Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
IL FINANCIAL TIMES RIVELA I PROFITTI DEL CRIMINALE PRIGOZHIN: “SOLDI SFUGGITI ALLE SANZIONI DELL’OCCIDENTE”
L’oligarca russo Yevgheny Prigozhin, punto di riferimento di una delle fazioni del Cremlino e sanzionato dall’Occidente perché fondatore dell’esercito privato dei mercenari del Gruppo Wagner attivo anche in Ucraina, avrebbe incassato negli ultimi 4 anni profitti per 250 milioni di dollari.
A riferirlo è il Financial Times sulla base dei movimenti di denaro provenienti in particolare da Siria o Sudan, dove i miliziani Wagner sono stati accusati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani. Secondo il giornale britannico tali movimenti censiti nel 2008 sarebbero sfuggiti al monitoraggio delle misure punitive occidentali.
L’esame dei conti di aziende già sanzionate da Usa, Regno Unito e Ue che si ritiene facciano capo a Prigozhin rileva nello specifico profitti generati dall’estrazione di oro e diamanti negli stessi Paesi e dal commercio di gas e petrolio.
Poco tempo fa lo stesso Prigozhin aveva commentato precedenti inchieste del Financial Times su di lui, negando la veridicità di alcuni dati su arricchimenti personali nei teatri di guerra all’estero.
Più volte ha poi ribadito di considerare le sanzioni «attività illegali», invitando a «sputarci sopra», anche dopo il provvedimento con cui Washington definì il Gruppo Wagner come «un’organizzazione criminale transnazionale».
Ora, dopo la pubblicazione dell’ultima inchiesta, il noto giornale britannico ha precisato che i guadagni attribuiti all’oligarca nell’articolo di poche ore fa, non comprendono le fortune principali accumulate in patria da sue società attive nel catering o nel real estate, «beneficiarie di lucrosi “contratti pubblici” durante l’era Putin».
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
IMBARAZZO DELLA MELONI
Un attacco devastante. Un incidente diplomatico che massacra la missione di Giorgia Meloni a Kiev e oscura la piena collaborazione offerta dalla premier a Volodymyr Zelensky. Per due volte i giornalisti domandano al Presidente ucraino delle critiche di Silvio Berlusconi.
E il leader replica con parole durissime, mentre al suo fianco ascolta una impietrita Meloni: ‘’Berlusconi? Diversi leader hanno diritto di pensiero, il vero problema è l’approccio della società italiana che a quel leader hanno dato un mandato. Io credo che la casa di Berlusconi non sia mai stata bombardata dai missili, mai siano arrivati con i carri armati nel giardino di casa sua, nessuno ha ammazzato i suoi parenti, non ha mai dovuto fare la valigia alle 3 di notte per scappare o la moglie dovuto cercare da mangiare e tutto questo grazie all”amore fraterno’ della Russia”.
Meloni imbafrazzata ascolta ancora. Poi viene di nuovo sollecitata dai cronisti, stavolta ucraini, su Berlusconi.
Poi tenta una replica: ‘’ Non sono d’accordo, in Parlamento abbiamo sempre votato compattamente. Una cosa sono le frasi dette, un’altra le posizioni. Il centrodestra vuole rispettare il programma, ci tiene, e continuerà a farlo in futuro’’.
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
LO STUDIO DI OPENPOLIS E ACTIONAID SMENTISCE LE BALLE SOVRANISTE: “NON C’E’ NESSUNA INVASIONE”
Non è vero che il sistema dell’accoglienza dei migranti in Italia è al collasso. Ci sono circa 20mila posti liberi nei centri sparsi per il Paese, per la precisione 20.235: una situazione tutt’altro che al limite, nonostante l’argomento secondo cui i centri per i migranti sarebbero sull’orlo del collasso sia spesso strumentalizzato nel dibattito politico e usato per rafforzare la retorica dell’invasione.
Una narrativa, questa, smentita dal report “Il vuoto dell’accoglienza”, realizzato da Openpolis e ActionAid Italia sulla base dei dati raccolti sulla piattaforma Centri d’Italia.
I numeri sono relativi all’anno 2021 e ci raccontano di almeno 20mila posti liberi nei centri di accoglienza, nonostante la chiusura di circa 3.500 strutture in meno di tre anni.
A fine 2021, inoltre, i Cas, cioè i Centri di accoglienza straordinaria, continuavano a essere molti più rispetto a quelli legati al Sai, cioè al Sistema di accoglienza e integrazione. Più della metà (precisamente oltre il 60%) dei richiedenti asilo e dei rifugiati che si trovano in Italia è ospitata dai Cas.
Si tratta di un dato che dimostra quanto l’accoglienza, così come la generale gestione dei flussi migratori, venga trattata come un fenomeno emergenziale, invece che uno ordinario e strutturale. In totale le strutture a disposizione nel 2021 erano 8.699, per circa 97mila posti. Di questi circa 63mila sono nei Cas, 34mila nel Sai.
Non c’è nessuna invasione, sottolinea il report. Al 31 dicembre 2021 i richiedenti asilo e i rifugiati nei centri erano lo 0,13% della popolazione italiana.
Il discorso sui posti e sul sistema di accoglienza è valido per tutte le Regioni, anche per quelle che rappresentano le principali vie di entrata utilizzate dai migranti. In Sicilia, ad esempio, il 31 dicembre 2018 era libero il 25,9% dei posti. Cioè uno su quattro. A fine 2019 questi erano addirittura aumentati, il 38,6% era libero: 3.760 posti su un totale di 9.747. Nel 2020 la situazione è rimasta pressoché invariata, con il 38,1% di posti liberi. Nel 2021 erano il 30,6%. Insomma, nemmeno d’estate, con l’aumento degli sbarchi, il sistema di accoglienza nell’isola ha rischiato il collasso.
(da Fanpage)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
GALLYAMOV: “HA CERCATO DI RASSICURARE IL FRONTE INTERNO, MA E’ STATO FALLIMENTARE”
“Nessuna escalation nucleare in vista” nonostante l’annuncio della sospensione del trattato New Start. Il discorso del presidente russo al Gostiny Dvor di Mosca davanti alle camere riunite del Parlamento ha solo “puntato a rassicurare il fronte interno che in Russia va tutto bene”. Senza riuscirci.
Perché Putin “è sempre più distaccato dalla realtà” e la sua audience lo sa benissimo. Per l’Occidente, invece, il messaggio è che il Cremlino è pronto a continuare la guerra in Ucraina “ancora molto a lungo”.
Il leader “non ha un piano B” ed è “sempre più probabile che scelga di nominarsi un successore” e di fargli vincere le elezioni del 2024.
Abbas Gallyamov i discorsi di Putin un tempo li scriveva.
Adesso commenta l’ultimo per Fanpage.it, collegato in videochiamata da Tel Aviv, dove vive dopo aver lasciato la Russia per motivi di sicurezza. Gallyamov è stato nel team presidenziale, come speechwriter, dal 2008 al 2010.
Putin annuncia che la Russia sospende la sua partecipazione al trattato New Start, l’unico sulla riduzione delle armi nucleari ancora esistente. La platea si alza in piedi e applaude. L’orologio dell’Apocalisse si è ulteriormente avvicinato alla mezzanotte?
Non sono un esperto di trattati sugli armamenti e non posso fare un commento “tecnico”. Ma per come era costruito il discorso non mi pare proprio che ci si trovi di fronte alla volontà di una escalation nucleare.
Perché, come era costruito il discorso? Che input ha dato il presidente ai suoi speechwriter, secondo lei che è del mestiere?
Semplicemente, il discorso era fatto per calmare la situazione, per dire che tutto va secondo i piani.
Ed è stato efficace, da questo punto di vista? Ha calmato il fronte interno?
Assolutamente no. Tutto quel che ha detto Putin era completamente fuori dalla realtà. E in Russia tutti lo sanno benissimo.
Come le è sembrato il clima in sala?
Facce lunghe, tristi. Ancor più del solito. I collaboratori del presidente erano tutt’altro che ottimisti, glielo posso garantire.
È sembrato che la maggior parte dei messaggi inviati nel discorso fosse diretto proprio alle élite della Russia.
Ha cercato di convincere che è tutto sotto controllo. Alla fine, cosa ha dimostrato è invece che le cose stanno andando nella direzione sbagliata. Ha dimostrato di aver perso la cognizione di quel che è reale e di quel che non lo è. Ha dimostrato che non ha un “piano B”. Chi si aspettava l’annuncio di qualche soluzione per i problemi che avvinghiano il Paese è rimasto certamente deluso. Nessun giro di boa. Nessuna politica nuova. Si continua col fallimentare “piano A” dell’”Operazione militare speciale”, nonostante tutto. E così le rassicurazioni non hanno rassicurato nessuno.
Come interpreta l’annuncio secondo cui i militari che combattono in Ucraina avranno almeno “due settimane di licenza ogni sei mesi”? Sembra significare che la guerra durerà a lungo.
Ha voluto dire che quel che sta avvenendo al momento continuerà nel futuro. Per molti anni. Sta cercando di “normalizzare” la guerra. Ma questa parte del discorso era rivolta soprattutto all’Occidente e all’Ucraina. “Meglio che siate voi a cessare le ostilità, perché noi siamo pronti a continuarle all’infinito”.
Una parte interessante del discorso è stata proprio quella sulle forze armate: Putin ha promesso miglioramenti tecnologici e organizzativi. E una miglior posizione sociale per i militari. Ha voluto rassicurare i “falchi” che criticano la condotta inefficiente della guerra?
Cerca di aumentare il grado di lealtà dei militari. Perché c’è un problema di lealtà nei confronti della politica. Prima di tutto, i militari stanno pagando un alto prezzo di sangue per la condotta sconsiderata delle operazioni in Ucraina. E la colpa la danno ai politici. In secondo luogo, hanno potuto constatare che il comandante in capo è tutt’altro che un vincente. Non è un leader così forte. Il rispetto nei confronti del presidente ne ha risentito parecchio. La sua legittimazione pure. Per questo ora parla di “promozione sociale” per i componenti delle forze armate.
Putin ha cercato di rassicurare anche il settore imprenditoriale e la popolazione
In modo analogo, ha pensato anche a loro. Gli imprenditori non devono temere alcuna minaccia, ha detto. E ha cercato di comprarsi la lealtà dei lavoratori annunciando un aumento del 20% del salario minimo.
Tra le altre cose, il presidente ha chiarito che si andrà regolarmente al voto nel 2024. L’ipotesi di una cancellazione delle presidenziali per rimanere al potere senza il problema delle urne è definitivamente da accantonare?
Direi di sì. Altrimenti non avrebbe menzionato la cosa. Ogni dettaglio del discorso è ovviamente studiato a tavolino. Evidentemente ha capito che cancellare le elezioni sarebbe un errore. Non porterebbe ad alcun vantaggio strategico. A questo punto, una cosa che ritengo sempre più probabile è che Putin si scelga un successore per fargli vincere le elezioni del 2024 e ritirarsi almeno parzialmente e temporaneamente dalla scena. Questo è il suo piano, secondo me. Almeno se non riuscirà a ottenere una vittoria netta nella prossima offensiva in Ucraina. Vuole evitare scosse troppo radicali che potrebbero finire per portare a un colpo di stato. Le elezioni si faranno e le vincerà un candidato indicato da Putin.
E se Putin si ritirasse, la guerra potrebbe finire? Perché questa è proprio la “guerra di Putin”. Un successore potrebbe cercare di uscirne senza perder la faccia, al contrario del presidente che ha ordinato l’invasione. O no?
Sì, certamente. Se sceglie un successore, e lo fa velocemente, prima che la disfatta diventi del tutto ovvia ed evidente, potrebbe però proprio far cadere la responsabilità di tutto sullo stesso successore. E poi, a guerra finita ma senza addosso la colpa della sconfitta, probabilmente tornerebbe al comando. Magari sull’onda di un nuovo voto popolare. Per guidare il Paese in una situazione diversa. Ci sarebbe certo un lungo periodo di “guerra fredda” con l’Occidente. Ma niente più scontri sul campo. Gli scenari che si aprirebbero con una eventuale “successione al trono” sono diversi. Però tutti potrebbero portare a una lenta normalizzazione dei rapporti internazionali della Russia. E credo che quella di una successione stia diventando davvero la scelta più probabile, per Putin.
(da Fanpage)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA HA TROVATO IL MODO DI RICICLARE DENARO SPORCO … I CASI DI NULLATENENTI CON MILIONI DI EURO DI CREDITI NEL CASSETTO FISCALE
C’è un numero – 7,5 miliardi di euro – che è la somma dei crediti fiscali illecitamente intascati (3,7) e dei profitti illecitamente guadagnati (3,8) che la Guardia di Finanza ha sequestrato negli ultimi mesi nelle indagini sulle grandi truffe dei crediti di imposta legati, principalmente, ai bonus edilizi.
Il dato emerge dalla relazione che la Fiamme gialle hanno depositato la scorsa settimana al Senato. Indagini che hanno portato a centinaia di denunce ma soprattutto a una consapevolezza: nonostante le migliorie apportate alle norme che regolamentano il sistema, ogni qual volta che la polizia giudiziaria mette il naso in questa vicenda dei crediti, trova davanti a sé truffe e sofisticati sistemi di riciclaggio. Che stanno consentendo, anche a esponenti di primo piano della criminalità organizzata, di far girare e ripulire denaro sporco.
«Le attività investigative — si legge nell’informativa — hanno messo in luce grandi rischi di frode e di riciclaggio derivanti dalla circolazione illimitata e non adeguatamente presidiata dei crediti d’imposta. Questo è avvenuto soprattutto con riferimento a quelle agevolazioni (ad esempio il “bonus facciate”) per le quali, in origine non esistevano particolari limitazioni in ordine all’ammontare delle spese ammissibili ovvero alla congruità dei prezzi praticati e non era necessario acquisire uno specifico set documentale ».
Le norme intervenute successivamente — volute dal governo Draghi che aveva chiesto e ottenuto una nuova discussione sui sistemi di erogazione del bonus — che hanno imposto che le spesse fossero vidimate da un tecnico e soprattutto hanno limitato la vendita dei crediti, hanno avuto un effetto deterrente. Ma ormai era troppo tardi. I buoi erano già scappati.
La cronaca ha raccontato di nullatenenti con milioni di euro di crediti nel cassetto fiscale o di somme reinvestite immediatamente in paradisi fiscali esteri. Scoperti grazie a un lavoro fatto su due binari: da un lato l’Antiriciclaggio ha segnalato operazioni finanziarie sospette, dall’altro sono stati incrociati i dati con l’Agenzia delle entrate.
(da la Repubblica)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
LA DIGOS HA SEGNALATO GLI AUTORI: SONO SEI GIOVANI DI AZIONE STUDENTESCA, ORGANIZZAZIONE GIOVANILE DI FRATELLI D’ITALIA
Il fascicolo di indagine è stato aperto dopo il verbale degli agenti della Digos sui sei ragazzi, di cui tre minorenni, coinvolti negli scontri fuori dalla scuola fiorentina
Sull‘aggressione davanti al liceo classico “Michelangiolo” di Firenze la Procura del capoluogo toscano ha deciso di aprire un fascicolo. Il reato ipotizzato è di violenza privata aggravata da parte del gruppo di giovani di Azione studentesca che lo scorso 18 febbraio hanno assalito con calci e pugni due studenti dell’istituto fiorentino.
Nei confronti dei sei giovani, di cui tre minorenni, ci sarebbe anche una segnalazione alla magistratura da parte della Digos che sta attualmente svolgendo le indagini. Per questo la procura di Firenze ha deciso di aprire il fascicolo proprio sulla base di quanto presentato dalla Divisione investigazioni generali e operazioni speciali.
Dopo poche ore dall’assalto avvenuto intorno alle 8:30 del 18 febbraio i militati di Azione studentesca sono stati identificati dalla Digos e quindi denunciati per violenza privata e manifestazione non autorizzata. ««Un’aggressione squadrista di questa gravità e davanti ad una scuola è un fatto intollerabile», aveva commentato subito il sindaco di Firenze Dario Nardella, invitando il Questore a fare chiarezza sulla vicenda.
A distanza di pochi giorni dalla notizia del “Michelangiolo”, anche un altro istituto fiorentino si è fatto avanti raccontando un’aggressione molto simile avvenuta pochi giorni prima. Un gruppo di incappucciati si è introdotto nell’istituto brandendo cinghie contro alcuni studenti che distribuivano volantini.
La dirigente del “Pascoli” ha riportato anche di scritte fasciste comparse poche ore dopo sui muri esterni dell’istituto. Poche ore fa davanti all’ingresso del “Michelangiolo” alcune centinaia di studenti si sono riuniti con lo striscione: «Il 25 aprile scendi in piazza».
(da agenzie)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
PER QUESTO L’ALTO RAPPRESENTANTE DELLA POLITA ESTERA UE, BORRELL, HA INVITATO I PAESI UE A “METTERE MANO ALLE RISERVE DEGLI ESERCITI NAZIONALI E CONDIVIDERE LE MUNIZIONI CON L’UCRAINA”
«L’esercito russo sta sparando 50 mila proiettili al giorno, quello ucraino molti meno (circa 10 mila, ndr) e noi dobbiamo fare in modo Kiev abbia le stesse capacità». Durante la riunione del Consiglio Affari Esteri dell’Ue, Josep Borrell ha lanciato l’allarme al tavolo dei ministri: «In questa fase stiamo assistendo a una guerra di posizione e il dossier più urgente è quello delle munizioni: se falliamo, la guerra è a rischio».
Al vertice di ieri si è parlato di appalti congiunti per l’acquisto di proiettili da artiglieria da consegnare a Kiev, in particolare quelli di calibro 155. Il problema è che l’esercito ucraino sta utilizzando più proiettili di quanti l’industria bellica europea sia in grado di produrne.
Ursula von der Leyen ha suggerito di adottare la stessa strategia seguita durante la pandemia per l’acquisto di vaccini: siglare congiuntamente degli accordi di acquisto anticipato, per fare in modo che l’industria bellica sia incentivata a investire nell’aumento delle linee produttive.
Borrell ha detto che presenterà una proposta ai ministri della Difesa che si riuniranno il 7 marzo, ma già ieri a Bruxelles è circolato un piano per un maxi-acquisto congiunto di munizioni: un milione di pezzi, in particolare quelli di calibro 155, per un investimento totale di 4 miliardi di euro. L’ha proposto il ministro degli Esteri estone, Urmas Reinsalu, secondo il quale «con le attuali capacità della nostra industria militare possiamo raggiungere il fabbisogno dell’Ucraina in soli sei anni».
Anche aumentando la produzione, però, serviranno mesi per produrre le munizioni necessarie, per questo Borrell ha lanciato un invito preciso ai 27 ministri degli Esteri: «Già a partire dalle prossime settimane bisogna mettere mano alle riserve degli eserciti nazionali e condividere le munizioni con l’Ucraina».
Intanto l’Ue sta cercando di chiudere l’accordo per il decimo pacchetto di sanzioni, che va approvato entro venerdì: colpirà beni per circa 11 miliardi di euro e si concentrerà in particolare sulle tecnologie e i pezzi di ricambio utili all’esercito russo. Nonostante il pressing dei baltici, il settore del nucleare sarà escluso anche questa volta. Si tratta invece per inserire l’import di diamanti, al quale il Belgio si è sempre opposto per tutelare Anversa, capitale mondiale del commercio di pietre preziose.
(da La Stampa)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
IL FUTURO NEGLI STUDENTI STRANIERI E NEI CORSI PER I LAVORATORI DA RIQUALIFICARE
L’insidioso calo demografico italiano, se non conoscerà un’inversione di tendenza che ad oggi non si vede né si ipotizza, desertificherà le università del Paese. L’arco di tempo per vedere il destino realizzarsi è di tredici anni, da qui al 2040.
Un lavoro di “Talents Venture”, società di consulenza specializzata in istruzione universitaria, sostiene che il calo delle nascite, sommato ai flussi degli studenti che lasciano le aree di residenza nel Sud, rischia di “creare veri e propri atenei fantasma, università che, rimaste a presidio dei territori, potrebbero essere frequentate solo da chi ci lavora”.
La situazione più seria è quella dell’Italia meridionale, sostiene il rapporto “Il declino demografico minaccia tutto il sistema universitario”. In Sardegna, Basilicata e Puglia è prevista una riduzione della popolazione, entro il 2040, rispettivamente del 34 per cento, del 33 per cento e del 32 per cento rispetto ai valori del 2023. Nelle regioni del Mezzogiorno la diminuzione progressiva della popolazione di 18-21 anni porterà questa coorte anagrafica nel 2040 a quota 414.000 (era di 703.000 unità nel 2010).
“Le quindici sedi didattiche presenti nei territori che registreranno il declino demografico più severo sono tutte nel Mezzogiorno”, dice Pier Giorgio Bianchi, amministratore di “Talents Venture”. Sei sedi avevano meno di cento studenti iscritti al primo anno già nell’Anno accademico 2021-’22, il 18 per cento dei corsi di laurea italiani aveva venti iscritti o meno. “La loro esistenza è minacciata”, si legge. Le situazioni più critiche sono state rilevate in Basilicata, Sicilia e Molise.
Secondo lo studio gli atenei che potrebbero veder ridurre gli immatricolati “in sede” (senza, appunto, considerare i “fuori sede”, che arrivano da altre province) sono Enna Kore, Basilicata, Foggia, Sannio e Federico II di Napoli: “Con questi trend demografici conosceranno una riduzione tra il 15 per cento e il 24 per cento entro il 2030”.
Il potenziale declino si fa rilevante anche per le università del Centro-Nord che oggi attraggono studenti dal Meridione. Al 2040, quattordici dei quindici atenei italiani che ospitano più immatricolati da altre regioni potrebbero subire perdite di iscrizioni al primo anno superiori al 20 per cento. Tra loro, Bologna, Roma La Sapienza, Ferrara, il Politecnico di Milano, Milano Cattolica, Perugia, Padova, Parma, il Politecnico di Torino e Trento, tutte università che esercitano una forte attrazione di studenti dal resto d’Italia.
L’Università La Sapienza, per esempio, si stima possa registrare riduzioni degli immatricolati fuori sede del 6 per cento, proprio per la diminuzione della popolazione di 18-21enni che in questi anni riguarderà Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Basilicata.
Quasi tutte le regioni del Centro-Nord potranno ancora assistere, fino al 2030, a un lieve aumento della popolazione compresa tra i 18 e i 21 anni, ma nel decennio successivo, sempre che non si registrino inversioni demigrafiche nel Paese, il declino si avvertirà in questa macroarea con punte in Valle d’Aosta (-27 per cento di immatricolazioni rispetto al 2023), nelle Marche (-25 per cento) e in Umbria (-24 per cento).
Se il gettito relativo a corsi di laurea registrasse una contrazione pari a quella della popolazione di 18-21 anni, le minori entrate nel 2040 potrebbero ammontare a oltre 600 milioni di euro.
Ci sono quattro strade, suggerisce “Talents Venture”, per non sparire dentro il declino demografico italiano: la riduzione dell’offerta formativa, e di conseguenza di tutta la struttura organizzativa, “focalizzando l’attenzione degli atenei su poche nicchie dove diventare i migliori in assoluto”. Quindi, cercare di aumentare i tassi di passaggio dalle scuole superiori all’accademia, “ma in alcune regioni questi sono già elevati”. Dedicarsi ad attrarre studenti internazionali e, soprattutto, ridestinare l’università ai giovani adulti che vogliono riprofessionalizzarsi.
(da La Repubblica)
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Febbraio 21st, 2023 Riccardo Fucile
IN UCRAINA IL FLOP DELL’ARMATA RUSSA, MA IN PATRIA VIGE UN ALTRO RACCONTO
Le rimostranze, la paranoia e la mentalità imperialista che hanno spinto il presidente Vladimir V. Putin a invadere l’Ucraina sono penetrate in profondità nella vita russa dopo un anno di guerra – un ampio, anche se disomogeneo, sconvolgimento della società che ha lasciato il leader russo più dominante che mai in patria. Scrive il NYT.
Gli scolari raccolgono lattine vuote per costruire candele per i soldati in trincea, mentre in una nuova lezione settimanale imparano che l’esercito russo ha sempre liberato l’umanità dagli “aggressori che cercano di dominare il mondo”.
I musei e i teatri, che erano rimasti isole di libertà artistica durante le precedenti repressioni, hanno visto evaporare questo status speciale e i loro artisti e performer contrari alla guerra sono stati espulsi. Le nuove mostre allestite dallo Stato hanno titoli come “NATOzismo” – un gioco di parole sul “nazismo” che cerca di presentare l’alleanza militare occidentale come una minaccia esistenziale pari a quella dei nazisti della Seconda Guerra Mondiale.
Molti dei gruppi di attivisti e delle organizzazioni per i diritti sorti nei primi 30 anni della Russia post-sovietica hanno subito una brusca fine, mentre i gruppi nazionalisti, un tempo considerati marginali, hanno conquistato il centro della scena.
Mentre si avvicina il primo anniversario dell’invasione, l’esercito russo ha subito una battuta d’arresto dopo l’altra, non riuscendo a raggiungere l’obiettivo di prendere il controllo dell’Ucraina. Ma in patria, di fronte alla scarsa resistenza, l’anno di guerra di Putin gli ha permesso di spingersi più in là di quanto molti pensassero possibile nel rimodellare la Russia a sua immagine e somiglianza.
“Il liberalismo in Russia è morto per sempre, grazie a Dio”, si è vantato sabato in un’intervista telefonica Konstantin Malofeyev, un magnate d’affari ultraconservatore. “Più dura questa guerra, più la società russa si sta ripulendo dal liberalismo e dal veleno occidentale”.
Il fatto che l’invasione si sia trascinata per un anno ha reso la trasformazione della Russia molto più profonda, ha detto, di quanto non sarebbe stato se le speranze di Putin di una rapida vittoria si fossero realizzate. “Se la guerra lampo fosse riuscita, non sarebbe cambiato nulla”, ha detto.
Per anni il Cremlino ha cercato di tenere Malofeyev a distanza, anche se ha finanziato i separatisti filorussi nell’Ucraina orientale e ha chiesto di riformare la Russia in un impero di “valori tradizionali”, libero dall’influenza occidentale. Ma le cose sono cambiate dopo l’invasione, quando Putin ha trasformato i “valori tradizionali” in un grido d’allarme – firmando, ad esempio, una nuova legge anti-gay – e si è presentato come un altro Pietro il Grande che riconquista le terre russe perdute.
Soprattutto, ha detto Malofeyev, i liberali russi sono stati messi a tacere o sono fuggiti dal Paese, mentre le aziende occidentali se ne sono andate volontariamente.
Questo cambiamento è stato evidente mercoledì scorso in un raduno fuori dall’anello dei giardini, intasato dal traffico, a Mosca, dove alcuni dei più importanti attivisti per i diritti che sono rimasti in Russia si sono riuniti per l’ultimo di molti addii recenti: Il Centro Sakharov, un archivio per i diritti umani che è stato un centro liberale per decenni, stava inaugurando la sua ultima mostra prima di essere costretto a chiudere in base a una nuova legge.
Il presidente del centro, Vyacheslav Bakhmin, un tempo dissidente sovietico, ha detto alla folla riunita che “quello che non avremmo potuto immaginare due anni fa o anche solo un anno fa sta accadendo oggi”. “È stato costruito un nuovo sistema di valori”, ha dichiarato Aleksandr Daniel, esperto di dissidenti sovietici. “Valori pubblici brutali e arcaici”.
Un anno fa, mentre Washington avvertiva di un’imminente invasione, la maggior parte dei russi aveva scartato la possibilità; Putin, dopo tutto, si era presentato come un presidente amante della pace che non avrebbe mai attaccato un altro Paese. Così, dopo l’inizio dell’invasione – che ha stupito alcuni dei più stretti collaboratori del presidente – il Cremlino si è affrettato a modificare la sua propaganda per giustificarla.
È stato l’Occidente a entrare in guerra contro la Russia sostenendo i “nazisti” che hanno preso il potere in Ucraina nel 2014, si leggeva nel falso messaggio, e l’obiettivo dell’”operazione militare speciale” di Putin era quello di porre fine alla guerra iniziata dall’Occidente.
In una serie di discorsi volti a rafforzare il sostegno interno, Putin ha presentato l’invasione come una guerra quasi santa per l’identità stessa della Russia, dichiarando che stava combattendo per impedire che le norme liberali di genere e l’accettazione dell’omosessualità fossero imposte da un Occidente aggressivo.
Per diffondere e far rispettare questo messaggio è stato utilizzato tutto il potere dello Stato. I canali televisivi nazionali, tutti controllati dal Cremlino, hanno abbandonato la programmazione di intrattenimento a favore di un maggior numero di notiziari e talk show politici; le scuole sono state indirizzate ad aggiungere una regolare cerimonia dell’alzabandiera e un’educazione “patriottica”; la polizia ha dato la caccia alle persone per reati come i post antibellici su Facebook, contribuendo a spingere centinaia di migliaia di russi fuori dal Paese.
“La società in generale è uscita dai binari”, ha dichiarato in un’intervista telefonica Sergei Chernyshov, che gestisce una scuola superiore privata nella metropoli siberiana di Novosibirsk. “Hanno capovolto le idee di bene e male”.
Chernyshov, uno dei pochi dirigenti scolastici russi che si è espresso contro la guerra, ha descritto la narrazione dei soldati russi che combattono in difesa della loro nazione come così facilmente digeribile che gran parte della società è arrivata a crederci – soprattutto perché il messaggio si è intrecciato perfettamente con uno dei capitoli più emotivamente evocativi della storia russa: la vittoria della nazione nella Seconda Guerra Mondiale.
Una campagna a livello nazionale che esorta i bambini a fabbricare candele per i soldati è diventata così popolare che chiunque la metta in discussione in un gruppo di chat scolastico potrebbe essere definito “nazista e complice dell’Occidente”.
Allo stesso tempo, ha sostenuto, la vita quotidiana è cambiata poco per i russi che non hanno un familiare che combatte in Ucraina, il che ha nascosto o attenuato i costi della guerra.
I funzionari occidentali stimano che almeno 200.000 russi siano stati uccisi o feriti in Ucraina, un tributo molto più grave di quanto gli analisti avessero previsto all’inizio della guerra. Tuttavia, l’economia ha sofferto molto meno di quanto previsto dagli analisti, con le sanzioni occidentali che non sono riuscite a ridurre drasticamente la qualità della vita dei russi medi, anche se molti marchi occidentali sono partiti.
“Una delle osservazioni più spaventose, credo, è che per la maggior parte delle persone non è cambiato nulla”, ha detto Chernyshov, descrivendo il ritmo urbano di ristoranti e concerti e gli appuntamenti dei suoi studenti. “Questa tragedia viene relegata alla periferia”.
A Mosca, la nuova ideologia di guerra di Putin è esposta al Museo della Vittoria, una vasta struttura in cima a una collina dedicata alla sconfitta dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista. Una nuova mostra, “NATOzismo”, dichiara che “lo scopo della creazione della NATO era quello di ottenere il dominio del mondo”.
Una seconda, “Il nazismo quotidiano”, include manufatti del Battaglione Azov dell’Ucraina, che ha legami con l’estrema destra, come prova della falsa affermazione che l’Ucraina sta commettendo un “genocidio” contro i russi.
“È stato spaventoso, raccapricciante e orribile”, ha detto un’avventrice di nome Liza, 19 anni, a proposito di ciò che la mostra le ha mostrato, rifiutando di fornire il suo cognome a causa della sensibilità politica dell’argomento. Ha detto di essere rimasta angosciata nell’apprendere questo comportamento da parte degli ucraini, come presentato dalla propaganda russa. “Non dovrebbe essere così”, ha detto, segnalando il suo sostegno all’invasione di Putin.
Centinaia di studenti erano in visita in un recente pomeriggio, e i bambini delle elementari hanno marciato con cappellini verdi dell’esercito mentre i loro accompagnatori li chiamavano “Sinistra, sinistra, uno, due, tre!” e si rivolgevano a loro come “soldati”. Nella sala principale, lo studio di Victory TV – un canale avviato nel 2020 per concentrarsi sulla Seconda Guerra Mondiale – stava girando un talk show in diretta.
“La cornice del conflitto ha aiutato la gente a farsene una ragione”, ha detto Denis Volkov, direttore del Levada Center, un sondaggista indipendente di Mosca. “L’Occidente è contro di noi. Qui ci sono i nostri soldati, lì ci sono i soldati nemici, e in questo quadro bisogna schierarsi”.
Settimane dopo aver lanciato l’invasione, Putin ha dichiarato che la Russia si trovava di fronte a una necessaria “autopurificazione della società”. Ha augurato con disinvoltura “ogni bene!” alle imprese occidentali che hanno lasciato il Paese e ha detto che le loro partenze hanno creato “opportunità di sviluppo uniche” per le aziende russe.
Ma a Khabarovsk, una città al confine con la Cina nell’Estremo Oriente russo, Vitaly Blazhevich, un insegnante di inglese locale, dice che la gente del posto sente la mancanza di marchi occidentali come H&M, il rivenditore di abbigliamento. Quando si parla di guerra, prosegue, l’emozione dominante è quella di un’accettazione passiva e della speranza che le cose finiscano presto.”La gente è nostalgica di quelli che si sono rivelati essere i bei tempi”, ha detto.
Blazhevich ha insegnato in un’università statale di Khabarovsk fino a quando, venerdì scorso, è stato costretto a dimettersi per aver criticato Putin in un’intervista su YouTube con Radio Liberty, l’emittente russa finanziata dagli americani. Erano commenti che probabilmente non sarebbero stati puniti prima della guerra. Ora, ha detto, la repressione del dissenso da parte del governo “è come un rullo compressore”: “tutti vengono fatti rotolare nell’asfalto”.
Malofeyev, il magnate conservatore, ha detto che la Russia ha bisogno di un altro anno “perché la società si purifichi completamente dagli ultimi fatidici anni”. Malofeyev ha affermato che qualsiasi cosa che non sia una “vittoria” in Ucraina, con tanto di parata a Kiev, potrebbe ancora causare l’annullamento di parte della trasformazione dell’ultimo anno. “Se nel corso della primavera ci sarà un cessate il fuoco”, ha detto, “allora sarà possibile un certo ritorno liberale”.
A Mosca, in occasione dell’evento di commiato al Centro Sakharov, alcuni dei partecipanti più anziani hanno fatto notare che, nell’arco della storia russa, la repressione del dissenso da parte del Cremlino non è una novità. Yan Rachinsky, presidente di Memorial, il gruppo per i diritti costretto a sciogliersi alla fine del 2021, ha detto che i sovietici hanno vietato così tanto “che non c’era più nulla da vietare”.
“Ma non si può vietare alle persone di pensare”, ha proseguito Rachinsky. “Quello che le autorità stanno facendo oggi non garantisce loro alcuna longevità”.
(da New York Times)
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