Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
E’ LUI CHE SI OCCUPA DI GUIDARE IL FRONTE DIGITALE, COMPRESI DIFESA DAGLI HACKER E USO DEI DRONI
La storia della guerra in Ucraina è anche la storia di chi si è ritrovato. Studenti che si sono ritrovati soldati, pensionate che si sono ritrovate cuoche per le truppe e giornalisti locali che si sono ritrovati cronisti di guerra. Mykhailo Fedorov è un ministro che si è ritrovato generale. Classe 1991, Fedorov ha la stessa età dell’Ucraina, è nato pochi mesi prima che il Parlamento di Kiev proclamasse l’indipendenza da un’URSS che si stava dissolvendo.
Fedorov è arrivato al governo nel 2019 insieme a Volodymyr Zelensky. Due gli incarichi: quello di vicepremier e quello di Ministro dell’Innovazione. Era l’uomo che doveva guidare l’Ucraina verso la transizione digitale. È diventato l’uomo che guida il fronte cyber di Kiev, fatto di armate di droni e legioni di sviluppatori che hanno permesso alle truppe ucraine di resistere e ai civili di continuare a usare tutti i servizi statali passando solo dai loro smartphone.
Un anno fa, quando i primi tank russi hanno superato il confine eri in Ucraina. Sei sempre rimasto nel Paese dall’inizio della guerra?
Sì, sono rimasto in Ucraina per tutto il tempo dall’inizio dell’invasione su vasta scala. Ho lasciato il Paese solo per pochi viaggi di lavoro.
Com’è cambiata l’Ucraina dall’inizio della guerra?
Dal 24 febbraio l’Ucraina è cambiata drasticamente. Questa è la più grande guerra dalla seconda guerra mondiale con grandi perdite di persone e infrastrutture. Sono abbastanza sicuro che tutti voi abbiate visto filmati devastanti dalle città ucraine: Kiev, Kharkiv, Bakhmut, Dnipro, Kherson, Chernihiv, Borodyanka e Bucha. Oltre 5.000 missili russi hanno colpito principalmente case e obiettivi civili.
Accanto a tutta la distruzione che la Russia porta nelle nostre vite, l’Ucraina è riuscita non solo a sopravvivere ma anche a svilupparsi. Il mondo intero sostiene l’Ucraina e grazie a questo supporto siamo in grado di combattere e riconquistare i nostri territori. Abbiamo capito che la soluzione migliore è la tecnologia. È diventata il nostro vantaggio. Le Big Tech ci aiutano fornendo servizi gratuiti, supporto finanziario e persino aprendo uffici in Ucraina. Invece di arrenderci, stiamo diventando un Paese europeo forte e coraggioso.
Cosa significa Ucraina?
L’Ucraina significa tutto per me, come per ogni ucraino di oggi. È la mia casa e la difenderemo fino alla vittoria.
Come è cambiato il tuo lavoro?
Io e la mia squadra abbiamo avuto pochissime ore per dormire nei primi giorni di invasione e lavoriamo molto anche oggi. Durante l’anno abbiamo aperto un gran numero di nuovi progetti: la piattaforma di raccolta fondi UNITED24, Army of Drones e almeno 40 nuovi servizi legati all’app Diia. Abbiamo risposto alle sfide dei blackout e ripristino delle telecomunicazioni.
Questa è la prima cyberwar. All’inizio della guerra avete lanciato l’IT Army, un esercito di hacker fatto da volontari che arrivavano da tutto il mondo.
Sì, il progetto IT Army esiste ancora e difende la nostra prima linea digitale. All’inizio, il Ministero della Trasformazione Digitale ha lavorato al coordinamento di questa community. Tutti i partecipanti sono volontari: chiunque può unirsi al canale Telegram ed entrare a far parte del nostro IT Army. Finché la guerra è in corso non posso scendere nel dettaglio dei suoi meccanismi. Ma probabilmente il più grande contributo di IT Army è che ha distrutto il mito dei potenti hacker russi.
Dal 24 febbraio, la Russia ha lanciato più di 2.000 attacchi di hacker contro l’Ucraina. Quali sono i bersagli più colpiti?
L’Ucraina sta contrastando quotidianamente gli attacchi informatici russi. Possiamo dire che nessuno dei migliaia di attacchi informatici partiti dal 24 febbraio ha causato perdite reali per la nostra economia o ha fermato il sistema bancario, né danneggiato le infrastrutture critiche. Il nostro sistema di sicurezza informatica è efficiente.
I droni sono diventati sempre più importanti nelle strategie di guerra. A cosa servono?
I droni sono diventati una soluzione rivoluzionaria in questa guerra. Grazie ai droni da ricognizione aerea, l’esercito ucraino può controllare la linea del fronte e, grazie ai droni d’attacco, può colpire le posizioni nemiche. Il più grande vantaggio dell’utilizzo dei droni è che possiamo raccogliere informazioni accurate sul campo di battaglia, così salviamo più soldati. Negli ultimi sei mesi, il numero di aziende che producono droni in Ucraina è aumentato di 5-7 volte. Ma ne abbiamo bisogno per espandersi ancora di più. Questa guerra si sta trasformando in una guerra di robot. E per vincere, l’Ucraina ha bisogno di molti droni di tutte le categorie possibili.
Abbiamo lanciato Army of Drones. In 7 mesi dal suo lancio, sono stati firmati contratti per oltre 1.700 droni per oltre 87 milioni di euro. Questi sono i fondi che abbiamo raccolto da persone e aziende di 76 Paesi. Anche le persone possono donare i loro droni civili. Stiamo sviluppando nuove tipologie di droni per rispondere a tutte le sfide belliche. Fino ad ora la Russia ha lanciato oltre 5.000 missili contro l’Ucraina. Un missile ogni cinque è stato lanciato dal mare. In precedenza, il nostro Paese non aveva modo di resistere a questo tipo di attacchi. Ora abbiamo trovato una soluzione: i droni navali. Uno di questi droni può attaccare una nave del valore di milioni, al contrario il costo di un drone è dieci volte inferiore: circa 250.000 dollari.
Che ruolo ha l’intelligenza artificiale sul campo da battaglia?
Usare l’intelligenza artificiale sul campo di battaglia non significa che la guerra possa essere autonoma. Richiede ancora una decisione umana. L’intelligenza artificiale nei droni aiuta a trovare oggetti. La decisione finale per colpire è presa ancora da una persona. È come gli scacchi. Il futuro degli scacchi è che i computer giocheranno, ma quando ci sono diverse opzioni, ci sarà sempre una persona che prenderà la decisione finale su quale mossa fare.
La connessione Internet in Ucraina è supportata dai satelliti Starlink. Qual è il rapporto con Elon Musk?
Tutto è iniziato nei primi giorni dell’invasione. Ho scritto un tweet chiedendo a Elon Musk di aiutarci con Starlinks. Apprezzo la sua rapida reazione e tutto il supporto che abbiamo ricevuto da SpaceX quest’anno. In pochi giorni, abbiamo ricevuto il primo lotto di terminali. Elon Musk è uno dei maggiori donatori privati dell’Ucraina, secondo le nostre stime il contributo è di oltre 100 milioni di dollari. E internet via satellite salva milioni di vite ogni giorno.
Perché Starlink non vuole concedere la connessione a Internet per guidare i droni?
In questo momento non ci sono problemi con il funzionamento dei terminali Starlink in Ucraina. La scorsa settimana, abbiamo ricevuto migliaia di Starlink come parte di un nuovo lotto di 10.000 terminali dal governo tedesco. Gli Starlink aiutano a salvare migliaia di vite. L’infrastruttura energetica continua a funzionare grazie a loro. I medici stanno eseguendo interventi complessi grazie alla comunicazione fornita dai terminali Starlink.
Un elemento chiave per garantire i servizi ai cittadini ucraini è stata l’app Diia. Cosa puoi fare con questa app? Quanti ucraini l’hanno scaricata?
Diia è uno sportello unico per servizi pubblici e per i documenti elettronici. L’abbiamo lanciata esattamente tre anni fa. All’inizio era solo un’app per conservare la patente di guida digitale. Ad oggi abbiamo oltre 18,7 milioni di utenti dell’app Diia e oltre 22 milioni di persone accedono al portale web. Il 70% degli smartphone in Ucraina ha installato l’app Diia.
Con questo dispositivo ogni cittadino può aprire un’attività in pochi minuti, registrare un neonato, fare rapporto sul movimento di carri armati e truppe russe e richiedere le prestazioni sociali dell’assistenza alla disoccupazione. Ma può anche firmare documenti con una firma digitale e persino guardare i notiziari TV o la radio. Ma ci sono dozzine di altri servizi. Solo nel 2022 durante l’invasione su vasta scala abbiamo lanciato quasi 40 nuovi servizi e prodotti per i cittadini.
Si dice che ci siano Paesi interessati ad acquistarlo.
Abbiamo già il nostro primo caso di esportazione Diia. L’Estonia, il paese più digitalizzato, insieme al nostro team, ha sviluppato l’app governativa mRiik basata su Diia. Abbiamo condiviso il codice, architettura e approccio progettuale. E attualmente stiamo comunicando con più di cinque Paesi.
Avete sviluppato anche Delta, un Google Maps per i campi di battaglia. Come funziona?
Delta era un sistema che è stato sviluppato dal 2014, quando è iniziata l’invasione russa. Fondamentalmente, Delta è il Google Maps per i militari poiché la piattaforma mostra il campo di battaglia in tempo reale. Per fare ciò, integra dati di ricognizione aerea, immagini satellitari, dati di droni e rapporti di chatbot, inviati da persone civili che hanno visto l’hardware o le posizioni del nemico. Questo sistema salva munizioni e vite e ha già mostrato la sua efficacia durante la difesa di Kiev e nella liberazione delle regioni di Kharkiv e Kherson.
Un anno fa eri sicuro che l’Ucraina avrebbe vinto questo conflitto. Ora?
Oggi sono ancora più sicuro che l’Ucraina vincerà. Non c’è altro modo che vincere questa guerra. Durante l’ultimo anno, abbiamo mostrato al mondo intero di cosa sono capaci gli ucraini e il mondo intero ci ha mostrato un enorme sostegno. Grazie ai partner occidentali, abbiamo l’opportunità di lottare per la libertà e riconquistare i nostri territori. L’accesso alle armi più moderne, l’aiuto delle Big Tech americane ed europee, il coraggio e l’istruzione del nostro popolo sono la ricetta per la vittoria dell’Ucraina.
(da Fanpage)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
STIME PARZIALI, NON SI TIENE CONTO DEL RITORNO ECONOMICO
Conviene o costa troppo? Va reso strutturale o cancellato contenendo i danni? Il recente intervento del governo Meloni ha riacceso il dibattito sul Superbonus edilizio.
Ognuno dice la sua, tirando puntualmente fuori dal cilindro il dato parziale di cui c’è bisogno per confermare una tesi.
Ad esempio, che l’incentivo sia costato duemila euro a testa per ogni italiano – come detto dal ministro Giorgetti nella conferenza stampa post decreto – non è vero.
Il Tesoro stima la spesa complessiva dello Stato per tutti i bonus edilizi degli ultimi anni (e non solo quello al 110 percento) intorno ai 120 miliardi. Da qui i duemila euro a persona citati dal ministro dell’Economia: basta dividere per i 59 milioni di italiani. Un’operazione fin troppo semplice.
Peccato non funzioni così: senza calcolare il ritorno economico qualsiasi misura è a perdere. Proviamo a fare i conti con degli studi di settore.
I calcoli di Nomisma e Ance
L’ultimo studio uscito, in ordine di tempo, è quello di Nomisma, che – su tutti – dà due numeri molto precisi: il costo sostenuto dallo Stato per finanziare il Superbonus fin qui è di 71,8 miliardi euro, l’impatto economico complessivo sull’economia nazionale è di 195,2 miliardi di euro. Quasi tre volte tanto. Inoltre gli economisti citano studi precedenti, secondo cui il disavanzo per lo Stato sarebbe stato colmato dall’aumento del Pil – che effettivamente in questi anni è stato da crescita record, soprattutto se rapportato al resto del mondo – e poi riassorbito a livello strutturale in quattro o cinque anni.
Non si tratta dell’unico dato da considerare: c’è l’incremento del valore degli immobili, che resta un valore assoluto.
Ma soprattutto il passo verso una politica green – direzione intrapresa con forza anche dall’Unione europea – e la diminuzione delle emissioni, che tradotto significa anche risparmio energetico.
Non sono parole vuote, per Nomisma si tratta di 29 miliardi di euro all’anno che restano in tasca alle famiglie. Mediamente 964 euro per chi ha usufruito del Superbonus.
Uno studio dell’Associazione nazionale costruttori edili conferma gli stessi dati e sottolinea: l’ultima stima della crescita del Pil italiano nel 2022 è del più 3,9 percento, quello cinese – per capirci – del 3,0 percento.
Un terzo della crescita italiana, secondo l’Ance, è dovuta ai bonus edilizi. E non solo: lo Stato ha incassato 45 miliardi di extragettito tra gennaio e novembre dello scorso anno, con cui ha potuto sostenere la spesa energetica delle famiglie.
Gli edili registrano anche la creazione di 250mila posti di lavoro nelle costruzioni negli ultimi due anni, di cui 170mila grazie ai bonus.
Infine l’aspetto energetico: secondo Ance il risparmio garantito con gli interventi eseguiti in tutta Italia finora corrisponde a circa due miliardi di metri cubi di gas, ovvero i due terzi di ciò che – nel piano Cingolani dell’agosto scorso – si prevedeva avrebbe dovuto risparmiare l’Italia per rispondere all’emergenza energetica.
I dubbi di Bankitalia
Più prudente l’analisi sull’impatto del Superbonus da parte di Banca d’Italia. Nell’audizione del 21 febbraio 2023, davanti alla commissione Finanze del Senato, i tecnici di via Nazionale hanno sì parlato di “un impatto assai significativo sul settore delle costruzioni”, con un aumento degli investimenti in abitazioni, nei primi tre trimestri del 2022, pari al 40 percento rispetto al 2019 e un incremento in termini di valore aggiunto e occupazione, rispettivamente del 27 e del 18 percento.
Gli esperti di Banca d’Italia però hanno sottolineato come solo il 50 percento degli interventi non sarebbe stato effettuato in assenza di incentivi fiscali. Un elemento che di conseguenza ridimensiona le stime sull’incidenza del Superbonus. E in ogni caso – prosegue l’analisi – “anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti”.
Nelle stime degli autori della ricerca, per raggiungere un equilibrio tra costi e benefici, la percentuale di sconto andrebbe ridotta al 40 percento.
Favorevoli e contrari
Tornando al lato economico, particolarmente favorevole al Superbonus è invece la ricerca condotta dal Censis. Non a caso, i numeri prodotti dall’istituto di ricerca sono quelli citati più volte negli ultimi giorni dal leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, padre della misura.
Nello studio, pubblicato a novembre 2022, si valutava che i 55 miliardi investiti dallo Stato fino a quel momento avessero attivato un valore della produzione totale pari ad almeno 115 miliardi di euro, coinvolgendo 900mila unità di lavoro.
Di conseguenza, il gettito fiscale prodotto ripagherebbe circa il 70 percento dei costi sostenuti dalle casse pubbliche.
Sullo stesso punto, è più cauto lo studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, svolto sui dati del 2021. Qui si calcola un ritorno di 43,3 centesimi per ogni euro investito. Dalle tabelle conclusive della fondazione emerge che il costo netto indotto è stato di quasi 16 miliardi di euro.
Parliamo di quanto ha effettivamente gravato il Superbonus sulle casse dello Stato nel 2021. Ma questo valore è semplicemente il saldo tra la spesa di oltre 28 miliardi di euro e l’effetto fiscale superiore ai 12 miliardi di euro (Iva e Irpef). Insomma: quanto è costato il bonus meno quanto ci ha guadagnato lo Stato con l’extragettito. Senza tenere conto di tutti gli altri fattori, però.
Un’altra tabella della Fnc ci viene in soccorso: c’è un valore della produzione aggiuntivo – ovvero il totale della produzione economica generata da un’impresa – da 90 miliardi di euro, oltre a un valore aggiunto di 32 miliardi di euro.
Tra i maggiori critici del Superbonus, troviamo invece l’ex presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro. A suo giudizio, gli effetti distorsivi di un incentivo troppo generoso hanno superato i benefici e si sono rivelati insostenibili per le casse pubbliche.
Inoltre, ha spiegato Pisauro, un mercato edilizio “dopato” dal Superbonus, ha favorito l’ingresso di aziende di ristrutturazione improvvisate e inefficienti. L’economista ha messo nel mirino anche il carattere anti-distributivo della misura, accessibile, alle stesse condizioni, da tutte le fasce della popolazione. C’è da dire però che quest’ultimo aspetto sembra accentuato dalla scelta del governo Meloni che – bloccando lo sconto in fattura e la cessione del credito – ha reso il Superbonus uno strumento utilizzabile quasi solo dai ricchi.
Su questo punto è intervenuta anche la Cgia di Mestre. Per il centro studi, il Superbonus ha interessato solo il 3,1 percento del totale degli immobili a uso abitativo, rispetto a quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, presenti in Italia.
In conclusione, possiamo dire che, per certo, il calcolo per il Superbonus di duemila euro a persona – sventolato in questi giorni dal governo – non sta in piedi, perché non considera in nessun modo i ritorni per le casse dello Stato. Più difficile valutare da che parte penda il piatto della bilancia, tra costi e benefici, poiché le analisi divergono. Rimangono alcuni punti fermi.
Da un lato il Superbonus era stato pensato come misura di emergenza, per risollevare l’economia dopo la pandemia.
Dall’altro, l’efficientamento energetico degli immobili è parte fondamentale degli obiettivi della transizione ecologica, che l’Italia si è data.
Anche per questo, un governo che considera gli incentivi all’edilizia green solo come un costo lascia più di un dubbio sulla visione a lungo termine per il futuro del Paese.
(da Fanpage)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
DA UN LATO C’ È ORBAN CHE DICE CHE LA GUERRA È “COLPA” DEI “BUROCRATI DI BRUXELLES”, DALL’ALTRO, LA POLONIA CHE HA POSTO IL VETO SULLA PROPOSTA ITALIANA SULLO STRALCIO DELL’IMPORT DI GOMMA SINTETICA DALLE SANZIONI ALLA RUSSIA
Il decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia è andato a sbattere contro un muro di gomma. Sintetica. E su quel muro, nonostante gli abbracci e le belle parole che hanno accompagnato la visita della premier Giorgia Meloni a Varsavia, si sono scontrati anche gli interessi di Italia e Polonia.
La prima che ha espresso le preoccupazioni delle proprie imprese per lo stop all’import di gomma sintetica da Mosca. La seconda che invece si è opposta ai correttivi introdotti per andare incontro alle richieste italiane. Per ripicca, Varsavia ha tenuto in ostaggio l’intero pacchetto di sanzioni.
Per una volta, quindi, non è stato Viktor Orban a vestire i panni del guastafeste, anche perché l’Ungheria ha ottenuto tutto ciò che voleva: esclusione del settore del nucleare dalle sanzioni e rinnovo delle misure limitato a sei mesi e non a dodici, come richiesto da Varsavia.
Ma il premier di Budapest non ha comunque perso l’occasione per criticare l’Unione europea, accusandola di pagare un prezzo economico eccessivo con le sanzioni perché “succube” degli Stati Uniti.
Durante un evento di Fidesz, secondo quanto riportato dai media ungheresi, Orban avrebbe accusato «i burocrati di Bruxelles» e gli Usa di voler prolungare la guerra. Ma subito è arrivata una secca replica di Josep Borrell: «L’Ungheria – ha detto l’Alto Rappresentante – partecipa alla spesa per il sostegno militare all’Ucraina e ha sempre sostenuto le sanzioni, che vengono adottate all’unanimità».
Il braccio di ferro sulla gomma sintetica russa va avanti da circa una settimana. La Russia esporta questo materiale per un valore di circa due miliardi di euro l’anno, di cui 700 milioni all’interno dell’Ue. L’Italia, che è un importatore, aveva subito espresso preoccupazioni sulle restrizioni. Secondo Roma, non ci sono certezze che questo bando possa effettivamente colpire l’economia russa. Al contrario c’è il timore di un impatto negativo sui prezzi del prodotto sul mercato Ue, con conseguenze per la competitività delle imprese, anche in relazione alla concorrenza extra-Ue.
Per questo il governo – attraverso la diplomazia a Bruxelles – ha proposto una serie di “correttivi”: oltre a una rimodulazione delle restrizioni, l’Italia (sostenuta dalla Germania) ha anche chiesto di fare una valutazione dell’impatto di questa misura.
Il compromesso raggiunto era stato approvato dagli altri governi, che dunque erano pronti a dare il via libera al decimo pacchetto di sanzioni, giusto in tempo per l’anniversario dell’invasione. Tutti meno uno: quello di Varsavia. Secondo la Polonia (Paese esportatore di gomma sintetica), i paletti introdotti renderebbero inefficace la misura, per questo l’ambasciatore ha posto il veto sull’intero pacchetto.
(da la Stampa)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
MA LA CREAZIONE DI UNA CLASSE INTELLETTUALE RICHIEDE TEMPO, NON ASSALTI
«Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato!». Così, in un celebre corsivo, Palmiro Togliatti attaccò, sarcastico, lo scrittore quando nel 1951 dichiarò pubblicamente che non era più comunista. Era il punto di arrivo di uno scontro drammatico che si era consumato tra il romanziere siciliano e il segretario del più grande partito comunista d’Europa sulle pagine de Il Politecnico, una delle più belle riviste del Dopoguerra, diretta da Elio Vittorini, legata al Pci e finanziata dall’Einaudi.
Alle mazzate dei dirigenti comunisti Vittorini rispose che la letteratura non poteva «suonare il piffero della rivoluzione»: la rivista uscì dalla polemica a capo chino, rifilata e censurata, prona al diktat della politica, e poco dopo morì. Non aveva più ragione di esistere: testimoniava così che la cultura non si può occupare a colpi di dirigismo politico e di ordini su cosa la letteratura, l’arte, il cinema e i giornali debbano fare.
La storia stranamente si ripete. Di recente allo scrittore Paolo Giordano è stato chiesto dalla politica, questa volta di destra-centro, di “suonare il piffero” alle richieste dei suoi partiti.
Il narratore, in procinto di tagliare il traguardo della direzione del Salone del libro di Torino, ha denunciato: «Sono state fatte richieste specifiche per dei nomi da includere nel comitato editoriale, aspetto su cui non avrei potuto negoziare. La cultura, e il Salone del libro, non meritano di essere lottizzati dal partitismo».
La pressione esercitata dal partitismo è arrivata sotto forma di richiesta di “affiancare” alla direzione di Giordano quattro intellettuali di area di centro-destra.
Il tentativo di assaltare la cittadella del Salone torinese non è un fenomeno isolato: si manifesta come un ulteriore, per il momento non riuscito, escamotage degli “uomini nuovi” di scalare il mondo della cultura.
Emerge ancora una volta il desiderio degli underdog intellettuali della nostra destra di uscire dalla marginalità e di sostituirsi a quella che considerano l’egemonia culturale della sinistra. L’ambizione si è manifestata fin dalle prime sortite del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Neoeletto, ha subito annunciato di voler programmare «il recupero dell’identità della nazione, soprattutto come identità culturale, oltre che linguistica e geografica». In questo contesto è arrivata la sua rivelazione della scoperta di Dante «fascio», come scherzosamente ha detto il vignettista Osho, o in camicia nera o comunque come esponente di una cultura di destra.
A Sangiuliano si è accodato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che ha esortato a «ripartire da noi stessi, ad amare di più la nostra gente, il vicino di casa, la nostra cultura» e ha progettato per gli scolari lo studio del folclore e delle realtà locali. Poi è arrivata la battaglia per la cancellazione del bonus cultura per i giovani: un modo, anche questo, per far la voce grossa e rimettere in riga ragazzi orientati verso consumi assai poco legati alla “nazione” e molto esterofili o “cosmopoliti” che dir si voglia.
Come dimostra il caso del Politecnico – o come appare dalle tormentate vicende della cultura novecentesca schiacciata dai regimi dittatoriali – la produzione intellettuale non si può completamente irregimentare, si può soffocare e noi possiamo in emergenza ricorrere ai samizdat e affini
(da la Stampa)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
L’INTERESSE DI CAIRO E L’IRRITAZIONE PER MEDIASET TROPPO MELONIANA
Non lo ha venduto e la notizia è che non ha più intenzione di venderlo. Silvio Berlusconi ha fermato la cessione del Giornale alla famiglia Angelucci. La svolta viene confermata da Forza Italia, il partito del Cavaliere. Annunciata a fine dicembre, la vendita del quotidiano era in uno stato avanzatissimo.
A spingere per la conclusione della trattativa sono i manager del gruppo Mondadori e la famiglia Berlusconi. A chiedere un’ulteriore riflessione al Cav. è il partito convinto che l’acquisto degli Angelucci non sia altro che “un regalo, una dote da consegnare alla premier, un segno dell’uscita di scena di Berlusconi dalla politica”.
L’operazione è stata chiamata “Fox Meloni News” e prevede la costruzione, da parte degli Angelucci, di un polo editoriale composto da Giornale, Libero e non si esclude anche la Verità. La vendita del Giornale si dava per finalizzata dopo le elezioni regionali in Lombardia. Oggi un ripensamento che contrappone i fratelli Berlusconi.
Il Cav. avrebbe alzato il telefono e chiesto al management del quotidiano di interrompere la cessione: “Il Giornale è mio”. E’ anche del fratello Paolo Berlusconi. L’altro Berlusconi vuole la vendita. Pure Pier Silvio e Marina Berlusconi sono favorevoli alla cessione.
Il padre ha un legame affettivo con il quotidiano ed è rimasto ferito dagli attacchi ricevuti in queste settimane. Le frasi del presidente Zelensky hanno dato forza a quanti nel partito gli ricordano: “Le reti Mediaset non fanno opinione, i quotidiani sì”.
A corroborare questa linea di pensiero è la presenza oramai quasi fissa della premier a Rete 4, rete che ha scelto per le sue interviste e che in FI definiscono “Meloni 4”.
Per non far saltare la trattativa sia i manager del gruppo Angelucci sia quelli del Giornale ragionano su una soluzione che nel mondo dell’editoria viene definita “una farsa e pure a perdere”. Si lavora a una cessione 70/30. Il 70 per cento agli Angelucci e il 30 per cento alla famiglia Berlusconi. Presidente della nuova società potrebbe essere il fratello Paolo che conserverebbe un ruolo. Serve a dimostrare che Berlusconi non si è sfilato dal Giornale. E’ una soluzione che fa a pugni con la necessità della vendita.
Se è vero che il Giornale viene ceduto per i debiti accumulati, è un non senso restare dentro una società con gli stessi debiti, perdendo inoltre la possibilità di stabilire la linea editoriale.
Chi è vicino a Berlusconi propone il contrario (30 per cento agli Angelucci e 70 per cento a Berlusconi) e ricorda che c’è un altro acquirente possibile. E’ Urbano Cairo, già disponibile all’acquisto.
(da Foglio)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
PER FAVORIRE I BALNEARI SI DANNEGGIA L’ITALIA: IL RINVIO AL DICEMBRE 2024 DELLE ASTE PER LE CONCESSIONI DEGLI STABILIMENTI BALNEARI NON RISPETTA LE REGOLE DI BRUXELLES E LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
La notizia era trapelata ieri. E oggi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto Milleproroghe approvato alla Camera accompagnandolo però da osservazioni sulle norme sulle concessioni balneari inserite nel provvedimento. Il capo dello Stato esprimendo riserve sul merito e sul metodo del decreto, ha deciso comunque di promulgarlo.
“Sono consapevole – ha scritto nella lettera – della delicatezza, sotto il profilo costituzionale, del rinvio alle Camere esercitato nei confronti di una legge di conversione di un decreto-legge, a pochi giorni dalla sua scadenza: farebbe, inevitabilmente, venir meno, con effetti retroattivi, in molti casi in maniera irreversibile, tutte le numerose altre disposizioni che il decreto-legge contiene, determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme. Ho ritenuto, quindi, di promulgare la legge di conversione in questione”.
Le concessioni balneari
Le riserve del Capo dello Stato sul Milleproroghe si riferiscono, però, alla necessità di non rinviare ulteriormente le gare per le concessioni balneari. Sulle concessioni demaniali, scrive il Presidente, “è evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento”. E’ necessario, dunque, che vengano corrette le norme sui balneari che in ogni caso si presterebbero a contenziosi e probabili impugnazioni con l’Unione europea, il Consiglio di Stato, enti locali e non solo.
I tecnici del Quirinale avrebbero infatti ravvisato nel provvedimento due criticità: in primo luogo il rinvio striderebbe con l’indicazione europea – la direttiva Bolkenstein – di mettere a gara gli spazi demaniali, pena il rischio d’una procedura d’infrazione; e con una sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2021 che fissava la scadenza delle proroghe delle concessioni esistenti al 31 dicembre 2023. Il differimento di un anno – fortemente voluto da Forza Italia e Lega con un emendamento approvato al Senato a ridosso del voto nel Lazio – si scontrerebbe con queste indicazioni.
Inoltre, spiega Mattarella, nel Milleproroghe c’è “una copertura finanziaria insufficiente in proiezione temporale che, al fine di assicurare il pieno rispetto dell’art. 81 della Costituzione, dovrà essere integrata con il primo provvedimento legislativo utile”.
L’abuso di decreti da parte del governo
Per quanto riguarda invece l’abuso di decretazione da parte del governo e di norme disomogenee, il presidente della Repubblica attende una inversione di tendenza, come assicurato recentemente dalla premier Meloni. “Ho apprezzato – conclude nella lettera – l’iniziativa che la presidente del Consiglio dei ministri ha di recente assunto, in dialogo con i presidenti delle Camere, sottolineando l’abuso della decretazione d’urgenza e la circostanza che i decreti legge siano da tempo divenuti lo strumento di gran lunga prevalente attraverso il quale i governi esercitano l’iniziativa legislativa”.
E ha aggiunto: “Come ha osservato” la presidente del Consiglio, “un’inversione di tendenza potrà aversi con il recupero di un’adeguata capacità di programmazione legislativa da parte del governo e di una corrispondente attitudine del Parlamento a consentire l’approvazione in tempi ragionevoli dei disegni di legge ordinaria. Rispetto a questa iniziativa del governo auspico piena collaborazione istituzionale e invito tutte le forze politiche a valutarla con senso di responsabilità”.
(da La Repubblica)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
“PER POLITICI CON UN EGO COSÌ FORTE È DIFFICILE CAPIRE CHE UN PAESE GRANDE COME LA RUSSIA STIA SUBENDO COLPI DA UN PAESE PICCOLO COME L’UCRAINA”
Iryna Vereshchuk, vicepremier e ministra per la Reintegrazione dei territori occupati. È perentoria nel definire le condizioni di Kiev al negoziato: «Riprendere la Crimea e tornare ai confini del 1991». Mentre liquida le affermazioni di Silvio Berlusconi come quelle di un «maschio alfa modello Putin» ormai consegnato alla storia.
Un’Ucraina sicura comprende la Crimea?
«Senza la Crimea non ci sarà sicurezza né per l’Ucraina né per l’Europa. È nell’interesse dell’Europa, della Gran Bretagna e degli Usa fare in modo che la Russia non possa utilizzare la Crimea come il suo trampolino militare. È ormai un fondamento della geopolitica mondiale».
Quali sono le vostre condizioni per sedervi a un tavolo negoziale?
«Ristabilire i confini ucraini del 1991 col riconoscimento della comunità internazionale».
Un commento sulle parole di Berlusconi?
«Berlusconi è un prodotto del passato, di un’epoca dove si governava non in base ai valori ma con altri strumenti politici. Non fa niente, non ci offendiamo, siamo comprensivi. Anche noi eravamo sotto l’influenza di questo tipo di politica e di visioni del mondo errate. Il futuro appartiene ad altri politici espressione di altri valori, bisogna solo aspettare e non dare troppa importanza a episodi del genere. Berlusconi ricorda Putin e la sua gente, maschi alfa che dimostrano disprezzo verso regole e i principi, convinti che a loro tutto sia concesso. Per politici con un ego così forte è difficile capire che un Paese grande come la Russia stia subendo colpi da un Paese piccolo come l’Ucraina che mettono a nudo la loro debolezza».
Si è chiesta come mai gli alleati non hanno fornito subito determinati armamenti?
«Nel 2014 Putin ha mostrato il suo vero volto annettendo la Crimea. E invece di fermarlo il mondo ha iniziato a trattare con lui. Continuavano a permettere alla Russia di armarsi militarmente e tecnologicamente.
Il Cremlino è riuscito a convincere buona parte del establishment dell’Occidente che sarebbe stato meglio per loro fare un passo indietro e concedergli una parte dell’Ucraina, per tutelare i rapporti con Mosca e avere una relativa pace in Europa.
Putin con la sua aria di sfida, è riuscito ad impressionare gli altri leader, perciò quello che succede ora è una specie di eco del 2014. Ma abbiamo avuto politici come Mario Draghi, Andrzej Sebastian Duda, Boris Johnson, i leader di Lituania ed Estonia e altri che non hanno esitato reagendo già nelle prime fasi dell’invasione. E adesso gli altri si allineano. Le cose stanno cambiando».
Il ripensamento di Sanremo vi ha turbato?
«No, il presidente si rivolge e parla al mondo intero. Ha fatto talmente tanti discorsi da essere sentito e capito in tantissimi consessi. Chi in qualche modo ha cercato di limitarlo non limiterà l’energia che emana il popolo ucraino. Si è trattato di un episodio specifico ma non così importante. Penso che gli italiani ci stiano aiutando perché in qualche modo si rispecchiano in noi, in come eravate un tempo. Il vostro popolo ha un grande cuore e una grande anima, questo è quello che conta».
(da la Stampa)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
IN PIAZZA GRIDANO: “ASSASSINI”… L’AVVOCATO: VICENDA BUIA E SENZA DIRITTI”… NON TENUTI IN CONSIDERAZIONE I PARERI DELLA PROCURA NAZIONALE ANTIMAFIA, DEI PM DI TORINO E DEL DAP
Decisione a sorpresa. Alfredo Cospito resta al 41bis. La Cassazione ha respinto il ricorso del suo avvocato Flavio Rossi Albertini che aveva chiesto la revoca del carcere duro contro la decisione del tribunale di sorveglianza di Roma. E come non bastasse lo condanna anche a pagare le spese processuali.
Ecco la reazione del suo avvocato: “Leggendo i pareri favorevoli della Procura nazionale antimafia, dei pm di Torino e del Dap inviati al ministro avevamo capito che la decisione ministeriale fosse stata politica e non giuridica. Dopo la lettura della requisitoria del Pg Gaeta pensavamo che il diritto potesse tornare ad illuminare questa buia vicenda. La decisione di questa sera dimostra che ci sbagliavamo”.
Per l’avvocato difensore questa della Cassazione «è una condanna a morte»: «Volevano il martire e lo avranno», dice Flavio Rossi Albertini. «Avevo maturato qualche speranza dopo che per ben due volte la Cassazione aveva anticipato l’udienza e soprattutto dopo il parere del pg della Cassazione. Hanno deciso così perché si sentono forti dal momento che hanno l’opinione pubblica a favore».
Hanno deciso i cinque giudici, da soli in camera di consiglio da stamattina alle 10, anche contro il parere del procuratore generale Piero Gaeta che invece aveva chiesto il riesame del tribunale di sorveglianza, ma che al pari dell’avvocato, non era presente in piazza Cavour durante la riunione dei giudici.
Silenzio surreale in piazza Cavour quando si è capito che era uscita la decisione. E poi l’inevitabile reazione degli oltre 50 anarchici presenti: “Assassini”, “Lo stato ammazza un militante anarchico e rivoluzionario”, “State fomentando rivoluzioni”, “Alfredo, viva o muoia, vivrà per sempre”.
Una presenza compatta, sin dalla mattina, dietro agli striscioni con le A dell’anarchia e le scritte “Lo Stato tortura. Con Alfredo, contro il 41 bis e l’ergastolo”, “Il carcere uccide”. Il tutto in una piazza Cavour completamente blindata su tutti i lati.
Adesso bisognerà aspettare le motivazioni della decisione da parte dei giudici della Suprema corte. Decisione che compromette inevitabilmente la vita di Cospito. In sciopero della fame dal 20 ottobre dell’anno scorso e ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano, nelle stanze riservate al 41bis. Cospito, ai suoi avvocati, aveva già detto chiaramente che, in caso di risposta negativa, avrebbe ripreso appieno lo sciopero della fame.
(da agenzie)
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Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
PER WINPOLL SCHLEIN IN TESTA 56% A 44%… DECISIVO QUANTI ANDRANNO A VOTARE
SONDAGGIO BIDIMEDIA
Alle primarie del Partito Democratico di domenica prossima, 26 febbraio, si sfideranno i due candidati che hanno ottenuto più voti nei circoli dem, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. Secondo l’ultimo sondaggio BiDiMedia, realizzato il 23 febbraio, la partita sarebbe ancora aperta: il governatore dell’Emilia-Romagna risulta avanti nella corsa alla segreteria, rispetto alla deputata, ma è ancora alto il numero degli indecisi, al punto che l’esito del voto potrebbe essere ribaltato.
Bonaccini conduce la corsa con un vantaggio di 7 punti percentuali, con un consenso del 38% raccolto tra gli elettori dem che si mostrano propensi a recarsi ai gazebo.
Elly Schlein segue con il 31%, ma è il dato degli indecisi ad essere particolarmente rilevante: quasi 1 potenziale elettore su tre (31% dei possibili votanti) non ha ancora deciso chi votare o se si recherà ai seggi. Un bacino che, in teoria, è più che sufficiente a cambiare radicalmente l’esito elettorale di domenica. Al netto degli indecisi, nell’improbabile caso che rimangano tutti tali anche domenica, Stefano Bonaccini otterrebbe il 55% contro il 45% per cento di Elly Schlein
A suscitare le speranze dei sostenitori dell’ex europarlamentare è anche la riduzione del distacco rispetto alla precedente rilevazione BiDiMedia sulle primarie, quando Bonaccini al netto degli indecisi otteneva il 57% contro il 39% di Elly Schlein, quando ancora erano sondati gli altri candidati.
L’affluenza ai gazebo
Dato determinante sarà l’affluenza ai gazebo. L’alto numero di indecisi non permette di rilevarla con precisione ed è stimata in un’ampia forchetta tra 700.000 e 1,3 milioni di votanti. I dati del sondaggio BiDiMedia sono basati sul voto stimato di circa 1 milione di persone, ma se l’affluenza fosse un po’ più alta, questa potrebbe favorire il recupero di Elly Schlein.
La sfidante risulta infatti più apprezzata da fasce di elettori meno propense al voto, mentre Stefano Bonaccini prevale nel “core” dei militanti PD
Primarie Pd: voto per età, genere e residenza
Se analizziamo però il voto per età, genere e residenza, Bonaccini vince nettamente tra gli elettori over 35, con il 41% dei consensi, tra gli uomini (43%) e nei residenti dei comuni con meno di 50.000 abitanti (41%). Elly Schlein al contrario è nettamente avanti tra i giovani (41% contro il 28% del governatore emiliano) ed è in testa tra i residenti delle città con oltre 50.000 abitanti (37 a 34)
Leggero vantaggio per Elly Schlein tra le donne (33 a 32), tra le quali si rileva il maggior numero di indecisi con il 35%. Da notare che i giovani, categoria di maggior forza per Elly Schlein, sono i meno propensi al voto, mentre le fasce d’età più elevata costituiscono la base più numerosa degli elettori dem, portando così ai dati totali del sondaggio.
SONDAGGIO WINPOLL
Elly Schlein davanti a Stefano Bonaccini nella corsa alla segreteria del Pd. La notizia arriva dal sondaggio politico di Winpoll.
Il vantaggio del presidente dell’Emilia-Romagna è sembrato assottigliarsi nel corso dei giorni, ma è sempre stato considerato il favorito – in ogni caso – nella successione a Enrico Letta. Dalle stime che vengono fatte sull’elettorato, però, arriva una risposta abbastanza chiara: ai gazebo è Schlein la favorita da battere: secondo Winpoll la deputata è al 56,3% tra i potenziali elettori del Pd, contro il 43,7% di Bonaccini
Scendendo nello specifico delle fasce d’età che compongono il campione di elettorato dem, arriva un dettaglio in più sulle preferenze per Schlein: la deputata guadagna il massimo consenso tra i più giovani, che nella fascia tra i 18 e i 29 anni la premiano con il 61% delle preferenze contro il 26% di Bonaccini. Tra i 30 e i 44 anni in testa c’è ancora Schlein con il 45%, davanti al presidente dell’Emilia-Romagna al 40%. È un confronto quasi alla pari, invece, nella fascia tra i 45 e i 65 anni: la deputata al 39% con il governatore al 41%. Ma Schlein conquista anche gli over 65: 48% con Bonaccini fermo al 33%.
(da agenzie)
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