Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
LA CREAZIONE DI UNA MINACCIA INESISTENTE PER NORMALIZZARE IL GOVERNO E GIUSTIFICARE MISURE SECURITARIE, CON IL PLAUSO DELLA MAGGIORANZA SILENZIOSA DEI SALOTTI REAZIONARI
Prima è stato il turno dei rave, poi quello degli ambientalisti che imbrattano i monumenti e i palazzi istituzionali. Ora è la volta dei movimenti anarchici, passando per la solita lobby gender che minaccia di mostrare la fluidità sessuale in fascia protetta al festival di Sanremo, o per l’Europa che vuole vietarci di bere vino e obbligarci a mangiare insetti. Se c’è un filo rosso – pardon, nero – che attraversa i primi cento giorni del governo Meloni è la carsica riemersione di estemporanee minacce sociali di cui mai si era sentito parlare prima e che si impongono nel dibattito politico attraverso i toni da tregenda del ministro o del parlamentare di turno.
Riavvolgiamo il nastro: è il 30 ottobre scorso quando il ministro dell’interno Matteo Piantedosi, mentre dà mandato di sgomberare l’area nei pressi di Modena in cui si stava svolgendo un rave party – notizia che in tempi normali sarebbe scivolata in coda a un notiziario locale – decide contestualmente di emanare un decreto che introduce il reato di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi”, reato che prevede pene superiori a crimini come omicidio colposo e omissione di soccorso.
E ancora, è il 2 gennaio, quando gli attivisti di Ultima Generazione imbrattano con vernice lavabile il palazzo del Senato della Repubblica per protestare contro l’inazione della politica contro il cambiamento climatico, sollevando le ire del presidente Ignazio La Russa che parla di “offesa a tutte le istituzioni”e di Giorgia Meloni che parla di “atto incompatibile con una civile protesta”, atto a cui seguono arresti e fermi, arrivando addirittura a ipotizzare la sorveglianza speciale- misura solitamente utilizzata per i boss mafiosi – per uno di questi giovani attivisti, Simone Ficicchia.
Il caso di Alfredo Cospito, l’anarchico che sta scontando una condanna per strage al 41 bis segue il medesimo schema. Astraendoci per un attimo dal caso di specie, del quale si potrebbe parlare per giorni– Cospito condannato per una “strage” che non ha fatto né morti né feriti, con l’aggravante della minaccia alla sicurezza dello Stato che non è stata applicata né per le stragi di Capaci e di via D’Amelio, o di quella alla stazione di Bologna, con un regime di detenzione equiparato a quello di un boss mafioso senza che vi sia un’organizzazione politica sottostante tale da giustificarlo -, quel che ne è scaturito è il ritorno agli onori delle cronache di una fantomatica minaccia terroristica anarchica, sotto il giogo della quale l’Italia sarebbe “sotto attacco”, per usare le parole della presidente del consiglio Giorgia Meloni.
Se pensate siano solo armi di distrazione di massa, utili per sviare l’attenzione dalle promesse mancate del governo e dalla sua legge di bilancio senza soldi né idee, avete ragione solo in parte.
Questi tre casi sono a loro modo paradigmatici per definire una strategia in due fasi che ha obiettivi ben più ambiziosi. La prima: quella di “normalizzare” la presenza della destra post fascista al governo e nelle istituzioni costruendo minacce eversive che non esistono. La seconda: quella di giustificare misure securitarie e liberticide per combattere ciascuna di queste minacce.
Il combinato disposto di questa strategia è la vera ragion d’essere di questo governo, a ben vedere: la restrizione degli ambiti del dissenso, l’equiparazione progressiva della protesta politica radicale a un atto eversivo, la stigmatizzazione di stili di vita alternativi al senso comune, l’anteposizione della sicurezza alla libertà.
Farlo con categorie minoritarie e invise alla maggioranza – dai raver, agli ambientalisti radicali, arrivando a un estremista anarchico con un passato non certo edificante e ai detenuti al 41 bis – è il cavallo di Troia attraverso cui far passare questa visione della società senza che nessuno si spaventi, ma al contrario se ne senta rassicurato. È un film che abbiamo già visto, in altri tempi e in altri luoghi. Che accada qui e ora, in Italia nel 2023, senza che nessuno o quasi lo denunci, fa una certa impressione.
(da Fanpage)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
GOVERNO DI TUNISI SI INCAZZA: “HA PARLATO DEL FUTURO DEL NOSTRO PAESE SENZA NEMMENO VENIRCI”
“La presidente del Consiglio dei ministri italiana presto in Tunisia”. Così titolavano a inizio gennaio molti dei quotidiani tunisini, annunciando l’imminente visita di Giorgia Meloni per “affrontare il tema dell’immigrazione irregolare”, ma non solo.
L’Italia si è infatti affermata nel 2022 come primo partner commerciale della piccola repubblica nordafricana, superando colossi come la Cina e la Russia e addirittura la Francia, storico “alleato-padrone” dei paesi del Maghreb, e questo ha illuso molte parti della società tunisina, che ha visto nel successo commerciale un primo punto di partenza per una collaborazione più proficua tra i due paesi del Mediterraneo.
L’attesa visita della premier però non ha mai avuto luogo e questo ha irritato non poco la controparte tunisina.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una frase pronunciata dalla stessa premier durante la conferenza stampa dello scorso 23 gennaio ad Algeri, nel contesto delle interlocuzioni sul cosiddetto “Piano Mattei per l’Africa”: “La nostra lunga chiacchierata (con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboun, ndr) è stata anche un’occasione per parlare degli scenari internazionali in Africa” spiegando che si è discusso, tra le altre cose anche “di Tunisia”.
In Tunisia è scoppiato quindi il “caso Meloni”.
L’analista politico Ibrahim al-Waslati, ripreso dal quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi, ha infatti scritto sui suoi profili social che “Giorgia Meloni ha fatto un’importante visita in Algeria, dove ha concluso la firma di quattro memorandum di intesa e cooperazione. Dopodiché ha fatto una visita analoga in Libia. Quanto alla Tunisia, la Meloni si è accontentata di inviare il suo ministro degli Esteri, accompagnato dal ministro degli Interni, a fare più pressione per fermare le ‘orde’ di immigrati clandestini”.
Dello stesso parere è anche l’ex diplomatico Ahmed Al-Qudidi, che ha scritto in un post su Facebook: “La premier italiana ha letteralmente detto: ‘Abbiamo anche parlato della Tunisia e degli scenari previsti in questo paese!’. Spero che lo dicano anche a noi cosa si aspettano dagli scenari del nostro paese”, invitando il ministro degli Esteri Othman al-Jarandi a protestare contro l’Algeria e l’Italia per interferenza negli affari interni della Tunisia.
Le parole della premier italiana riportano alla mente di molti tunisini alcune dichiarazioni che il presidente algerino Tebboun fece durante la sua visita a Roma lo scorso 26 maggio. Il capo dello stato algerino aveva infatti spiegato, durante una conferenza stampa con il presidente Mattarella, che Roma e Algeri condividono “la stessa visione sulla Tunisia” spiegando che le due parti sono pronte “ad aiutarla a uscire dall’impasse in cui è entrata per riprendere il cammino democratico”.
La Tunisia si sente infatti minacciata da dai due colossi energetici nordafricani, Algeria e Libia, (ma anche dall’Italia per la questione dell’immigrazione illegale), e teme di essere relegata a spettatore del suo destino nella regione mediterranea.
La Tunisia, d’altra parte, si vede sempre più fuori dai grandi progetti mediterranei ed è precipitata in una crisi economica e sociale che sembra non avere fine e che, se non presa sul serio dalle potenze regionali (Italia per prima), potrebbe portare all’esplosione di una nuova crisi migratoria in tutto il Mediterraneo.
(da agenzie)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE COLETTA L’HA CHIARITO IN CONFERENZA STAMPA
Non sarà un messaggio video del presidente ucraino Volodomir Zelensky al Festival ma un breve testo scritto che verrà letto da Amadeus. Il direttore del Primetime e di Rai1 Stefano Coletta l’ha chiarito durante la prima conferenza stampa della settimana sanremese.
“Lo stesso presidente – ha dichiarato Amadeus – non aveva detto ‘sarò in presenza o in video’. Lo abbiamo pensato noi, poi attraverso l’ambasciatore abbiamo saputo che aveva piacere di scrivere una lettera e che io fossi portavoce sul palco dell’Ariston”.
“L’ambasciatore ucraino il pomeriggio del 2 febbraio ci ha detto che avrebbe preferito inviare un testo da far leggere ad Amadeus invece che un video”, ha precisato Coletta. “Dal momento in cui tramite l’intervista con Bruno Vespa, Zelesnky ha annunciato il suo interesse a parlare agli italiani al Festival è iniziato un colloquio quotidiano con l’ambasciatore”.
Rispondendo sulle novità dopo l’incontro con l’ambasciatore ucraino e per chiarire in cosa consiste il controllo preventivo, Coletta ha detto di essere giunto con Yaroslav Melnyk alla definizione del messaggio: “Il presidente non invierà video ma testo, che verrà tradotto dall’ambasciatore e poi letto dal direttore artistico e conduttore”.
Sul controllo preventivo ha detto: “Sorrido che un direttore Rai possa censurare un Presidente, il nostro controllo sarà lo stesso per ogni programma tv, non sappiamo però ancora ne contenuto né forma”.
Su cosa dirà nel suo testo Zelensky, Coletta aggiunge: “non abbiamo ancora contezza del contenuto e della forma. Saremo più puntuali nei prossimi giorni”.
(da agenzie)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
“E’ LA PERCEZIONE DI CHI DEVE FARSI FORZA CONTRO UN AMBIENTE OSTILE CHE VORREBBE RICACCIARLA NEL GHETTO”… “E’ INFONDATA L’IDEA DI EMARGINAZIONE PERCHÉ LA GENERAZIONE DEI 40ENNI E’ ARRIVATA ALLA POLITICA QUANDO LA DESTRA GIÀ DA UN PEZZO ERA ABILITATA A GOVERNARE”
Anche il comizio dei leader per il candidato della destra nel Lazio, Francesco Rocca, ha avuto come chiave principale il tema della rivincita degli esclusi con l’evocazione da parte di Giorgia Meloni della lunga marcia di FdI, fondata sul «coraggio», che «ha messo in sicurezza la destra italiana», «senza mai abbassare la testa o diventare una cosa diversa».
Sono frasi che suscitano sempre molti applausi nei comizi […] perché corrispondono a uno stato d’animo effettivamente percepito dal popolo della destra, dai suoi dirigenti e dai suoi militanti: la sindrome di Davide contro Golia, delle vittime predestinate alla sconfitta che per farcela devono combattere contro forze preponderanti. Abbiamo visto agire questo complesso moltissime volte in questi tre mesi.
Le lamentele contro l’egemonia televisiva delle sinistre, la protesta contro le burocrazie incapaci di adeguarsi «alle politiche nuove e diverse» del governo e con l’evocazione del machete nei loro confronti. La gestione della vicenda Cospito con la descrizione di una destra sottoposta a «linciaggio mediatico» perché denuncia «l’inchino del Pd ai boss mafiosi».
Sono tutti esiti della stessa percezione di sé: quello di un mondo ostracizzato e minoritario che deve farsi forza per continuare la sua battaglia contro un ambiente ostile che vorrebbe ricacciarla nel ghetto (o nelle fogne). Gli underdog, appunto, secondo la prima auto-definizione di Meloni nel suo discorso di insediamento. Bisognerebbe cominciare a raccontarsi un’altra storia, più autentica e magari più impegnativa e sfidante, perché la destra dei quarantenni che oggi governa l’Italia nasce in tutt’altro contesto
È la destra post-Fiuggi, arrivata alla politica quando la destra già da un pezzo era abilitata a governare.
Consiglieri comunali, assessori, consiglieri regionali tra i venti e i trent’anni, nel caso straordinario di Giorgia Meloni vice-presidente della Camera prima dei trenta. E non solo. Questa destra ha avuto ruoli decisionali e voce nelle scelte che contano sia a livello nazionale che locale a riprova vivente di quanto sia infondata l’idea che stare a destra significhi emarginazione ed esclusione.
Perché, allora, questa destra si sente ancora Calimero? E quanto la danneggia, quanto le è di ostacolo, questa eterna percezione di marginalità, questo credersi vittima di tempi ostili? Non favorisce una diversa consapevolezza di sé il milieu mediatico e culturale dove è ormai quasi impossibile trovare qualcosa che incoraggi ragionamenti più compiuti oltre gli antichi riflessi pavloviani dell’anticomunismo militante La sinistra ha avuto e ha quotidiani, opinionisti, aree televisive, dove il dubbio e il richiamo sono la regola
A destra questa mancanza sta facendosi importante. La destra si specchia ogni giorno in riflessioni che la omaggiano con una perenne fanfara incardinano l’idea che ogni obiezione altro non sia che un tentativo di infangare la «rivincita degli esclusi». Non aiuta il mondo della destra a percepire le sue nuove responsabilità e i suoi nuovi doveri
Flavia Perina
(da “La Stampa”)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO ANNUALE DELLA CORTE DEI CONTI: NEL 2021 IL NOSTRO PAESE HA VERSATO NELLE CASSE EUROPEE 18,1 MILIARDI A FRONTE DEI 26,7 RICEVUTI, INCASSANDO QUASI 8 MILIARDI IN PIÙ RISPETTO A QUELLI CHE HA DATO
Con i fondi del Pnrr L’Italia passa nell’Unione Europea da contributore a percettore netto. Stando alla Relazione annuale 2022 della Corte dei conti sui rapporti finanziari Italia-Ue e sull’utilizzo dei fondi europei, ammontano a 18,1 miliardi di euro i versamenti 2021 con cui l’Italia ha partecipato, a titolo di risorse proprie, al bilancio dell’Unione Europea che, sul versante opposto, ha destinato al nostro Paese risorse per 26,724 miliardi, di cui 10,198 legati al Pnrr.
Un aumento complessivo del 129,2% che, sottolineano i magistrati contabili, ha invertito la posizione italiana da quella di contributore a quella di percettore netto sul versante dei fondi Europei.
All’interno di uno scenario – prosegue la Corte – che vede significative interconnessioni tra il Pnrr e le politiche supportate dai Fondi strutturali, il quadro generale di attuazione finanziaria della programmazione 2014-2020 desta alcuni elementi di preoccupazione, legati principalmente alle maggiori risorse di provenienza europea cui ancora non corrisponde una dinamica positiva in termini di pagamenti. Questo, malgrado il lieve miglioramento registrato nella loro percentuale (55% al 31 ottobre 2022, contro il 48 del 2021.
L’assegnazione delle risorse aggiuntive relativa all’iniziativa React-Ue, articolata in 8 Programmi Operativi Nazionali, ha incrementato la dotazione complessiva per la programmazione finanziaria da 50,5 a 64,39 miliardi di euro, in un quadro regolamentare che conferma il termine ultimo di ammissibilità della spesa al 31 dicembre 2023.
Termine comunque impegnativo, osservano i magistrati contabili, nonostante sia stato realizzato il superamento, da parte di tutti i programmi, del target di spesa previsto dalla regola del disimpegno automatico, al 31 dicembre 2022. Per quanto attiene all’attuazione finanziaria del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) al 31 ottobre 2022, l’avanzamento della spesa ha raggiunto il 61,2 % della dotazione finanziaria complessiva.
Sul fronte delle irregolarità e frodi, i 405 casi rilevati dalla Corte nel 2021 (aggiornati al giugno 2022) sono in lieve aumento sul 2020, con un importo complessivo (57,4 milioni di euro) per lo più riferito alle spese de-certificate (non incidenti cioè sul bilancio Ue, ma su quelli nazionale e/o regionali) e una prevalenza sulla politica agricola e sulla programmazione 2014-2020, rispetto a quella precedente, 2007-2013.
(da Il Foglio)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI 100 TENTATIVI DI PRENOTAZIONE, 28 SONO FINITI NEL PRIVATO
In Italia da tempo indefinito la certezza di avere un esame o una visita medica in tempi rapidi ce l’ha solo chi può permettersi di pagare. Prima della pandemia, secondo il Censis, 19,6 milioni di italiani si sono visti negare almeno una prestazione dei livelli essenziali di assistenza in un anno e, presa visione della lunghezza della lista di attesa, hanno proceduto a farla di tasca propria: ogni 100 tentativi di prenotazione, 28 sono finiti nel privato (qui il documento).
Dopo i due anni di picco del Covid (2020-2021) che cosa sta succedendo? Vale l’immagine che abbiamo utilizzato più volte: immaginate una lunga fila al binario che attende di salire sul treno a cui si sommano i passeggeri di oggi. Se al treno non vengono aggiunte altre carrozze, ci saranno sempre più passeggeri che dovranno rimandare quel viaggio, che in molti casi gli può salvare la vita, o in alternativa pagarsi un trasporto privato. È il motivo per cui recuperare velocemente le prestazioni sanitarie perse durante il Covid, a causa della paralisi dell’attività programmata, è per il Servizio sanitario nazionale una assoluta priorità. E per due ragioni: 1) la maggior parte della popolazione non può permettersi la sanità a pagamento; 2) il ritardo di una cura o di una diagnosi va ad aggravare sia il paziente che le casse pubbliche. Un’elaborazione di dati fatta per Dataroom dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che fa capo al ministero della Salute ci permette di capire quanto è lunga quella coda e perché non si riesce ad accorciarla.
Esami e visite saltati
Rispetto al 2019, nel 2020 e nel 2021 sono state fatte in meno oltre 12,8 milioni di prime visite e 17,1 milioni di visite di controllo. Per quanto riguarda gli esami, sono stati persi 1,3 milioni di ecografie all’addome, sono saltati 3,1 milioni di elettrocardiogrammi e più di mezzo milione di mammografie. La lista può continuare, ma la storia non cambia: almeno una prestazione ambulatoriale su cinque è stata rinviata. Così adesso il diktat per tutte le Regioni – anche su indicazione dei governi che si sono alternati – è di tornare almeno ai livelli del 2019. Un obiettivo su cui potrebbero essere sollevate almeno due obiezioni. La prima: ci sono stati purtroppo oltre 186 mila morti di Covid, tra i quali soprattutto malati cronici che sono i principali consumatori di Sanità. La seconda: una parte delle prestazioni saltate poteva non essere strettamente necessaria e dunque, passato quel determinato momento, non venire più richiesta. In sintesi: potrebbero essere saltati esami e visite che oggi non devono essere recuperati perché chi ne aveva bisogno è deceduto oppure perché il problema si è risolto spontaneamente.
La richiesta di prestazioni
La realtà dei fatti e dei numeri però è impietosa: nel 2022 la richiesta di visite ed esami non solo è ritornata ai livelli del 2019, ma è addirittura in crescita esponenziale. Lo dimostrano i dati della Toscana, unica Regione a tener monitorate anche le prescrizioni: nel 2022 il numero di ricette per le visite è in aumento rispetto al 2019 del 25%, per le visite di controllo del 28%, per la diagnostica per immagini del 31%, e per quella strumentale del 17%. È verosimile che l’andamento sia questo più o meno dappertutto.
La domanda allora è: rispetto al 2019 quante prestazioni sanitarie sono state erogate nel 2022? L’analisi dei dati di Agenas per Dataroom fa per la prima volta una proiezione su tutto il 2022. I risultati: le prime visite sono ancora sotto di 3,1 milioni (- 14%), le visite di controllo meno 5,3 milioni (- 16%), le mammografie meno 127 mila (- 7%), le ecografie all’addome meno 334 mila (- 9%), gli elettrocardiogrammi meno 1 milione (- 20%). Conoscere le esatte dimensioni del problema è il primo passo per risolverlo. La difficoltà di recuperare la domanda di salute dei cittadini riguarda tutte le Regioni, seppure con differenze tra una e l’altra.
I risultati delle Regioni
Se guardiamo i dati rispetto ai volumi di attività del 2019 il quadro è questo: il Piemonte è ancora a meno 17%, la Provincia autonoma di Bolzano meno 46%, il Friuli Venezia-Giulia meno 25%, il Veneto meno 13%, la Lombardia meno 11,12%, l’Emilia-Romagna meno 12%, la Liguria meno 16%, il Lazio meno 10,9%, le Marche e la Sicilia meno 19%, la Calabria meno 22%. Solo la Toscana ha recuperato un più 1%.
Entrando poi nel dettaglio delle singole richieste: per un elettrocardiogramma il Piemonte è sotto del 39%, il Veneto del 27%, la Liguria meno 40%, la Toscana meno 18%, la Sardegna meno 31%. E sperando in tutto il Paese di non aver bisogno di una visita oculistica, per esempio la Lombardia deve recuperare un 21%, il Veneto il 25%, l’Emilia-Romagna il 15%, la Calabria il 45% e la Sicilia il 25%.
I soldi ci sono
Eppure, con la legge di Bilancio 2021 sono stati messi a disposizione 500 milioni per pagare più prestazioni e medici (un aumento di stipendio per chi fa turni extra: passato da 60 euro l’ora a 80). Perché, allora, il problema resta? I motivi principali sono due. Il primo riguarda le strutture pubbliche: già strangolate prima della pandemia per carenza cronica di medici, devono fare i conti con le difficoltà organizzative. Riuscire a prolungare gli orari delle visite e degli esami presuppone da parte dei direttori generali una capacità di pianificazione, che spesso non hanno perché la loro nomina da parte della politica non la considera un requisito essenziale. Il secondo motivo riguarda le strutture private accreditate: a loro più che offrire prestazioni con il Servizio sanitario nazionale conviene offrire prestazioni a pagamento. Giusto per fare un esempio: nel 2019 a Milano il 27% dell’attività complessiva e il 41% delle prime viste era svolta in regime di solvenza, nel 2022 sono salite rispettivamente al 36% e 58%. Su larga scala il fenomeno è lo stesso: accorciano l’attività in convenzione e allargano quella dove il paziente paga di tasca propria perché il margine di guadagno è maggiore.
I tempi di attesa
Riepilogando: se, come abbiamo visto, la richiesta di prestazioni sanitarie è in aumento ma il volume di attività non cresce di pari passo nelle strutture pubbliche e private accreditate, la conseguenza che ne deriva è un peggioramento disastroso delle liste di attesa. Il paradosso è che quest’effetto potrebbe non vedersi dai dati con cui le Regioni monitorano i tempi per ottenere una visita o un esame. Oltre ai problemi del sistema di rilevazione già denunciati in un Dataroom del maggio 2022 che lo rendono di per sé inattendibile (qui), la realtà può essere alterata da altri due fattori: 1) l’aumento del ricorso degli assistiti alle prestazioni a pagamento 2) l’impossibilità di prenotare a causa della chiusura delle agende da parte degli erogatori. Un mascheramento che mostra un quadro apparentemente perfetto. E per i pazienti, oltre al danno, pure la beffa.
Chi paga e chi aspetta
Dal rapporto Censis: «Il ricorso alla Sanità a pagamento è l’esito, non di una corsa al consumismo sanitario inappropriato, ma di prestazioni prescritte da medici che i cittadini non riescono ad avere in tempi adeguati nel Servizio sanitario». Infatti, è in crescita costante la spesa che gli italiani sostengono di tasca propria per curarsi: secondo gli ultimi dati disponibili della Ragioneria generale dello Stato si è passati dai 34,85 miliardi di euro del 2019, ai 37 miliardi del 2021 (qui il documento, pag. 113). Un 6% in più, equivalente a 2,15 miliardi. La metà di questa spesa è per visite specialistiche ed interventi. In sostanza: chi può paga, gli altri aspettano.
(da Il Corriere della Sera)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
DECENNI DI PRESSIONI LOBBISTICHE PER BLOCCARE LA LIBERA CONCORRENZA
Ci sono il titolare di un lido, un tassista di Milano, un ambulante di Roma e un dirigente di un ministero. Può sembrare l’inizio di una barzelletta, ma non è così. Al contrario queste persone sono dentro una storia seria e complessa che segna una sconfitta per la nostra Pubblica Amministrazione.
Da anni, l’Ue, le autorità a tutela dei consumatori, singoli politici, giudici coraggiosi cercano di indirizzare il vento benefico della concorrenza verso questi tre settori: il commercio degli ambulanti, i taxi, le concessioni balneari (ben 12.166 in Italia).
Ma la stratificazione abnorme di leggi e leggine, le sfide delle norme regionali ai dettami (corretti) della Corte Costituzionale, i possibili affronti del Parlamento al Consiglio di Stato: tutto questo ha impedito di migliorare le cose. E aggrava adesso la situazione – avverte la Corte dei conti – la montagna di cause che pendono nei Tribunali, firmatari proprio i balneari.
La concorrenza permetterebbe a giovani imprenditori di rinnovare questi settori, chiusi e a volte polverosi; di offrire servizi migliori, a prezzi più bassi; di sostenere l’Erario.
Fin dal 2008, la Nadef del governo – che aggiorna l’istantanea delle nostre finanze – incoraggia a una gestione grintosa delle concessioni, così da limare il debito pubblico. Invece nel 2020 – ultimo dato noto – lo Stato incamera dai balneari appena 91,8 milioni. I canoni quest’anno aumenteranno del 25,15%, primo segno di vita.
Il consenso di Meloni
Ora, per uno scherzo del destino, il pallone che scotta è sui piedi del governo Meloni. A intervenire sulla concorrenza sarà un esecutivo che raccoglie larghi consensi proprio tra le categorie cui dovrebbe far gol. E complica il suo lavoro l’ennesima buca che si apre in questa strada già così dissestata.
La Corte dei conti si accorge che – dal 2012 – ha preso forma un enorme “contenzioso” ai danni della PA. Sono le cause civili che i balneari (ancora loro) hanno presentato nei Tribunali. Cause che spesso chiedono conto – ecco il dato nuovo – del continuo cambio delle leggi: un sistema di sabbie mobili che avrebbe leso, sostengono, la loro libertà d’impresa.
Le concessioni sono regolate dall’articolo 37 del Regio Decreto 327, la cui prima versione risale al 1942, con Mussolini ancora al potere. Qui, in era repubblicana, compare “il diritto di insistenza”. A introdurlo è il Parlamento, nel 1993. Prevede che il titolare di una concessione – alla scadenza del permesso di usare il bene pubblico – goda di una prelazione.
Può restare dove è – ad esempio su una spiaggia, con il suo lido – anche se un’altra persona o impresa vorrebbe subentrargli. Quindici anni dopo, 2008, la Commissione Ue alza il primo cartellino giallo sotto il naso dell’Italia. Il “diritto di insistenza” – avverte – imbriglia la concorrenza ed è illegittimo. Parte così una procedura d’infrazione contro il nostro Paese, che si dà una mossa.
La legge Comunitaria
Anzi: lo fa per metà. La legge Comunitaria (la 2017 del 2011) cancella il “diritto di insistenza“ e incarica il governo di una riforma organica delle concessioni. La Commissione Ue allora fa un’apertura di credito all’Italia e – a febbraio 2012 – ritira la procedura.
Otto mesi dopo, con un blitz, il Parlamento rinnova le concessioni fino al 2020. La riforma, quella non arriva più. Intanto migliaia di concessionari avviano delle cause. E i loro legali, in Tribunale, cominciano a lamentare il continuo mutare delle regole. Un diritto (la insistenza) è introdotto nel 1993, cancellato (nel 2011), reintrodotto di fatto (nel 2012) grazie alla proroga.
La storia si ripete
Avanti e indietro. La storia si ripete con la legge di Bilancio del 2018 che allunga le concessioni di ulteriori 15 anni, annunciando una riforma organica (che non arriverà). Forti dell’ennesima proroga, molti imprenditori del mare investono: ristrutturano ristoranti, cambiano tutte le sedie a sdraio, assumono bagnini. Due anni dopo, è il nostro Consiglio di Stato a gelare i loro entusiasmi.
Le sentenze 17 e 18 del 2021 contestano la sanatoria di 15 anni perché contraria alla direttiva Bolkestein dell’Ue. Il Consiglio di Stato la limita così al primo gennaio 2024 nella maggioranza dei casi. Avanti e indietro. E nei Tribunali italiani piovono altre centinaia di cause.
Decine ne arrivano anche nel 2022. I firmatari stavolta sono i concessionari che hanno attività non al mare, ma lungo i laghi e i fiumi; e le imprese della nautica di diporto. Il decreto Agosto – il 104 del 2020 – estende anche a loro la proroga di 15 anni. Motivazione, non illogica: c’è il Covid, la crisi morde. L’anno scorso, però, il governo Draghi avverte – con la sua legge sulla Concorrenza – che anche questo prolungamento è illegittimo.
Così all’estero
In un clima incerto, il governo Meloni cerca una misura di compromesso. Molte buone idee intanto prendono forma all’estero. La Croazia, ad esempio, ammette concessioni lunghe (50 anni) quando il concessionario costruisce un edificio di valore, che subito entra nel patrimonio dello Stato.
Di norma, la maggioranza delle concessioni non supera i 5 anni. In Francia, il costo per i concessionari è molto variabile, a seconda della bellezza della località. E le concessioni non superano i 12 anni.
Anche i tassisti sono, in buona parte, grandi elettori di FdI, Forza Italia e Lega. Le speranze di una liberalizzazione profonda del settore sono remote, dunque. E il danno per le persone si rinnova in un Paese che – in media – ha la metà delle auto bianche di Spagna e Francia.
D’altra parte, la violenta reazione degli autisti – che quasi cinsero d’assedio Palazzo Chigi nell’estate 2022 – costrinse finanche Mario Draghi a tentennare. Servirà un po’ di fantasia, allora. Almeno quella. Ne ha certamente il sindaco di Milano Giuseppe Sala che, in queste ore, ripesca un progetto accantonato nel 2019 causa Covid.
Aumentare le corse dei taxi senza aumentare le licenze. Come? Permettendo al coniuge del tassista e ai parenti fino a terzo grado di guidare la sua vettura, così da prolungare fino a 16 ore i turni di lavoro della giornata.
I chioschi
“Impenetrabili” alla concorrenza – dice l‘Antitrust – sono infine le aree di sosta degli ambulanti su aree pubbliche. L’obbligo di metterle a gara è cancellato dalla legge di Bilancio del 2019. Le concessioni in scadenza sono prorogate al 2032 (dal Decreto Rilancio del 2020).
Ora, è vero: le concessioni sono poche. Le imprese ambulanti, fragili, aprono e chiudono determinando un ricambio. E gli ambulanti, tanti tassisti, alcuni balneari non sono certo odiosi milionari. Ma non è milionario neanche chi vorrebbe cercare denaro e fortuna nei loro settori. E ne viene escluso.
(da La Repubblica)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
LA CORSA ALL’ECOINCENTIVO HA PORTATO A UN BOOM DI CONTENZIOSI
Avere la possibilità di ristrutturare tetti o facciate (quasi) gratuitamente è un’opportunità ghiotta sia per i proprietari di immobili che per le imprese edili. E, complice lo stop al Superbonus deciso dal governo Meloni, gli ultimi mesi del 2022 hanno visto una corsa ai permessi e alle autorizzazioni per poter usufruire dell’incentivo prima della scadenza. Come denuncia Repubblica Firenze, però, in alcuni casi l’avvio dei cantieri si è trasformato in un tutti contro tutti, con decine di contenziosi aperti tra architetti, condomini, proprietari di immobili e imprese edili. Silvia Burchielli, presidente di Anaci Toscana, l’associazione di amministratori condominiali, ha commentato così la situazione: «Lo spirito della legge era ottimo, ma la sua realizzazione è stata tortuosa. Io ho diversi contenziosi e, alla fine, nel 50% delle pratiche è stato contattato un avvocato».
I lavori mai iniziati
Le battaglie legali innescate dal Superbonus non si consumano esclusivamente tra condomini e imprese edili. In alcuni casi, a chiedere un risarcimento sono tecnici e progettisti non retribuiti. «Tra i clienti ho architetti che hanno fatto lo studio di pre-fattibilità, indagini urbanistiche. Ma poi quando il condominio si è tirato indietro, abbandonando la pratica, il professionista è stato pagato solo parzialmente», spiega a Repubblica l’avvocato Simone Zerauschek. A bloccare i progetti possono contribuire diverse questioni. Come la scoperta di un vincolo paesaggistico. O un mancato accordo tra i condomini. In questo caso, precisa Zerauschek, le cifre delle dispute legali si aggirano intorno ai 10mila euro. La cifra sale vertiginosamente se si considera invece un altro tipo di contenzioso: quello in cui sono i proprietari di immobili ad andare contro le aziende che hanno avviato i cantieri.
E quelli mai finiti
In questo caso, il problema più comune è legato ai lavori di ristrutturazione iniziati e poi finiti in stallo. Per esempio a causa di problemi nella cessione del credito. «Ho avuto almeno una decina di casi nell’ultimo anno, stanno nascendo in maniera esponenziale», racconta a Repubblica l’avvocata fiorentina Simona Lioi. «Sono spesso conseguenza di una certa approssimazione che c’è stata nei primi mesi. Da fine anno scorso, ci sono state lamentele di condomini che hanno anticipato soldi alle ditte, pagato i progetti. Ma poi il cantiere non è partito. Perché non c’erano materiali o impalcature – spiega la legale -. E chi non ha iniziato o finito i lavori in tempo si è ritrovato poi escluso dal Superbonus. E a dover pagare somme che non immaginava».
(da Open)
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Febbraio 6th, 2023 Riccardo Fucile
IL PADRE: GRAZIE A LEI ORA C’E’ UNA LEGGE, ED E’ UNA SVOLTA
Il 3 febbraio 2009 Beppino Englaro ha accompagnato sua figlia Eluana nella clinica in cui è morta. Oggi in un’intervista a Repubblica ripercorre quella ricorrenza.
Partendo dal 18 gennaio 1992, giorno dell’incidente: «Eluana rientrava a casa con la mia macchina su una strada ghiacciata. È entrata in testacoda, finendo contro un muro. Un incidente molto grave. Soccorsa prontamente, è subito precipitata in uno stato di coma profondo». La figlia, ricorda Beppino, di non voler vivere attaccata a un macchinario «lo aveva detto varie volte. Soprattutto nei giorni dell’incidente del suo amico Alessandro, soprannominato “Furia”, perché era un ragazzo veramente incontenibile. Quando lei lo ha visto imbrigliato nei meccanismi estremi della rianimazione, ci ha ammoniti: “Non a me, ricordatevelo”».
La lettera
Beppino nel colloquio con Ezio Mauro ricorda una lettera scritta da Eluana un mese prima dell’incidente: «“Ciao grandi. Vi volevo ringraziare per tutto quello che mi avete donato in questi lunghi ventun anni trascorsi insieme. Sai, tu papi ogni tanto dici che non siamo una famiglia perfetta ed hai ragione perché siamo super. Spero di non deludervi mai perché ne soffrirei più io di voi. Voi due, oltre ad essere dei perfetti genitori, siete anche due buone persone, perché mi avete insegnato la bontà e la generosità, ma soprattutto dei grandi valori quali il rispetto verso se stessi e gli altri, il piacere di avere una famiglia salda, calda, affettuosa, sulla quale si può sempre contare. Spero un giorno di diventare brava come voi. Con tanto affetto Eluana”. Pensi che questa lettera l’abbiamo trovata 15 anni dopo. Ma noi non ne avevamo bisogno. Sapevamo». E spiega che per tutta la famiglia «la vita è libertà di vivere. Non una condanna».
La vittoria di Eluana
Infine, Beppino spiega perché Eluana ha vinto: «Grazie a mia figlia è nata una legge. L’Eluana di turno, oggi, ha la possibilità di non farsi intrappolare né nei meccanismi clinici, né nei meccanismi giuridici. Una svolta». Lui ha deciso di non partecipare al funerale della figlia «perché ho preferito stare accanto alla creatura splendida che ha amato sua figlia con tutta se stessa: la madre di Eluana». Mentre lui si sente in pace: ««Non sarei stato in pace se non avessi portato a termine il rispetto delle convinzioni di mia figlia. L’unico modo per me di trovare pace era quello di rimanere fedele alla sua testimonianza di vita, alle sue idee: alla scelta di Eluana».
(da La Repubblica)
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