Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL PESTAGGIO A UN GIOVANE DI SINISTRA NEL 2004, IL FLIRT CON CASAPOUND E I POST PRO-MUSSOLINI
“Io nuovo Sofri del 2000”. A parlare, all’inizio del terzo millennio, è Andrea Delmastro Delle Vedove. Perché e in che occasione Delmastro – oggi sottosegretario alla Giustizia del governo Meloni – si paragona a Adriano Sofri, l’ex leader di Lotta Continua condannato a 22 anni di carcere come mandante dell’omicidio di Luigi Calabresi? La risposta è in quell’anno: il 2000.
Il biellese Delmastro, all’epoca dirigente di Azione Giovani, guida un’irruzione ad un convegno sul Novecento in università a Biella: ospite relatore è lo storico Giovanni De Luna, docente dell’università di Torino. Delmastro e i camerati salgono sul palco e interrompono la lezione. E’ proprio lui, Delmastro, a stendere uno striscione: “Vogliamo una scuola libera e pluralista”, c’è scritto.
I Ds parlarono di “azione squadrista”. Delmastro la rivendicò definendosi il “Sofri del 2000”. Allora Delmastro era agli inizi della sua carriera politica. Segretario provinciale del Fronte della Gioventù, poi appunto Azione Giovani; quindi diventerà consigliere provinciale, poi comunale, poi assessore sempre a Biella. Altre numerose candidature, qualche flop fino all’elezione alla Camera nel 2018.
Avvocato penalista, 46 anni, fedelissimo meloniano. Diventa responsabile Giustizia di FdI e quindi sottosegretario. Il numero due del ministro Nordio. Ma è sempre spulciando nella parte tenuta in ombra del curriculum di Delmastro che si scoprono altre vicende interessanti.
Nel 2004 Delmastro finisce ancora sui giornali locali a Biella: è ritenuto dalla Digos tra gli autori di un pestaggio in un parco pubblico al termine di un comizio di Giorgia Meloni a sostegno delle liste di An per le elezioni amministrative e europee. Vittima: un giovane colpevole di avere mostrato un’immagine di Che Guevara.
Delmastro finisce a processo insieme all’altro presunto picchiatore, Giovanni Proietti, vecchio militante missino. Verrà assolto.
L’inclinazione “muscolare” del politico biellese è però rimasta. Così come sono agli atti le sponde con l’estrema destra. A settembre 2019 Delmastro è ospite applauditissimo alla festa nazionale di CasaPound a Verona dove parla di “Polveriera Libia”.
L’attivismo culturale del futuro sottosegretario partorisce un’altra iniziativa nel 2002: con un’associazione da lui coordinata Delmastro mette in piedi un convegno dal titolo “Mussolini uomo di pace” (ospite Guido Mussolini). La tesi sostenuta è riassumibile così: il duce era un uomo contrario alla guerra, guerra nella quale fu trascinato da Hitler.
A Mussolini e alla marcia su Roma Delmastro dedica un post celebrativo su Fb: è il 28 ottobre 2011. “M. il Mondo lo ha conosciuto e per esso ha conosciuto l’Italia”.
Un anno prima aveva omaggiato Leon Degrelle detto “il figlio illegittimo di Hitler” postando una sua citazione: “Si è molto più pronti ad ascoltare gli istrioni che i messaggi dei cuori retti. Tuttavia i cuori puri vinceranno. Saranno soltanto gli idealisti a cambiare il mondo”.
(da La Repubblica)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL CASO DONZELLI LO DIMOSTRA: È UNO DEGLI UOMINI PIÙ VICINI ALLA DUCETTA E RIVELANDO ATTI RISERVATI HA FATTO LA FIGURA DELL’ANALFABETA ISTITUZIONALE
L’imbarazzo di Palazzo Chigi si è presto tramutato in preoccupazione, perché le parole pronunciate alla Camera da Donzelli hanno scatenato un putiferio non solo nei rapporti con l’opposizione ma anche nella maggioranza e soprattutto dentro il governo. E rischiano di produrre gravi conseguenze, non solo politiche.
Donzelli si è spinto troppo oltre. E per attaccare la sinistra è arrivato a riferire dei rapporti tra le sbarre di Cospito con i boss della mafia per far cadere la norma sul carcere duro. Una ricostruzione dei colloqui talmente circostanziata non poteva che esser frutto di documenti riservati: quelli in possesso di una struttura sensibile del ministero della Giustizia come il Dap.
E sul Dap ha la delega un altro esponente di FdI, il sottosegretario Delmastro, che divide casa a Roma proprio con Donzelli e che candidamente ha ammesso di aver «parlato» dell’argomento con il collega.
L’incredibile autogol ha lasciato basito un magistrato dai trascorsi ineccepibili come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano, ha provocato l’ira del Guardasigilli per la fuga di notizie dal suo dicastero e ha costretto Meloni a intervenire presso gli alleati per cercare di limitare i danni.
Si vedrà se il responsabile organizzativo di FdI resterà al Copasir o si dimetterà dal ruolo di vice presidente del Comitato sui Servizi, come chiedono le opposizioni. Si vedrà se la presenza di Delmastro al ministero sarà compatibile ancora con quella di Nordio. E si vedrà anche se […] sono state violate notizie di un possibile fascicolo d’inchiesta. Ma il punto è politico.
E il danno ricade su Meloni, che cercherà di far abbassare la tensione e preservare per quanto possibile i dirigenti del suo partito, consapevole che le opposizioni cavalcheranno la questione.
Appare scontato che la polemica sia destinata a montare.. Intanto l’obiettivo degli avversari è mettere in difficoltà la premier sul delicato tema della giustizia, evidenziando la contraddizione in cui è stata cacciata: «Se è vero che mira a debellare l’uso mediatico delle intercettazioni — dice Costa del Terzo polo — non può far passare che un suo esponente riveli notizie riservate addirittura in un dibattito parlamentare».
Meloni vede di fatto sconfessata quella linea della sobrietà alla quale ancora l’altro ieri si era richiamata, esortando a evitare polemiche nell’interesse nazionale. Attenta com’è nella gestione dei dettagli e dei rapporti, capace di strappare giudizi positivi da Bruxelles per l’atteggiamento in Europa e di ricevere consensi dai partner internazionali per la postura sul conflitto in Ucraina, la premier viene in questo caso risospinta indietro per responsabilità della sua stessa classe dirigente, che stenta a interpretare il nuovo ruolo. E come Penelope deve tessere la tela che altri in questi primi cento giorni le hanno a volte disfatto.
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
GIORGIO MULÈ: “INIZIATIVA GRAVE, HA SPORCATO UN IMPORTANTE MOMENTO DI CONDIVISIONE NELLA LOTTA ALLA MAFIA. HA FATTO UN PROCESSINO, USANDO METODI CHE NON DOVREBBERO AVERE CITTADINANZA NELLA BATTAGLIA POLITICA”
Giorgio Mulè ha assistito allo scontro sul «caso Donzelli» dallo scranno più alto dell’Aula di Montecitorio. In qualità di vicepresidente della Camera, il deputato di Forza Italia, in quel momento, guidava i lavori dell’assemblea. «La dialettica è andata senza dubbio oltre il rispetto reciproco – dice – tanto che Donzelli è stato richiamato ufficialmente. Anche il presidente Fontana ha sottolineato che ho fatto bene a richiamarlo».
E ora che succede?
«Ora spetterà al Giurì d’onore stabilire se e quanto le espressioni di Donzelli siano andate fuori dal seminato. Non è una commissione a cui si ricorre spesso, a dimostrazione di quanto sia stata grave l’iniziativa di Donzelli, che ha sporcato un importante momento di condivisione nella lotta alla mafia».
Iniziativa non proprio isolata, altri deputati di Fratelli d’Italia lo hanno sostenuto. Considerato anche il ruolo di Donzelli nel partito, la premier Meloni poteva non sapere?
«Non faccio dietrologia, voglio pensare che non ci sia una strategia politica e che Meloni fosse totalmente all’oscuro. Mi aspetto che Donzelli lo dica chiaramente, altrimenti ci sarebbe davvero da preoccuparsi. Quanto agli altri di Fratelli d’Italia, credo che si siano incaponiti, pur di non chiedere scusa. Sono stati vittime della sindrome di Fonzie».
Dovrebbero chiedere scusa?
«Donzelli ha fatto un processino, che non appartiene al mio modo di fare politica e allo stile di tutta Forza Italia. Ha usato metodi che non dovrebbero avere cittadinanza nella battaglia politica: se avesse avuto elementi per muovere accuse fondate ai colleghi del Pd, sarebbe dovuto andare in procura»
Donzelli dovrebbe dimettersi da vicepresidente del Copasir?
«Qui il Copasir non c’entra, non è da lì che Donzelli ha ottenuto quelle informazioni. Ma sono davvero perplesso sul fatto che ci sia riuscito e mi dà molto fastidio che, una volta avuto accesso a questi dati riservati, li abbia usati per la lotta politica. Così si devia dal normale percorso istituzionale e si travalica la corretta dialettica politica».
(da La Stampa)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
LA CRICCA DEI CONDUCENTI TRUFFATORI CONTINUA A IMPERVERSARE NEGLI AEROPORTI DELLA CAPITALE: IL NUOVO SERVIZIO DELLE “IENE” … FINO A 300 EURO PER FARE POCHI CHILOMETRI
È andato in onda a “Le Iene” il servizio in cui Nicolò De Devitiis e Marco Occhipinti sono tornati a occuparsi del “Taxi selvaggio” a Roma.
Il video documenta come funziona la “cricca” dei tassisti di Fiumicino che, noncuranti di telecamere di sorveglianza, squadra vettura dei vigili e personale ADR con fratini gialli, ha architettato un sistema per selezionare i turisti «polli da spennare» a cui praticare tariffe fuori legge, creando un disservizio per i clienti italiani che non è possibile ingannare con la stessa facilità.
Così raccontano a Le Iene i loro colleghi onesti stufi di lavorare ogni giorno con prevaricazioni e minacce. I tassisti furbetti si posizionano sul lato destro della fila facendo scorrere alla loro sinistra i loro colleghi regolari per poter così selezionare i turisti da caricare sulla propria vettura, senza rispettare la fila dei clienti e quella dei taxi.
I filmati da Le Iene documentano come la fila dei taxi scorra in maniera totalmente irregolare e che basterebbe poco per la Società degli Aeroporti di Roma o del Comune porre fine a questa sorta di racket.
La cosa incredibile è che dopo i servizi sul taxi selvaggio all’aeroporto internazionale di Ciampino, durante la commissione Mobilità di Roma Capitale, l’assessore competente Eugenio Patanè abbia parlato dell’aeroporto di Fiumicino come modello a cui ispirarsi per risolvere, una volta per tutte, il problema del taxi selvaggio.
E invece Le Iene documentano che anche un importante manager della Nike, arrivato a Roma per lavoro, resti a piedi perché i taxi nella notte preferiscano scegliere turisti a cui chiedere 300 euro, quando la tariffa prevista dal comune per raggiungere il centro di Roma è pari a 50.
Ma non solo: anche per andare nella vicina Fiumicino viene chiesto il doppio della tariffa prevista, 50 invece di 26 euro, calcolati sulla tariffa chilometrica massima consentita. E ancora, il video mostra anche tassisti furbetti che cercano di fare car sharing molto particolare: invece di mettere insieme clienti che risparmierebbero per fare la stessa tratta, si mettono insieme persone che non si conoscono tra loro e che pagano ognuno la tariffa per intero raddoppiando irregolarmente l’incasso del conducente.
Nonostante l’ADR abbia fatto un percorso per facilitare il raggiungimento dei taxi regolari, una volta superate le porte scorrevoli al passeggero capita di imbattersi in un tassista abusivo che chiede 140 euro per andare a Roma, salvo poi scappare a gambe levate quando si accorge che a seguirlo non ci sono più i malcapitati turisti ma la Iena De Devitiis pronta a chiedere spiegazioni. Ciliegina sulla torta, se vuoi andare a Ostia, che è lì vicino all’aeroporto, capita anche che, dopo numerosi rifiuti da parte dei conducenti in fila, finalmente il cliente riesca a trovare un tassista disposto al servizio dovuto per legge solo perché la scena è filmata dalla telecamera de Le Iene.
(da Mediaset)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
NORDIO “SMENTISCE” IL TANDEM DONZELLI-DELMASTRO: IL MINISTRO HA RICORDATO CHE TUTTI GLI ATTI SUI DETENUTI AL 41 BIS SONO “SENSIBILI” (CIOE’ SECRETATI)… DONNA GIORGIA? SPERA DI CONGELARE LA POLEMICA FINO ALLE ELEZIONI REGIONALI MA LE POLTRONE DI DONZELLI, VICE PRESIDENTE DEL COPASIR, E DI DELMASTRO, SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA, SONO IN BILICO
Le polemiche legate al caso Cospito sono l’ennesima dimostrazione di come il potere ubriachi, generando ansie da prestazione che si traducono, nella migliore delle ipotesi, in clamorose figuracce.
L’uscita scomposta di Giovanni Donzelli, che non solo ha accusato il Pd di “stare con i terroristi”, ma ha divulgato informazioni secretate, è una bella bega per Giorgia Meloni.
Il ministro della giustizia, Carlo Nordio, nella sua informativa alla Camera, ha provato a suo modo a chiudere la querelle, ribadendo che il terrorista anarchico rimarrà al 41 bis, “perché ha collegamenti con l’esterno”, salvo poi ammettere che “il ministro non può pronunciarsi prima di aver acquisito i pareri delle autorità giudiziarie competenti”.
Nordio ha però anche voluto tirare una frecciatina ai coinquilini Donzelli e Delmastro: “Tutti gli atti sui detenuti al 41 bis sono di natura sensibile”, smentendo di fatto le traballanti difese dei due Fratelli d’italia.
Delmastro infatti ha sostenuto a più riprese che le conversazioni citate da Donzelli in aula non fossero riservate, ma che si trovavano all’interno di “una relazione del Dap”, e che le avrebbe riferite anche ad altri parlamentari che gliele avessero chieste. Ma non è vero. Come hanno scritto Antonella Mascali e Giacomo Salvini sul “Fatto quotidiano” di oggi citando fonti di Via Arenula, Donzelli “non poteva” avere accesso a quei documenti
Un parlamentare può chiedere di visionare le relazioni del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, ma solo dopo una richiesta formale di accesso agli atti. Ma anche in quel caso non possono divulgarli.
Per uscire dall’impasse, nonostante il tentativo di Fratelli d’Italia di gettare acqua sul fuoco, Donzelli, nonostante le smentite formali, dovrebbe dimettersi da vicepresidente del Copasir per rimediare allo scivolone.
Non va meglio ad Andrea Delmastro Delle Vedove. Lo stesso ministro Nordio avrebbe già ventilato l’ipotesi delle dimissioni del sottosegretario come “pezza” sul buco. Per l’ex magistrato, sarebbe un doppio colpo: da un lato puo’ chiudere la grana Cospito con un “colpevole”. Dall’altro, ne approfitterebbe per togliersi dai piedi il cagnaccio che Giorgia Meloni gli ha messo alle calcagna per controllarlo.
E la Ducetta che fa? Per ora, cerca di traccheggiare, per evitare altri inciampi prima delle regionali: il suo obiettivo è congelare la polemica lasciando che si spenga da sola per non agitare ulteriormente le acque.
Ma l’uscita di Donzelli, uno degli uomini a lei più fedeli, la mette in forte, fortissimo imbarazzo, anche perché qualcuno ha maliziosamente ipotizzato che fosse informata delle dichiarazioni che avrebbe poi rilasciato il deputato di Fratelli d’Italia. Donzelli l’ha tenuta fuori dalla polemica ma ci ha tenuto a precisare: “La mia linea è quella del partito”
(da Dagoreport)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
PRIMA L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA APPARE A QUALCHE MANIFESTAZIONE PUBBLICA IN MODO DA FINIRE IN UN NOTIZIARIO, POI SI VA DA DIACO A “BELLA MA’”. UNA VOLTA INVITATO DA VERONICA GENTILI O DA MASSIMO GILETTI IL PERCORSO DI INSERIMENTO TELEVISIVO POTREBBE DIRSI CONCLUSO E IL NOSTRO AVREBBE LE CARTE IN REGOLA PER RIENTRARE ALLA CORTE DELLA PAPESSA GIORGIA MELONI
Programma di inserimento televisivo. All’asilo funziona così: il primo giorno, il genitore – o chi per lui – passerà un’ora insieme al bambino, giocandoci in classe; il secondo giorno, sempre di un’ora, il bambino sarà solo; il terzo giorno… In tv, lo schema è abbastanza simile, fatto salvo l’accompagnamento genitoriale.
Dunque, è venuto il momento di ricollocare nell’area Fratelli d’Italia Gianfranco Fini. Con discrezione, con tatto, con oculatezza. La casa di Montecarlo pesa ancora, un Tulliani (inteso come cognato) è per sempre. Allora si fa così: prima Fini appare a qualche manifestazione pubblica in modo da essere ripreso da qualche telecamera e finire in un notiziario, uno qualunque.
Poi si ascende al gradino più basso della catena alimentare televisiva, in questo caso Bella Ma di Pierluigi Diaco (Rai2), il luogo ideale per confessioni generiche, per una ricerca di complicità, per struggimenti musicali. Per rientrare nel giro bisogna pagare pegno al sentimentaloide, alla chick-tv, la tv per pollastrelle, una consolazione per spettatori dalla lacrima facile e dalla bocca buona. Terminato il bagno d’umiltà con Diaco si può aspirare a qualcosa di più.
Se Fini venisse invitato da Veronica Gentili o da Giuseppe Brindisi o da Massimo Giletti sarebbe perfetto. Il percorso di inserimento televisivo potrebbe dirsi concluso e il Nostro avrebbe le carte in regola per rientrare alla corte della papessa Giorgia.
P.S. È vero, ci sarebbero i passaggi dall’Annunziata, ma Mezz’ora in più appartiene al secolo scorso.
(da il Corriere della Sera)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL KILLER DI ‘NDRANGHETA SESTITO ROMPE IL BRACCIALETTO ELETTRONICO ED EVADE DAI DOMICILIARI
Manomette il braccialetto elettronico ed evade dai domiciliari. Massimiliano Sestito, 52 anni, è evaso nella serata del 30 gennaio dall’abitazione del padre a Pero, nell’hinterland milanese, dove stava scontando la detenzione domiciliare.
Ritenuto un esponente della cosca di ‘ndrangheta Iezzo Chiefari Procopio, Sestito era stata condannato – come scrive Milano Today – prima all’ergastolo, poi a 30 anni con pena definitiva per aver assassinato l’appuntato dei carabinieri, Renato Lio, nel 1991, ad un posto di blocco a Soverato, in provincia di Catanzaro.
Il 52enne era inoltre in attesa di una sentenza della Cassazione per un secondo omicidio: quello del boss calabrese della cosca di San Luca, Vincenzo Femia, ucciso nel 2013 alla periferia di Roma in uno scontro tra ‘ndrine per l’egemonia sul traffico di cocaina che per la prima volta si era spostato dalla Calabria a Roma. Per questo fatto, Sestito era stato scarcerato e messo ai domiciliari su decisione della corte di Appello d’Assise di Roma. Tuttavia, secondo il giornale locale, non è la prima volta che Sestito tentava la fuga: già nell’agosto del 2013 l’ndranghetista aveva approfittato della semilibertà concessa dal carcere di Rebibbia per scappare. La Squadra mobile di Roma lo aveva catturato un mese dopo mentre si trovava in spiaggia nella provincia di Salerno.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
UNA BOMBA AD OROLOGERIA CHE SCOPPIERA’ DOPO L’ESTATE PER L’ENORME DISAGIO SOCIALE
In cento giorni di governo, la Meloni non ha fatto solo retromarce clamorose, tipo il Mes, il Pos, le accise, le sparate di Nordio sulle intercettazioni, i balneari, il blocco navale, i rave, lo stop alle mascherine negli ospedali e fermiamoci qui per carità di Patria.
Ci sono impegni, infatti, su cui non ha potuto sbagliare, per il semplice motivo che non si è mossa affatto.
Anche qui l’elenco è lungo, ma concentriamoci su quello che è stato uno dei suoi cavalli di battaglia elettorali: l’abolizione del Reddito di cittadinanza.
L’aiuto ai poveri, che doveva sparire al primo Consiglio dei ministri, vista l’incessante retorica sull’inutile sussidio ai fannulloni, è rimasto fino a luglio perché nel frattempo deve partire la formazione dei cosiddetti “occupabili” e va stabilito come riconoscere chi ha veramente bisogno e chi sono invece i ladroni che gozzovigliavano a spese dei contribuenti.
Finito gennaio, di questi corsi professionali e di tutto il resto non c’è traccia. E non illuda che luglio è ancora lontano, perché un sistema tanto complesso non si organizza in pochi mesi, soprattutto dopo che i governatori regionali di destra e di sinistra hanno fatto di tutto per non far decollare i Centri per l’impiego.
Così il governo sta seduto su una bomba a orologeria, che dopo l’estate non potrà non scoppiare per l’enorme disagio sociale. E a quel punto potrà prendersela con le opposizioni o con chi vuole, mentre la responsabilità sarà di una politica sbagliata sulla povertà e su un imperdonabile immobilismo che lascia al suo destino l’Italia che non ce la fa.
(da lanotiziagiornale.it)
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Febbraio 1st, 2023 Riccardo Fucile
CONTRATTI SCADUTI PER 6 MILIONI, RINNOVI BASSI PER GLI ALTRI
I posti di lavoro sono cresciuti di poco; gli stipendi invece non sono cresciuti per niente. Anzi, a causa dell’aumento del costo della vita, innescato anche dalle ben note sanzioni antirusse, nel 2022 gli occupati italiani hanno subìto una pesante perdita di potere d’acquisto.
Come la Gianna, di cui cantava Rino Gaetano nel 1978, hanno provato a difendere “il salario dall’inflazione”, ma non ci sono riusciti. L’anno appena trascorso segna infatti un record negativo: la differenza tra l’incremento dei prezzi al consumo e quello delle retribuzioni è arrivato a quota 7,6 punti, mai così alto dal 2001, che è anche il primo anno da cui si calcola questo dato. Per capirci, il record precedente fu stabilito nel 2012: 1,8 punti. Tradotto: il mercato del lavoro ha mostrato dei miglioramenti, se non altro perché è stato un po’ meno precario del 2021, ma le tasche dei lavoratori piangono.
C’è poco da rallegrarsi, insomma, per il record del tasso di occupazione raggiunto a dicembre (60,5% anche grazie al calo della popolazione residente) e per l’aumento dei posti a tempo indeterminato (270 mila in più su base annua). La crisi sociale è determinata anche, forse soprattutto, dai guadagni di chi lavora. In primo luogo la lentezza e la debolezza dei rinnovi dei contratti nazionali: sono ancora 6,2 milioni i dipendenti nel nostro Paese con l’accordo di categoria scaduto, quasi la metà del totale. Il tempo medio di attesa è sceso, ma resta superiore ai due anni. L’inesistenza di un salario minimo legale e l’alta concentrazione di addetti in settori a basso valore aggiunto, spesso part time, fanno il resto.
La corsa dei prezzi, quindi, continua a essere irraggiungibile, troppo veloce per i nostri meccanismi di adeguamento delle buste paga. Nella media del 2022, dice Istat, l’indice delle retribuzioni è salito dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Gli ultimi contratti a essere recepiti sono tre nel privato (lapidei e materiale estrattivo, gas e acqua, assicurazioni) e quattro per il pubblico, vale a dire la Presidenza del Consiglio, Regioni e autonomie locali, Scuola e Sanità. Rispetto a un anno fa, gli aumenti più elevati sono per i Vigili del fuoco (+11,7%), i dipendenti dei ministeri (9,3%) e nel servizio sanitario (6,1%). Completamente fermi gli stipendi per il commercio, le farmacie private, i pubblici esercizi e gli alberghi.
Tra le partite più spinose resta predominante quella della vigilanza privata e dei servizi fiduciari. Non tanto per il numero di addetti coinvolti – 100 mila in totale – ma perché si tratta di un accordo scaduto nel 2015 e che – malgrado sia firmato da Cgil, Cisl e Uil – riporta cifre incredibilmente basse al fondo della piramide, circa 4,60 euro l’ora. Le trattative restano bloccate, nulla di fatto negli incontri degli ultimi giorni: le associazioni che rappresentano le imprese del settore non fanno offerte migliorative. I confederali devono risolvere il pasticcio commesso nel 2013, quando sono stati accettati quei minimi pur di dare un riconoscimento ai vigilanti non armati, ma ora non possono permettersi di dire sì a somme che, pur superiori a quelle attuali, restino non dignitose. Ecco perché la partita resta molto complicata.
In generale, però, la questione salariale in Italia non inizia certo oggi: com’è noto, siamo l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni reali sono scese nell’ultimo trentennio, ma in questi mesi viviamo un’ulteriore emergenza data dall’inflazione. Il governo però non pare viverla con l’urgenza necessaria: nella legge di Bilancio si è limitato a un piccolo taglio dei contributi, appena un punto in più di quello approvato un anno fa da Mario Draghi (una decina di euro), ma ad esempio si rifiuta di prendere in considerazione la fissazione di un salario minimo. Le esperienze degli altri Paesi europei mostrano che il salario minimo legale è però uno strumento efficace anche quando i lavoratori perdono potere d’acquisto: se sindacati e imprese faticano ad accordarsi sugli aumenti in busta paga, i governi possono dare una spinta nella giusta direzione con meccanismi di aggiustamento della soglia legale più o meno automatici.
In questi mesi l’inflazione non ha colpito certo solo l’Italia, ma gli altri Stati avevano armi in più per mitigarne gli effetti. Prendiamo il caso della Francia: ad agosto 2022 il salario minimo è stato alzato automaticamente. “Nel terzo trimestre 2022 – dice l’Insee, istituto nazionale di statistica e studi economici – le buste paga sono aumentate fortemente in un contesto di elevata inflazione, che ha incoraggiato le trattative salariali e ha portato a una nuova rivalutazione automatica del salario minimo del 2,01%”. Rispetto al terzo trimestre 2021, in Francia i salari sono saliti del 3,8%. In Germania, nel terzo trimestre 2022, i guadagni nominali sono aumentati del 2,3% (ma quelli reali sono scesi del 5,7% a causa dell’inflazione): a ottobre Berlino ha portato il salario minimo a 12 euro, dopo un precedente aumento a 10,45 euro. La Spagna si è mossa molto prima, portando già a inizio 2022 il minimo a mille euro per 14 mensilità. Inoltre Madrid ha raggiunto un accordo per far salire del 9,5% in tre anni le retribuzioni degli statali. E ancora: come ha fatto notare la Uil, in Olanda i lavoratori dell’industria hanno ricevuto un aumento del 9% più un bonus una tantum di mille euro.
C’è poi un altro aspetto da notare nel confronto con l’Europa. A differenza dell’Italia, gli altri Stati stanno rinforzando le reti di protezione sociale. La Germania ha riformato il reddito minimo riducendo le sanzioni per chi non accetta lavori. La Spagna è intervenuta sia con una stretta contro il precariato sia con norme per contrastare il dumping salariale nelle catene degli appalti. In Italia, invece, a luglio sarà sottratto il Reddito di cittadinanza a 400 mila famiglie e a breve saranno allentati i vincoli sui contratti a tempo determinato. Questo indebolimento delle tutele rischia di riversarsi sui salari, poiché fa crescere il potere negoziale delle imprese. Peraltro, essendo tolto agli “occupabili”, il Rdc non potrà più svolgere un’altra funzione svolta finora: quella di integrare le buste paga più basse. A giugno 2022, infatti, si contavano 173 mila persone che, pur avendo un contratto di lavoro attivo mantenevano i requisiti per il Reddito di cittadinanza, a causa dei loro guadagni irrisori. In tutta Europa i sostegni al reddito funzionano anche come in-work benefit, in Italia non sarà più possibile.
(da Il Fatto Quotidiano)
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