Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
I RAPPORTI DECENNALI TRA IL RAS DELLE CLINICHE PRIVATE E IL SUOCERO DEL “CAPITONE”, DENIS VERDINI… NELLA SCORSA LEGISLATURA ANGELUCCI SI È PRESENTATO SOLO AL 3,2% DELLE SEDUTE
Più che tirare il Carroccio, caricandolo di voti, Antonio Angelucci sembra essercisi accomodato sopra per farsi trasportare nuovamente in Parlamento, dove non mette quasi mai piede ma dove ha un seggio garantito da 14 anni.
L’ex portantino dell’ospedale San Camillo di Roma, diventato poi imprenditore della sanità, editore e immobiliarista, dopo tre legislature con Forza Italia è stato candidato nel plurinominale dalla Lega, al primo posto sia in Lazio 1 che in Lazio 2.
Un posto sostanzialmente blindato, su cui a quanto pare non hanno potuto proferire verbo gli esponenti regionali del partito e su cui ha deciso in autonomia Matteo Salvini. I rapporti tra il ras delle cliniche e Denis Verdini sono annosi e sarebbe bastata al “Capitano”, fidanzato con Francesca Verdini, una parola del “suocero” per assicurare altri cinque anni da parlamentare al 77enne di Sante Marie.
Angelucci da parlamentare ha un record: quello dell’assenteismo. Nella scorsa legislatura si è presentato solo al 3,2% delle sedute a Montecitorio. Non si ricordano suoi particolari interventi in aula. Non presenta atti di sindacato ispettivo e, fatta eccezione per una proposta di legge sull’ippoterapia, non sembra particolarmente interessato neppure al fronte legislativo.
In quattordici anni nel Lazio sicuramente non è stato uno dei portatori di voti per Forza Italia e non si ha memoria di un suo improvviso impegno per quella Lega che da partito del Nord ambisce, o forse ambiva, a diventare il primo partito di centrodestra a livello nazionale.
Ma per Salvini ora come per Silvio Berlusconi prima tutto questo non conta e il seggio per Angelucci, editore dei quotidiani Libero e Il Tempo, è garantito.
Il parlamentare è imputato per tentata corruzione, relativamente a una mazzetta da 250mila euro che nel 2017 avrebbe offerto all’assessore regionale alla sanità Alessio D’Amato, per ottenere il via libera al pagamento dei crediti alla clinica San Raffaele Velletri, alla quale la Regione aveva già revocato l’accreditamento. Sempre per quella clinica è stato processato e poi assolto dall’accusa di una maxi truffa al sistema sanitario.
L’onorevole è stato inoltre condannato in primo grado a un anno e quattro mesi per falso e tentata truffa, relativamente ai finanziamenti pubblici ricevuti nel 2006 e nel 2007 da Libero e dal Riformista, ed è infine in corso una delicata indagine sui tanti morti, durante la prima ondata del Covid, al San Raffaele di Rocca di Papa.
Nel 2011 Angelucci concesse un prestito milionario a Denis Verdini, in difficoltà per i debiti contratti con il Credito Fiorentino. L’ex uomo forte del centrodestra in Toscana sarebbe stato inoltre l’artefice dell’incontro a Montecitorio tra l’onorevole imprenditore e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, per discutere di sanità. Tra una cena da PaStation e una colazione al bar Ciampini, i rapporti tra Angelucci e Verdini sarebbero stati sempre intensi e avrebbero pesato nella candidatura.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
“IL PROGRAMMA ECONOMICO DEI SOVRANISTI È LA RICETTA PERFETTA PER IL DEFAULT”… “LA CREDIBILITÀ INTERNAZIONALE? NESSUN LEADER EUROPEO VORRÀ STRINGERLE LA MANO”
Dice, Carlo Calenda, che “in quanto ad agenda economica, Nicola Fratoianni e Giorgia Meloni sono in perfetta sintonia: professano lo stesso statalismo improvvisato”. E però dei due, è una sola quella che ha legittime ambizioni di applicarle al governo, quelle ricette.
“E così porterebbe l’Italia non tanto all’epoca truce del Ventennio, ma in zona Venezuela”.
Donna Giorgia come Maduro? “Il programma economico della destra sovranista è la ricetta perfetta per il default. E poi le continue, surreali dichiarazioni di voler modificare il Pnrr negoziato con Bruxelles da Draghi. Magari realizzerebbe un decimo di quello che promette, ma con il solo uso scriteriato della propaganda Meloni sta producendo una fuga degli investitori internazionali dal nostro mercato del debito. In questo, la sua ascesa è analoga a quella di Salvini”.
E allora anche i sospetti di nostalgie che la Meloni si porta dietro, questo suo “non avere altra cultura politica personale se non quella dell’epica dei fasci di Colle Oppio”, è preoccupante in quest’ ottica: “Sul piano, cioè, della credibilità internazionale, perché nessun leader europeo vorrà stringerle la mano”. E dunque la previsione del leader del Terzo polo, è netta: “Al governo, la Meloni durerà sei mesi”.
Sei mesi? Lo si diceva anche del M5s: e invece. “Ma l’agenda della Meloni è semplicemente irrealizzabile”, insiste Calenda. “Duecento miliardi di nuove spese: questo è il programma della destra. Una sintesi di anarcosfascismo che acuirà le tensioni sociali
Anche perché il primo atto che la destra dovrebbe fare sarebbe una delle leggi di Bilancio più severe degli ultimi anni. Altro che flat tax e quota 41. E poi la crisi energetica: Meloni, sull’opposizione all’indispensabile rigassificatore di Piombino, è alleata proprio di Fratoianni e Bonelli. Ed è convinta di nazionalizzare tutto. Pur di compiacere i sindacati organizzati della ex Alitalia, considera tutto sommato un effetto collaterale marginale il dover accollare ancora una volta i conti di Ita sui contribuenti. Questo suo protezionismo pecoreccio tradisce in realtà una grossa sfiducia verso la nazione di cui si professa patriota: l’idea, cioè, che solo rinunciando alla competizione con gli altri, alle sfide che l’Europa ci pone, possiamo restare in piedi”.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL DIRITTO ALL’ABORTO NON C’ENTRA NULLA CON IL SOSTEGNO ECONOMICO, SONO DUE NORME DIVERSE
Non toccheranno la legge 194, ma c’è l’intenzione – almeno personale – di ritoccarla con una implementazione. A dirlo è il segretario della Lega Matteo Salvini che sostiene che all’interno di quella norma, in vigore dal 1978, manchino i sostegni economici nei confronti delle donne che devono decidere se portare a termine, o meno, una gravidanza. Peccato che la legge non sia “economica”, ma la sua natura è quella di garantire un diritto alle donne.
In collegamento con “24 Mattino Estate” (su Radio24), il leader della Lega ha risposto a una domanda sulla legge 194 del 1978 che regolamento il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza in Italia. Li ha rassicurato sul fatto che non vi sia alcuna intenzione di cancellare quella norma, ma ha proposto un’implementazione: “Non toccheremo mai la legge 194, l’ultima parola spetta alla donna e non allo Stato. La 194, dal mio punto di vista, va implementata offrendo la possibilità di scelta a chi dovesse abortire per motivi meramente economici di poter far diverso con l’aiuto dei centri di aiuto alla vita. Molto banalmente: io non voglio tornare indietro, voglio solo andare avanti. Vorrei potenziare l’investimento economico per chi non ha alternative, perché la grande maggioranza delle donne che fanno quella scelta drammatica che ti segna la vita, se hai un sostegno economico…”.
La discussione è proseguita sui costi che ogni famiglia (o singolo genitore) deve sostenere nel percorso di crescita di un bambino e per questo Matteo Salvini ha proposto di seguire quanto fatto in Ungheria da Victor Orban, dove l’aborto è vietato se non in alcuni scasi specifici: “La legge più avanzata per la famiglia è quella dell’Ungheria: là ci sono tantissimi aiuti, congedi parentali estesi anche ai nonni ed è tra le più avanzate d’Europa”.
Al netto del riferimento all’Ungheria, non propriamente un Paese in cui i diritti delle donne sono garantiti (specie se si parla di diritto all’interruzione di gravidanza), non è necessaria alcuna implementazione della legge 194 in Italia.
Quella norma, infatti, serve solamente a garantire alle donne il diritto all’aborto, anche all’interno delle strutture pubbliche. Seguite dai professionisti, anche se nelle Marche – come denunciato questa mattina da Chiara Ferragni – tutto ciò è stato reso quasi impossibile. Un conto – dunque – è la legge vigente dal 1978, un altro è fornire sostegno economico alle famiglie o alle donne single incinte. Due mondi paralleli su cui non è necessario fare propaganda.
(da NextQuotidiano)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
“HA RESO PRATICAMENTE IMPOSSIBILE ABORTIRE NELLE MARCHE, UNA POLITICA CHE RISCHIA DI DIVENTARE NAZIONALE”
Chiara Ferragni fa appello sui suoi social a non votare per il partito di Giorgia Meloni. Nell’ultima storia pubblicata su Instagram, l’influencer riposta un contenuto del profilo di The Vision, rivista online lanciata nel 2017 dal cofondatore di Vice Italia, Andrea Rasoli, e dedicata ai millennial italiani.
L’immagine è di una stanza d’ospedale con al centro un lettino nero, quello su cui ogni donna è invitata a sedersi per sottoporsi ai controlli necessari prima di abortire. In basso, la scritta «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni».
Nel ricondividere la storia sul suo profilo, Ferragni aggiunge un commento: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano».
Una presa di posizione che non lascia spazio a equivoci sull’avversione per il partito che dal 2020 governa la regione Marche e che, da settimane in testa nei sondaggi, è tra i papabili candidati alla guida del prossimo Esecutivo. Non è la prima volta che l’imprenditrice digitale per antonomasia esprime pareri, perlopiù critici, sui politici italiani.
Quasi un anno fa era stato il Ddl Zan l’oggetto di uno scontro mediatico contro i senatori che ne votarono l’affossamento: «Siamo governati da pagliacci senza palle», fu il pungente j’accuse della moglie di Fedez su Instagram, detonatore, nel giro di attimi, di polemiche durate giorni e rinfocolate proprio dai social.
Come un anno fa per le discriminazioni di genere, l’imprenditrice torna oggi a schierarsi a difesa dei diritti civili, sfruttando l’enorme influenza mediatica conquistata negli anni e, verosimilmente anche stavolta, il sostegno del marito Fedez.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
AMMESSO CHE VINCA, LA TRIMURTI MELONI-SALVINI-BERLUSCONI DOVRÀ PASSARE SOTTO LE FORCHE CAUDINE DEL QUIRINALE… SARANNO BEN QUATTRO I DICASTERI CHE DOVRANNO ESSERE “CONCORDATI” CON MATTARELLA: ECONOMIA, ESTERI, GIUSTIZIA E VIMINALE
Ma dove vai se il Mattarella non ce l’hai? Ammesso che vinca, il governo non sarà espressione totale del centrodestra.
La trimurti Meloni-Salvini-Berlusconi dovrà passare sotto le forche caudine del Quirinale. Vi ricordate le sonore ‘’bocciature’’ quirinalizie dei vari Sapelli e Savona?
E Giggino di Maio, in era Conte 2, poté fare il suo trionfale ingresso nei saloni della Farnesina come ministro degli Esteri solo dopo che venne “garantito” dal potentissimo segretario generale della Presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti, che aveva conosciuto e fatto da balia asciutta all’ex bibitaro del San Paolo all’epoca della sua presidenza della Camera dei deputati.
Bene, avvisate la maldestra trimurti che saranno ben quattro i dicasteri che dovranno essere “concordati” con la Mummia Sicula: Economia, Esteri, Giustizia e Viminale.
E questa volta, a tenere su il pannolone di Berlusconi, non c’è più Gianni Letta, referente e polizza-scudo con il Deep State pensionato ai giardinetti senza tanti riguardi dalla triade Ronzulli-Salvini-Tajani.
Riuscite a immaginare il neo-meloniano Tremonti a via XX Settembre? Nemmeno con un’overdose di Lsd.
E non solo perché esplicitamente anti-draghiano ma anche perché il Berlusca ha considerato la candidatura di Giulietto in Fratelli d’Italia un affronto personale: non ha mai dimenticato la salita al Colle del 2011 di Tremonti, nei giorni terribili della lettera di Trichet e dello spread a 500 che segnarono la fine del suo governo.
Per il Cavaliere l’incontro di Tremonti con l’allora presidente Napolitano era un tentativo di prendere la sua poltrona a Palazzo Chigi (cosa non vera). Insomma, tranquilli: il peggio deve ancora arrivare…
(da Dagoreport)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
PRENDE LE DISTANZE ANCHE LA COMUNITA’ DI SAN PATRIGNANO: “IL NOSTRO SIMBOLO NON DOVEVA ESSERE SUL CARTELLONE CHE PUBBLICIZZA LA MOSTRA, AVEVAMO DIFFIDATO GLI ORGANIZZATORI DALL’USARLO”
Adesso è chiaro: non è una mostra che può lasciare indifferenti. «Mi dispiace molto per quello che sta emergendo sull’esposizione dal titolo O Roma o morte. Un secolo dalla marcia», dice il sindaco di Predappio Roberto Canali, eletto 3 anni fa con una lista di centrodestra.
«Fin dall’inizio, l’impatto della mostra non mi convinceva. Trovo molto brutto quel manifesto e non so valutare nel merito l’allestimento. Mi dispiace per le minacce e mi dispiace anche perché non bisogna venire a Predappio con le intenzioni sbagliate. Il fatto è che non ho margini di intervento. Quello è un luogo privato, un bar riadattato. Gli organizzatori hanno chiesto al Comune solo un cambio di destinazione d’uso. Così la mostra è qualcosa che sfugge a qualsisia tipo di giurisdizione».
Forse è per questo che attira vecchi e nuovi sedicenti fascisti, e che le pagine del registro delle presenze sono piene di parole che inneggiano al Duce. Prende le distanze il sindaco di Predappio.
Prende le distanze uno dei nomi più importanti che stanno nel manifesto pubblicitario. «Il simbolo di San Patrignano non doveva essere su quel cartellone, avevamo diffidato gli organizzatori dall’usarlo» spiega Giorgia Gianni, responsabile delle relazioni esterne. Invece il nome è rimasto. All’ingresso della mostra e su tutti i volantini. «Non lo sapevamo. Informeremo il nostro ufficio legale».
E se gli organizzatori della mostra sul fascismo, il professor Franco D’Emilio e l’avvocato Francesco Minutillo, sostengono di aver ricevuto diversi inviti in giro per l’Italia, ecco una pioggia di smentite. «L’Università la Sapienza di Roma non ha in programma di ospitare la mostra, iniziativa di cui l’Ateneo non è a conoscenza».
Così come non ne vuole sapere lo storico direttamente chiamato in causa dagli organizzatori, il professor Giuseppe Parlato: «Smentisco nettamente qualsiasi mio coinvolgimento».
A questo punto resta da domandare ai due organizzatori il perché di questa “appropriazione indebita”. Risponde D’Emilio: «Mi stupisce la presa di posizione di San Patrignano, perché ero presente durante i colloqui per il patrocinio. E il fatto che finora non abbiamo mai adito a vie legali è significativo».
Ma come avete potuto chiamare in causa addirittura La Sapienza e un professore di Storia? «La proposta ci è stata sottoposta da un commercialista romano di nome Marchetti, in stretto contatto con la fondazione Ugo Spirito, il cui presidente è».
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
SE SALVINI PORTA LA LEGA SOTTO IL 10% VERRA’ GIUBILATO (IL SUO MANDATO VA IN SCADENZA IL PROSSIMO INVERNO) – NEL PD LETTA RISCHIA MENTRE CONTE DEVE GUARDARSI DA RAGGI E DI BATTISTA
La battaglia (almeno quella sulle liste) è finita. Ma la guerra rischia di essere appena cominciata. Perché lo scontro intestino che per giorni ha avvelenato l’aria nei partiti, complice il numero ben più ristretto di scranni parlamentari sicuri che i leader hanno potuto elargire rispetto al passato, ha lasciato sul campo un numero insolitamente alto di caduti e di feriti. Decisi, a destra come a sinistra, a farla pagare ai loro generali.
Per ora da una parte e dall’altra ci si limita a far filtrare il malumore. Ma non è difficile intuire che la musica, all’indomani del voto, cambierà. E che i delusi di oggi si stiano già preparando a presentare il conto il 26 settembre.
I bersagli dei rispettivi redde rationem rischiano di essere (almeno) tre: Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte.
Non è un caso se nei bisbigli che trapelano da via Bellerio, quartier generale leghista, già da qualche tempo girano vorticosamente un paio di numeri: 10 e 15 per cento. Da intendere come la forchetta di risultati in grado di segnare il destino del segretario federale del Carroccio. Il cui mandato neanche a farlo apposta da statuto dovrà essere rinnovato il prossimo inverno. «Se Salvini alle urne fa più del 15%, la riconferma è scontata […] Se fa di meno, si può aprire una discussione. Ma se dovesse avvicinarsi al dieci, o addirittura andare sotto quel risultato…».
Nel Pd non mancano le vittime del «rinnovamento generazionale» che a Enrico Letta hanno già giurato battaglia. E per dare il la al day after aspettano solo di veder passare nel fiume il cadavere (politico) del segretario. Ha fatto rumore la scelta di escludere nomi di peso come quello dell’ex ministro dello Sport Luca Lotti. E da Nord a Sud ribolle il malcontento dei vertici locali, imbufaliti con Roma per i candidati catapultati dal Nazareno. Ed ecco che le possibilità di un congresso post-voto. E c’è chi già individua un papabile successore: il governatore emiliano Stefano Bonaccini.
E i Cinquestelle? Dai rumors in uscita in via di Campo Marzio, per il presidente M5S la soglia «di non ritorno» sarebbe intorno al 10 per cento. Sotto quella cifra, addio al «partito di Conte», come lo chiamano critici ed esclusi. Esclusi come l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, che molti vedono già scaldarsi a bordo campo. Pronta a tornare in partita in caso di batosta elettorale dell’avvocato. Magari in tandem con Alessandro Di Battista. Che sì, aveva escluso un ritorno nelle file stellate. Ma in caso di addio di Conte, suggeriscono voci grilline, «potrebbe sempre ripensarci».
(da il Messaggero)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
HANNO SBAGLIATO LE PREVISIONI DEL TEMPO E FATTO ANNULLARE LA FESTA NAZIONALE… SONO SALTATI I FUOCHI D’ARTIFICIO E IL SOVRANISTA FA SALTARE GLI ESPERTI METEO
In Ungheria sbagliare le previsioni del tempo può costare il posto di lavoro. Lo sanno bene la capa del servizio metereologico nazionale, Kornelia Radics, e il suo vice, Gyula Horvath, che sono stati licenziati in tronco dal ministro per la Tecnologia, Lazlo Palkovics, per aver consigliato di posticipare uno spettacolo di fuochi di artificio dopo aver previsto un possibile diluvio su Budapest.
L’evento era programmato per sabato 20 agosto. Non una data qualunque per gli ungheresi, in quanto giorno di festa nazionale, durante le celebrazioni di Santo Stefano, nonché giorno in cui viene celebrata la fondazione dello Stato ungherese.
La presidente del servizio metereologico e il suo vice sono stati raggiunti dalla notizia del licenziamento il giorno dopo le proteste sollevate dalla popolazione.
Le persone, infatti, si erano riversata lungo il Danubio per festeggiare, salvo poi dover fare ritorno a casa dopo l’annullamento dell’evento. Le ragioni del licenziamento non sarebbero state comunicate ai diretti interessati. Ma è plausibile ritenere che l’errore commesso sulle previsioni del tempo sia stato ritenuto «imperdonabile» dal governo ungherese.
(da agenzie)
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Agosto 24th, 2022 Riccardo Fucile
COME E’ CRESCIUTO L’ASTENSIONISMO TRA I GIOVANI
Secondo le principali società di sondaggi, il 25 settembre avremo un nuovo record di non partecipazione al voto anche in questa fascia di elettori. Eppure di loro alla politica importa poco
Quelle che si terranno il prossimo 25 settembre saranno le elezioni più social di sempre. Leader politici che su TikTok attaccano gli avversari, botta e risposta a suon di tweet, comizi e presentazioni di programmi mandati in onda su Instagram e Facebook, per non parlare del fatto che sempre più spesso gli interventi importati sono pensati in inglese e francese.
Sembrerebbe che la tradizione politica si stia piegando un voto dopo l’altro verso il mondo del web per parlare alle generazioni più giovani, i più smart.
Ma tutto questo rischia di ridursi a semplice apparenza. A un mese dal voto, infatti, il portale di sondaggi YouTrend prevede un’affluenza che oscilla intorno al 65%, e che rischia di provocare l’astensione più alta di sempre. E come se non bastasse, il vicepresidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto, ha affermato a Open che, numeri alla mano, ad oggi meno di 1 giovane su 2 andrà a votare, il 48%.
«La sensazione», spiega Gligliuto, «è che i partiti non stiano riuscendo a parlare con quelle generazioni, ma ai genitori di quei figli».È vero che tradizionalmente le fasce d’età più basse tendono a esprimere meno la propria preferenza alle urne rispetto ai più adulti.
Nel 2018, ad esempio, si stima che meno del 55% degli under 35 andò a votare. Tuttavia, se questi numeri dovessero venire confermati dopo il 25 settembre significherebbe che in 4 anni si è perso il 7% degli elettori più giovani. E questo accade nonostante alle scorse elezioni la loro partecipazione ha giocato un ruolo importante nel successo del Movimento 5 Stelle.
Ancora una volta, però, i partiti politici sembrano non voler puntare su questa fascia di elettorato. O forse non sono in grado di intercettare le loro preoccupazioni e le loro necessità, preferendo parlare di pensioni, più che di precariato, e di bonus alle aziende, più che di concreta transizione ecologica.
Le ultime elezioni
Torniamo al 2018. In quel 4 marzo oltre 10 milioni di elettori uscirono dalle urne dopo aver segnato la propria preferenza sotto il simbolo pentastellato. Guidato dall’allora capo politico Luigi Di Maio, il Movimento ottenne il 32% dei voti conquistandosi il gradino più alto tra i partiti. Analizzando questi dati, YouTrend rilevò come i 5S ottennero il 38% dei voti degli elettori con età compresa tra i 18 e i 24 anni. Così tanti da superare quelli raccolti da Pd, Lega e Forza Italia messi insieme. Il cofondatore dell’agenzia di ricerche sociali Quorum/YouTrend Lorenzo Pregliasco spiega a Open come sin dalla sua fondazione e certamente fino alle elezioni di cinque anni fa, il Movimento abbia saputo andare incontro ai più giovani. Ora, però, sull’onda di una più complessiva riduzione dei consensi, si sta verificando un «progressivo appiattimento» sulle altre fasce di età, che potrebbe manifestarsi con più forza quest’anno.
Come testimonia il sondaggio condotto da Izi spa per Repubblica, solo il 41,8% delle persone che li hanno seguiti 5 anni fa, voterà pentastellato anche quest’anno. Un dato che si riferisce all’intero bacino di elettori e che porterà al Movimento un totale di circa il 10% delle preferenze. Statistiche specifiche per i più giovani non sono disponibili, ma Pregliasco afferma come i voti persi dai 5S si dirameranno essenzialmente in 3 direzioni: Fratelli d’Italia, attraverso un passaggio per la Lega, e l’ala più a sinistra del Pd, quindi Verdi-Sinistra italiana e +Europa. Tutti gli altri under 35 andranno a rimpolpare le già ampie fila degli astenuti.
Giovani invisibili
Ovviamente le ragioni del non voto non sono facili da spiegare quando si parla di grandi numeri. Molti appartengono alla categoria dei fuori sede: sono circa 5 milioni i cittadini che il 25 settembre saranno costretti a tornare a casa se vogliono votare e che, tanto più visti gli scarsi aiuti, potrebbero rinunciare a farlo.
Il nuovo modello culturale
Se da un lato le nuove generazioni lamentano di venire ignorati dai leader politici, dall’altro gli under 35, ma più in particolare la Gen Z, viene accusata di non interessarsi alla politica. Eppure, secondo il professore ordinario di Sociologia politica dell’Università di Genova, autore del recentissimo libro Giovani e Politica, la reinvenzione del sociale (Mondadori università 2022) Andrea Pirni, non è proprio così. Intervistato da Open, il professore sostiene che i giovani di questi anni sono diversi da quelli degli ultimi decenni del secolo scorso. Le nuove generazioni, infatti, tendono a costruire in «maniera sempre più autonoma la propria identità». In passato si avvicinavano a un determinato movimento politico in base agli ideali proiettati dalla famiglia e alla propria condizione socioeconomica. Questo costituiva «un modello culturale che sembra non reggere più il confronto con le nuove sfide di questi anni», afferma Pirni. Nel suo testo, scritto a quattro mani con il collega Luca Raffini, il professore spiega che l’individuo a sperimenta oggi nuovi metodi per cercare di identificarsi, spesso fallendo. «Che non è un processo eticamente condannabile, è solo un altro tipo di accesso alla dimensione dell’agire».
Le Sardine bolognesi e Greta Thunberg
Forse sta proprio in questo modo di relazionarsi con la società la spiegazione di quanto accaduto, per esempio, con la nascita e repentina fine del movimento delle Sardine. Era il 14 novembre del 2019 quando migliaia di ragazzi si ritrovarono in modo del tutto improvviso in piazza Maggiore a Bologna per contrastare un evento leghista. Dopo quel giorno, però, i protagonisti di quella iniziativa sono quasi scomparsi dalla scena politica. «Un esempio del nuovo modello, dove un grande consenso immediato si è esaurito rapidamente», commenta il professor Pirni. Diverso è il caso dei Fridays for Future. È innegabile la grande partecipazione che è riuscita a provocare in quasi ogni angolo del mondo l’attivista svedese Greta Thunberg, «ma non è che prima non se ne parlava», commenta Pirni: «Diciamo che in questo modo ha reso popolare il tema del cambiamento climatico».
Argomento generazionale per eccellenza, quello del cambiamento climatico, visto che le conseguenze le vivranno i giovani e giovanissimi di oggi. Per essere convincenti sul tema, però, dice Prini, i leader politici dovrebbero volgere lo sguardo al di là del semplice “qui e ora” e pensare alle conseguenze future delle scelte di oggi». Se non c’è molto sforzo sul punto il problema è anche numerico. I giovani under 35 sono 10 milioni, contro i 26 milioni di over 50 (dati Istat). «La realtà dei fatti è che la fascia generazionale degli under 35 è veramente esile», conclude Pirni sottolineando come questi numeri siano destinati a peggiorare così come la progressiva sfiducia verso la politica.
I giovani verso la politica
Altro tema che sfugge alla politica è la partecipazione al sociale, che invece mobilita moltissimo i nuovi (possibili) votanti. Secondo un sondaggio di Eurobarometro, condotto tra il 22 febbraio e il 4 marzo, «la maggior parte dei giovani (il 58 per cento) è attiva nella società in cui vive e dichiara di aver partecipato alle attività di una o più organizzazioni giovanili negli ultimi 12 mesi». Per l’Anno europeo dei giovani 2022, scrivevano, «l’aspettativa più comune tra i giovani (lo dichiara il 72 per cento, ndr) è che i responsabili politici ascoltino più attentamente le loro istanze e vi diano seguito, e che sostengano il loro sviluppo personale, sociale e professionale». In vista delle elezioni del 25 settembre, c’è qualcuno che si sta adoperando per far diventare questo dialogo realtà.
L’iniziativa 20e30
È l’iniziativa 20e30, nata dall’appello social di un 29enne torinese appassionato di politica, Lorenzo Pavanello che nei giorni della caduta del governo Draghi ha notato un’insofferenza generale tra i suoi coetanei e ha deciso di darle voce. Così si è fotografato con un foglio in mano con le sue richieste alla politica e l’hashtag 20e30, dalla triplice valenza: si rivolge alla generazione dei 20enni e 30enni, con un post che esce alle ore 20 e 30 di ogni giorno, per una politica che guardi al 2030, quindi al futuro. L’iniziativa, nata per puro caso, è diventata virale: in pochissimo tempo la pagina ha ricevuto più di 5mila messaggi a “imitare” quello di Pavanello, con una copertura social di 10 milioni di utenti.
La sfida alle forze politiche è divisa in 20 richieste, le più urgenti, ripartite in cinque macro-tematiche: lavoro e politiche sociali, istruzione e capitale umano, ambiente ed energia, diritti sociali e civili, welfare.
Ai partiti è stato chiesto di rispondere e postare le loro proposte sulla piattaforma 20e30.org. «Subito Pd e M5s hanno aderito in maniera chiara e netta, seguiti dal resto dei partiti di centrosinistra e da alcuni partiti di centrodestra. Forza Italia ha appena aderito e stiamo dialogando con la Lega», spiega a Open Pavanello, sottolineando che il valore aggiunto dell’iniziativa, che ne può a suo parere determinare il successo, è proprio nella «volontà di trasversalità ideologica». «La nostra chiave è strutturarci lontano dai movimenti giovanili dei partiti. Siamo nati veramente dal basso e senza alcuna influenza né aspirazione politica. Siamo tutti lavoratori tra i 27 e i 33 anni, liberi di scegliere e poter essere trasparenti», aggiunge.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lucia Abbinante, 35 anni e direttrice dell’Agenzia nazionale giovani, l’ente governativo che in Italia gestisce i programmi europei giovanili, come l’Erasmus+, e si impegna nel favorire il dialogo tra giovani e istituzioni.
«È difficile occuparsi politicamente dei giovani. Anche perché delle politiche giovanili veramente efficaci richiedono un’azione combinata in moltissimi campi, misure trasversali e intergenerazionali. Questa difficoltà si è tradotta nell’abbandono della categoria o nell’adozione di un approccio totalmente inadeguato, che non tiene conto della complessità del tema e procede per attività sporadiche che non creano una connessione vera tra i giovani, i partiti e la politica», spiega Abbinante.
Il compromesso, secondo la direttrice dell’Ang, dovrebbe avvenire tramite un dialogo strutturato che si ispiri al modello europeo, attraverso l’apertura di spazi nei processi decisionali a livello istituzionale, investendo i giovani di responsabilità.
E propone varie azioni: «Tra le altre cose, è necessario rafforzare il ruolo della delega alle politiche giovanili attraverso l’istituzione di una cabina di coordinamento interministeriale e interregionale sulle misure e l’interlocuzione strutturata con le organizzazioni e i movimenti giovanili, per recepire i contributi che arrivando da un livello più locale. A livello parlamentare – continua – c’è da potenziare l’istituzione di commissioni parlamentari ad hoc, e a livello di rappresentanza consolidare il ruolo del Consiglio nazionale giovani», conclude Abbinante.
(da Open)
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