Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
ALLARME ANCE: “COSI’ IL GOVERNO AFFOSSA IMPRESE E FAMIGLIE”… LI AVETE VOTATI? ORA GODETEVELI
Sarebbe un clamoroso dietrofront quello che si legge nella bozza del decreto sulla cessione di crediti d’imposta a cui il governo sta lavorando. Se confermata, per l’ottenimento di tutti i bonus, compreso il Superbonus 110%, non potrà essere utilizzata l’opzione dello sconto in fattura o della cessione del credito al posto della detrazione.
Significa che chi farà lavori edilizi che si qualificano per la detrazione, – che con l’ultima stretta nel decreto aiuti quater è passata al 90% nel 2023, a scenderà al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025 – dovrà necessariamente attendere la detrazione fiscale in 10 rate.
Il decreto non è però retroattivo, e lascerebbe quindi fuori chi ha già presentato la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (Cila).
Questa, tuttavia, non è l’unica opzione sul tavolo del governo. Come riporta Il Sole 24 Ore In alternativa, si prevede di impedire che siano gli enti pubblici ad acquistare i crediti, come hanno fatto, ad esempio, la provincia di Treviso e la Regione Sardegna.
C’è poi una terza opzione, ancora in fase di definizione, nei confronti cessionari del credito e dei fornitori che applicano lo sconto, che prevede debbano essere stati acquisiti dei documenti per escludere la negligenza.
Per i cessionari in possesso della documentazione si alleggerisce la responsabilità in solido, secondo la bozza del decreto. Il testo del governo recita: «ferme le ipotesi di dolo, il concorso nella violazione che determina la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari è in ogni caso escluso» per i cessionari che dimostrano di aver acquisito il credito di imposta e con tutta la documentazione delle opere che hanno originato il credito oppure qualora si facciano rilasciare dalla banca o società cedente «una attestazione di possesso» di tutta la documentazione.
La protesta dell’Ance
È però la prima delle ipotesi a generare più polemica, con la presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) Federica Lombardo che su Facebook scrive: «Se, come sembra in queste ore, il governo bloccherà per sempre la cessione di nuovi crediti da bonus senza aver individuato prima una soluzione per sbloccare quelli in corso vorrà dire che si è deciso di affossare famiglie e imprese in nome di non si sa quale ragion di Stato».
Il decreto è in lavorazione in seguito al caos nato proprio nella cessione e compravendita dei crediti. Istituti bancari e altri compratori hanno smesso di acquistarne non ricevendo più finanziamenti dallo Stato una volta terminati i fondi destinati al bonus. Di conseguenza, migliaia di cantieri sono rimasti aperti, con imprese edili lasciate senza compensi o proprietari indebitati dopo aver commissionato i lavori.
E quella di Conte:
Contro le intenzioni del governo si è espresso anche il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte: «C’è anche la possibilità di cedere i crediti di imposta, di farli acquistare dagli enti locali. Chiediamo al governo di non ostacolare questa possibilità», ha dichiarato in un intervento in cui ha ricordato come la riqualificazione urbana sia un’azione fondamentale per ridurre i consumi energetici del Paese.
(da Open)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
NUOVE OMBRE SUL CREMLINO E ALTRO “SUICIDIO” MISTERIOSO
Continuano le morti sospette tra i «fedeli» di Vladimir Putin. La funzionaria del dipartimento finanziario del ministero della Difesa russo, Marina Yankina, è stata trovata morta dopo essere caduta da una finestra del sedicesimo piano di un edificio residenziale.
A riportare la notizia è il canale Telegram del media russo Mash, poi ripresa anche dai giornali ucraini, secondo cui il corpo della 58enne sarebbe stato trovato da un passante all’ingresso di un grattacielo di Zamshina Street, dove Yankina risiedeva. I media locali ritengono si sia trattato di un suicidio, la donna avrebbe sofferto “di problemi di salute”.
Quella di Marina Yankina si va così ad aggiungere ai numerosi, nonché misteriosi suicidi che si sono verificati negli ultimi mesi tra i fedeli del leader del Cremlino. Il 14 febbraio scorso, infatti, il maggior generale, già funzionario del ministero dell’Interno e vice-capo dell’unità anti-estremismo della polizia russa, incaricata di perseguire i “nemici” della Russia, Vladimir Makarov, era stato trovato morto nella sua abitazione a Golikovo, nelle periferia di Mosca.
(da agenzie)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
LO STRESS CHE STA ACCUMULANDO, CON LA SMANIA DI ACCENTRARE E CONTROLLARE PERSONALMENTE OGNI DOSSIER, LA STA SPOSSANDO… INTANTO SALTA L’INCONTRO DI DOMANI CON ROBERTA METSOLA, E LA CONFERENZA DI MONACO SULLA SICUREZZA, PREVISTA PER SABATO
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni sabato non sarà alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza. Oggi era attesa la conferma definitiva. Non si terrà domani, secondo quanto si apprende l’incontro previsto in tarda mattinata a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la presidente del parlamento europeo Roberta Metsola. Confermati gli altri impegni di Metsola, in visita ufficiale in Italia.
«A causa di uno stato influenzale, il presidente del Consiglio ha annullato gli impegni in agenda oggi».
Meloni è in una situazione difficile, domenica sera l’alleato di Forza Italia Silvio Berlusconi aveva criticato esplicitamente la linea della premier sull’Ucraina e il fatto che si fosse confrontata con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Parlarne a urne ancora aperte non è facile.
Non era facile neanche parlare pubblicamente il 9 dicembre al vertice internazionale di Alicante, altra occasione in cui Meloni ha saltato l’appuntamento per un’influenza. In quell’occasione c’era sul tavolo una tensione con l’Eliseo, che nelle ultime ore antecedenti il vertice aveva chiuso a un incontro bilaterale.
La malattia della premier aveva lasciato la guida della delegazione italiana al vicepremier Antonio Tajani in quell’occasione, che aveva anche presieduto il Consiglio dei ministri in programma quel giorno.
Ma l’influenza è tornata a colpirla anche poco prima di Natale: il 21 dicembre la presidente del Consiglio ha di nuovo annullato tutti gli impegni «per indisposizione». Anche in quell’occasione, ha saltato un Consiglio dei ministri e un’intervista a Porta a porta, rinviata. In quei giorni era in corso un forte scontro interno alla maggioranza sulla legge di Bilancio: Forza Italia spingeva per inserire lo scudo fiscale per gli evasori, una misura che Fratelli d’Italia non voleva assolutamente intestarsi.
(da EditorialeDomani)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
DOMANI L’INTERROGATORIO IN PROCURA
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove è stato iscritto al registro degli indagati della procura di Roma per rivelazione del segreto d’ufficio. La decisione dei pm è preliminare al fatto che l’esponente politico sia ascoltato, probabilmente domani, e l’interrogatorio deve avvenire con tutte le garanzie del caso (a partire dalla presenza di un avvocato di fiducia).
Era stato il segretario dei Verdi, Angelo Bonelli, a presentare una denuncia in tribunale nei confronti di Delmastro accusandolo di aver passato al collega di partito (e coinquilino) Giovanni Donzelli, le trascrizioni delle intercettazioni ambientali nei confronti del detenuto al 41bis Alfredo Cospito in cui quest’ultimo riceveva la solidarietà da esponenti della criminalità organizzata per il suo sciopero della fame, ora parzialmente interrotto, contro il regime di massima sicurezza a cui è sottoposto.
Donzelli aveva poi usato quelle trascrizioni in aula per attaccare il Pd e accusarlo di aver solidarizzato con un criminale in combutta con la mafia, quando alcuni deputati erano andati a visitarlo in carcere a Sassari. Sulla stessa vicenda, la Camera ha anche istituito un giurì d’onore con il compito di indagare se Donzelli abbia esercitato il suo legittimo diritto di critica politica o sia andato oltre e sia quindi passibile di una denuncia (eventuale) per diffamazione.
(da agenzie)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
RISCHIA FINO A 5 ANNI
Blanco ha parlato di un problema in cuffia e all’evento ha dedicato persino una poesia sul fatto che si è sentito se stesso. I vertici della Rai e il direttore artistico del Festival di Sanremo, Amadeus, l’hanno sostanzialmente perdonato parlando dello «sfogo di un ragazzo che si è poi scusato».
Non così la Procura di Imperia che ha iscritto al registro degli indagati il musicista che la prima sera del festival di Sanremo 2023 ha interrotto la propria performance accanendosi sulle rose sul palco a calci.
L’accusa è di danneggiamento. Blanco era stato invitato all’Ariston per presentare il suo nuovo singolo “L’Isole delle rose“, dopo la vittoria del 2022. A metà dell’esibizione, ormai dopo mezzanotte, dopo aver fatto segni sul fatto che non sentiva in cuffia si è sfogato sulla composizione floreale, devastandola. «Non sentivo in cuffia, non potevo cantare – ha poi spiegato l’artista -. Ma almeno mi sono divertito, la musica è anche questo».
Il reato di danneggiamento è punito fino a tre anni, ma nel caso di Blanco potrebbe essere aggravato (oltre che dai futili motivi) dal fatto che il musicista ha reso “inservibili” cose altrui nel corso di una manifestazione aperta al pubblico: in questo caso la pena arriva a cinque anni.
(da agenzie)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTA E’ LA MORALE DI CHI GOVERNA UN PAESE EX CIVILE… CI SONO PURE I “RESPINGIMENTI ILLEGALI IN NERO” SU NAVI PRIVATE
Hanno salvato 48 persone in mare. Senza il loro intervento, staremo a scrivere dell’ennesima tragedia nel Mediterraneo. Hanno salvato esseri umani. E per punizione il governo italiano, sulla base del famigerato Decreto sicurezza, ha indicato il porto di Ancona come luogo di attracco. Un porto a cinque giorni di navigazione dal punto in cui si trovavano al momento del soccorso.
E’ l’odissea della Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere (MSF). Ieri, la Geo Barents aveva salvato 48 persone al largo della Libia. Di queste 48 persone, 9 sono minori. Viaggiavano su una barca di legno, in balia di forti venti e di onde alte più di tre metri. L’imbarcazione era stata avvistata dal ponte della nave, aveva riferito la Ong.
Per fortuna c’è un giudice a Catania.
Fu illegale lo «sbarco selettivo». Il tribunale di Catania ha stabilito che l’emanazione di un decreto interministeriale che ha imposto il divieto alla nave di soccorso Humanity 1 di sostare nelle acque territoriali il 4 novembre scorso, è stata una condotta illecita. Avrebbe impedito «in modo discriminatorio il diritto al salvataggio e l’accesso alla procedura di asilo» a una parte dei migranti.
Lo riferisce la ong Sos Humanity. Solo una «selezione» dei 179 persone che l’organizzazione di ricerca e soccorso aveva salvato in mare, era stata autorizzata a sbarcare nel porto di Catania; 35 uomini, ritenuti «sani» erano stati costretti a rimanere a bordo e con loro la nave avrebbe dovuto lasciare le acque italiane. Uno sbarco «selettivo» che suscitò polemiche e proteste.
La decisione del tribunale è significativa, afferma la Ong, «anche per il successivo decreto legge del 2 gennaio 2023, votato mercoledì dal Parlamento italiano, poiché il giudice ha evidenziato il dovere dell’Italia di assistere le persone in pericolo in mare. L’Italia sta attualmente violando proprio questo obbligo con le nuove restrizioni imposte alle organizzazioni non governative di ricerca e soccorso».
Nel novembre 2022, Sos Humanity, insieme ad avvocati italiani, ha sostenuto i 35 sopravvissuti rimanenti a cui inizialmente non era stato permesso di sbarcare su Humanity 1 avviando un procedimento giudiziario accelerato presso il tribunale civile di Catania.
L’obiettivo era garantire che il loro diritto di richiedenti protezione ad accedere a una procedura formale di asilo a terra fosse garantito con urgenza.
Prima che il tribunale potesse prendere una decisione, i migranti su Humanity 1 sono stati autorizzati a sbarcare l’8 novembre 2022: «Questo cambio di politica è avvenuto dopo l’ampia copertura mediatica della selezione dei richiedenti protezione a bordo, le proteste locali e l’annuncio di un sciopero della fame dei 35 sopravvissuti seguito da una valutazione psicologica».
«Questa sentenza di un tribunale italiano sottolinea che il nuovo governo italiano e’ obbligato a seguire il diritto internazionale», afferma Mirka Schaefer, Advocacy Officer di SOS Humanity.
I diritti dei rifugiati che chiedono protezione internazionale «non possono essere lesi privando alcuni di loro del diritto di chiedere asilo in uno Stato membro dell’Ue».
Il giudice sottolinea l’obbligo dell’Italia di fornire assistenza a ogni persona naufragata, «cosa che il governo italiano non ha fatto nel novembre 2022. Inoltre, l’Italia sta violando questo dovere con il nuovo decreto-legge del 2 gennaio 2023 che limita la ricerca non governativa e salvare. Questo nuovo decreto contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo e porterà a più morti nel Mediterraneo. Chiediamo ai parlamentari italiani di votare mercoledì contro questo decreto illegittimo e di impedirne la conversione in legge nazionale».
Nell’autunno 2022, Sos Humanity ha anche avviato un’azione legale contro il decreto interministeriale di novembre davanti al Tribunale Regionale di Roma.
Si attende ancora una decisione da parte di questo tribunale. Secondo la ricostruzione dei fatti, mentre era ancora in mare e dopo aver atteso per 13 giorni un luogo sicuro per i 179 naufraghi a bordo, la sera del 4 novembre il comandante dell’Humanity 1 ha ricevuto una lettera a firma dei ministri dell’Interno, Matteo Piantedosi, della Difesa, Guido Crosetti e delle Infrastrutture e Mobilità, Matteo Salvini.
Veniva vietato all’Humanity 1 di sostare nelle acque territoriali italiane per un tempo superiore a quello «necessario per assicurare operazioni di soccorso e assistenza a persone in condizioni di emergenza e in precarie condizioni di salute».
Il decreto indicava che, invece di uno sbarco di tutti i soccorsi secondo la legge del mare, le persone particolarmente vulnerabili sarebbero state identificate dalle autorità e solo questa selezione di sopravvissuti sarebbe stata autorizzata a sbarcare dalla nave. Il giorno dopo, il porto di Catania è stato assegnato a Humanity 1.
Dopo una selezione a bordo, nel porto per tutta la notte del 5 novembre fino alle prime ore del mattino del 6 novembre, 36 adulti sono stati giudicati «sani» e quindi costretti a rimanere sulla nave. Sos Humanity ha dunque intrapreso un’azione legale.
Un uomo ha avuto un esaurimento nervoso ed è stato trasferito in ospedale. Il giorno successivo i 35 rimasti sul ponte hanno iniziato uno sciopero della fame. Sulla base del decreto interministeriale, il comandante, Joachim Ebeling, è stato sollecitato dalle autorità italiane a lasciare nuovamente il porto con a bordo i 35, cosa che ha rifiutato citando il diritto marittimo: «È mio dovere portare a termine il salvataggio delle persone in soccorso facendo sbarcare tutti i superstiti nel porto di Catania come porto sicuro. Non posso lasciare il porto fino a quando tutti i sopravvissuti salvati dall’emergenza in mare non saranno sbarcati».
Una pratica odiosa. E fruttuosa per i trafficanti.
Prigioni segrete su navi private Questa è la pratica di respingimento meno conosciuta in Europa, in cui le prigioni segrete su navi private vengono utilizzate per riportare illegalmente i richiedenti asilo da dove sono venuti.
A documentarlo è Lighthouse Reports, organizzazione senza scopo di lucro con sede nei Paesi Bassi che conduce complesse indagini transnazionali combinando metodi giornalistici tradizionali, come la libertà di richiesta di informazioni, con tecniche come l’intelligence open source. “Il giornalismo investigativo – si legge nel sito di Lighthouse Reports – aiuta le persone a navigare nella complessità”, denunciando verità e garantendo trasparenza.
“Siti neri”, per vietare di chiedere asilo. La negazione sistematica del diritto di chiedere asilo alle frontiere terrestri dell’UE è stata ben documentata negli ultimi anni.
L’anno scorso, Lighthouse Reports e altri suoi partner hanno rivelato l’esistenza di “siti neri” – luoghi di detenzione clandestini – dove a rifugiati e migranti viene negato il diritto di chiedere asilo e imprigionati illegalmente prima di essere respinti.
Ciò che ha ricevuto meno attenzione è la negazione illegale dell’opportunità di chiedere asilo alle frontiere all’interno dell’UE e i brutali respingimenti che hanno luogo tra gli Stati membri – in particolare dall’Italia alla Grecia – in mare.
I respingimenti in Italia continuano. Si è dunque scoperto che i richiedenti asilo, compresi molti bambini, sono detenuti in carceri non ufficiali – sotto forma di scatole di metallo e stanze buie – a volte per più di un giorno nelle viscere delle navi passeggeri sulle rotte Italia-Grecia, come parte dei respingimenti illegali da parte delle autorità italiane.
Nel 2014, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’Italia aveva rimpatriato illegalmente richiedenti asilo in Grecia in questo modo, negando loro la possibilità di presentare domanda di protezione. Otto anni dopo, nonostante le autorità italiane abbiano ripetutamente affermato che questa pratica non si è fermata, abbiamo scoperto che continua a pieno regime.
I metodi usati. Lighthouse Reports, in collaborazione con giornali e organizzazioni umanitarie ha ottenuto fotografie, riprese video e testimonianze che rivelano come le persone che rischiano la vita nascondendosi sui traghetti diretti ai porti adriatici italiani di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi, nella speranza di chiedere asilo, si vedono negare l’opportunità di farlo.
Vengono invece trattenuti al porto prima di essere rinchiusi sulle navi su cui sono arrivati e rispediti in Grecia. Nella prima prova visiva di questo tipo, ottenuta durante numerosi viaggi di reportage tra l’Italia e la Grecia su navi commerciali di proprietà del gigante greco dei traghetti Attica Group, sono state catturate le immagini dei siti utilizzati per trattenere i richiedenti asilo su queste navi, a volte ammanettati, e deportati illegalmente.
Si è in particolare scoperto che su un traghetto, chiamato Asterion II, le persone sono rinchiuse in un ex bagno con docce e servizi igienici rotti, assieme a due materassi. I nomi e le date dei detenuti sono scarabocchiati sui muri in diverse lingue. Esistono prove visive di questa stanza, ottenute con una piccola telecamera attraverso il buco della serratura, che corrispondono alle descrizioni fornite dai richiedenti asilo.
Sulle navi Superfast I° e Superfast II°.
Su un’altra nave commerciale, denominata Superfast I, le persone sono trattenute in una scatola di metallo con un tetto a gabbia nel locale garage su uno dei ponti inferiori. Diventa estremamente caldo qui durante i mesi estivi. E’ stata visitata la stanza e girato filmati e foto. Corrisponde alle descrizioni dei richiedenti asilo. C’è solo un pezzo di cartone sul pavimento.
Un richiedente asilo afghano racconta di essere stato trattenuto in questo luogo: “È una stanza lunga 2 metri e larga 1,2 metri. È una piccola stanza. Hai solo una bottiglietta d’acqua e niente cibo. Dovevamo stare in quella piccola stanza all’interno della nave e accettare le difficoltà. Su un terzo traghetto, il Superfast II, i richiedenti asilo sono tenuti in una stanza dove vengono ritirati i bagagli. Un uomo afghano è riuscito a farsi un selfie mentre era ammanettato a tubi di metallo. Siamo andati nello stesso punto e abbiamo ripreso il filmato, che corrisponde all’ambiente circostante nell’immagine del selfie.
Tra i detenuti ci sono bambini. Sono stati verificati tre casi in cui minori di 18 anni sono stati rimpatriati via traghetto dall’Italia alla Grecia secondo il metodo appena descritto. Un ragazzo afghano di 17 anni – il suo nome è Baloosh – ha detto: “Mi hanno rispedito in Grecia in barca, illegalmente. Non mi hanno chiesto nulla della mia richiesta di asilo o altro”. Oltre alle testimonianze e alle prove visive, c’è conferma, da parte di un certo numero di membri dell’equipaggio, del fatto che questi luoghi venivano utilizzati per trattenere i richiedenti asilo, in procinto di essere rimpatriati in Grecia. Inoltre, esperti legali e ONG hanno ulteriormente confermato i risultati, affermando di aver ascoltato un gran numero di segnalazioni di queste pratiche, che si sono verificate negli ultimi anni.
La trama.
In base a un accordo bilaterale di “riammissione” tra il governo italiano e quello greco – che è in vigore dal 1999 nonostante non sia stato ratificato dal Parlamento italiano – l’Italia è in grado di rimpatriare i migranti privi di documenti arrivati dalla Grecia.
Tuttavia, questo non può essere applicata ai richiedenti asilo. Si è anche scoperto che i richiedenti asilo dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq sono stati sottoposti a questo trattamento negli ultimi 12 mesi. I dati forniti dalle autorità greche mostrano che centinaia di persone sono state colpite negli ultimi due anni, con 157 persone rimpatriate dall’Italia in Grecia nel 2021 e 74 nel 2022, anche se gli esperti ritengono che non tutti i casi siano documentati.
Le violazioni di tutte le regole.
Dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) del 2014, l’Italia ha più volte affermato che questa pratica è cessata e ha spinto affinché il monitoraggio ufficiale dei suoi processi di frontiera nel porto – che erano stati messi in atto a seguito della sentenza CEDU – venisse interrotto sulla base del fatto che le violazioni non si verificano più.
L’avvocato italiano per l’immigrazione Erminia Rizzi ha detto che questi rimpatri forzati avvengono “spesso” e vedono i richiedenti asilo, compresi i minori, “impediti nell’accesso al territorio, in violazione di tutte le regole e con procedure informali”. Wenzel Michalski, direttore di Human Rights Watch Germania, ha sollevato la questione della complicità dell’UE, affermando che i risultati hanno mostrato come “l’Europa si sia permessa di tollerare tali circostanze”.
(da Globalist)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
PRIMO MOTIVO: DELUSIONE E SFIDUCIA VERSO I PARTITI E I CANDIDATI… SECONDA RAGIONE: IL VOTO ERA SCONTATO
«Accanto alla netta vittoria del Centrodestra, è il crollo dell’affluenza il dato più significativo delle elezioni Regionali: in Lazio dal 67% del 2018 al 37% di oggi, con un’astensione cresciuta di 30 punti percentuali.
Con un calo dell’affluenza di pari dimensioni, record negativo anche per la Lombardia, dove si è passati dal 73% delle Regionali 2018 al 42% di oggi».
Così l’Istituto Demopolis in un comunicato che riferisce le proprie analisi del voto del 12 e 13 febbraio.
«La maggioranza assoluta di chi si è astenuto, il 51% – si legge nella nota – attribuisce la propria scelta a delusione e sfiducia verso partiti e candidati. Per 4 su 10 l’esito del voto appariva scontato, con la vittoria annunciata del Centro Destra; per il 33% la politica regionale non incide più sulla vita reale delle famiglie.
Lo scarso appeal dei candidati trova conferma anche nelle scelte di chi invece alle urne si è recato: ad incidere sulle scelte di voto – secondo l’indagine Demopolis – è stato, per il 75% il partito o la coalizione di appartenenza. Meno di 1 su 5 ha scelto in base al candidato alla Presidenza, appena il 6% tenendo conto del programma».
L’Istituto diretto da Pietro Vento ha analizzato la provenienza del consenso ad Attilio Fontana, riconfermato alla guida della Regione Lombardia con circa 1 milione e 775 mila voti: su 100 elettori odierni, 90 avevano già votato Fontana 5 anni fa; poco significativo il flusso da altre aree politiche. Non dissimili i flussi elettorali in Lazio: su 935 mila elettori del neo Presidente Francesco Rocca, 85 su 100 avevano scelto il Centro Destra già 5 anni fa”.
«Colpisce invece l’evoluzione del consenso ai 2 maggiori partiti del Centro Destra in Lombardia: se alle Regionali del 2018 la Lega staccava Fratelli d’Italia di 26 punti e nel 2019 di 38 punti, oggi il peso appare diverso. Il partito di Giorgia Meloni con il 25,2% supera la Lega, attestata al 16,5%, che resterebbe in svantaggio anche tenendo conto di un ulteriore 6% della Lista a sostegno del Presidente Fontana. Sul partito di Salvini, rispetto alle Regionali del 2018, pesano l’astensionismo ed un significativo flusso in uscita verso FdI».
«Nel Lazio secondo l’analisi dei flussi elettorali, condotta da Demopolis per Otto e Mezzo, dei 540 mila elettori che avevano votato il Partito Democratico alle Regionali del 2018, appena 53 su 100 hanno riconfermato il voto oggi: in pochi hanno «tradito», ma il 42% degli elettori del Pd nel 2018, oggi ha scelto di astenersi».
(da agenzie)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
DOVREBBE ANDARE A TUTTI I CITTADINI UE CHE HANNO I REQUISITI
La Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia perché le norme per accedere al reddito di cittadinanza sono in contrasto con le regole dell’Unione europea sulla libera circolazione dei lavoratori e sui diritti dei cittadini. La norma contestata, in particolare, è quella che richiede di avere la residenza in Italia da almeno dieci anni per ricevere il Rdc. Secondo quanto segnalato dalla Commissione, il reddito di cittadinanza dovrebbe andare a tutti i cittadini dell’Unione europea residenti in Italia che ne hanno diritto, a prescindere da dove abbiano avuto la residenza in passato.
Questo criterio, infatti, sarebbe una “discriminazione indiretta”: non è proprio come se ci fosse scritto che i cittadini non italiani non possono avere il reddito di cittadinanza, ma è comunque molto più probabile che siano i cittadini italiani a poter rispettare il requisito. In questo modo, peraltro, anche coloro che ricevono protezione internazionale non possono accedere al Rdc, perché arrivano in Italia in condizioni particolari e certamente non sono residenti nel Paese da dieci anni.
L’ultima obiezione della Commissione europea è su un effetto indiretto che il criterio potrebbe avere sugli italiani. Un lavoratore o una lavoratrice, infatti, potrebbero essere scoraggiati dall’andare a lavorare all’estero, perché se prendono la residenza in un altro Paese e poi per qualche motivo tornano in Italia, dovranno aspettare dieci anni per avere di nuovo i requisiti per il reddito di cittadinanza.
Il meccanismo delle procedure d’infrazione, nell’Unione europea, funziona in questo modo: da oggi – il giorno in cui la Commissione ha inviato una lettera per chiedere spiegazioni – il governo italiano ha due mesi di tempo per rispondere.
In sostanza, il governo Meloni dovrebbe scrivere un’altra lettera alla Commissione, spiegando perché ritiene che il criterio dei dieci anni in Italia non sia contrario alle norme dell’Ue, oppure annunciando che cambierà la legge.
Se il governo non dovesse rispondere affatto, o se la risposta non fosse soddisfacente, si passerà allo step successivo.
La Commissione invierà una nuova lettera, questa volta con un parere motivato. Nel testo si spiegherà perché e in che modo lo Stato membro, in questo caso l’Italia, deve adeguarsi alle leggi dell’Unione europea che sta violando. Entro altri due mesi, il governo dovrebbe intervenire.
Passata la nuova scadenza, la Commissione presenterebbe un ricorso alla Corte di giustizia europea. Questo tribunale potrebbe stabilire che l’Italia ha effettivamente violato il diritto dell’Unione europea, obbligare il governo a cambiare le leggi in questione e, se non lo fa in tempi ragionevoli, dargli una multa da pagare.
La maggior parte delle procedure non arriva a questo passaggio, comunque, perché la Commissione e lo Stato membro trovano un accordo prima.
Nel caso dell’Italia, considerando la volontà del governo Meloni di cancellare il reddito di cittadinanza a partire dal 2024, la Commissione potrebbe anche decidere di attendere questa scadenza senza proseguire nella procedura d’infrazione.
Anche l’assegno unico sotto accusa: può averlo solo chi è in Italia da due anni
La Commissione europea ha lanciato anche un’altra procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, con una motivazione decisamente simile ma rivolta a un’altra misura assistenziale: l’assegno unico e universale per i figli a carico. Il sussidio nato nel marzo 2022, ha infatti un criterio simile a quello previsto per il reddito di cittadinanza, anche se più ridotto: lo possono ricevere solo i cittadini residenti in Italia da almeno due anni.
In più, l’assegno unico spetta solo a chi vive sotto lo stesso tetto dei figli. Anche questo criterio, secondo la Commissione, viola alcune norme dell’Unione europea. Anche in questo caso, il governo italiano dovrà rispondere entro due mesi. Visto che Giorgia Meloni ha più volte detto di voler puntare molto sul sostegno alla famiglia e alla natalità, l’intervento sull’assegno unico potrebbe avere un’importanza maggiore per il governo, rispetto a quello sul Rdc.
(da Fanpage)
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Febbraio 16th, 2023 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI 10 ANNI RAPINE E FURTI DIMEZZATI, MA LA PARANOIA DELLA “SICUREZZA” FOMENATATA AD ARTE HA PORTATO GLI ITALIANI A TENERE PIU’ ARMI SOTTO IL CUSCINO
Il Consiglio regionale del Veneto ha condiviso sui propri profili social una foto che ritrae Joe Formaggio, consigliere di Fratelli d’Italia, con un fucile mitragliatore in mano in visita alla fiera delle armi di Verona. «In rappresentanza della Regione.
Sempre al fianco della lobby dei cacciatori e delle armi», si legge sul post. Formaggio, fortemente contestato, ha ribadito la sua posizione («Quella foto l’hanno scattata a me. Dopodiché, se il Consiglio ha ritenuto di pubblicarla, se ne chieda conto al Consiglio»), aggiungendo poi di aver portato con sé all’evento anche il figlio, perché «meglio che lasciarlo a casa a guardare la schifezza di Sanremo». Il consigliere, nonché ex sindaco della città di Albettone, in provincia di Vicenza – per cui diede il suo contributo alla costruzione del «poligono da tiro più grande del Veneto» – è noto da tempo per la sua posizione di totale apertura sul possesso delle armi.
Nel corso della carriera politica Formaggio si è schierato più volte a favore di cittadini indagati per aver impugnato un’arma, prima ancora che fossero i tribunali a stabilire se si trattasse o meno di legittima difesa. Come accaduto con Graziano Stacchio, l’uomo che il 3 febbraio del 2015 ha imbracciato il suo fucile per impedire ai ladri di assaltare l’oreficeria vicina alla sua pompa di benzina, definito da Formaggio un eroe prima ancora che qualsiasi sentenza si fosse pronunciata: tant’è che l’ex sindaco si era pure fatto fare una t-shirt con su scritto “Io sto con Stacchio”.
D’altronde Formaggio le armi è sempre pronto a tirarle fuori visto che si è spesso vantato di dormire con il fucile sotto il cuscino, per usarlo contro potenziali criminali («li aspettiamo col fucile in mano»).
Sul tema della legittima difesa e della diffusione delle armi da fuoco si discute praticamente da sempre, ma le polemiche si accentuano spesso durante le campagne elettorali o in occasione di qualche fatto di cronaca, quando la cosiddetta “emergenza sicurezza” diventa argomento di propaganda.
È lecito, a questo punto, farsi due domande: abbiamo davvero un problema di sicurezza? E in ogni caso, aumentare il numero di armi in circolazione ci farebbe sentire più al sicuro?
La risposta, tralasciando opinioni e punti di vista, sta nei dati. Partiamo dal primo quesito.
Secondo il Censis, istituto di ricerca socio-economica, negli ultimi 10 anni le denunce di reati in Italia sono diminuite del 25,4%, passando da 2 milioni e 800 del 2012 a 2 milioni e 100mila del 2021.
Nello stesso arco di tempo gli omicidi volontari sono diminuiti del 42,4% (da 528 del 2012 a 304 del 2021), le rapine del 48,2% (da 42.631 a 22.093), i furti nelle abitazioni del 47,5% (da 237.355 a 124.715) e i furti di autoveicoli del 43,7% (da 195.353 a 109.907). Nel 2021, tra l’altro, in 32 province italiane (abitate da 11 milioni di persone) non si è verificato neppure un omicidio.
Certo, questi dati non rispondono alla seconda domanda. I dati Censis infatti, se da una parte hanno messo in luce il calo dei reati, dall’altra hanno mostrato che una delle più grandi paure degli italiani (per il 52% degli intervistati) è proprio quella di rimanere vittima di reato.
Non si vuole certo negare che, specie in alcuni quartieri delle nostre città, la sicurezza sia un problema, secondo alcuni questa insicurezza si deve combattere mettendo più armi in giro: “I buoni devono potersi armare per difendersi dai cattivi” è grossomodo l’argomentazione in voga tra i difensori del diritto alle armi libere d’oltreoceano e non solo. Ma più libertà nel detenere fucili e pistole equivale realmente ad avere una società più sicura? Anche in questo caso ci vengono in soccorso i dati.
Prendiamo come caso studio quello americano, Paese in cui a partire dal 2009 l’acquisto di pistole per la difesa personale ha superato pure la vendita dei fucili usati per la caccia e dove in generale le armi in circolazione (dati 2018) sono circa 400 milioni.
Per questi motivi, secondo il rapporto diffuso dal “The American Journal of Medicine”, negli Stati Uniti il rischio di essere uccisi da un’arma da fuoco è 25 volte più alto della media delle nazioni OCSE con alto reddito – e la probabilità di rimanere vittima di un colpo partito accidentalmente è 6 volte più alta.
La correlazione tra armi e morti si baserebbe su un principio piuttosto lineare: se il malvivente in procinto di commettere un’aggressione teme che la vittima possa essere armata (e viceversa, o se un poliziotto teme che l’aggressore possa essere armato), è più facile che decida di sparare per uccidere.
In Italia, nonostante la riduzione dei reati sopra citata, nel periodo tra il 2014 e il 2017, ad esempio, 200mila cittadini in più hanno fatto richiesta – e hanno ricevuto – una licenza per porto d’armi – principalmente per uso caccia e per uso sportivo.
“Un numero che, sicuramente, è da mettere in relazione con i successi dei nostri tiratori nelle diverse competizioni internazionali, ma che risulta essere molto meno consistente rispetto agli effettivi atleti tesserati. Difficile non mettere in relazione questo aumento della voglia di sparare anche con la diffusione della paura e con la tranquillità apparente che può derivare dal saper maneggiare un’arma da fuoco”, scrive il Censis. Motivo per cui, tra l’altro, il 39% della popolazione sarebbe favorevole a modificare la legge sul porto d’armi, rendendo i criteri per poter disporre di un’arma da fuoco per difesa personale meno rigidi.
Se in America nel 2016 sono avvenuti 14.415 omicidi volontari con arma da fuoco, pari a 4,5 ogni 100.000 abitanti, in quell’anno in Italia, dove le leggi sono più restrittive, se ne verificavano 150, pari a 0,2 per 100.000 residenti.
Si potrebbe argomentare la differenza tra Italia e Stati Uniti adducendola a una presunta maggiore violenza intrinseca della società americana. Dopotutto le comparazioni statistiche che si basano su due soli dati sono naturalmente deboli.
A risolvere questo specifico dubbio arriva in soccorso il dato che mette a confronto il tasso di morti per arma da fuoco rapportato al tasso di armi detenute nei principali paesi occidentali.
Pur con qualche eccezione, in linea generale la correlazione è evidente al primo colpo d’occhio: i Paesi con meno armi in circolazione sono generalmente quelli con meno morti per arma da fuoco.
D’altra parte, anche prendendo in considerazione una sola nazione federale come gli Stati Uniti, le statistiche dimostrano che gli Stati USA con più armi in circolazione sono anche i più violenti e che il tasso di vittime cala progressivamente con la diminuzione del tasso di armi possedute.
Eventi come l’European outdoor show (EOS) di Verona – “una fiera volta ad incentivare la diffusione delle armi in Italia”, come l’ha descritta l’associazione Rete Italiana Pace e Disarmo in un comunicato stampa – non sembrano andare quindi nella direzione di una società più sicura. D’altra parte ogni fiera di settore non è certo un evento filantropico, ma un’occasione commerciale che punta a rafforzare gli affari delle aziende che vi investono.
La fiera di Verona, continua la Rete per il Disarmo, rappresenta “un’anomalia nel panorama fieristico dei paesi dell’Unione europea”, visto che l’EOS espone tutti i tipi di “armi comuni” – quindi, non solo quelle dedicate ad uno specifico settore- e consente l’accesso ad ogni tipo di pubblico – e quindi non solo agli operatori specializzati di settore -, e permette l’ingresso anche ai minorenni purché accompagnati da un adulto. Una lobby che in Italia trova sempre più spesso sponde a livello politico.
(da lindipendente.online)
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