Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA PARTITA DELLE NOMINE DELLE PARTECIPATE… L’INCAZZATURA DEI MELONIANI CON GLI ANGELUCCI: “LIBERO” STA CON NOI O CON LA LEGA?… RETE4 “RIEQUILIBRA” LO SPAZIO AI PARTITI DI MAGGIORANZA: PIÙ FORZA ITALIA E MENO FDI
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è piuttosto preoccupato. I recenti episodi che hanno coinvolto Berlusconi, Zelensky e Giorgia Meloni hanno alimentato il timore che il governo possa finire preda delle sue instabilità interne. Quel che agita il Colle è rilevare che, nella più totale assenza di opposizione, la maggioranza è riuscita a crearsela dall’interno. E pure forte.
Dal Presidenzialismo da instaurare al Superbonus da modificare, dal sostegno all’Ucraina al dossier sulle nomine delle Regionali e delle Partecipate, si ripete lo stesso copione: Giorgia Meloni da un lato, il tandem Berlusconi-Salvini dall’altro.
Nelle stanze damascate del Quirinale la frase siluro di Zelensky al Cav, pronunciata durante la conferenza stampa con Giorgia Meloni a Kiev è deflagrata come un petardo in una fabbrica di fuochi d’artificio.
Le frasi dell’ex comico sono state interpretate come un segnale di sfiducia nei confronti della maggioranza che sostiene il governo. Come a dire: difficile fidarsi dell’Italia con gli amici di Putin all’interno dell’esecutivo. A conferma della diffidenza del presidente ucraino, c’è il sospetto, divenuto via via certezza, che il siluro al curaro sul Cav fosse preparato
Gli “addetti ai livori” hanno notato una mancanza di prontezza da parte della premier nel difendere quello che, solo qualche giorno fa, aveva definito il “miglior ministro degli esteri che l’Italia abbia avuto”.
E Zelensky, con una malizia sospetta, ha evitato di pubblicizzare l’incontro con la Meloni sul suo profilo Twitter, dove di solito trovano ampio spazio i suoi incontri internazionali (qualche ora fa, ad esempio, si è addirittura congratulato con il presidente delle Comore, non proprio un leader di primo piano), condividendo le clip della conferenza stampa solo su Instagram e Facebook.
In tutto questo, Matteo Salvini tace. Non ha diffuso un comunicato per difendere Berlusconi, né ha dato man forte alla Meloni sulle sue posizioni euro-atlantiste. Il segretario della Lega continua a mantenere un profilo basso sulle questioni internazionali, dopo i pasticci dei mesi scorsi, avendo forse compreso che meno parla e meglio è.
Il suo silenzio non tranquillizza la Meloni, che teme un asse tra il “Capitone” e il “Banana” per metterla all’angolo su tutte le questioni di governo. Infatti, l’ira funesta del Cav sul caso Zelensky peserà, e molto, sulle nomine alle Regionali e nelle società partecipate. Forza Italia sente di avere la “golden share” della maggioranza, e non esiterà a farla pesare sulle scelte chiave.
Le liste per le partecipate andranno presentate entro il 15 marzo e ciascuna di esse avrà al primo posto un candidato presidente e al secondo un amministratore delegato. Già da quelle, dunque, sarà possibile avere un quadro più chiaro delle reali intenzioni dei Gianni e Pinotto della maggioranza.
L’idea di fondo che agita Salvini e Berlusconi è cambiare tutto: non vogliono dare continuità ai dirigenti ereditati dai governi di centrosinistra o dall’esecutivo Draghi. Il ragionamento è: se non azzeriamo un vecchio sistema di potere, quale reale cambiamento apportiamo?
È in questo contesto che va letto l’affondo di Matteo Salvini sulla necessità di una discontinuità in Enel e in Eni, dove, secondo i leghisti, abbondano i capoccioni piazzati dal Partito democratico (da Lapo Pistelli a Antonio Funiciello). Medesimo conflitto tra gli alleati si consuma sulla Rai: Giorgia Meloni vorrebbe tenere Carlo Fuortes fino alla scadenza del suo mandato (2024), mentre Forza Italia e Lega chiedono un immediato cambio al vertice di Viale Mazzini.
A suggerire al segretario della Lega di calare la scure sul cane a sei zampe è stato Paolo Scaroni. Da presidente del Milan, di cui Salvini è gran tifoso, l’ex ad di Eni è diventato grande amico del fidanzato di Francesca Verdini. Scaroni, checché ne dicano alcuni retroscena che lo descrivono interessato alla presidenza di Enel, in realtà brama una grande rentrée in Eni, come presidente, anche per “vendicarsi” del suo ex amico Claudio Descalzi, che gli ha fatto fuori tutti i suoi
A confezionare le indiscrezioni sulle nomine, vendute come “fonti della Lega”, c’è Andrea Paganella, ex capo della segreteria di Salvini ai tempi del Viminale. Tant’è che lo stesso Paganella potrebbe rappresentare la Lega, insieme a Giulio Centemero, e forse Alberto Bagnai, nel famigerato “tavolo delle nomine” che la maggioranza potrebbe aprire per ripartire le poltrone, in barba alla pijatutto Meloni (gli Ad a noi, le briciole dei presidenti agli alleati).
Per Forza Italia ci potrebbero essere Licia Ronzulli, Alessandro Cattaneo e un terzo, nominato direttamente da Berlusconi. Per Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida e Giovanbattista Fazzolari, che però fatica, a causa del suo carattere diffidente e ruvido, a trovare una postura “andreottiana” nella gestione del potere, a differenza di “Lollo”.
Daniela Santanchè e Romano La Russa sono stati dirottati a trattare la complessa composizione della giunta della Regione Lombardia, che vede Fontana favorevole alla riconferma di Bertolaso all’assessorato-chiave della Sanità contro i desiderata del duo La Russa-Santanché.
La spinta verso l’azzeramento dei vertici delle partecipate segnerà l’inizio della battaglia: da quel momento sarà tutto un mercanteggiare, una lunga ed estenuante trattativa per incasellare pedine, ruoli e poltrone, fatta di minacce e ricatti.
Oltre ai due guastatori Salvini e Berlusconi, Giorgia Meloni ha diverse beghe, interne al suo partito, da gestire. In primis le scorie del caso Cospito: il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro, è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, per aver condiviso con il coinquilino, Giovanni “Minnie” Donzelli, le intercettazioni del terrorista anarchico al 41 bis. Poi c’è stata la condanna definitiva per peculato per la curvacea Augusta Montaruli, fedelissima di Giorgia, costretta a dimettersi da sottosegretario all’Università per peculato.
Infine la ministra del Lavoro, Marina Calderone, tecnica in quota Fdi, è inciampata insieme al marito, Rosario De Luca, in un potenziale guaio giudiziario: la Guardia di Finanza sta indagando sulle presunte irregolarità nella gestione dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, ente di cui è stata presidente per 18 anni.
Inoltre, tengono banco le tensioni tra i due sottosegretari di Palazzo Chigi, il coriaceo guru Fazzolari e il mite Alfredo Mantovano. Senza considerare il mal di pancia del cerchio magico di Giorgia verso il capo di gabinetto della premier, Gaetano Caputi. Agita le acque del partito anche la fronda interna dei “gabbiani”, guidati da Fabio Rampelli.
L’entourage di Meloni è un po’ incazzato con la famiglia Angelucci. I fedelissimi di Giorgia si chiedono: ma “Libero” sta con noi o con la Lega? Il retropensiero è: con quale faccia viene a bussare alla nostra porta per promuovere i suoi interessi editorial-sanitari, se poi è così sdraiato sulle ruote del Carroccio?
Le frizioni tra Berlusconi e Giorgia Meloni avranno un ineluttabile riflesso anche a Cologno Monzese. A Mediaset si sta ragionando su come utilizzare la leva della comunicazione per “destabilizzare” il consenso della Meloni
È allo studio una rivoluzione nei palinsesti di Rete 4 sull’informazione, già a partire dal prossimo settembre. Lo spazio dedicato ai partiti di centrodestra potrebbe essere “riequilibrato”: più attenzioni a Forza Italia e Lega, e meno ai baldanzosi Fratelli d’Italia.
(das Dagospia)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“SE È COSÌ CROLLA TUTTO” … LA PROTESTA DEI LEGHISTI ROMANI: “O CLAUDIO DURIGON FA DARE UN ASSESSORATO A TONY BRUOGNOLO O ROMPIAMO”
C’è un primo schema. Da molti considerato una semplice base di discussione, un primissimo passo, un quadro destinato a cambiare, ma un primo schema di giunta regionale c’è. È spuntato fuori ieri dopo un bilaterale tra Fratelli d’Italia e Lega. Circola riservatamente in ristretti ambienti del centrodestra e se da una parte vede tutte le quote rosa destinate a FdI dall’altra sembra destinato a far saltare completamente i già delicatissimi equilibri del Carroccio nel Lazio.
In realtà però è appunto stato fatto qualcosa in più: un primo schema di giunta che prevede sette assessorati a Fratelli d’Italia, due a FI e uno alla Lega.
Il partito della Meloni schiererebbe così l’ex eurodeputata Roberta Angelilli, da tempo indicata come vice del presidente Francesco Rocca e possibile assessore allo sviluppo economico, Laura Corrotti, a cui potrebbero andare le politiche sociali, l’ex senatrice Laura Allegrini, di Viterbo, con possibile delega all’agricoltura di cui già si è occupata in Parlamento, la neoeletta consigliera Eleonora Berni, di Rieti, a cui potrebbe andare il turismo, il rampelliano Fabrizio Ghera, indicato ai lavori pubblici, Giancarlo Righini,
Mr. Preferenze, che a questo punto, perdendo la presidenza del consiglio regionale che andrebbe al leghista Pino Cangemi, c’è chi assicura punti al bilancio, costringendo Rocca a rinunciare all’interim e comunque all’ipotesi di un tecnico, e Massimiliano Maselli, vicino a Luciano Ciocchetti, che potrebbe ottenere la delega all’urbanistica.
Abbastanza per garantire la giusta rappresentanza delle donne in giunta e quella dei territori. E Antonio Aurigemma andrebbe verso l’incarico di capogruppo in consiglio regionale. Forza Italia otterrebbe invece due poltrone, destinate a Giorgio Simeoni, ex assessore della giunta di Francesco Storace che potrebbe ottenere la delega al lavoro, e a Giuseppe Simeone, ex consigliere regionale, che nell’esecutivo rappresenterebbe il territorio di Latina, dove FI è seconda dopo Fratelli d’Italia, e che punterebbe ad ambiente e rifiuti.
La Lega infine otterrebbe un solo assessorato, destinato all’ex consigliere Pasquale Ciacciarelli, che non è riuscito a ottenere la rielezione e che rappresenterebbe il territorio di Frosinone, gradito sia al deputato Nicola Ottaviani che all’ex presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese. La delega? Forse alla cultura, alla luce dell’esperienza fatta nella scorsa legislatura.
Uno schema destinato a mandare in pezzi il Carroccio. A Roma e provincia vogliono un loro rappresentante.
«O Claudio Durigon fa dare un assessorato a Tony Bruognolo o rompiamo», sostengono numerosi leghisti nella capitale. Ma anche il pontino Angelo Tripodi non sembra disposto a restare a mani vuote. E allo stesso tempo Cangemi non appare disposto a cedere su un incarico di prestigio.
(da La Repubblica)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
DAL 19ESIMO SECOLO AGLI ANNI ’70 PIÙ DI 150 MILA BAMBINI INDIGENI FURONO ISOLATI DALLE FAMIGLIE E COSTRETTI A FREQUENTARE DELLE SCUOLE CATTOLICHE E MOLTI DI LORO MORIRONO IN CIRCOSTANZE MISTERIOSE
Ricerche via radar hanno rivelato, vicino a una ex scuola residenziale cattolica canadese della Columbia britannica, 17 fosse che potrebbero contenere i corpi di 751 bambini delle comunità autoctone. Lo riferisce la Canadianpress citando una First Nation (una comunità di indigeni in Canada) che sta pubblicando i risultati di una ricerca preliminare sulle tombe anonime individuate sul terreno di un’ex scuola residenziale.
Il cimitero si trova nei pressi dell’ex Marieval Indian Residential School, situata nell’area della Cowesses First Nation, nel sud del Saskatchewan. Più di 150 mila bambini nativi furono costretti a frequentare le scuole cristiane finanziate dallo Stato dal 19/o secolo fino agli anni ’70 nel tentativo di isolarli dall’influenza delle loro famiglie e della loro cultura, cristianizzarli e assimilarli nella società dominante, che i governi precedenti consideravano superiore.
Il governo canadese ha ammesso che i maltrattamenti e gli abusi fisici e sessuali erano dilaganti, con studenti picchiati perché parlavano la loro lingua madre. Quell’eredità di abuso e isolamento è considerata dai leader indigeni come una delle cause principali dei tassi epidemici di alcol e tossicodipendenza nelle riserve.
Nell’aprile dello scorso anno papa Francesco ha chiesto scusa per i crimini commessi con la complicità della chiesa, e nel luglio successivo si è recato in Canada e ha incontrato i rappresentanti delle comunità indigene.
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“NON RICORDIAMO ALCUN ALTRO POLITICO CHE ABBIA INCARNATO LE ISTITUZIONI USANDO PUBBLICAMENTE UN LINGUAGGIO SGUAIATO”
Al presidente del Senato Ignazio La Russa piace – come dicono a Roma – «parlare come magna». Cioè con qualche fuoruscita impropria. É una caratteristica umorale. Ma poiché il Presidente del Senato ha permesso che si anticipassero per agenzia alcuni contenuti di un’intervista andata in onda ieri sera, ci troviamo di fronte un florilegio di frasi leggiadre come un eczema. Il catalogo è generoso e va dalla dichiarazione secondo cui avere un figlio gay costituirebbe un dolore, al giudizio secondo cui le attuali donne del centrodestra in questa legislatura sono meno belle ma con più cervello di quelle precedenti.
A questo punto il lettore si chiederà: e che cosa diciamo al Presidente del Senato? Che abbiamo riso di buon gusto? No, non abbiamo riso affatto. Chi scrive, oltre ad essere stato undici anni in Parlamento ricoprendo anche una carica istituzionale come Presidente di una commissione bicamerale d’inchiesta, ha fatto – ho fatto – per quarant’anni il cronista e posso dire di averne viste di tutti colori. Mi capitò anche di diventare per caso l’intervistatore prediletto di un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che tutti davano per matto e che matto non era affatto benché eccedesse in esuberanze.
Anzi, ricordo che quando rifiutai di pubblicare una sua intervista in cui lui dava all’onorevole Achille Occhetto dello «zombie coi baffi» trovando l’espressione non all’altezza di un capo dello Stato, Cossiga se ne infischiò e pubblicò la sua intervista su un altro giornale. Ma ogni volta che quel presidente «si toglieva un sasso dalla scarpa», tutto il perbenismo istituzionale dei palazzi e dei politici fingeva di fremere di sdegno.
Toccò ad un pugno di valorosi giornalisti impedire che quel presidente fosse dichiarato matto con certificato medico e rimosso: ma le sue battute eccessive che lui stesso battezzò come «picconate» riguardavano questioni serie che il senatore La Russa ricorda, che anticipavano il cataclisma in arrivo sull’Italia a causa del crollo dell’impero sovietico. Non ricordiamo alcun altro politico che abbia incarnato le istituzioni usando pubblicamente un linguaggio sguaiato, neanche per spacciarlo come ardita provocazione.
Paolo Guzzanti
(da “il Giornale”)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
INVECE CHE RINCORRERE OPERE INUTILI SI RINNOVINO LINEE, CARROZZE E INFRASTRUTTURE
Sul trasporto ferroviario ci sono forti differenze tra le Regioni italiane, e a pagarne il prezzo è soprattutto il Sud.
Secondo il nuovo rapporto di Legambiente Pendolaria 2023, nel Mezzogiorno “circolano meno treni”, quelli che viaggiano sono “più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma più elevata degli 11,9 di quelli del nord” e per di più “viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate”.
Ogni giorno, in Sicilia ci sono 506 corse di treni regionali, contro le 2.173 della Lombardia: più di quattro volte tanto, nonostante la popolazione della Lombardia sia solo il doppio di quella siciliana. “Emblematico è che tra Napoli e Bari non esistano treni diretti”, ha denunciato Legambiente.
E non solo: ci sono situazioni “come quella della linea Palermo-Trapani, via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone-Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) e della tratta Corato-Andria in Puglia (ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti)”. In generale, secondo Legambiente per il Sud servono “più treni, elettrificazione e collegamenti più veloci”, potenziando “il servizio Intercity” e garantendo “almeno un treno ogni ora” sulle direttrici principali.
Per i trasporti su ferro servono due miliardi di euro all’anno, magari togliendoli ai sussidi per le fonti fossili
La responsabilità è in parte delle Regioni e della “inadeguata attenzione” che dedicano al trasporto ferroviario. “Nel 2021 gli stanziamenti sono stati, in media, pari allo 0,57% dei bilanci regionali, in miglioramento rispetto allo 0,34% registrato nel 2020, ma in diminuzione rispetto allo 0,65% del 2019”, ha segnalato Legambiente. Eppure, alcune risorse ci sarebbero. La legge di bilancio del governo Draghi aveva istituito un fondo apposito con 2 miliardi di euro per “ridurre le emissioni climalteranti del settore dei trasporti”.
In più, il fondo per il trasporto pubblico locale è stato aumentato di 100 milioni all’anno per il 2022 e il 2023, fino al 2026. Infine, sono stati previsti dei nuovi finanziamenti per l’acquisto di treni regionali.
“Tutte risorse importanti”, ha detto Legambiente, “ma occorre fare uno sforzo aggiuntivo stanziando 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030”, che si potrebbero recuperare “specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili”. Questi soldi servirebbero per le ferrovie regionali, ma anche per metropolitane, tram e linee suburbane.
Nonostante alcuni miglioramenti, la transizione ecologica dei trasporti in Italia “è ancora troppo lenta”, ha denunciato Legambiente. Ci sono “continui ritardi infrastrutturali, treni poco frequenti, linee a binario unico, lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, chiuse e dismesse, e risorse economiche inadeguate”.
Il processo di riconversione dei trasporti è “fondamentale per rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, del taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050, visto che il settore è responsabile di oltre un quarto delle emissioni italiane”, ha commentato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. “È fondamentale invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per la cura del ferro del nostro Paese, smettendola di rincorrere inutili opere come il ponte sullo Stretto di Messina”.
Il riferimento è al ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che ha più volte parlato della necessità di portare avanti il progetto del ponte sullo Stretto per rilanciare il Sud. Secondo Ciafani, servono invece “servizi, treni moderni, interconnessioni tra i vari mezzi di trasporto e con la mobilità dolce, linee ferroviarie urbane, suburbane ed extraurbane”. Per questo, al ministro Salvini si chiede “di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere”.
(da Fanpage)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IN CALO LEGA, FORZA ITALIA, TERZO POLO E M5S, RISALGONO IL PD E VERDI
La crescita di Fratelli d’Italia nei sondaggi politici sembra non arrestarsi più. Dopo una leggera flessione registrata da alcuni istituti demoscopici a gennaio – forse per via del caso delle accise sulla benzina, che ha pesato non poco nel dibattito pubblico – il partito della presidente del Consiglio è tornato a volare nelle intenzioni di voto.
La testa nei sondaggi elettorali non è mai stata in discussione, ovviamente. Ma tra gennaio e febbraio Meloni e i suoi hanno guadagnato un altro punto, infrangendo l’ennesimo record personale. Intanto il Movimento 5 Stelle è di nuovo in calo, con il Partito Democratico in rimonta. Questo è il quadro che esce dall’ultimo sondaggio dell’istituto Ixè, pubblicato oggi. Vediamo i dati partito per partito.
Fratelli d’Italia è in testa al sondaggi politico: Giorgia Meloni e i suoi segnano un più 1,0% rispetto alla stima precedente del 3 febbraio e salgono al 31,1%.
A seguire – ma con una distanza che resta abissale – c’è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che però subisce un’importante battuta d’arresto: meno 0,7% e scende al 17,2%.
Dietro ai grillini, il Partito Democratico – che presto sarà guidato da Stefano Bonaccini o da Elly Schlein – prova la rimonta con un più 0,2% che li porta al 16,9%.
Disastro Lega e Forza Italia, crescono Verdi e Sinistra
Per il resto del centrodestra, le intenzioni di voto sono un sostanziale disastro: la Lega di Matteo Salvini continua a calare, con un meno 0,2% che la fa scivolare al 7,6%; malissimo anche Forza Italia di Silvio Berlusconi, che perde addirittura lo 0,8% calando al 6,7%.
Non ne approfitta il Terzo Polo di Azione e Italia Viva: Carlo Calenda e Matteo Renzi perdono a loro volta lo 0,4% e passano al 6,6%.
Nelle retrovie cresce l’alleanza Sinistra Italiana e Verdi, con un più 0,4% che la porta al 4,2%. Malissimo anche +Europa, con un meno 0,7% che gli vale il 2,1%. Chiudono la lista Per l’Italia con Paragone all’1,8% (meno 0,9%) e Noi Moderati allo 0,9% (più 0,4%).
Il campo largo potrebbe battere il centrodestra alle elezioni
Il dato forse più interessante di questo sondaggio politico, però, è quello per coalizioni. Il centrodestra oggi vale nel Paese il 46,3%, il centrosinistra nella formula disastrosa delle elezioni politiche di settembre – con Pd, Sinistra, Verdi e +Europa – appena il 23,2%. Praticamente la metà.
Ma cosa succederebbe se si formasse il famoso campo largo ipotizzato per anni? Sommando le percentuali di centrosinistra, Movimento 5 Stelle e Terzo polo – per quanto sia un esercizio semplicistico – si arriva leggermente oltre il centrodestra. Un’alleanza di tutte le opposizioni, infatti, varrebbe il 47% e sarebbe quasi un punto sopra il centrodestra.
È uno scenario impossibile al momento, ma con un orizzonte lungo di legislatura chissà che a qualcuno non venga in mente di ricucire i rapporti logorati tra forze di opposizione. Magari proprio al nuovo segretario del Pd. O alla nuova segretaria.
(da Fanpage)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
DA GIORNI DENUNCIA I MANCATI RIFORNIMENTI ALLA SUA BRIGATA, A BAKHMUT, E OGGI ALZA IL TIRO: “IL MINISTRO DELLA DIFESA, SERGEI SHOIGU, È UN TRADITORE”… A MOSCA È IN ATTO UNA LOTTA DI POTERE SENZA SCONTI
Il capo del gruppo di mercenari Wagner, l’oligarca russo Yevgeny Prigozhin, ha esortato i russi a fare pressione sull’esercito affinché fornisca munizioni ai suoi combattenti. Un appello senza precedenti che evidenzia la portata delle tensioni tra i mercenari e lo stato maggiore russo.
“Se ogni russo al suo livello – senza chiamare nessuno a protestare – dicesse semplicemente ‘Date a Wagner le munizioni'”, ha detto. Da giorni Prigozhin attacca il ministro della Difesa Sergei Shoigu dicendo che ‘non stava più fornendo munizioni e i suoi militari stanno subendo enormi perdite’. E l’ha accusato di essere un ‘traditore’.
Nel suo discorso Putin non ha parlato della situazione militare, ma a dare notizie che non sembrano certo confortanti per la Russia è stato il fedelissimo Evgenij Prigozhin, ex ristoratore, fondatore e capo del gruppo armato Wagner. Tra la sua organizzazione e i vertici militari, compreso il ministro della Difesa, ci sono scontri continui.
Per la prima volta qualcuno dalla parte russa ammette che l’attacco disperato contro Bakhmut sta costando «centinaia di morti al giorno». Questo a fronte delle dichiarazioni ufficiali degli alti vertici militari ferme a cinque mesi fa, quando in un comunicato venne riconosciuta la perdita di 5,937 uomini. Poi più nulla.
Ma secondo le stime degli ucraini e degli occidentali, le perdite sarebbero molto più alte. Kiev parla addirittura di 150 mila morti
A Bakhmut tutte le testimonianze raccontano di attacchi russi scriteriati, con reclute ed ex carcerati mandati a ondate contro le mitragliatrici ucraine, come avveniva nei folli attacchi della Prima guerra mondiale. Ora le parole dello stesso Prigozhin sembrano confermare questa strategia: «Centinaia di morti ogni giorno».
Prigozhin ha fatto rilasciare un suo documento sonoro nel quale accusa senza mezzi termini lo Stato Maggiore e il ministro della Difesa in persona. «Impartiscono a destra e a manca ordini per dire che alla Compagnia Wagner non si devono dare munizioni e non la si deve aiutare con il trasporto aereo».
Secondo il «cuoco di Putin», «ora sono state cancellate perfino le forniture di pale per scavare le trincee».
Per Prigozhin, è in corso «un tentativo di distruggere la Wagner che può essere equiparato al tradimento della Patria». Accuse pesantissime che erano state avanzate anche nel recente passato, sia pure non in termini così espliciti. Lui gode della protezione di Putin, ma fino a un certo punto. Tanto che l’11 gennaio il presidente ha invece riconfermato la sua fiducia nel Capo di Stato Maggiore Gerasimov facendolo nominare anche responsabile diretto dell’Operazione militare speciale.
Quella del «cuoco» è una denuncia disperata. Gli alti papaveri dell’Esercito, secondo lui, chiamano poi in continuazione i responsabili dei canali Telegram e di altri media chiedendo di non mostrare sue immagini o di mettere in giro voci false sul suo conto. La conclusione è amara: «Non ne posso più di scrivere lettere che tanto non legge nessuno».
(da agenzie)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
TRA BREXIT, AUMENTI CAUSATI DALLA GUERRA IN UCRAINA E CATTIVI RACCOLTI SULLA GRAN BRETAGNA SI È ABBATTUTA UNA TEMPESTA PERFETTA
Nei supermercati Asda, la terza catena del Regno Unito, ora ogni cliente può comprare solo tre pomodori, tre peperoni, tre cetrioli, tre cespi di insalata, tre broccoli, tre cavolfiori e tre lamponi. Nei supermercati Morrison, invece, da oggi ci sarà un limite di massimo due pomodori, due cetrioli, due peperoni e due cespi di insalata. Sempre che gli scaffali non siano già vuoti, come testimoniano numerose foto sui social scattate a Londra e altre città.
Già, perché diversi supermarket britannici hanno iniziato a razionare frutta e verdura per quella che gli esperti chiamano “la tempesta perfetta”. Le catene di distribuzione qui hanno fatto flop a causa soprattutto «dei cattivi raccolti in Spagna e Nord Africa, dove la recente ondata di freddo ha provocato grossi disagi», spiega al Telegraph Tim O’Malley di Nationwide Produce, importante azienda della distribuzione alimentare nel Regno Unito.
Ma non è l’unica ragione.
Per esempio c’è l’alta inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina. Non solo. Ci sono gli alti costi energetici – che hanno limitato l’uso di serre – e dei fertilizzanti, sempre a causa della guerra.
Ovviamente, c’è chi dà la colpa alla Brexit, soprattutto online. Ma un impatto c’è, vedi i costi supplementari e i ritardi delle consegne provocati dall’uscita dal mercato unico europeo e dai controlli alle frontiere. Del resto, gli scaffali vuoti sono scene estremamente rare in Ue.
Come ricorda Bloomberg, il settore agroalimentare in Gran Bretagna è severamente fiaccato dai posti di lavoro vacanti che non si riescono ad occupare dopo la Brexit e l’uscita dalla libera circolazione Ue, tanto che l’economia britannica ha bisogno di circa 1,2 milioni di introvabili lavoratori.
(da La Repubblica)
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Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
AL MOMENTO NON CI SONO MARGINI DI TRATTATIVA CON LA RUSSIA…GLI USA FORNIRANNO LE ARMI NECESSARIE MA PER ORA SONO ESCLUSI I CACCIA F-16…IL NODO CRIMEA CHE “MAD VLAD” CONSIDERA LA SUA LINEA ROSSA°
A Varsavia Joe Biden ha parlato come il «Commander in Chief» dell’intero Occidente. Sarà il presidente americano a indicare il percorso della nuova fase della guerra. Come si sta orientando la Casa Bianca? Ecco che cosa ci risulta, punto per punto. Gli americani sono convinti che il conflitto durerà ancora per molto, nessuno azzarda una previsione.
A Washington pensano che Vladimir Putin sia tuttora convinto di poter piegare la resistenza ucraina, anche se l’armata russa ha crescenti problemi. Tuttavia, osservazione cinica ma purtroppo rilevante, l’amministrazione Biden ritiene che Putin continuerà a gettare nella mischia truppe fresche, mandandole allo sbaraglio.
La guerra, quindi, potrebbe diventare ancora più sanguinosa. Gli Usa forniranno le armi necessarie. Per ora sono esclusi i caccia F-16. Ma la posizione potrebbe cambiare come è successo con i carri armati Abrams.
Al momento non ci sarebbero possibilità di trattative. Non si sta muovendo nulla. Tutti i canali di dialogo con Putin sono chiusi.
La strategia degli Stati Uniti è semplice e ambigua nello stesso tempo: mettere l’Ucraina nelle condizioni migliori sul campo di battaglia. Biden non ha intenzione di formulare alcuno schema per un possibile negoziato. Il timore è che un’eventuale proposta americana possa innescare divisioni prima in Ucraina e poi nel blocco occidentale.
Uno dei problemi più complicati resta la Crimea.
Nessuno dell’amministrazione si esprime ufficialmente, ma l’idea dominante è che per gli ucraini sarebbe molto rischioso provare a riconquistare la penisola. La Casa Bianca ritiene che quella sia una «linea rossa» per Putin. La sua reazione potrebbe essere devastante. Non c’è alcuna fiducia in quello che Pechino presenta come «piano di pace». Per la Casa Bianca è semplicemente un tentativo per alleggerire la pressione politico-diplomatica su Putin
I cinesi non hanno neanche consultato gli ucraini e quindi, per definizione, è una mediazione che non può andare da nessuna parte. Non solo. Sabato scorso a Monaco la vice presidente Kamala Harris aveva affermato che «la Cina sta approfondendo i rapporti con la Russia». A quanto risulta i servizi segreti Usa starebbero preparando un dossier che verrà pubblicato nei prossimi giorni, con le prove di «questo legame». Finora il segretario di Stato, Antony Blinken, ha precisato che «non ci sono segnali di forniture di armi cinesi alla Russia».
(da La Stampa)
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