando di imbarcare gente poco «controllabile», sono i vertici di Fratelli d’Italia. Manca un mese al voto, ma già sognano di sorpassare la Lega anche al Nord. Mettere l’ex magistrato Carlo Nordio a Treviso è più che un guanto di sfida. Un altro nome veneto potrebbe essere quello dell’ex sindaco di Verona Federico Sboarina. Mentre pare certo che l’ex ministro Giulio Tremonti «sfiderà» Carlo Cottarelli in Lombardia. Altre scelte decisive (Giorgia Meloni correrà all’uninominale? A Latina o nella «sua» Roma?) verranno ufficializzate nelle prossime ore.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
HA PRIMA CREATO TEAM SPECIALI DOTATI DI PICCOLI DRONI PER AZIONI DIETRO LE LINEE E POI HA ALZATO IL LIVELLO DOTANDOSI DI MACCHINE PIÙ GRANDI – LA TURCHIA HA VENDUTO MOLTI DEI SUOI TB 2, ALTRI SONO STATI FORNITI CON I PACCHETTI D’AIUTI DELL’OCCIDENTE
I droni sono come una fionda, possono far male al gigante. Lo insegna il
conflitto in corso con l’ultimo strike messo a segno dagli ucraini nella base russa di Sebastopoli. Il loro velivolo ha volato sulla Crimea occupata, ha superato le difese nonostante la bassa velocità ed ha finito la sua traiettoria su un edificio del sito militare. E poco importa se la versione di Mosca sostiene di averlo abbattuto, la sua missione l’ha comunque portata a termine, ha raggiunto il bersaglio.
Per gli esperti potrebbe trattarsi di uno Skyeye 5000, prodotto in Cina per l’impiego civile, con una capacità di carico di 20 chilogrammi, e un costo al di sotto dei 10 mila euro.
Oppure di un PD-2 locale, con carico di 3 chilogrammi e raggio operativo di 200 chilometri circa. Parliamo di prezzi minimi rispetto alle conseguenze: l’esplosione, la colonna di fumo, la sfida nel cuore della Marina russa in un settore critico, l’imbarazzo delle autorità davanti agli occhi dei cittadini.
Kiev, ma anche gli invasori, hanno trasformato mezzi per il mercato industriale e persino amatoriale, in armi «economiche».
Soluzioni in corsa per aumentare le possibilità di spiare e attaccare. Spinti dalle necessità, hanno cercato ovunque e il mercato cinese è stato pronto a rispondere con un’offerta ampia. La resistenza, partita in svantaggio rispetto alla potenza del neo-zar, ha recuperato terreno. Ha creato team speciali dotati di piccoli droni per azioni dietro le linee, quindi ha alzato il livello dotandosi di macchine più grandi.
La Turchia ha venduto molti dei suoi TB 2, altri sono stati forniti con raccolte di fondi all’estero, altri ancora sono arrivati con i pacchetti d’aiuti garantiti dall’Occidente. I velivoli radiocomandati sono diventati i protagonisti di missioni in profondità: uno sarebbe stato usato per centrare una raffineria a Rostov mentre il TB2 si è distinto nelle operazioni a sud con un ruolo diretto o semplicemente per distrarre lo schermo dell’aggressore.
Le installazioni della Flotta del Mar Nero sono entrate nel mirino. Già settimane fa un ordigno volante – forse manovrato da sabotatori – aveva rovinato la festa della Marina esplodendo nel cortile della caserma e costringendo i militari a cancellare la cerimonia. Sabato il raid documentato anche da video circolati poi sul web, presunto attacco coinciso con la conferma del cambio della guardia proprio ai vertici della Flotta.
L’ammiraglio Viktor Sokolov ha preso il posto di Igor Osipov, l’alto ufficiale che ha dovuto subire molte umiliazioni. Il Moskva affondato, un’unità d’assalto anfibio distrutta così come un paio di vedette, l’abbandono dell’Isola dei Serpenti e la rinuncia ad uno sbarco sulla costa di Odessa con le unità sempre molto al largo per stare lontane dai missili anti-nave.
L’Ucraina prosegue nella strategia di logoramento, con gli strike e i bombardamenti mirati con conseguenze su logistica e rifornimenti proprio in Crimea.
I collaboratori di Zelensky hanno ribadito che queste missioni proseguiranno a lungo, vogliono portare il «caos» e alimentare il senso di insicurezza. Rientra in questo quadro un attentato (fallito) contro il sindaco pro-russo di Mariupol. Da notare: l’intensificarsi delle incursioni è stato accompagnato da articoli ampi sui media occidentali a rimarcare le nuove difficoltà della Russia.
Gli osservatori segnalano peraltro un rallentamento delle operazioni da parte degli invasori che hanno provato ad avanzare nel settore orientale con qualche «guadagno tattico» minore.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
LE FREQUENTAZIONI ITALIANE DELL’IDEOLOGO SOVRANISTA DI PUTIN
Oleksandr Dugin, l’ideologo del putinismo, ha legami e conoscenze anche in Italia, in primo luogo con la Lega di Matteo Salvini, ma in una delle interviste degli ultimi mesi esprimeva grande apprezzamento per Giorgia Meloni: “Ho un presentimento, si farà strada”.
Sul fronte leghista è Gianluca Savoini ad introdurre Dugin, che parla perfettamente l’italiano, al leader del Carroccio.
Tra i due si stabilisce una relazione, tanto che nel 2016 è proprio Dugin ad intervistare Salvini, in occasione di una visita a Mosca, negli studi di Tsargrad, la tv del ministero della Difesa russa.
Due anni dopo, nel 2018, il padre della ‘Quarta Teoria Politica’ (che supera fascismo, comunismo e liberalismo in nome di un populismo sovranista) benedice il neonato governo gialloverde: “Ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contribuito a far smetter di demonizzare il populismo, e anche i Cinque Stelle. Insieme a loro ha vinto anche il popolo, in questa nuova lotta contro le élite per ritrovare la propria identità”.
La “grande simpatia” per il leader leghista si va però raffreddando pian piano. La caduta dell’esecutivo gialloverde viene definita “un’occasione mancata” e Salvini finisce nel mirino: “La sua trasformazione in senso atlantista e liberale è un peccato, perché ha perduto la dimensione del vero populismo”, commenta Dugin, deluso per “l’influenza della destra liberale Usa” sul leghista.
Da ultimo, il nuovo Rasputin dice di apprezzare Meloni per le sue critiche alle misure anti-Covid e la distanza “dalle politiche fallimentari del globalista e liberale Draghi”. Fino al vaticinio: “Se seguirà rigorosamente gli ideali e i valori che proclama, sarà, secondo me, molto significativo. Quando l’Italia – con la Meloni o chiunque altro – diventerà sovrana, allora e solo allora le cose cominceranno ad andare”.
(da Ansa)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
C’E’ CHI RICORDA CHE DURANTE L’INTERVENTO RUSSO IN CECENIA FURONO ATTRIBUITI AI SERVIZI SEGRETI RUSSI DEGLI ATTENTATI PER ALZARE LA TENSIONE
Un attentato che segue di poche ore gli attacchi contro i militari russi in
Crimea — che pure non sono stati ufficialmente rivendicati da nessuno. Ma per molti in Russia, come ha detto esplicitamente anche la tv nazionalista Tsargrad, c’è la mano di Kiev dietro l’attentato che ha causato, nella notte tra sabato 20 e domenica 21, la morte di Darya Dugina, figlia dell’ideologo di Putin Alexander Dugin.
Che avrebbe agito con l’ intento di far capire a tutti gli abitanti del Grande Paese che l’Operazione militare speciale è in realtà una guerra vera e propria. E che la guerra non risparmia nessuno — e non si combatte solamente «altrove».
Se verrà mai confermata la matrice ucraina (ma è difficile che un atto terroristico come questo venga mai firmato), la distruzione della Toyota è innanzitutto un messaggio a Vladimir Putin che considera l’ideologo Dugin come una specie di padre spirituale. E a tutti i silovikì (quelli che provengono dalle forze armate e dai servizi di sicurezza) che circondano il leader russo.
Da ieri sera nessuno è più al sicuro o al di là della portata dei «partigiani» ucraini. Gli Stati Uniti e la Nato, che stanno rifornendo il Paese aggredito con artiglieria pesante e a lunga gittata, hanno ottenuto la rassicurazione che le nuove armi non sarebbero state usate per indirizzare i colpi verso il territorio della Russia.
Lo Stato Maggiore di Zelensky sta rispettando questa consegna, ma ha deciso di ricorrere ad altri strumenti, a cominciare dai droni (come quello che si è schiantato sul comando della flotta russa del Mar Nero) che non rischiano di innescare uno scontro diretto tra Mosca e l’Occidente.
E poi è iniziata l’attività dei partigiani ucraini dietro le linee nemiche. Bandiere e murales che compaiono ovunque, azioni di sabotaggio nelle retrovie, dal Donbass alla Bielorussia.
L’esplosione dell’auto sulla quale si trovava la figlia del filosofo Dugin (e sulla quale originariamente doveva essere pure lui) è un altro passo su questa strada?
Portare la guerra nel cuore della Russia fu la strategia che adottarono gli indipendentisti ceceni alla fine degli anni Novanta, quando innescarono una serie di attentati in varie città russe, compresa la capitale. A Grozny si muore per mano russa e ora noi facciamo vedere agli stessi russi cosa vuol dire avere il nemico in casa, era la tesi dei leader ceceni più radicali.
Ma quella strategia non ebbe successo. Anzi, servì a compattare la popolazione dietro alle autorità e a lanciare in orbita Vladimir Putin appena nominato primo ministro che divenne popolarissimo con la sua promessa di «andare ad ammazzare i terroristi fino nel cesso».
Il fallimento di quelle iniziative fu talmente clamoroso che gli oppositori del potere si dissero convinti che alcuni di quegli attentati, come quello sventato all’ultimo momento nel settembre 1999 in un palazzo di Ryazan (a sud di Mosca), fossero stati organizzati dagli stessi servizi segreti russi proprio per alimentare la «strategia della tensione». Accusa sempre sdegnosamente respinta da Putin.
L’uccisione di Daria Dugina ha già scatenato richieste di ritorsioni immediate e violentissime contro il «Reich ucraino», come viene chiamato il governo di Kiev. E Putin, o i super falchi che lo circondano, potrebbero trarne spunto per colpire anche quelle aree che fino ad ora sono rimaste fuori dalla guerra o per ricorrere a nuovi, più pesanti strumenti bellici.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
INVITATO PIU’ VOLTE IN ITALIA DALLA LEGA
Aleksandr Dugin, 60 anni, è un filosofo russo noto per le sue opinioni anti-occidentali, di estrema destra e «neo-eurasiatiche». Negli Stati Uniti, e in generale in Occidente, non di rado viene presentato come il “cervello di Putin” o il “Rasputin di Putin”. In Italia – dove è conosciuto come l’ideologo dello zar – Dugin è stato osannato da Gianluca Savoini, l’amico di Matteo Salvini che lo ha più volte ospitato in eventi pubblici in Italia, presentandolo al leader leghista.
Aleksandr Gel’evič Dugin nasce a Mosca il 7 gennaio 1962 in una famiglia fedele all’Ideale sovietico e ortodossa nell’appartenenza al, e nella devozione del, comunismo.
La madre era una dottoressa, il padre un ufficiale del servizio segreto più segreto del mondo: il Kgb. Al centro del suo pensiero, accanto alla lotta al liberalismo, c’è l’Eurasia. Dugin è ritenuto appunto fomentatore dell’ideologia ultranazionalista «eurasiatica» – bollata come «fascismo russo» – che ispira la politica estera «imperialista» di Vladimir Putin e quindi anche l’invasione dell’Ucraina. E’ sotto sanzioni internazionali dal 2015, come «ideologo» dell’annessione della Crimea alla Russia.
Negli ultimi anni è stato definito dai media occidentali come uno degli ispiratori della politica estera di Vladimir Putin, mentre la stampa russa lo considera una «figura marginale» per le sue opinioni «ritenute troppo radicali anche dai nazionalisti».
Nel 2014 – riporta Russia Today – è stato licenziato dall’Università statale di Mosca dopo il suo appello a «uccidere, uccidere, uccidere» gli ucraini in seguito agli scontri di Odessa del 2 maggio in cui gruppi neonazisti bruciarono vivi oltre 40 filo russi.
Darya svolgeva un intenso impegno intellettuale nella scia del padre. In una recente intervista, rilasciata a maggio scorso alla testata online geopolitika.ru, era intervenuta sull’aggressione russa all’Ucraina. Sposando, senza sorprese, le posizioni del padre e la linea del Cremlino. »La situazione in Ucraina è davvero un esempio di scontro di civiltà; può essere visto come uno scontro tra la civiltà globalista e quella eurasiatica» aveva detto. «Dopo “la grande catastrofe geopolitica” (come il presidente russo ha definito il crollo dell’Urss), i territori dell’ex Paese unito sono diventati ‘confini’ (zone intermedie) – quegli spazi su cui è aumentata l’attenzione dei vicini, con la Nato e soprattutto gli Stati Uniti interessati a destabilizzare la situazione ai confini della Russia».
Aggiungeva Darya Dugina: «Se le élite liberali occidentali insistono così tanto nel sostenere Kiev e demonizzare Mosca, è perché dietro c’è una logica di profitto. Tutto deve essere messo in discussione. Questo è un principio importante che ci permette di mantenere un occhio lucido. Nella società dello spettacolo, della propaganda e della natura totalitaria dei sistemi occidentali, il dubbio è un passo essenziale per uscire dalla caverna…».
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
DEGNA DEL PADRE: “AUTRICE DI ALTO PROFILO DELLA DISINFORMAZIONE RUSSA SULL’AGGRESSIONE AL POPOLO UCRAINO”
Darya Platonova Dugina, la figlia dell’ideologo eurasiatista Aleksandr
Dugin morta nell’esplosione del veicolo su cui viaggiava nei pressi della capitale russa, aveva trenta anni, era laureata in filosofia all’Universita’ Statale di Mosca e aveva approfondito gli studi sul neoplatonismo ma rivendicava come riferimenti culturali anche Antonio Gramsci, Martin Heidegger e il sociologo francese Jean Baudrillard.
Il 4 giugno scorso fu inclusa nella lista delle persone sanzionate dal governo del Regno Unito (tra loro il magnate Roman Abramovic) per avere espresso appoggio o promosso politiche favorevoli all’aggressione russa dell’Ucraina.
Figurava al numero 244 dell’elenco delle 1.331 persone fisiche sanzionate, quale “autore di alto profilo della disinformazione circa l’Ucraina e riguardo all’invasione russa dell’Ucraina su varie piattaforme online”, nonche’ responsabile per il supporto e la promozione di politiche o iniziative di destabilizzazione dell’Ucraina per comprometterne o minacciarne “l’integrita’ territoriale, la sovranita’ e l’indipendenza”.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2022 Riccardo Fucile
L’IDEOLOGO DI PUTIN AVEVA CAMBIATO AUTO ALL’ULTIMO MOMENTO
Un’auto guidata dalla figlia dell’ “ideologo di Putin” Aleksandr Dugin, Daria Dugin (o Darya), è saltata in aria nei pressi del villaggio di Velyki Vyazomi, alla periferia di Mosca.
La conducente Daria Dugin, figlia di Aleksandr Dugin, è morta in quello che appare come un attentato. Daria Dugin aveva 30 anni.
Secondo il Daily Mail, che cita fonti russe i due, che tornavano da un evento pubblico, avrebbero dovuto viaggiare sulla stessa auto, ma Dugin avrebbe all’ultimo istante preso un altro veicolo.
Su Twitter circolano numerose immagini e video del luogo dell’esplosione. Per alcuni, Dugin stesso sarebbe stato l’obiettivo. Ma in un videosi vede lo stesso Dugin sul luogo dell’incidente. Avrebbe quindi evitato un attentato potenzialmente rivolto a lui.
Secondo RT, sarebbe proprio il filosofo e politologo ultranazionalista russo l’uomo con le mani nei capelli che si vede nei video girati sulla scena dell’esplosione.
L’auto sulla quale viaggiava Daria Dugina era una Toyota Land Cruiser Prado, di proprietà del padre. L’esplosione, riferisce la Tass, è avvenuta nell’area di Bolshiye Vyazemy, nella periferia di Mosca.
Le autorità russe hanno aperto un’indagine sull’incidente che, secondo il Comitato Investigativo della Federazione Russa, sarebbe un attentato. Il Comitato infatti ha affermato che l’esplosione sarebbe stata causata da un ordigno installato a bordo dell’auto.
(da agenzie)
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