Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
DA DOMENICO GRAMAZIO A GIUSEPPE CANGEMI, FINO AL “BATMAN” FIORITO, CHE HA SCONTATO LA SUA CONDANNA. LA TRUPPA DELLA “VECCHIA DESTRA” È PRONTA A SPARTIRSI LE POLTRONE…COME SE LE VARIE INCHIESTE “RIMBORSOPOLI”, “MONDO DI MEZZO” E “LADY ASL” NON FOSSERO MAI ESISTITE
Sono stati i volti delle giunte e delle maggioranze del centrodestra che tra Regione e Campidoglio hanno comandato negli anni d’oro dei vari Gianni Alemanno, Francesco Storace, Renata Polverini. Protagonisti di stagioni segnate da polemiche, scandali, sprechi, buchi di bilancio e indagini giudiziarie che hanno travolto queste amministrazioni e il loro seguito. Ma adesso, dopo dieci anni e oltre, senza molto clamore e salendo nel frattempo sul carro giusto che in fondo si chiama Lega o Fratelli d’Italia, stanno risalendo sulla scena che conta. Pronti a rientrare dalla porta principale della Regione Lazio seguendo il neo governatore Francesco Rocca.
Stanno ritornando, insomma, come se i rapporti passati con i protagonisti di indagini che hanno segnato Roma, su tutte “Mondo di mezzo” di quel Massimo Carminati oggi in libertà, ma anche “Lady Asl” e “Rimborsopoli”, non fossero mai esistiti.
A partire da Domenico Gramazio, ex missino che frequentava proprio Carminati. Il figlio, Luca, è stato da poco condannato in via definitiva in quella inchiesta. Gramazio senior fino all’ultimo ha fatto appelli al voto in sostegno di Rocca, ha partecipato a diversi eventi elettorali e di certo Fratelli d’Italia vuole il ritorno in giunta, e con un ruolo di peso, di Marco Mattei, ex assessore all’Ambiente con Renata Polverini.
Oggi Mattei è a capo della segreteria del ministro della Salute Orazio Schillaci ma conosce bene Carminati: dalle indagini su “Mondo di mezzo” è emerso che per ben due volte è stato a pranzo con lui e Salvatore Buzzi.
Un altro nome delle giunte d’oro della destra romana sta tornando nel palazzo e anche lui in pole come possibile assessore: Giuseppe Cangemi, ex paracadutista della Folgore ma soprattutto già braccio destro della stessa Polverini in Regione.
Cangemi entrerebbe in quota Lega, e sempre grazie al partito di Salvini si parla del ritorno con ruoli importanti in Regione anche di Francesco Aracri, ex assessore nella giunta Storace, e di Fabio Armeni, ex assessore sempre nella giunta Polverini.
Tornando a Fratelli d’Italia, che tra i suoi militanti ha il cuore delle giunte Alemanno, Storace e Polverini, per un posto nella squadra di Rocca si fa il nome di Fabrizio Ghera, già assessore comunale. E un altro volto di quelle giunte potrebbe avere un ruolo in Regione: quello di Mauro Antonini, candidato al consiglio regionale con la Lega e in passato componente di punta di Casapound.
Molta di quella destra è stata accolta oggi dalla Lega di Salvini: tra questi Adriano Palozzi, con Polverini a capo della Cotral, l’azienda di trasporti regionali, coinvolto nell’indagine Parnasi sullo stadio e arrivato agli onori della cronaca per aver dato del “tossico” a Stefano Cucchi.
In questi giorni di campagna elettorale si è fatto rivedere a qualche evento anche l’ex assessore alla Sanità della giunta Storace, Marco Verzaschi, travolto dall’indagine “Lady Asl”.
Come si è rifatto vivo Fiorito, ex capogruppo del Pdl in Regione, meglio noto con il soprannome di Batman, che ha scontato una condanna per le spese pazze del consiglio regionale di allora.
Adesso frequenta gli eventi organizzati dalla Lega, come tanti che vogliono ricominciare da dove erano stati, in fondo, prima dell’arrivo delle giunte del centrosinistra e dei 5 stelle tra Capidoglio e Regione. Come dire: dove eravamo rimasti dunque?
(da La Repubblica)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
I MIGRANTI ARRIVATI IRREGOLARMENTE SEGUONO UN CORSO PER IMPARARE UN LAVORO… ANCHE LA FRANCIA SEGUE IL MODELLO TEDESCO… IN ITALIA NON CAPISCONO UNA MAZZA
A differenza di molti dei suoi vicini europei focalizzati sulla repressione dell’immigrazione clandestina, Berlino tiene un discorso di apertura al fine, in particolare, di attirare manodopera
La Germania – scrive il corrispondente di Le Monde – si distingue sempre più dal resto dell’Unione europea (UE) quando si tratta di politica migratoria. Ciò è stato confermato dai discorsi di Olaf Scholz venerdì 10 febbraio a Bruxelles. Al termine di un vertice in cui i 27 Stati membri hanno concordato di rafforzare le frontiere esterne dell’UE, il cancelliere tedesco ha certamente ribadito la sua determinazione a combattere l’immigrazione clandestina, ma ha ricordato che la politica migratoria dell’UE non può essere ridotta a questo unico obiettivo: “Quasi tutti i Paesi europei hanno un grande bisogno di manodopera qualificata e l’immigrazione legale è necessaria per garantire che in futuro avremo abbastanza lavoratori per pagare le nostre pensioni e contribuire al funzionamento della nostra economia”, ha sottolineato.
All’interno dell’UE, la Germania non è la sola a difendere questa linea. In Francia, anche il progetto di legge sull’immigrazione, presentato il 1° febbraio al Consiglio dei Ministri, concilia fermezza e apertura: da un lato, rafforzando le possibilità di espulsione, in particolare degli stranieri che commettono reati, e dall’altro, facilitando la regolarizzazione dei lavoratori senza documenti nei “lavori richiesti”.
Per quanto riguarda l’immigrazione per motivi di lavoro, il testo prevede anche la creazione di un permesso di soggiorno “per talenti” destinato a facilitare l’arrivo di medici, farmacisti, dentisti e ostetriche stranieri.
Tuttavia, le differenze tra Parigi e Berlino sono importanti quanto le somiglianze. È sorprendente notare quanto l’aspetto repressivo sia poco enfatizzato dal governo sull’altra sponda del Reno. Quando i ministri tedeschi parlano di immigrazione, lo fanno soprattutto in chiave positiva, come soluzione alle pressanti esigenze di manodopera del Paese. Secondo l’Agenzia federale del lavoro, il Paese avrà bisogno di 400.000 immigrati all’anno entro il 2030 per mantenere l’attuale forza lavoro.
Per affrontare questa sfida, la coalizione di Olaf Scholz non è rimasta inattiva. Da quando è salito al potere nel dicembre 2021, sono stati aperti diversi progetti. Il primo riguarda gli stranieri che beneficiano di una Duldung (“tolleranza”), uno status che consente alle persone prive di permesso di soggiorno di rimanere in Germania senza il rischio di essere espulse, o perché sono in pericolo nel loro Paese d’origine, o perché non hanno un documento d’identità, o perché la loro salute è troppo fragile, o perché stanno seguendo una formazione professionale.
A questi stranieri “tollerati” – la maggior parte dei quali sono richiedenti asilo respinti – il governo vuole offrire migliori prospettive di regolarizzazione. Rivolto a coloro che hanno un Duldung da più di cinque anni, il testo del governo Scholz prevede che venga loro concesso un permesso di soggiorno di prova di un anno, al termine del quale potrà essere prorogato se soddisfano determinate condizioni, in particolare una buona padronanza del tedesco.
Il secondo progetto mira a facilitare le condizioni di accesso al mercato del lavoro. A tal fine, il governo intende semplificare il riconoscimento dei diplomi stranieri e introdurre un sistema a punti, ispirato al modello canadese, che consenta ai candidati all’immigrazione con competenze desiderabili di cercare lavoro in Germania.
La terza area di lavoro riguarda il diritto di accesso alla cittadinanza. In questo ambito, il governo vuole ridurre da otto a cinque anni (come in Francia) il periodo dopo il quale gli stranieri legalmente residenti in Germania possono essere naturalizzati. Inoltre, prevede di non limitare più la possibilità della doppia cittadinanza ai cittadini dell’UE. Discussa da più di vent’anni, questa riforma ha suscitato le ire dei conservatori, che sono riusciti a rinviarla durante il periodo di cancellierato di Angela Merkel (2005-2021).
Allentando le condizioni per ottenere la cittadinanza tedesca, il governo di Olaf Scholz sta recuperando il tempo perduto piuttosto che creare una rivoluzione. Con circa 100.000 naturalizzazioni all’anno, ovvero circa l’1% degli stranieri residenti sul suo territorio, la Germania è uno dei dieci Paesi dell’UE con il tasso più basso. C’è quindi ancora molta strada da fare prima di raggiungere la vetta della classifica.
Dal punto di vista politico, il segnale inviato da Berlino non è meno forte. In un’Europa in cui, da Stoccolma a Roma, passando per Copenaghen, Vienna e Amsterdam, la priorità è ridurre i flussi migratori e controllare le frontiere, il governo tedesco sta facendo sentire la sua voce in un modo unico.
Motivata dalle esigenze di manodopera di un Paese che non può contare sul declino demografico per mantenere la propria forza lavoro, questa politica si basa su una visione della Germania che va oltre le sole questioni economiche. Una visione che Olaf Scholz ha esposto nell’unico libro che ha pubblicato, Hoffnungsland (“Terra della speranza”, Hoffmann und Campe, 2017).
In questo saggio di quasi trecento pagine, scritto all’indomani della crisi migratoria del 2015-2016 – durante la quale la Germania si era già distinta dalla maggior parte dei suoi vicini accogliendo più di un milione di rifugiati provenienti dal Medio Oriente devastato dalla guerra – l’allora sindaco di Amburgo scriveva, tra l’altro, quanto segue:
“La Germania è diventata una terra di speranza per molte persone in tutto il mondo, proprio come gli Stati Uniti. (…) In uno dei suoi libri, Barack Obama, allora giovane senatore, ha parlato dell’audacia di sperare. Molti di coloro che sono venuti da noi hanno portato questa audacia. Questo è un aspetto importante dell’immigrazione. La possibilità e la volontà di uscire dalla miseria sociale sono incentivi potenti, di cui tutto il Paese può beneficiare”.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
“CI AVEVANO PROMESSO L’INDIPENDENZA DELLA PADANIA E SIAMO ANCORA QUI A TRATTARE UN’AUTONOMIA VAGA. DA FAN DI FONTANA, CI È TOCCATO VOTARE MELONI”
«Qui siamo nordisti, lumbard e bossiani, non italiani, leghisti e salviniani. Il crollo degli elettori e la subalternità della Lega rispetto a Fratelli d’Italia va cercata nel distacco dai territori da parte di Salvini, referente di un partito nazionale qualunque. Questa è la vittoria personale di Fontana, non la riscossa del segretario».
I clienti del bar Duca di Gemonio, a due passi dalla villa dove vive Umberto Bossi, non sono stati leghisti per caso. L’ex bar Sesi, quando l’Umberto si spartiva il potere con Silvio Berlusconi, è stato la culla della Lega, la vera buvette della seconda repubblica. I fedelissimi riuniti per aspettare l’esito delle regionali restano “gli amici del senatur”: protagonisti del suo Comitato Nord, che fino all’ultimo contende al Capitano la guida del partito in Lombardia.
«Ci avevano promesso l’indipendenza della Padania — dice Riccardo Visconti, autotrasportatore in pensione — invece vent’anni dopo siamo ancora qui a trattare su un’autonomia vaga e uguale per tutte le regioni italiane, Meridione compreso. A questo punto, da fan di Fontana, mi è toccato votare Meloni”.
Gemonio, come Cazzago Brabbia, paese natale del ministro Giancarlo Giorgetti, da icona del celodurismo storico ha minacciato di trasformarsi nella sua tomba varesotta. Lo spettro di ridursi a un terzo di FdI, proprio nella terra del governatore Attilio Fontana e del suo predecessore Roberto Maroni, invece si è dissolto.
Anche nella sua terra-simbolo del leghismo FdI si conferma primo partito: la Lega però tiene e dalle politiche di settembre il suo elettorato torna a crescere proprio grazie all’exploit della lista del governatore. «Resta il fatto — dice a Cazzago la commessa Chiara Franzetti — che rispetto al 2018 la Lega è dimezzata, mentre FdI moltiplica per dieci il suo 3%. Fontana rimane governatore, ma sarà costretto a rispondere alla Santanché, non a Salvini. Leghisti e autonomisti così non hanno futuro e rischiamo la fine dei berlusconiani».
Come «un fortino sotto assedio», ripete lo zoccolo duro leghista, «condannato ad essere messo progressivamente alla porta da un potere sempre più nazionalista e centralista».
A tarda sera la sintesi leghista del bar di villa Bossi: «La Lega tiene solo perché Fontana vince, nonostante scandali e massacro-sanità dell’era Covid. Salvini conta sempre meno anche in Lombardia e per questo gli ultimi cinque anni del governatore si profilano in forte salita». Lapidario Davide Galimberti, sindaco Pd di Varese: «C’era voglia di invertire la rotta — dice — ma la domanda di una sinistra unita e allargata non è stata soddisfatta. L’ennesima occasione persa».
(da “la Repubblica”)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
NEL 2018 IL CARROCCIO ERA IL PRIMO PARTITO CON IL 29,65% DELLE PREFERENZE E 1.553.787 VOTI. QUEST’ANNO LA PERCENTUALE È STATA DEL 16,53%, CON 476.175 CROCETTE SULLA SCHEDA
Giù la maschera! Qualcuno dica a Salvini, sollevato per il risultato della Lega alle regionali in Lazio e Lombardia, che ha ben poco da festeggiare. Il “Capitone” ieri si è scapicollato da Fontana per mettere il cappello sulla “riconferma a furor di popolo” del “buongoverno della Lega e del centrodestra.
Il leader del Carroccio ha stappato la bottiglia buona, perché il risultato a suo dire è andato oltre le aspettative. Il punto di non ritorno era il 13% delle politiche, e invece il suo partito ha preso il 17%. Un successo? Mica tanto: per smontare la narrazione del segretario leghista basta guardare i valori assoluti. Il 4 marzo 2018, la Lega prese 1.553.787 voti, che si sono ridotti ai 476.175 di ieri.
Anche ragionando in termini di coalizione, il centrodestra unito ha perso una valanga di preferenze: cinque anni fa vinse con 51% dei voti, che parametrati all’affluenza più alta equivalevano a 2.686.614 crocette. Nel 2023, ne sono andati persi quasi la metà, pur con un valore percentuale più alto (56,27%, pari a 1.621.095 voti)
Come ha scritto il professor Roberto D’Alimonte sul “Sole 24 Ore di oggi”: Il centrodestra ha vinto ma non è vero che sia andato meglio delle ultime politiche. Questa è una lettura sbagliata del voto. Proprio perché sono pochi gli elettori andati a votare sono anche relativamente pochi, rispetto alle politiche di settembre, gli elettori che hanno votato i partiti del centrodestra”
(da Dagoreport)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
OVVIAMENTE LA TESI UFFICIALE E’ “SI E’ SUICIDATO”
Il maggior generale, già funzionario del ministero dell’Interno e vice-capo dell’unità anti-estremismo della polizia russa, incaricata di perseguire i “nemici” della Russia, Vladimir Makarov, è stato trovato morto nella sua abitazione a Golikovo, nelle periferia di Mosca.
A riferirlo è la Tass che aggiunge, inoltre, come il corpo del politico – rimosso dal suo incarico lo scorso gennaio – sia stato rinvenuto lunedì 13 febbraio dalla polizia che ha derubricato il caso come «suicidio». Secondo il canale Telegram Baza, vicino agli apparati statali russi, Makarov si sarebbe sparato con un fucile da caccia mentre la moglie era in casa.
Quello del numero due dell’unità incaricata di reprimere ogni tipo di manifestazione di dissenso o, comunque, di opposizione alla Federazione russa, si va così ad aggiungere ai numerosi, nonché misteriosi suicidi che si sono verificati negli ultimi mesi all’interno delle stanze del potere russo.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
L’IRA EUROPEA SUL CAVALIERE DOPO LE FRASI FILO-PUTIN
Monta la protesta contro Silvio Berlusconi tra le fila del Partito popolare europeo, la famiglia politica cui apparitene Forza Italia. Le parole pronunciate domenica al seggio dall’ex premier contro il presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno scatenato un mezzo terremoto politico sia in Italia che a Bruxelles. Se gli alleati di governo si sono precipitati, già domenica stessa, a prendere le distanze dalle posizioni dell’ex premier rinnovando il più fermo sostegno all’Ucraina, a livello Ue la faccenda prende contorni più ampi.
«Forza Italia cambi leader. È ora che Berlusconi riposi», ha detto testualmente a Domani il polacco Andrzej Halicki, vicepresidente del Ppe. Una censura su tutta la linea, e un invito inequivocabile. Già qualche mese fa Berlusconi aveva messo in imbarazzo i compagni di partito con alcune sue uscite controverse sull’Ucraina.
Secondo Domani, diversi eurodeputati starebbero pensando di boicottare l’incontro del Ppe previsto a Napoli in primavera, nel caso in cui anche Berlusconi dovesse partecipare.
«È fuori dalla linea di partito»
Nella sua intervista a Domani, Halicki ricorda che i malumori di alcuni eurodeputati popolari su Berlusconi non sono certo una novità. «Non è la prima volta che dentro il gruppo siamo costretti a parlare di queste cose – ammette il polacco -. Pensa forse che non ci siamo posti il problema quando il leader di Forza Italia si vantava delle bottiglie di vodka ricevute da Mosca?».
E quando la giornalista lo incalza, chiedendo un suo commento sulle ultime uscite dell’ex premier, Halicki non usa mezzi termini: «Vorrei dare questo consiglio a tutti i colleghi italiani e al nostro partito fratello, che è Forza Italia. Vorrei dire: colleghi, cambiate leadership! La ragione è semplice: tutto questo è inaccettabile, è incompatibile con la linea del Ppe». Secondo l’eurodeputato polacco, Berlusconi è ormai «troppo anziano e fuori dalla vera politica». Da qui, il consiglio di «riposarsi». Se la condanna di Halicki è netta, sulla possibilità di un’espulsione di Berlusconi dal Ppe il deputato polacco prende tempo. «Berlusconi va espulso?», chiede la giornalista di Domani. «Come ho già detto, è fuori dalla linea di partito», si limita a rispondere Halicki
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
IN LOMBARDIA NEL VOTO DEGLI UNDER 35 MAJORINO BATTE FONTANA… NEL LAZIO INVECE ROCCA HA VINTO IN TUTTE LE FASCE DI ETA’
Se fossero solo i cittadini italiani under 35 a godere del diritto di voto, i risultati delle consultazioni nel Lazio e in Lombardia sarebbero molto differenti. Nel grattacielo milanese dove ha sede la giunta regionale lombarda siederebbe, come presidente, Pierfrancesco Majorino. Nel Lazio la partita sarebbe stata più combattuta.
Lo rivelano sia i flussi elettorali di Opinio, sia le analisi di YouTrend. «La bassa partecipazione è stata generale, ma a noi l’affluenza risulta particolarmente bassa tra i giovani», spiega Livio Gigliuto, presidente del Consorzio Opinio. Che i ragazzi siano meno partecipativi nelle tornate elettorali è consuetudine, «così come è una tradizione che, nel nostro Paese, ci sia una maggiore propensione dei giovani a riconoscersi nel centrosinistra». Tendenza particolarmente evidente in Lombardia e, ancora più marcata, nell’area di Milano. Considerando il voto della fascia di età 18-34 anni, il sondaggista Gigliuto rileva la vittoria di Majorino in Lombardia, con un 41% circa dei consensi. Attilio Fontana, se avessero votato solo i ragazzi, si sarebbe fermato al 39% delle preferenze. «Fontana non può di certo ringraziare i giovani per la sua vittoria. Anche perché il candidato arrivato terzo, Letizia Moratti, che non ha fatto una performance brillante, vede tra gli under 35 la fascia di età che, in percentuale, le ha dato più voti».
Per Opinio, il consenso di Moratti tra i giovani si avvicina al 15%, più alto del 9,87% ottenuto. Anche Majorino sale al 41%, rispetto al 33,93% generale. Fontana, invece, crolla dal 54,67% totale al 39%.
Nel Lazio, se fossero state contate solo le schede dei ragazzi, il ribaltone non ci sarebbe stato. «A differenza della Lombardia, dove abbiamo due esiti diversi tra under 35 e over 35, Francesco Rocca ha vinto tra tutti i target anagrafici», continua Gigliuto. Una conferma di quanto successo nelle politiche del 25 settembre? «È vero, Fratelli d’Italia è il primo partito del Paese in tutte le fasce di età, ma il centrodestra vince tra i giovani con risultati meno netti». Elemento che il sondaggista mette in risalto è che la fascia di età decisiva per Rocca non è stata né quella più giovane né quella più anziana, ma è tra la soglia 35-54 anni che il candidato di centrodestra ha avuto l’exploit, «con oltre il 58% dei consensi», a fronte di un dato generale del del 53,9%. «Ed è anche la fascia di età più decisiva in termini di numero di elettori», sottolinea Gigliuto. «Nel Lazio, la traiettoria del Movimento 5 stelle tra i giovani è stata simile a quella di Moratti. Donatella Bianchi, candidata civica esterna al mondo pentastellato, non ha avuto una buona performance, ma tra i giovani ha raccolto un paio di punti percentuali in più rispetto al dato generale».
I sondaggi a livello nazionale in possesso di Opinio vedono i 5 stelle ancora in crescita nonostante il risultato delle regionali: «Viaggiano intorno al 17%, attecchendo più al Sud che al Nord e più tra i giovani che tra gli adulti». Nel Lazio, come geografia generale del voto, non si assiste a una ripartizione netta tra giovani con il centrosinistra e anziani con il centrodestra, «ma è palese che la fascia dove il centrodestra performa meglio e amplia il divario è quella centrale, 35-54 anni». Gigliuto, benché in Lombardia rilevi ancora una tendenza dei giovani a votare il centrosinistra, non esclude un cambiamento nella collocazione dell’elettorato under 35. «È vero, tradizionalmente l’elettorato giovanile preferisce il centrosinistra. Ma qualcosa l’ha mossa la leadership di Giorgia Meloni, prima presidente del Consiglio donna, giovane rispetto a gran parte dei suoi predecessori a Palazzo Chigi».
Il sondaggista, però, crede che un eventuale spostamento dell’elettorato under 35 sia dovuto all’apprezzamento della figura di Meloni, non della coalizione di centrodestra. «Dipende molto dalle alternative che il centrosinistra offre. Majorino, anagraficamente più vicino alla generazione dei giovani, ha avuto ad esempio più successo di Alessio D’Amato, che in un certo senso rappresentava una continuità con la legislatura precedente, avendo ricoperto il ruolo di assessore in Regione Lazio. Al secondo giro non è facile raccogliere consenso tra i giovani che hanno più propensione degli adulti verso il cambiamento».
Cosa succederà nelle prossime tornate elettorali? «Credo di attenuerà ancora un po’ il divario tra giovani per il centrosinistra e giovani per il centrodestra – conclude Gigliuto -. Ma la verità è che molto dipenderà dalla vivacità delle alternative alla maggioranza di governo che il centrosinistra saprà mettere in campo. Un elettore alla fine deve valutare i candidati che ha di fronte. Poi, il centrosinistra sconta la mancanza di una leadership attraente al momento. Forse con la vittoria di Stefano Bonaccini cambierà il trend nel Paese, ma fino ad allora la distanza con il centrodestra sarà difficile da cambiare. Anche perché, se è vero che i giovani propendono ancora per il centrosinistra, il dato dirimente resta uno: i giovani partecipano di meno al voto rispetto agli adulti».
La bassissima affluenza alle ultime Regionali, per Gigliuto, ha visto una contrazione ancora più forte tra i ragazzi. Un’evidenza che, però, non risulta invece agli analisti di YouTrend: «L’elettorato giovanile ha un peso corrispondente al numero di giovani che votano e i giovani, in Italia, non sono molti nella popolazione generale. Detto ciò, l’astensione è stata trasversale, non ci risulta che si sia particolarmente concentrata nelle fasce di età dei più giovani», afferma Lorenzo Pregliasco. Il direttore di YouTrend ha le stesse evidenze di Gigliuto sul voto dei ragazzi in Lombardia, mentre nel Lazio «ci risulta un lieve vantaggio di D’Amato nella fascia 18-34 anni, mentre Rocca ha un vantaggio a valanga nelle altre fasce di età».
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
“IL CENTRODESTRA HA VINTO MA NON È ANDATO MEGLIO DELLE ULTIME POLITICHE. SONO ANCHE RELATIVAMENTE POCHI GLI ELETTORI CHE HANNO VOTATO I PARTITI DEL CENTRODESTRA. CHI ESCE MALE DA QUESTO VOTO È IL TERZO POLO”
Non c’è stata nessuna sorpresa. L’esito del voto in Lombardia e Lazio è stato quello ampiamente previsto da mesi. La sorpresa viene invece dal dato sulla partecipazione al voto. Era prevedibile che fosse più bassa rispetto a cinque anni fa ma non che fosse tanto bassa.
Eppure nemmeno questa è una novità assoluta. Nel 2014 in Emilia-Romagna si è recato alle urne per l’elezione del presidente della regione solo il 37,7% degli elettori. Un record negativo che nemmeno il dato di oggi scalfisce. Nelle elezioni successive, le politiche del 2018, in Emilia-Romagna la partecipazione al voto è tornata su livelli “normali” ; ha votato infatti il 78,3% degli elettori.
Il caso della Emilia-Romagna è particolarmente interessante perché evidenzia alcune delle ragioni responsabili per l’elevato livello di astensionismo delle elezioni di oggi. Con buona pace di Bonaccini, eletto allora presidente della regione e oggi candidato alla segreteria del Pd, in quella occasione gli elettori hanno disertato le urne perché l’offerta proposta, cioè i candidati, erano poco graditi.
È molto probabile che questo sia stato uno dei motivi della bassa affluenza in Lombardia e Lazio. A questo occorre aggiungere altri due elementi: l’assenza di temi coinvolgenti e la percezione diffusa che l’esito fosse scontato. Sommando a questi fattori contingenti le ben note cause strutturali che da tempo incidono sulla affluenza (debolezza dei partiti in primis) ne esce fuori un quadro caratterizzato da un astensionismo tendenzialmente crescente ma in parte intermittente. In altre parole si vota sempre di meno ma si vota anche selettivamente.
Con un astensionismo così alto occorre prudenza nell’analizzare questo risultato.
Il centrodestra ha vinto ma non è vero che sia andato meglio delle ultime politiche. Questa è una lettura sbagliata del voto. Proprio perché sono pochi gli elettori andati a votare sono anche relativamente pochi, rispetto alle politiche di settembre, gli elettori che hanno votato i partiti del centrodestra.
Ma in politica contano le percentuali. E questo spiega l’esultanza di Salvini che alle politiche aveva preso in Lombardia il 13,3 % e oggi, pur avendo ottenuto meno voti di allora, si ritrova con una percentuale più alta e soprattutto con un distacco da Fdi che nel 2022 era di quindici punti e oggi è diminuito.
E così Salvini si rafforza dentro il suo partito e in fondo anche Meloni si rafforza dentro il governo. Il suo risultato in Lombardia non è esaltante visto che alle politiche aveva preso il 28,5 % e oggi meno ma proprio per questo la convivenza con la Lega diventa meno problematica. Il Pd ha dimostrato una sostanziale tenuta e il M5s ha confermato di essere sempre più un partito meridionale.
Chi esce male da questo voto è il terzo polo. Aver ottenuto meno del 10% con una candidatura di prestigio come quella di Letizia Moratti deve far riflettere. In una competizione, come quella delle regionali, in cui la sfida è prendere un voto in più degli avversari è difficile attirare consensi se non si è percepiti come competitivi.
Nel centrosinistra resta aperto il problema delle alleanze. Per quanto limitato, il test di oggi dice che non basta una coalizione Pd-M5s o Pd -Azione/Italia viva per essere competitivi nei confronti di un centro-destra unito.
(da Il Sole 24 Ore)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
IN BALLO CI SONO 16 CASELLE E I MELONIANI PUNTANO A OTTENERNE 8, PIÙ LA VICEPRESIDENZA PER ROMANO LA RUSSA, FRATELLO DI IGNAZIO
«Siamo il primo partito anche in Regione Lombardia». Daniela Santanchè, ministro del Turismo e coordinatrice regionale di FdI, è soddisfatta. E quando la vittoria è apparsa larga, Santanché si è materializzata davanti al governatore riconfermato dandogli un bacio a favore di telecamere. Un clima ben diverso rispetto alla vigilia, quando la ministra sfidò Fontana: «Abituati a noi», disse mettendolo in guardia sulla spartizione dei posti nelle futura giunta.
Ma a proposito della nuova giunta regionale, Santanchè non si sbilancia: «Ho grande stima per il presidente Fontana e un ottimo rapporto con lui. Sono certa che non avremo discussioni, di certo è anche suo interesse avere una giunta di persone capaci».
Prima che del centrodestra questa è la vittoria di Attilio Fontana, il governatore uscente, che nonostante gli anni terribili del Covid, le polemiche infiammate sulla gestione della sanità, le inchieste della magistratura (tutte archiviate) e l’astensione ai massimi storici, si riprende la Lombardia con il 54,7% dei voti e la lista con il suo nome raggiunge il 6,1. Più di un elettore su due ha votato il centrodestra. Maggioranza assoluta.
Se quella di Fontana era una vittoria annunciata, anche se non con questi numeri, non altrettanto certo era il risultato interno alla coalizione del centrodestra. Anzi. Tutti gli occhi erano puntati sulla tenuta della Lega e di Forza Italia di fronte all’avanzata trionfante di Fratelli d’Italia
Ora scatta la nuova partita della giunta. Ci sono 16 caselle in ballo. FdI punta a 8 assessorati più la vicepresidenza. C’è già un nome, quello di Romano La Russa, fratello del presidente del Senato, Ignazio. Una mossa che potrebbe lasciare la poltrona della Sanità a Guido Bertolaso anche se in pole position c’è il deputato FdI, Carlo Maccari.
Fontana, forte del suo risultato e di quello della Lega per ora taglia corto: «Valuteremo le richieste di FdI a bocce ferme».
(da il Corriere della Sera)
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