Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
RIVENDICATO DAL GRUPPO “NO NAME”: COLPITI SITI DI CARABINIERI, MINISTERO INTERNI E DIFESA
Un gruppo di hacker russi ha rivendicato un massiccio attacco informatico all’Italia. Sei attacchi, ad altrettanti siti di istituzioni e aziende italiane.
Il gruppo, NoName 057(16), ha detto di aver cominciato l’offensiva in risposta alla visita di Giorgia Meloni in Ucraina. I siti attaccati sarebbero quello dei Carabinieri, del ministero degli Esteri, della Difesa ma anche quelli di società come la banca Bper e la società utility A2a.
Da quanto si è potuto verificare in queste ore, i siti istituzionali hanno a tratti problemi di accesso. Mentre nessun problema si è riscontrato finora sui siti delle aziende.
La rivendicazione è arrivata in mattinata sui canali Telegram del gruppo che in queste ore continua a condividere messaggi fornendo dettagli di nuovi attacchi e annunciandone altri nelle prossime ore. Si tratta di attacchi Ddos – Denial of service attack – che avvengono tramite un’offensiva coordinata di decine di migliaia di tentativi di accesso a dei siti simultaneamente, facendone collassare i server. Un attacco in sé facile, ma potente.
“L’Italia fornirà all’Ucraina il sesto pacchetto di assistenza militare, che includerà tre tipi di sistemi di difesa aerea”, hanno scritto gli hacker sul canale Telegram. Tutti i messaggi sono stati condivisi con l’immagine di un orso, chiaro riferimento alla Russia, che da una zampata alla bandiera italiana.
“Come ha detto il primo ministro italiano Giorgia Meloni durante una conferenza stampa a Kiev, si parla dei sistemi anticarro SAMP-T, Skyguard e Spike. Oggi continueremo il nostro affascinante viaggio attraverso l’Italia russofoba”.
Tutti i messaggi si chiudono con un messaggio in russo: “Verso la nostra vittoria”, calcando la ‘Z’, lettera diventata famosa per marchiare i tank russi presenti sul territorio ucraino.
Chi è No Name, il gruppo russo che ha rivendicato l’attacco
NoName 057(16) è tra i gruppi russi più attivi nella cyberguerra che affianca il conflitto cinetico in Ucraina. Il gruppo è stato creato un anno fa, a marzo 2022, poco dopo l’ingresso dei carri armati russi nel territorio di Kiev. Si è reso subito protagonista di una serie di attacchi contro enti governativi e infrastrutture critiche in Ucraina e nei Paesi che la supportano. In particolare Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Norvegia e Finlandia.
È la prima volta che gli attaccanti prendono di mira l’Italia. Anche se non è la prima volta che l’Italia viene colpita da gruppi di hacker filorussi. Lo scorso anno, ad aprile, il gruppo Killnet aveva messo a terra il sito del Senato, della Difesa e degli Esteri in un attacco del tutto simile a quello sferrato oggi da No Name.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
SPONSOR DI MARINE LE PEN) E GRANDE FAN DI SALVINI: “PIÙ A LUNGO DURA QUESTA GUERRA, PIÙ LA SOCIETÀ RUSSA SI PURIFICA DAL VELENO OCCIDENTALE”
“Puniremo i traditori”, ha detto Putin in un discorso zeppo di risentimento e paranoia. Ma assieme alle parole del capo, altrettanto rivelatorio è ciò che trapela da figure un tempo tenute a debita distanza, che con la guerra hanno guadagnato peso e autorevolezza.
Non c’è solo il fondatore delle milizie Wagner, Yevgeny V. Prigozhin, i cui soldati piano piano avanzano verso la città di Bakhmut, nel Donbas. C’è anche il miliardario ultraconservatore Konstantin Malofeev, detto anche “l’oligarca di Dio”, che ha finanziato i separatisti sempre nel Donbas e in Europa è conosciuto per essere sponsor della destra sovranista – avrebbe dato soldi al partito di Marine Le Pen, oltre ad aver definito Matteo Salvini, che dice di aver incontrato varie volte, “il futuro dell’Italia e dell’Europa”.
La nuova Russia in guerra è un’occasione anche per lui. Putin l’ha rimodellata in totale opposizione ideologica all’Occidente. Ciò che indica Putin è la Russia “eterna”, religiosa, culla dei valori “della tradizione”, libera dal virus corruttore del progressismo liberale. Esattamente quello che predicava da anni un tipo come Malofeev.
Tanto che proprio Malofeev si è detto contento che la guerra in Ucraina non si stia risolvendo in fretta. «Se il blitzkrieg (contro Kiev) avesse avuto successo, se Putin fosse riuscito a sottomettere in fretta l’Ucraina, nulla sarebbe cambiato», parole sue riportate dal New York Times.
«Più a lungo dura questa guerra, più la società russa si sta purificando dal liberalismo progressista e dal veleno occidentale. In Russia, il liberalismo è morto per sempre, grazie a Dio».
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“MI SENTO PARTE DI QUELLA RECITA DEL POTERE. LO SONO STATO, ORA NON LO SONO PIÙ. ECCO PERCHÉ NON FACCIO MOLTA FATICA A STACCARMI DALLA SITUAZIONE IN CUI MI TROVO E A GUARDARMI DA FUORI”
Tutti a chiedersi a quale incarico Mario Draghi potrebbe ancora ambire. Se per la sua «terza vita», a 75 anni compiuti, pensi ancora all’ipotesi Quirinale, a un ruolo in una grande banca d’affari o se accetterebbe una «chiamata» da Bruxelles. Pochissimi gli avvistamenti: uno ufficiale ai funerali di Benedetto XVI, un paio semi-chimerici fra gli scaffali di un supermercato milanese «vicino a palazzo Marino» e a una cena di banchieri durante l’ultimo Forum economico di Davos.
Ma poi ieri arriva lui in persona alla Fondazione Corriere della Sera, scegliendo come prima vera uscita pubblica post-Palazzo Chigi la presentazione del libro del vignettista Emilio Giannelli, e un po’ spiazza tutti. Non per quello che dice sull’attualità politico-economica dialogando con Ferruccio De Bortoli, Luciano Fontana e Paolo Conti davanti all’editore Urbano Cairo, seduto in prima fila.
L’unica frase che si lascia sfuggire, ricordando le scelte prese quasi un anno fa, è sul tema dell’approvvigionamento energetico. «Sul gas era importantissimo svincolarsi il più presto possibile dalla Russia e dovremmo rimanere tali – spiega -. Quello era il mio dovere in quel momento rapidissimo: era la prima settimana della guerra e dovevo fare più accordi internazionali possibili per assicurare l’autosufficienza italiana dal gas rispetto alla Russia».
E Draghi non stupisce nemmeno per quello che non rivela sul suo futuro. «Ormai sono un ex, non ho niente da chiedere – si schermisce quando De Bortoli prova a stuzzicarlo – . Mai dire mai? Lo dici tu…». Piuttosto Draghi sorprende perché, parlando del valore della satira, «Dalle vignette di Emilio Giannelli porto a casa il fatto di riuscire a guardare al potere e ai potenti. Io mi sento parte di quella recita. Lo sono stato, ora non lo sono più. Ecco perché non faccio molta fatica a staccarmi dalla situazione in cui mi trovo e a guardarmi da fuori».
«Giannelli divide il mondo in due categorie, i potenti e i normali, i contadini toscani che guardano alla realtà più grande di loro con stupore e distacco – prosegue -. Il potente e più vanitoso degli altri, ma è anche uno che tende a vedere cose che non esistono. Giannelli entra e distrugge la simmetria. Riporta il potente con i piedi per terra. È come se gli dicesse: ma non ti guardi mai allo specchio?». Ride di gusto quando Giannelli lo ringrazia «perché finalmente ho capito come faccio le vignette».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
RITRATTO DI UN UOMO NON PIU’ NELL’OMBRA
Si potrebbe fare leva su altre celebri e non fortunate “cognatanze”: Paolo Pillitteri con Bettino Craxi, Gabriele Cimadoro con Antonio Di Pietro e, a destra, la parabola disgraziata di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini e co-protagonista della non commendevole vicenda della casa di Montecarlo.
Ma la storia di Francesco Lollobrigida detto Lollo, 50 anni, cognato di Giorgia Meloni, ha ormai assunto uno spessore diverso. Perché Lollobrigida non è, o non è più o non è solo, un beneficiario della parentela con la premier Giorgia Meloni.
È diventato un uomo-chiave di Fratelli d’Italia, abile tessitore di una rete di potere e clientele, oltre che fidato consigliere dell’inquilina di Palazzo Chigi. Se proprio un paragone va fatto, giusto accostare la sua traiettoria a quella di storici bracci destri, come lo fu Martelli per Craxi, Gianni Letta per Berlusconi, Guerini per Matteo Renzi.
Titolare di un ministero che già nel titolo vuole raffigurare l’identità della Destra (la Sovranità alimentare), l’ex rappresentante del Fronte della Gioventù è la cinghia di trasmissione fra il partito e il governo: in realtà lui doveva continuare a fare il capogruppo alla Camera ma Meloni, con la logica del capotribù, alla fine ha deciso di infarcire il suo esecutivo di fedelissimi. E a Lollo, of course, ha assegnato un ruolo di rilievo: l’Agricoltura non è un ministero di serie A ma è sempre stato un crocevia di voti e interessi.
Però non solo: Lollobrigida è il capodelegazione, insomma il portavoce, dei ministri di Fdi in Consiglio dei ministri. E in questa qualità, per fare un esempio, a dicembre era pronto a guidare la cabina di regia sulla Finanziaria quando tempi stretti e richieste degli alleati rischiavano di far saltare tutto. Nei fatti, era già stato individuato come commissario per la manovra.
La sua longa manus si estende anche al Turismo, delega assegnata a Daniela Santanché (altra esponente di FdI), ma soprattutto agli enti e alle poltrone pesanti degli assessorati di mezz’Italia. Il superministro e il responsabile Turismo di Fratelli d’Italia, Gianluca Caramanna (deputato al secondo mandato), influenzano l’Enit attraverso Sandro Pappalardo, ex assessore regionale in Sicilia, e poi vantano legami diretti con una lunga serie di amministratori nelle Regioni, dalla Lombardia alla stessa Sicilia, dove solo per un incidente clamoroso (un maxi finanziamento da 3,7 milioni concesso a una società lussemburghese per la passerella della Sicilia al festival di Cannes) è stato rimosso l’assessore al Turismo Francesco Scarpinato. Sostituito prontamente con un’altra esponente di Fdi, Elvira Amata.
Anche in Liguria, nelle Marche, in Calabria la delega è in mano a Fratelli d’Italia. E chi l’ha lasciata, nel frattempo, è stato promosso in parlamento: come Manlio Messina, Gianni Berrino e Fausto Orsomarso. Sono le “antenne” del partito di Giorgia Meloni in un territorio popolato da 32 mila albergatori e 7 mila balneari e che muove cifre da capogiro: 3 miliardi di euro di progetti per la coesione territoriale, 2,5 miliardi di euro del Pnrr. Soldi spendibili in maniera veloce e spesso senza gara.
“Meglio di me, Crosetto”
In cima a tutto c’è Francesco Lollobrigida, che dal papà ex dc ha preso la capacità di stringere rapporti a tutto campo: “Io un uomo-chiave? In realtà mi sento un po’ una chiavica”, scherza lui. “E poi questa capacità di relazione ce l’hanno, più di me, colleghi come Guido Crosetto”.
Ma anche la tendenza a minimizzare fa parte del personaggio, che ha smesso di impermalosirsi quando si parla della “cognatanza” (termine da lui stesso usato con disinvoltura): “Devo sempre ripetere che ho cominciato a far politica diversi anni prima di Giorgia?”, puntualizza. “Gli ambienti giovanili della destra erano chiusi ed emarginati, era naturale che lì nascessero rapporti sentimentali come quello fra me e Arianna Meloni. Però, dico, perché nessuno si scandalizza se il Pd schiera i coniugi Franceschini fra Senato e Camera o se, nel gruppo di Avs che conta appena 13 deputati, due scranni sono di Fratoianni e sua moglie?”.
Moto d’orgoglio che anima un’attività che vede Lollo sovrintendere anche ad altri settori cruciali del governo. Che è nei fatti il coordinatore dei ministri tecnici: Salute e Lavoro. Orazio Schillaci, non è un mistero, è un nome indicato da lui. E la moglie Arianna, presenza assidua negli uffici del ministero della Salute, funge da cerniera. “Ma Schillaci è bravissimo e nella corsa a rettore di Tor Sapienza aveva già mostrato grandi doti politiche”. Con Elvira Calderone, ministra del Lavoro, c’è invece un antico rapporto di amicizia che coinvolge anche il marito, Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
Tirar su questa rete, per un uomo come Lollobrigida, non è stato semplice. L’ha aiutato anche l’esperienza sul territorio, maturata sin dai tempi dell’attività da rappresentante d’istituto al liceo Braschi di Subiaco e nelle sue esperienze negli enti locali, culminate con il ruolo di consigliere regionale e poi assessore della giunta Polverini.
È riuscito a tenersi alla larga da estremismi e nostalgie (“L’Msi? Il 50 per cento dei nostri tesserati non ne ha neppure memoria”) seppure con qualche eccezione: rimbalza ancora sul web la polemica per un sacrario dedicato al gerarca fascista Rodolfo Graziani finanziato dalla Regione Lazio, su sua iniziativa, e fatto costruire dieci anni fa ad Affile. Lollobrigida era lì, in prima fila all’inaugurazione.
Ma è ormai a suo agio nelle istituzioni, punto di riferimento del nuovo corso meloniano per grand commis e potenti portatori di voti. Nella burocrazia non usa il machete di Crosetto ma il bisturi. Poche rimozioni, qualche innesto mirato: nell’Agea, la potente agenzia per le erogazioni in agricoltura, ha spedito Fabio Vitale, l’ex dirigente Inps che nelle Marche aveva scoperchiato la pentola dei “furbetti” del reddito di cittadinanza, con inchiesta giudiziaria annessa. Vitale con Giorgetti era finito al Mise, Lollobrigida l’ha sottratto al collega Adolfo Urso assieme a Sergio Marchi, già al Copasir e oggi responsabile della segreteria tecnica del ministero dell’Agricoltura. A Nello Musumeci, ministro del Mare, ha “suggerito” un suo dirigente, Riccardo Rigillo, nominato capo di gabinetto dall’ex governatore siciliano.
Lollo c’è, è ovunque. Per qualcuno è ingombrante: in cima ai rivali interni c’è Fabio Rampelli, candidato ma mai fino in fondo a tutte le elezioni possibili e messo da parte anche per le Regionali nel Lazio a favore di Francesco Rocca, naturalmente uomo di Lollobrigida. “Sono come la sora Camilla, tutti la vonno e nissuno la pija”, commentò memorabilmente Rampelli, per giunta commissariato nella guida del partito a Roma.
Barba e Capelli
La corsa del biondo luogotenente di Giorgia con il vezzo del look (è solito entrare nella sala da barba della Camera per farsi pettinare prima delle sedute) prosegue lontano dagli ardori giovanili delle sezioni romane (“Le botte all’Università? Succedeva. E se me le davano, reagivo”) e vicino ai granai elettorali della Penisola: strategico il rapporto con Coldiretti. Il presidente, Ettore Prandini, alla vigilia del voto partecipò a un evento elettorale organizzato da Lollobrigida a Potenza. Fu ricambiato dalla neopremier il primo ottobre con una visita a Milano, nella sua prima uscita pubblica dopo le elezioni. “C’era pure Arianna, che nel partito” dice il marito “ha la delega alle questioni complesse, a Roma e in periferia: è una grande mediatrice”.
Letta così, sembra una coppia di diplomatici dentro il cerchio magico della premier, con cui i Lollobrigida si confrontano nei pranzi domenicali oppure nei vertici del lunedì con altri dirigenti.
La “cognatanza” paga, e Lollo tenta la scalata anche per diventare il numero due negli indici di popolarità degli esponenti di Fdi: nei social ha l’engagement più alto, grazie anche al profluvio di post (427) prodotti nei primi due mesi di governo: il segreto si chiama Matteo Caracciolo, un giovane che si occupa del web e che lavorava con Stefano Patuanelli, il predecessore di Lollobrigida all’Agricoltura: proviene – udite udite – dall’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. Ma il cognato più famoso d’Italia ha deciso di tenere con sé anche chi voleva aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno: pure questo, in fondo, è esercizio di sovranità alimentare.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL MISTERIOSO TITOLO DI STUDIO IN MEDICINA CONSEGUITO A TIRANA
C’è anche una strana storia che riguarda una laurea nell’indagine per corruzione e riciclaggio che coinvolge il governatore della Sardegna Christian Solinas. E ancora una volta ci va di mezzo l’Albania.
La procura di Cagliari lavora su due filoni d’inchiesta: al centro l’acquisto di una casa e alcune nomine. Oltre al governatore nel registro degli indagati sono iscritti i nomi del suo consulente Christian Stevelli, dirigente del Partito Sardo d’Azione, dell’imprenditore Roberto Zedda e di Roberto Raimondi, direttore generale dell’Ufficio dell’autorità di gestione del programma operativo Eni Cbc Bacino del Mediterraneo. E se il titolo di studio a Tirana ricorda altre vicende politiche che risalgono a decenni fa, quella dell’immobile somiglia a tante altre vicende finire sotto indagine in questi anni.
La casa e il prezzo
Il primo filone d’indagine riguarda l’acquisto di alcuni terreni a Capoterra, e l’ipotesi di reato è quella di corruzione e riciclaggio. La procura di Cagliari sta indagando sulla caparra, di alcune centinaia di migliaia di euro, versata dall’imprenditore Zedda per i terreni riconducibili al governatore. Tutto parte però dalla casa comprata da Solinas in via dei Tritoni a due passi dalla spiaggia del Poetto. Per acquistarlo Solinas avrebbe sottoscritto con l’imprenditore cagliaritano Zedda un preliminare di vendita per 550 mila euro per una porzione di una vecchia abbazia a Capoterra acquistata nel 2002 per circa 40 mila euro. Secondo una consulenza fatta fare dalla Procura il prezzo pagato sarebbe oltre dieci volte maggiorato rispetto al valore di mercato. E questo occulterebbe una presunta tangente. Secondo la procura la compravendita è stata perfezionata.
I terreni a Capoterra
Secondo il governatore no: «Non si è mai addivenuti alla stipula dell’atto definitivo in quanto il compianto promissario acquirente è venuto a mancare. Il contratto preliminare è stato però consensualmente risolto con gli eredi, ai quali ho restituito per intero la caparra a suo tempo versata mediante rogito notarile regolarmente registrato».
L’immobile (da ristrutturare) invece Solinas l’ha acquistato il 10 marzo 2021. Pagandolo alla fine 1,1 milioni di euro, coperti in gran parte con un mutuo da 880 mila euro ottenuto dal Banco di Sardegna. Quando la procura aveva aperto un fascicolo informativo dopo l’arrivo di alcuni esposti anonimi lo stesso Solinas aveva reagito ipotizzando «un caso mediatico fondato su ricostruzioni parziali e strumentali, su allusioni e accostamenti suggestivi, su gravi omissioni che orientano una lettura fuorviante».
La laurea a Tirana
La storia della laurea a Tirana invece la racconta oggi Il Fatto Quotidiano. Secondo il pm Solinas, in cambio della nomina di Raimondi in Eni, avrebbe ottenuto addirittura una laurea honoris causa in Medicina dall’Università di Tirana. E anche una cattedra nella stessa università e un incarico da docente presso la Link University di Roma. Raimondi è direttore della scuola di dottorato di ricerca dell’Università pubblica di Medicina di Tirana. Ma anche professore presso il dipartimento di sanità pubblica e docente straordinario a tempo indeterminato all’ateneo privato Unilink, con sede a Roma. Rimane misterioso come Solinas avrebbe giustificato il conseguimento di una laurea che in Italia prevede lezioni e tirocini mentre faceva il presidente di Regione.
Il rapporto difficile tra Solinas e i titoli di studio
Di certo il governatore ha un rapporto difficile con i titoli di studio. Vantava infatti un diploma d’eccellenza in sociologia conseguito all’Università Leibnitz di Milano. Che però non è riconosciuta dal Miur. Solinas si è laureato in giurisprudenza nel 2018 all’Università di Sassari. Ma l’ateneo si è sempre rifiutato di mostrare la tesi considerandola tutelata dalla privacy. Ora arriva questa storia curiosa della laurea in medicina a Tirana.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
CON LE SUE AMICIZIE RUSSE E’ UN PROBLEMA PER IL GOVERNO SOVRANISTA
Nella guerra in Ucraina il tempo delle ambiguità è finito. A un anno dall’inizio dell’invasione russa, il livello di coinvolgimento occidentale nel sostegno alla resistenza ucraina impone a tutti gli attori di schierarsi in maniera netta.
Nel discorso al castello di Varsavia lo ha spiegato con chiarezza il presidente Biden, che si rivolgeva ai polacchi ma in realtà inviava il suo messaggio anche a quei leader europei, come Berlusconi e Orbán, che ancora esitano in mezzo al guado o, peggio, restano fermi sulla sponda russa del fiume. In gioco, ha detto Biden, non c’è solo la sopravvivenza della nazione ucraina, “ma l’ordine internazionale e i valori fondamentali di indipendenza, democrazia, libertà”.
Se la sfida è questa – democrazia contro dittatura, libertà e stato di diritto contro tirannia – è del tutto evidente che le parole di Berlusconi contro Zelensky non potevano essere archiviate come un incidente o una gaffe, come hanno tentato di fare nei giorni scorsi i pompieri del centrodestra. Il problema è diventato talmente grande che ha finito per offuscare la missione a Kiev della presidente del Consiglio, un viaggio lungamente cercato, preparato con cura e portato a termine con impegno nonostante condizioni di salute precarie.
Ma il caso Berlusconi, alla fine, ha fagocitato tutto il resto, le lacrime e la commozione a Bucha e Irpin, le promesse di sostegno a 360 gradi, la sintonia politica, persino umana e personale con il presidente ucraino. Tale era l’ingombro lasciato al centro della stanza dal Cavaliere, che alla fine è stato impossibile per Zelensky aggirarlo. E al presidente ucraino non è rimasto che prenderlo a calci, sotto gli occhi imbarazzati ed esterrefatti di Meloni. Dire che Putin “non voleva la guerra” ma l’Ucraina “ha triplicato gli attacchi nel Donbass” costringendo la Russia a intervenire, è qualcosa che si può sentire solo nei talk-show più sciovinisti di Mosca. Propaganda inaccettabile qui in Italia, figurarsi in Ucraina. Era naturale che la bomba sarebbe esplosa, già il ticchettio si era sentito nelle parole con cui Zelensky aveva ironicamente liquidato il Cavaliere nell’intervista a Repubblica (“se il problema è la vodka, gliela regaliamo anche noi”). Il meteorite che Meloni temeva e osservava avvicinarsi già prima di salire sul treno per Kiev, alla fine ha impattato sul terreno politico-diplomatico proprio nelle ore della visita nella capitale ucraina, polverizzando, almeno sotto l’aspetto mediatico, qualsiasi altro risultato.
“Nessuno ha mai bombardato casa a Berlusconi con i missili come fanno con noi i suoi fraterni amici russi”. Questa frase, pronunciata da Zelensky a fianco di Meloni, fa cadere infatti d’un colpo tutta l’ipocrisia e gli infingimenti dietro i quali la destra ha provato a nascondere l’elefante che aveva e ha nella stanza. E che non può essere coperto ricordando, come pure ha provato a ripetere Antonio Tajani, che Forza Italia non si è mai dissociata nelle votazioni concrete sull’Ucraina. Un’apologia valida fino a un certo punto, se è vero che furono proprio Berlusconi e Salvini a togliere il sostegno e far cadere il governo di Draghi, il presidente del Consiglio che aveva schierato l’Italia senza se e senza ma in prima fila contro l’invasione russa.
Non è compito di Zelensky, né può essere affare di Biden, stabilire come risolvere l’affaire Berlusconi. È un compito che spetta a Meloni. Ieri sera, dalle parti di Fratelli d’Italia, qualcuno con spietatezza spiegava che “il problema” prima o poi si risolverà da solo. E già questo lascia capire il grado di amore che regna dentro la maggioranza. Ma, purtroppo per la premier, il monarca di Arcore è ancora vivo e vegeto e Forza Italia è la sua corte.
Mentre Salvini ha avuto l’accortezza di non pronunciare più mezza frase a favore di Putin, Berlusconi è recidivo e non riesce a trattenere nel suo foro interiore quello che davvero pensa della guerra. Troppo lunga e profonda la frequentazione con lo zar di Mosca per staccarsene come ha fatto il leader della Lega. E si torna dunque al punto politico. Meloni pensa infatti di poter utilizzare con Berlusconi il metodo Draghi: affidarsi solo ai ministri forzisti – Tajani in primis – provando a far finta che il Cavaliere non esista. Con Draghi il risultato fu che il governo cadde e le ministre di Forza Italia passarono in un altro partito (e Brunetta lasciò la politica). Perché la politica, alla fine, ha le sue regole e sono sempre le stesse. I problemi che non si risolvono in fretta sono destinati a ripresentarsi in futuro sempre più grandi.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA NOTA DI RISPOSTA CHE POI E’ STATA BLOCCATA
Quando, intorno alle sei e mezza del pomeriggio, Silvio Berlusconi comincia a leggere le agenzie da Kiev, l’umore cambia di colpo. Il Cavaliere si tramuta in volto: è nero, nerissimo. Non ha il sorriso che aveva consegnato poche ore prima a un post di commento all’aumento delle pensioni minime: “Un’altra promessa mantenuta”. Sembra già preistoria, quell’espressione di giubilo rilanciata su Instagram.
Ora c’è sul tavolo la reazione durissima di Zelensky alle critiche che l’ex premier gli aveva mosso due domeniche fa, in un seggio elettorale. Quelle parole del presidente ucraino lasciano il segno: “Io credo che la casa di Berlusconi non sia mai stata bombardata, mai siano arrivati con i carri armati nel suo giardino, nessuno ha ammazzato i suoi parenti, non ha mai dovuto fare la valigia alle 3 di notte per scappare e tutto questo grazie all’amore fraterno della Russia”.
Sono parole che il leader di Forza Italia non si attendeva. Una doccia fredda. “Ma che ne sa, questo signore, di me? Non sa nulla. Io i bombardamenti li ho vissuti da bambino”, sibila il Cavaliere. E in quel “signore” c’è, di nuovo, una presa di distanze che ribadisce una scarsa simpatia nei confronti di Zelensky. Ma tutti comprendono, ad Arcore e dintorni, la portata dell’incidente diplomatico che rovina la missione in Ucraina di Meloni. Infatti cala un silenzio imbarazzato, nello stato maggiore di Forza Italia.
La replica tarda ad arrivare. Il Cavaliere deve scrollarsi di dosso, una volta di più, l’immagine del filo-russo che ad aprile invitava “a convincere gli ucraini ad accogliere le domande di Putin” e che a ottobre confessava ai deputati di aver ricevuto “una lettera dolcissima”, e casse di vodka, dal capo del Cremlino.
Ma la nota di Berlusconi resta un’ipotesi sospesa in aria. Un’ipotesi scivolosa, visto il clima che si è creato. L’ex premier avrebbe voluto esordire con un riferimento personale, alla sua infanzia da sfollato sotto le bombe degli alleati: da Milano la sua famiglia fu costretta a spostarsi nel Comasco. Ma soprattutto, incoraggiato da Marta Fascina, Berlusconi avrebbe trasferito sulla bozza tutta la sua irritazione per quella che ritiene una critica sfrontata da parte di Zelensky.
E avrebbe insistito ancora sulla sua spasmodica ricerca della pace, da molti però vissuta come allineamento alle posizioni dell’amico Putin. Non se ne fa niente, fa sapere lo staff del Cavaliere quando sono già le nove e venti. Le “colombe” del partito prevalgono.
D’altronde, è la linea che s’impone, Berlusconi non aveva replicato al presidente ucraino neppure all’intervista a Repubblica in cui aveva ironizzato sulle casse di vodka spedite da Mosca. Circola la voce che sia stata la stessa Meloni a invitare alla prudenza, ma l’entourage di Berlusconi smentisce. Di certo, sfuma un nuovo capitolo di uno scontro che non aiuta l’Italia nel delicato scacchiere internazionale.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
ZELENSKY ROVINA LA VISITA DELLA LEADE FDI, LA PERFIDIA STA NEI DETTAGLI
Kiev-Roma. La perfidia, alla fine, sta nei dettagli. E allora quando a Kiev ormai è il tardo pomeriggio, nel palazzo presidenziale Mariinskyi, è Giorgia Meloni a dover tradurre in inglese al presidente Ucraino, Volodymyr Zelensky, la domanda (non gradita) sulle esternazioni di Silvio Berlusconi contro di lui.
La risposta però non ha filtri: “Diversi leader hanno diritto di pensiero – attacca il presidente ucraino – il vero problema è l’approccio della società italiana che a quel leader ha dato un mandato”. Poi Zelensky prende fiato: “La casa di Berlusconi non è mai stata bombardata dai missili, mai sono arrivati con i carri armati nel giardino di casa sua, nessuno ha ammazzato i suoi parenti, non ha mai dovuto fare la valigia alle 3 di notte per scappare o la moglie ha dovuto cercare da mangiare. E tutto questo grazie all’amore fraterno della Russia”.
Accanto a lui, in conferenza stampa, Meloni è imbarazzata. Vorrebbe scomparire. Tossisce. È la seconda conferenza stampa internazionale (l’altra era stata a Berlino) in cui la premier viene oscurata dai problemi degli alleati interni.
Un altro incidente diplomatico che imbarazza la premier. Non se lo aspettava. Per questo, pur prendendo le distanze dalle dichiarazioni di Berlusconi, Meloni prova a rassicurare Zelensky sulla tenuta della sua maggioranza. “Non sono d’accordo – dice Meloni davanti ai cronisti italiani e ucraini che insistono sul tema – Per me contano i fatti e i partiti di maggioranza hanno sempre sostenuto e sosterranno gli aiuti a Kiev, siamo compatti”.
Tant’è che, durante la conferenza stampa dopo un’ora di vertice, Meloni ci tiene a ribadire di fronte a Zelensky e ai leader internazionali che l’Italia “non tentenna” sul sostegno militare a Kiev e che “manderà ogni supporto fino al negoziato”.
Le chiedono dei jet voluti da Zelensky, ma Meloni su questo glissa: prima dice che “quando c’è un aggredito tutte le armi sono difensive”, poi sostiene che “al momento non c’è sul tavolo l’invio di aerei, è una decisione da prendere con i partner internazionali”.
Insomma, l’Italia non chiude all’invio di aerei: durante il faccia a faccia con Zelensky se n’è parlato, ma Meloni ha spiegato al leader ucraino che la decisione potrà avvenire con i partner europei che dovranno fare lo stesso. Ieri però Meloni ha fatto capire che la discussione è ancora prematura: “Ci siamo concentrati su sistemi di difesa antiaerea, Samp-T, Spada, Skyguard. La priorità è difendere infrastrutture e cittadini”, ha detto la premier. Questi ultimi sono due sistemi anti-missile che intercettano fino a 30 chilometri, piuttosto datati.
Ma Zelensky è tornato a chiedere anche i caccia. Sulla ricostruzione, invece, Meloni ha proposto una conferenza a Roma a metà aprile. Inoltre annuncia un ruolo tra Roma e Odessa in vista dell’Expo 2030. Invece decide di non rispondere sul riferimento di Putin che ieri ha ricordato all’Italia di quando la Russia ha aiutato Roma sul Covid: “Era un altro mondo, dopo il 24 tutto è cambiato”, ha detto. In mattinata, dopo una lunga notte passata in treno, la premier aveva visitato Bucha e Irpin, zone di massacri e bombardamenti imponenti.
I giardini della Chiesa di Sant’Andrea, prime fosse comuni degli ucraini, sono state le prime immagini delle atrocità che hanno stretto il mondo occidentale nell’indignazione contro il popolo russo. Sotto un cielo plumbeo, proprio da qui comincia la visita di Meloni: “Una visita simbolica, ma non solo”. Sotto una pioggia battente, accompagnata da un interprete, dal prete ortodosso Andriy Golovin e dal sindaco Anatoly Fedouk, Meloni si commuove: lungo il tragitto fangoso deposita una composizione di fiori rossi in memoria delle vittime. La visita continua a Irpin. Davanti a uno scheletro di un palazzo martoriato, Meloni si ferma a salutare le organizzazione umanitarie, donando loro grandi generatori e sottolineando l’importanza e l’aiuto italiano. Poi la conferenza stampa, il ritorno in Polonia nella notte e oggi a Roma.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
ORA FORZA ITALIA SI VENDICA: NO AGLI AEREI
Quando sugli schermi di tutte le tv ha visto l’attacco durissimo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a fianco di Giorgia Meloni e di fronte ai giornalisti di tutto il mondo, Silvio Berlusconi è sbottato. Chi lo conosce bene lo definisce “furioso” e “arrabbiatissimo” perché la cosa a cui lui tiene di più – passare per lo statista che “vuole la pace” e che ha riavvicinato Russia e Stati Uniti con Pratica di Mare – è stata colpita nel vivo.
Sicché il leader di Forza Italia ha meditato per tutto il pomeriggio di replicare a Zelensky con un comunicato ufficiale. Poi, dopo ore di riflessione, ha deciso di non farlo. L’ordine che è stato dato a parlamentari e dirigenti di Forza Italia però è stato quello di non replicare ufficialmente: ci pensa Berlusconi e lo farà nelle prossime ore. Da pari a pari con Zelensky.
Eppure dall’inner circle berlusconiano filtra irritazione. Non solo nei confronti del presidente ucraino che lo ha accusato di parlare contro di lui perché “la sua casa non è mai stata bombardata” e di “venire a vedere la scia di sangue” a Kiev, ma anche nei confronti della premier Meloni: secondo Berlusconi la presidente del Consiglio non lo ha difeso abbastanza durante la conferenza stampa. Si è limitata, è il ragionamento che si fa ad Arcore, a dire che “la maggioranza ha votato compatta” ma senza difendere esplicitamente Berlusconi di fronte agli attacchi di un capo di Stato straniero.
Un fatto che il leader di Forza Italia considera “grave” perché, sostiene, lui non lo avrebbe mai fatto al suo posto. Politicamente il ragionamento che si fa in Forza Italia è, se possibile, ancora più rilevante perché non si ferma al rancore personale ma è anche sostanziale: i berlusconiani sostengono che la missione di Meloni a Kiev – e anche la mancata risposta a muso duro a Zelensky – serva alla premier per accreditarsi a livello internazionale e con la Casa Bianca. Ma la linea rossa è rappresentata dall’invio dei caccia, su cui ieri la premier ha glissato in conferenza stampa: “Non sono sul tavolo” ha detto Meloni.
Ma l’ipotesi che prende sempre più piede è quella che i jet Thypoon, prodotti da un consorzio europeo di cui fa parte anche l’Italia, vengano mandati dopo un accordo tra i principali partner dell’Unione Europea. Ma su questo Berlusconi frena. “Abbiamo sempre detto che mandiamo armi solo difensive e non possiamo dire sì ad aerei che potrebbero fare incursioni nel territorio russo”, è il ragionamento che si fa ai piani alti di Forza Italia.
E non è un caso che ieri mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani a La Stampa definiva “praticamente impossibile” l’opzione di mandare caccia italiani, il suo viceministro di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli sul Messaggero spiegava che si potrebbero mandare “bombardieri Fmx”.
Un cortocircuito che delinea la spaccatura nella maggioranza. Perché sui jet anche Matteo Salvini frena: il leader della Lega ha sempre spiegato che l’Italia deve mandare solo e soltanto armi “difensive”. Tutto ciò dovrà passare da un settimo decreto interministeriale che però, spiegano fonti della Difesa, è ancora prematuro. In caso di accordo europeo, invece, non è esclusa una mozione parlamentare su cui però la maggioranza potrebbe andare in difficoltà. Oggi Meloni tornerà in Italia, con il fantasma degli alleati.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »