Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
POLEMICHE TRA SOSPETTI DI IMMOBILISMO E IL BUCO NEI SOCCORSI… UNA COSA E’ CERTA: IN ALTRI DUE CASI, IN CONDIZIONE DI MARE FORZA 7-8 INTERVENNERO I SOCCORSI
Sabato sera l’avvistamento e le ricerche della Guardia di finanza interrotte per le condizioni meteo. Poi l’allarme “improvviso” all’alba di domenica, un pescatore allertato dalla Capitaneria di porto e la scoperta dell’ultima strage di migranti. Cosa è accaduto in quelle ore? Come si è mossa la macchina dei soccorsi dopo la segnalazione dell’imbarcazione di fronte alle coste di Crotone? E in passato gli interventi in condizioni proibitive sono stati diversi e massicci? I punti fermi, al momento, sono pochi e racchiusi in due comunicati stampa e in alcune testimonianze. Qualcuno avanza il sospetto di una sorta di immobilismo e, a chi ha parlato di un vero e proprio buco nei soccorsi, il Viminale ha risposto con la minaccia di querele.
Le condizioni difficili e il rientro della Gdf
Per iniziare a ricostruire la strage consumatasi su una spiaggia di Steccato di Cutro bisogna partire dall’allarme di sabato sera, quando dall’aereo Eagle1 di Frontex individua la barca a 40 miglia dalle coste calabresi, anche se il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura ha rivelato come un primo alert fosse stato lanciato ben 16 ore prima dell’incidente senza indicare la posizione del barchino caricato di migranti.
Sabato sera l’intervento è affidato alla Guardia di finanza, che cerca di raggiungere l’imbarcazione con uno scafo veloce V.5006 della sezione navale di Crotone e il pattugliatore Barbarisi del gruppo aeronavale di Taranto. Condizioni del mare “difficili”, ha scritto il Roan di Vibo Valentia, che hanno portato alla “impossibilità” di “proseguire” in sicurezza.
Le due imbarcazioni fanno così rientro a terra al termine di un’operazione che non è ancora chiaro se sia stata di law enforcement per traffici illegali o di search and rescue.
A che ora viene gettata la spugna della ricerca in altura? La stessa Guardia di finanza ha spiegato che è poi stato “attivato il dispositivo di ricerca a terra” seguendo le “direttrici di probabile sbarco” con “ricerche lungo la costa”.
La testimonianza: “Avvisato alle 5.40”
Solo che l’imbarcazione non arriverà mai a toccare terra, schiantandosi ore dopo contro una secca a circa 150 metri dalla riva. C’erano imbarcazioni della Guardia costiera in navigazione sotto costa per pattugliare i possibili punti di sbarco? O le motovedette si sono mosse solo dopo il ritrovamento dei resti del barcone?
Un tassello lo ha aggiunto un pescatore, Antonio Grazioso, a Buongiorno Regione del TgR Rai della Calabria: “Alle sei meno venti ho ricevuto una telefonata della Guardia costiera di Crotone che mi chiedeva di recarmi nella zona del fiume Tacina perché c’era una barca in avaria per andare a vedere cosa stava accadendo. C’era una strage, appena sono arrivato sulla spiaggia nelle onde avvistavi i cadaveri”.
In quel momento quindi la Guardia costiera non aveva ancora mezzi in zona? Va considerato, come sottolineano diverse fonti a Ilfattoquotidiano.it e ha confermato anche il procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia, che con quelle condizioni di mare un “eventuale abbordaggio sarebbe stato estremamente rischioso”.
Il vento di scirocco aveva gonfiato il mare fino a forza 7, una situazione certamente proibitiva. Tecnicamente alcune classi di unità navali a disposizione della Guardia costiera – la 300 e la 800 – sono catalogate come “ogni tempo”, cioè in grado di navigare anche in condizioni estreme. Nel caso di uscita, spetta in ogni caso agli operatori che si trovano in mare scegliere il da farsi.
Il procuratore: “Mancano uomini e mezzi”
In quel momento, sulla scorta dell’avvistamento della serata precedente e dopo il tentativo fallito della Guardia di finanza, c’erano unità in acqua sotto costa alla ricerca della barca dei migranti?
Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare l’ufficio comunicazione della Guardia costiera per porre queste domande ma al momento della pubblicazione non ha ancora ottenuto risposta. “Stiamo anche vedendo di ricostruire la catena dei soccorsi ma non ci sono indagini su questo. Stiamo ricostruendo tutti i passaggi dall’avvistamento in poi per ricostruire cosa è stato fatto e confrontarlo con quello che si doveva fare che sembra sia stato fatto”, ha spiegato il procuratore Capoccia sottolineando che “qui mancano uomini e mezzi delle forze dell’ordine” e il governo “dovrebbe capire che sarebbe necessario impostare in modo diverso le strutture”. Il capo degli inquirenti ha anche sottolineato quella che ha definito una “stranezza”: “Dalla barca non è mai partita una richiesta di soccorso”, sottolineando solo una “strana triangolazione” che ha portato al primo alert a 16 ore dalla tragedia. “Ma dalla barca – ha rimarcato – non hanno chiesto aiuto come succede sempre non appena arrivano in prossimità della costa”.
I precedenti
C’è un precedente interessante, avvenuto nella stessa zona, poco meno di due anni fa. Tra il 24 e il 25 aprile 2021, furono salvati 119 migranti a bordo di un peschereccio in difficoltà con mare forza 6/7 e raffiche di vento fino a 40 nodi, dopo un avvistamento, il Centro nazionale operativo della Guardia costiera coordinò un’operazione Sar andata avanti per circa 24 ore.
Verso il peschereccio furono inviate tre motovedette: la CP323 da Siracusa, la CP326 da Roccella Jonica e la CP321 di Crotone, la stessa intervenuta sulla spiaggia di Cutro dopo il naufragio di domenica mattina. Sul posto venne anche fatta dirigere la portacontainer Amelie Borchard.
A bordo delle motovedette erano stati imbarcati anche i soccorritori marittimi ma le condizioni meteo resero impossibile il trasbordo dei migranti. Per questo venne allestita una “scorta” verso Roccella Jonica, con l’Amelie Borchard utilizzata a mo’ di diga per proteggere l’imbarcazione dal forte vento e dalle onde.
Nell’ultimo tratto di navigazione, il motore del peschereccio andò fuori uso aumentando il rischio che il natante – va sottolineato certamente più stabile del barcone distrutto a Cutro – si capovolgesse e per questo venne venne rimorchiato dalle tre motovedette.
Una vicenda che si aggiunge al racconto fatto da Orlando Amodeo, per lunghi anni dirigente medico della polizia di Stato e da anni soccorritore a Crotone, durante la puntata di Non è l’Arena.
Frasi, le sue, che hanno portato fonti del Viminale a minacciare querele. Amodeo non arretra e a Ilfattoquotidiano.it conferma: “Nel 2013 con mare forza 8 intervenimmo con due motovedette a 42 miglia dalla costa salvando 147 migranti. Ho sempre fatto il mio lavoro con rispetto delle regole e massimo impegno. Non temo quello che dice il ministro Matteo Piantedosi”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DEL CARROCCIO, MOLTO VICINA A MATTEO SALVINI, AVREBBE USATO I FONDI DESTINATI AI SUOI QUATTRO ASSISTENTI IN ALTRO MODO … INDAGATO ANCHE L’ULTRÀ DEL MILAN MARCO PACINI, APPARTENENTE ALLE BRIGATE ROSSONERE, COMPAGNO DELLA FIGLIA DELL’EURODEPUTATA
Stefania Zambelli, eurodeputata della Lega dal 2019, è indagata per frode ai danni del Parlamento europeo sulle indennità dei parlamentari.
Insieme a lei, ci sarebbe anche il compagno della figlia, Marco Pacini, ultrà del Milan delle Brigate rossonere.
La Procura europea di Milano, insieme alla Guardia di finanza di Brescia, ha quindi eseguito un sequestro preventivo di oltre 170mila euro alla politica. A finire nel mirino degli inquirenti, l’assunzione in Italia dei quattro assistenti di Zambelli, che avrebbero ricevuto le indennità connesse al ruolo senza però svolgerlo. O svolgendolo solo parzialmente, documentando finte attività al Parlamento europeo.
Gli inquirenti stanno anche indagando sulle reali competenze professionali e di istruzione dei quattro assistenti, che per farsi assumere potrebbero aver falsificato i titoli di studio.
Le indagini puntano a stabilire se Zambelli, strettamente legata ad almeno uno dei suoi collaboratori, abbia ingiustamente beneficiato delle indennità corrisposte dall’Europarlamento al suo entourage, per un danno stimato al bilancio dell’Unione europeo di 172.148,82 euro. L’eurodeputata è stata anche candidata dalla segreteria provinciale della Lega di Brescia, alle ultime elezioni regionali, non ottenendo il seggio ma risultando la prima dei non eletti nel capoluogo lombardo.
Secondo Ansa, a risultare indagato c’è anche Pacini, che fa parte dello staff dell’europarlamentare e al quale sarebbe stata sequestrata anche un’auto
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
TRA TENTATIVI DI COMANDARE E NORME ILLEGITTIME
Dopo le dichiarazioni sulla lettera di monito contro il fascismo della preside di un liceo di Firenze ai suoi studenti, il ministro Valditara, ancora una volta, fa retromarcia. Non ha mai prospettato sanzioni contro la dirigente, dice, pur avendo dichiarato (testualmente), “vedremo se sarà necessario prendere misure”. Non è la prima volta che il ministro Valditara dichiara e smentisce: era già accaduto per l’umiliazione come “fattore fondamentale di crescita” o con l’idea di gabbie salariali, con stipendi differenziati su base territoriale per gli insegnanti.
Che esponenti politici e membri di governo riformulino le proprie dichiarazioni, lamentando di essere stati fraintesi, è una prassi che certo non è esclusiva della destra. Quel che però preoccupa dell’azione del governo Meloni è che i tentativi di alzare il tiro, su temi identitari, su sistemi repressivi, su usi e abusi del diritto, non avvengano solo con la comunicazione, ma anche con atti aventi forza di legge
Il potere legislativo non è del governo
In realtà, già che l’azione del governo produca leggi è un problema, anche piuttosto serio.
La ragione per cui si era prevista questa attribuzione parlamentare è tanto semplice quanto profonda: dal momento che le leggi influiscono sulla vita di tutti, devono essere decise dal Parlamento, ossia l’organo rappresentativo di tutti, della maggioranza come delle minoranze (sempre che la legge elettorale sia ben scritta). Il governo può comunque influire, sia sul processo legislativo ordinario, sia con specifiche modalità di produzione normativa. Da un lato, può far leva sulla maggioranza parlamentare che lo sostiene, ad esempio ponendo la questione di fiducia. Dall’altro, può produrre decreti legislativi e decreti legge. I primi sono atti normativi delegati, cioè è il Parlamento che, specificando i criteri direttivi che devono guidare l’atto, delega il governo a disciplinare nel dettaglio una determinata materia. I decreti legge, invece, sono atti provvisori che l’esecutivo adotta in straordinari casi di necessità e urgenza: pur essendo deliberati soltanto dal governo, i decreti legge sono vigenti fin da subito, ma devono essere convertiti entro sessanta giorni dal Parlamento. Se la conversione non avviene, decadono, cioè perdono efficacia fin dal principio.
Le leggi di questa legislatura sono quasi tutte decreti legge
Dall’inizio della legislatura il Parlamento ha approvato dodici leggi. Una è la legge di Bilancio, di iniziativa governativa, che ha ovviamente richiesto discussioni parlamentari; un’altra è l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno del femminicidio ed è l’unica approvazione di una legge di iniziativa parlamentare (PD). Le altre dieci leggi sono invece tutte conversioni di decreti legge.
In diversi casi, poi, il governo ha anche posto la questione di fiducia sui provvedimenti in discussione: è successo in entrambe le Camere per la legge di Bilancio e per il decreto aiuti quater, e a Montecitorio per il decreto rave. Negli ultimi giorni, poi, sono state poste altre questioni di fiducia: sul decreto Ong, sul decreto Carburanti, sul decreto Milleproroghe. In questo modo si è ridotta la dialettica parlamentare, già in parte compressa dall’essere, i provvedimenti in questione, atti governativi.
L’abuso di decretazione d’urgenza e il ricorso alla questione di fiducia sono certo in linea con l’ideologia politica di Giorgia Meloni, del suo partito e della sua coalizione, ma appaiono piuttosto incoerenti se rapportate alle sue vibranti proteste dai banchi dell’opposizione, sui rischi di un parlamento esautorato e ostaggio delle scelte di governo.
L’ampio ricorso a questa eccezione normativa non è certo una novità meloniana, sia chiaro. Ma c’è una caratteristica dei decreti emanati fin qui che rende particolarmente inquietante l’analisi dell’azione legislativa del governo.
Dal reato di rave, ai carburanti, al Superbonus: lancio e dietrofront
I decreti del governo Meloni, nei loro contenuti, sono spesso stati oggetto di critiche e proteste. A cominciare dal primo decreto, che, oltre a modificare l’ergastolo ostativo (in senso opposto a quanto richiesto dalla Corte Costituzionale), introduce nell’ordinamento il delitto di occupazione per raduni musicali, reprimendo i rave non autorizzati con una pena da tre a sei anni (e la confisca obbligatoria delle cose servite per il reato). C’è stato poi il decreto Carburanti, che prevede maggiori poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi e l’obbligo di esposizione da parte degli esercenti dei prezzi medi. E poi, ancora, il decreto legge con cui il governo ha bloccato la possibilità di sconto in fattura e cessione del credito nell’ambito del Superbonus.
C’è un filo conduttore tra questi provvedimenti, e non è solo la fonte governativa: tutti questi decreti legge hanno visto un confronto serrato solo dopo la loro emanazione. E, di fronte alle proteste più forti, hanno trovato modifiche (o promesse di modifiche) in sede di conversione.
Ora, che un decreto legge possa essere modificato in sede di conversione è nell’ordine delle cose: in quanto atti emanati dall’esecutivo in casi straordinari di necessità e urgenza, i decreti legge disciplinano spesso una realtà che cambia e, nella dialettica parlamentare, si confrontano poi con diverse sensibilità. È curioso, però, che le modifiche arrivino tramite emendamenti governativi, che correggono dei testi che il governo stesso ha scritto. Testi che l’esecutivo dovrebbe ritenere perfetti prima della loro emanazione: non bisogna infatti dimenticare che un decreto legge è immediatamente vigente, ha forza di legge anche prima della sua conversione. Questo significa che i ragionamenti, le critiche, la dialettica, salvo per l’appunto i casi eccezionali d’urgenza, devono svolgersi prima che l’ordinamento accolga una norma sbagliata.
L’impressione che se ne trae è invece che il governo Meloni “ci provi”: come in una costante negoziazione al rialzo (o al ribasso, a seconda dei punti di vista), l’esecutivo comanda, o tenta di farlo, salvo ripiegare, almeno comunicativamente, quando il tentativo provoca troppe resistenze.
Le misure contro le Ong
Ma è in materia di Ong e di soccorso in mare che il governo Meloni traduce la sua propaganda elettorale in atti di apparente legalità formale, con una sostanziale violazione dei diritti. Lo si era già visto con il decreto interministeriale che imponeva il cosiddetto “sbarco selettivo” della Humanity2: dopo qualche mese, il Tribunale di Catania ha evidenziato come quell’atto, firmato dai ministri Piantedosi, Salvini e Crosetto, fosse del tutto illegittimo, condannando i dicasteri al pagamento delle spese processuali.
Ora, con il decreto Ong, si osserva una tecnica normativa tanto scaltra quanto crudele: come già con precedenti governi, si utilizzano multe e fermi amministrativi per scoraggiare l’attività di ricerca e soccorso da parte delle navi delle Ong. A guardare le norme, però, ci si accorge di una studiata vaghezza, che esclude l’illegittimità palese rispetto alle convenzioni internazionali ma che, di fatto, pone la burocrazia tra i naufraghi e il loro soccorso: sarà l’autorità amministrativa a prendersi la responsabilità dell’interpretazione del codice di condotta, imponendo fermi e multe che, legittimi o illegittimi che siano, terranno le navi lontane dal Mediterraneo centrale, a prezzo di vite umane.
È difficile allora non cogliere, nell’atteggiamento legislativo di questo governo, quella “legalità adulterata”, quella “truffa giuridica organizzata d’autorità” che Piero Calamandrei attribuiva al fascismo. E nella scaltrezza con cui Meloni ha risposto a suo tempo alle critiche contro Donzelli, distinguendo il suo ruolo di partito da quello di governo, risuona proprio quella descrizione che del fascismo offriva l’avvocato antifascista.
Due burocrazie, una di Stato e una di partito, si intrecciano e si compenetrano in questo curioso monstrum costituzionale, il cui carattere più tipico è la doppiezza: non si osa governar senza leggi, ma si istituisce con metodo di governo l’illegalismo autorizzato a farsi beffa delle leggi.
Oggi non ci troviamo in una dittatura, ma possiamo comunque notare questo illegalismo di governo e preoccuparci per le sue conseguenze sulla società, perché tanto è immediata l’efficacia di un decreto legge, quanto un atto di governo ha effetto sulla vita delle persone.
E in questo modo le leggi, invece di servire a organizzare la vita in comune e a garantire i diritti per tutti, diventano un manganello, uno strumento di comando invece che di politica.
(da Fanpage)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
OPPOSIZIONI UNITE CONTRO PIANTEDOSI
Sarà il linguaggio burocratico, sarà la totale assenza di empatia. Sarà anche un po’ di sprezzo della persona umana.
Il ministro Piantedosi e il governo non ce la fanno proprio a interrompere la loro propaganda sui migranti. Né a smetterla di dare la colpa alla vittima. Su questo sono bravissimi, come a prendersela con il più debole. Che guarda caso, spesso, è proprio la vittima.
Oggi il ministro dell’Interno, parlando del naufragio di Crotone che è costato la vita ad almeno 62 migranti davanti alle coste italiane, tra cui moltissimi bambini, ha detto che “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”.
In pratica ha detto che è colpa loro se sono morti. Colpa dei migranti che hanno perso la vita. Colpa di quelli che sono rimasti vivi e hanno perso i loro figli. Già ieri il ministro dell’Interno aveva risposto – durante la conferenza stampa – a un giornalista che gli chiedeva se non sarebbe partito pure lui in quelle condizioni di disperazione: “No, perché mi hanno educato alla responsabilità”.
Insomma, tutto dipende da chi parte, che in pratica sceglie di morire. Non conta se poi il governo italiano fa di tutto per ostacolare i soccorsi in mare – come accaduto con la guerra alle Ong – e fa intervenire la Guardia costiera solamente se costretto dalla legge.
Ora, al di là del cinismo e della totale assenza di empatia che evidentemente caratterizzano il ministro Piantedosi, esiste la decenza. Perché tutto si può fare, ma non irridere e puntare il dito contro delle persone che rischiano la vita pur di scappare.
Cosa ne sappiamo noi della disperazione che prova chi fugge da guerre, fame, persecuzioni, povertà? E soprattutto cosa ne sa il ministro Piantedosi.
Pensiamo davvero che chi si imbarca non sappia che potrebbe morire? Che non lo metta in conto? Eppure lo fa lo stesso. Perché sono irresponsabili secondo il ministro. Questa lettura, oltre che tossica e sbagliata, è ridicolmente falsa. Lo è in una maniera irrisoria e irrispettosa.
Nel caso del naufragio di Crotone parliamo di persone che sono partite dalla Siria, dall’Afghanistan. Basta accendere un qualsiasi telegiornale per vederla, la disperazione che c’è da quelle parti.
Ma per il ministro dell’Interno italiano no, niente, sono ingiustificabili. Potrebbero pure evitare di partire e restare a morire lì, alla fine. Almeno non creano un problema a noi, no? Tanto alla fine questo è il punto.
Il problema vero è che Piantedosi ne fa una questione morale, che già di per sé non ha senso. E a chi la va a fare? Al che accetta delle regole d’ingaggio rischiosissime pur di scappare. Perché è la vittima, perché è il più debole. Tanto, alla fine, come disse il ministro qualche mese, fa non sono mica esseri umani, ma solo un “carico residuale”.
Però respirano, parlano, vivono e soprattutto muoiono.
(da Fanpage)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
UNA CONTRAPPOSIZIONE CHE POLARIZZA IL QUADRO POLITICO
Una madre, cristiana, italiana. L’altra che ama un donna, laica, cittadina del mondo. Una che vuole abolire il reddito di cittadinanza, l’altra che vuole abolire il precariato. Una che teme gli effetti della transizione verde, l’altra che teme il riscaldamento globale. Una nazionalista, l’altra europeista. Una che vuole chiudere i porti ai migranti, l’altra che vuole cambiare il trattato di Dublino. Una convinta proibizionista in tema di droghe leggere, l’altra che vuole legalizzarle. Una che si fa chiamare “Il” presidente, l’altra che vuole abbattere il patriarcato.
Potremmo continuare ancora, ma il senso è chiaro. Con l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico appare evidente la nascita di un nuovo bipolarismo perfetto incardinato sulla contrapposizione con la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Una dialettica, questa, che marginalizza tutti i terzi poli, le posizioni intermedie, quelli che “destra e sinistra non esistono più”. E che fa apparire le leadership di Carlo Calenda e Giuseppe Conte – ma anche quelle di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi – improvvisamente vecchie, fuori dal tempo.
È una polarizzazione, quella tra Schlein e Meloni, che può permettere alla premier di ricompattare la sua coalizione e il suo popolo contro un “nemico politico” chiaro ed evidente, tale da obbligare Salvini e Berlusconi ad abbandonare le loro velleità di sabotatori interni della coalizione.
Allo stesso modo, è una polarizzazione che obbligherà presto o tardi Giuseppe Conte e Carlo Calenda a scegliere da che parte stare, abbandonando ogni ambiguità programmatica e ogni tentativo di svuotare un Partito Democratico alla deriva.
Certo, oggi la sfida tra Meloni e Schlein appare impari. Una è la presidente del consiglio, leader di una formazione che veleggia tra il 25 e il 30 per cento dei consensi. L’altra, la nuova leader di un partito in crisi e balcanizzato, in cui le primarie hanno messo in luce l’abissale distanza tra la sua classe dirigente territoriale, che sosteneva Stefano Bonaccini praticamente in blocco, e il suo elettorato potenziale, che ha votato in massa per Schlein. Ancora: una guida una coalizione unita, l’altra deve rimettere insieme i pezzi di un “campo largo” che a oggi sembra più un campo di battaglia.
Sebbene il piano appaia inclinato a favore di Meloni, però, l’esito della loro contrapposizione non è per nulla scontato. Perché l’Italia, è vero, è un Paese profondamente conservatore, nostalgico, in lotta per difendere quel che rimane dell’esistente.
Ma è anche un Paese ciclicamente attraversato dall’aspirazione di essere diverso da com’è. Sta a Schlein provare a intercettare questa aspirazione e darle corpo e concretezza. Sta a Meloni far sì che non accada. La partita è appena cominciata.
(da Fanpage)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
MA POI DENUNCIA LA PENURIA DI UOMINI E MEZZI PER GLI INTERVENTI: “IL GOVERNO FORNISCA GLI STRUMENTI”
«Stiamo anche vedendo di ricostruire la catena dei soccorsi ma non ci sono indagini su questo. Stiamo ricostruendo tutti i passaggi dall’avvistamento in poi per ricostruire cosa è stato fatto e confrontarlo con quello che si doveva fare che sembra sia stato fatto. Di sicuro le condizioni del mare erano terribili».
Lo ha detto all’Ansa il procuratore della Repubblica di Crotone Giuseppe Capoccia sull’indagine aperta sul naufragio. «Qui – ha poi aggiunto – mancano uomini e mezzi alle forze dell’ordine. Il governo dovrebbe capire che sarebbe necessaria impostare in modo diverso le strutture. In estate abbiamo 3 sbarchi la settimana»
«Adesso – ha spiegato Capoccia – stiamo sentendo i superstiti e poi c’è la fase della completa identificazione. Poi vedremo altri aspetti e cercheremo di ricostruire anche la catena dei soccorsi. Stamani ho parlato con il comandante generale delle Capitanerie di porto e certamente chi portava il barcone non era uno sprovveduto. Probabilmente volevano spiaggiarsi visto che viaggiavamo su una imbarcazione senza deriva. Invece sono finiti su una secca che è conosciuta ai marinai della zona. Come si sono fermati, la barca non ha più retto ai colpi inferti dalle onde e si è letteralmente sfasciata, nel senso che il fasciame non ha retto».
«Stiamo ricostruendo anche – ha aggiunto il magistrato – tutti i passaggi, dall’avvistamento in poi. Tra l’altro c’è anche una stranezza: dalla barca non è mai partita una richiesta di soccorso. La telefonata internazionale alla Guardia di finanza? È stata una strana triangolazione, ma dalla barca non hanno chiesto aiuto come succede sempre non appena arrivano in prossimità della costa».
Ma i mezzi in dotazione a Guardia costiera e Guardia di finanza erano eventualmente adatti ad operare in quelle condizioni marine?
«Il fatto – la risposta del magistrato – è che qua subiamo 3 sbarchi alla settimana nel periodo estivo. La fascia ionica calabrese dovrebbe essere il fiore all’occhiello per questo tipo di interventi e questo non avviene per mancanza di uomini e mezzi. Bisogna attrezzare questi uffici. Il governo deve rendersi conto che è necessario impostare in maniera diversa le strutture. Il Cara di Isola Capo Rizzuto non può essere sempre in sofferenza. Siamo una piccola provincia che regge uno scontro che dovrebbe riguardare l’Italia ma anche tutta l’Europa. Comunque stiamo acquisendo tutti i dati, poi il pm che procede tirerà le somme. Di certo c’è che la barca, di sua volontà, non si stava dirigendo verso il porto di Crotone. Questo è certo”.
(da Corriere della Calabria)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
LO STORICO YAROSLAV HRYTSAK: “PUTIN SPERA CHE I PAESI OCCIDENTALI ABBANDONINO KIEV. È PIÙ PROBABILE IL COLLASSO RUSSO E LA DEFENESTRAZIONE DI PUTIN. LA NATO È RIEMERSA POTENTE. SI È TROVATO SPIAZZATO”
Tre considerazioni su questo primo anno di guerra: il fronte occidentale ha tenuto ed è rimasto unito a sostegno degli ucraini; il conflitto si è trasformato nei mesi dal blitzkrieg veloce, sognato originariamente da Vladimir Putin, in lunga guerra d’attrito; l’identità ucraina non è stata forgiata dall’aggressione russa, bensì ha retto proprio per il fatto che era già solida sulle proprie gambe e pronta a combattere per difendersi.
Volodymyr Zelensky non ha fatto altro che interpretare fedelmente la diffusa volontà di resistenza della sua gente, da buon attore è stato capace di raccontare i sentimenti ucraini, ecco il motivo della sua immensa popolarità.
Sono alcuni dei ragionamenti portanti del «Manifesto per una pace sostenibile» che lo storico 63enne Yaroslav Hrytsak, docente all’Università di Leopoli e autore di una «Storia dell’Ucraina» di prossima pubblicazione in Italia per i tipi del Mulino, presenterà il 4 marzo assieme ad altri intellettuali del suo Paese spinti dalla preoccupazione condivisa per cui «il tempo è a questo punto dalla parte di Putin ed è necessaria una vittoria militare relativamente veloce» per cercare di imporre una pace duratura.
Chi collassa prima?
«Contrariamente alle convinzioni che si era fatto Putin negli ultimi anni e alle previsioni degli euroscettici, l’Occidente si è rafforzato con la guerra, la Nato è riemersa potente e unita. Putin s’illudeva di potere negoziare separatamente con Berlino, Roma, Parigi, Washington o Londra, credendo che ognuno avrebbe privilegiato i propri interessi, ma si è trovato spiazzato dalla loro reazione unanime e forte quando hanno condannato in coro l’aggressione. In sostanza, la guerra ha ricreato l’Occidente», spiega Hrytsak.
La via d’uscita? «Il collasso di una delle due parti. Putin ne è consapevole, ecco perché conta sul fattore tempo, spera che prima o poi i Paesi occidentali abbandonino Kiev».
Tradotto in termini contemporanei, l’Ucraina deve fare di tutto per vincere entro il 2023. «L’Ucraina sta sanguinando, deve terminare la guerra, ma non al prezzo di un compromesso territoriale, deve recuperare i suoi territori sino ai confini del 1991, compresi Donbass e Crimea.
Il rischio è altrimenti che la pace sia soltanto una tregua che dia a Putin il tempo per riorganizzare l’esercito e tornare presto ad aggredire più forte di prima. Rischiamo di diventare una nuova Cecenia. Dopo i massacri di Bucha e Irpin, dopo le gravissime violenze russe, nessun ucraino è più disposto al compromesso territoriale».
È più probabile il collasso russo e la defenestrazione di Putin. E l’eventualità che alla guida di Mosca emerga un dittatore ancora più fanatico? «Non credo, come non credo possa prendere il potere un oppositore del fronte democratico come Aleksei Navalny. Penso piuttosto a una figura minore tra i dirigenti attuali al Cremlino destinata a guidare la transizione, un po’ come avvenne nel 1991».
Ma cosa risponde a chi in Europa, e specie in Italia, sostiene che le vere responsabilità dell’attacco russo sono della Nato, la quale dopo il collasso dell’Urss non rispettò i patti e si allargò a est?
«Stupidaggini e falsità. Al momento del disfacimento sovietico i dirigenti di Mosca furono d’accordo nel lasciare che l’Ucraina diventasse indipendente, guidati dalla convinzione per cui poi sarebbero stati gli stessi ucraini a chiedere in ginocchio di tornare alla madre Russia.
Putin ha deciso di invaderci quando ha compreso che volevamo restare nell’Europa libera. Quanto alla Nato, non c’è alcun documento firmato e nessun accordo ufficiale tra le due parti che indichi alcun impegno in quel senso. Inoltre, resta sempre valido il principio sacrosanto di autodeterminazione dei popoli. Dopo la fine dell’Urss furono le nostre popolazioni che in massa chiesero alla Nato di affrancarle dalla minaccia di Mosca».
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
DA BRUXELLES CI TENGONO A RICORDARE LE REGOLE COMUNITARIE SULLA CONCORRENZA, E FANNO CAPIRE CHE L’ITALIA RISCHIA GROSSO (REMEMBER PNRR?)
“Abbiamo appreso dalla stampa che la conversione in legge del decreto Milleproroghe, che prorogherebbe ancora – almeno fino al 31 dicembre 2024 – le attuali concessioni balneari in Italia, è stata promulgata dal presidente della Repubblica italiana con riserva, in particolare in relazione a ‘profili di incompatibilità con il diritto europeo’. La Commissione Ue valuterà ora attentamente il contenuto e gli effetti del provvedimento, che non è stato ancora notificato, per valutare la risposta adeguata”.
Così all’ANSA un portavoce dell’esecutivo Ue, sottolineando la necessità di garantire “trasparenza e concorrenza leale” nel settore. Bruxelles, tramite il portavoce, coglie “l’occasione per ribadire che il diritto Ue” sui servizi “richiede che le norme nazionali assicurino la parità di trattamento degli operatori, senza alcun vantaggio diretto o indiretto per alcuno specifico operatore, promuovano l’innovazione e la concorrenza leale, prevedano un’equa remunerazione degli investimenti effettuati e tutelino dal rischio di monopolio delle risorse pubbliche a vantaggio dei consumatori e delle imprese”.
Il portavoce ricorda inoltre che “come indicato dalle recenti decisioni” legali “prese nei confronti del Portogallo (parere motivato di gennaio) e della Spagna” sulle concessioni balneari, “la Commissione ritiene che le legislazioni nazionali di tutti gli Stati membri debbano promuovere la modernizzazione del settore”.
“La trasparenza e la concorrenza leale – aggiunge ancora l’esecutivo Ue – darebbero certezza del diritto e stimolerebbero gli investimenti e l’innovazione sia per i concessionari esistenti che per i nuovi operatori nel settore chiave del turismo balneare”.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“NON HA FUNZIONATO L’UOMO SOLO AL COMANDO, NON FUNZIONEREBBE LA DONNA SOLA AL COMANDO, IO VOGLIO FARE SQUADRA”
«Non ha funzionato l’uomo solo al comando, non funzionerebbe la donna sola al comando». Così Elly Schlein ha sempre detto, dai palchi di questa lunga corsa congressuale, di «voler fare squadra». E al di là delle buone intenzioni di cui è lastricata ogni campagna elettorale — e delle frecciate al concorrente più volte accusato di renzismo, sinonimo di accentramento — Schlein ha tuttavia un motivo in più per insistere sul concetto di squadra.
Lo ha avuto nei giorni della sfida e lo ha ancora di più oggi. E questo perché la squadra dovrebbe essere lo scudo migliore contro il pressing da parte dei tanti big del partito che hanno via via appoggiato la sua candidatura. E di quelli che proveranno all’ultimo a salire sul carro.
È per tutto questo però che Elly Schlein, appunto, punta intanto a mandare avanti la sua, di squadra, che ci si aspetta ad alto tasso di donne e quarantenni.
Quali sono i nomi? In prima fila c’è Michela Di Biase, oggi deputata del Pd, capogruppo in consiglio comunale a Roma ai tempi (difficili) di Raggi. E anche moglie di Franceschini, da molti considerato uno dei padri della candidatura di Schlein.
Poi c’è Stefano Vaccari, responsabile nazionale organizzazione del partito, che pure è legato a Bonaccini da un lungo rapporto. Nella lista ci sono anche le Sardine, il movimento di attivisti nato a Bologna nel 2019, volto noto Mattia Santori. Forse una sorpresa, sicuro una nemesi visto che quell’associazione «dal basso» era stata creata proprio per sostenere Bonaccini nelle elezioni per il seconda mandato come presidente dell’Emilia-Romagna.
Un ruolo lo dovrebbero avere anche tre nomi che vengono dalla sinistra della sinistra, tragitto più volte rivendicato da Schlein.
Il primo è Nico Stumpo, oggi tra i pochi eletti di Articolo Uno, e che nella segreteria di Pier Luigi Bersani era responsabile dell’organizzazione del Pd.
Poi Arturo Scotto, anche lui in Parlamento con Articolo uno, dopo un passato con Sel e Nichi Vendola. Della partita dovrebbe far parte anche Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud nel governo Conte due ma, a differenza di Franceschini e Orlando, non in quello Draghi.
E anche di un’altra generazione, avendo da poco superato i 40 anni. Se però Schlein ha detto più volte di voler una sinistra «ecologista e femminista», è lecito aspettarsi altre donne nella sua squadra.
Un ruolo dovrebbe avere anche Stefania Bonaldi, ex sindaca di Crema, che in questa campagna ha coordinato la rete degli amministratori locali. Ci dovrebbero essere anche Chiara Gribaudo e Chiara Braga.
Tra gli altri nomi il portavoce di Schlein Flavio Alivernini e quello della mozione che l’ha sostenuta Marco Furfaro. Senza contare che sul carro del vincitore si fa spesso la fila e non sempre si trova posto.
(da Il Corriere della Sera)
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