Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
DELLO SFRUTTAMENTO DEI NEO-LAUREATI IL GOVERNO DELLE LOBBY SE NE FREGA
«Vivere a 27 anni con 750 euro? Non possiamo più accettare» dice con tono fermo e deciso l’ingegnera Ornela Casassa nel video diventato virale sui social, a partire da TikTok.
La giovane professionista si trovava a cena con l’amica consigliera regionale ligure di centrosinistra Selena Candia, che ha pubblicato il video e alla quale si sente dire che con quel che le avevano offerta alla fine di un tirocinio in uno studio «non ci pago l’affitto, io non ci vivo. Per questo ho detto no».
E poi aggiunge: «Dobbiamo smettere di accettare paghe da fame. E la sinistra deve far capire che dobbiamo smettere di abbassare l’asticella». Al Corriere della Sera Casassa, originaria di Chiavari, da 10 anni a Genova, spiega: «Racconto quello che mi è successo al termine del mio tirocinio: lo studio ingegneristico dove lavoravo da sei mesi, era soddisfatto di avermi nel team e mi ha proposto una collaborazione a 900 euro a partita iva che significano 750 euro netti, tolte le tasse. Solo 150 euro in più rispetto al tirocinio. Per me è stato uno schiaffo».
(da il Corriere della Sera)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
PRIMA HA TRASCORSO 5 ANNI IN AFFITTO A SPESE DEL SINDACATO UGL, PER POI RISCATTARE LA CASA CON IL 30% DI SCONTO RISPETTO AL VALORE DI MERCATO DALL’ENPAIA, ENTE CHE DIPENDE DAL MINISTERO DEL LAVORO
Cinque anni in affitto a spese del sindacato. Poi l’acquisto a prezzi stracciati: 469 mila euro per 170 metri quadri alla Camilluccia, una strada di Roma Nord costeggiata dal verde, tra ville, comprensori di lusso e scuole internazionali dalle rette dorate. Una strana clausola ha inoltre consentito al sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon di far fare l’affare a Roma sia a lui che alla compagna.
Lo scorso 23 giugno l’esponente leghista ha acquistato dall’Enpaia, l’ente di previdenza per gli impiegati in agricoltura, una casa in via Cortina D’Ampezzo, a Roma, usufruendo dello sconto del 30% previsti per gli inquilini che avevano un contratto di locazione da oltre 36 mesi. L’appartamento era formalmente affittato dall’Ugl, il sindacato di cui proprio Durigon, fino al 2018, era segretario. Un caso sollevato dal Domani. “Io sono entrato in quella casa nel novembre 2017 – spiega il sottosegretario – ma da quando sono diventato parlamentare, nel 2018, mi sono fatto carico dell’onere dell’affitto, circa 1.750 euro al mese”.
La circostanza al momento non è confermata. Anche perché dall’Enpaia la versione è differente: “L’Ugl ha pagato l’Enpaia per l’affitto di quell’immobile, fino a gran parte del 2022. Gli ultimi conguagli sono di qualche settimana fa – assicura Roberto Diacetti, direttore generale di Enpaia e già AD di Atac ai tempi di Gianni Alemanno -. Non so se poi Durigon li abbia restituiti all’Ugl. Questo dovete chiederlo a lui. Comunque sia chiara una cosa: non c’è stato nessun favoritismo”.Durigon dal 13 giugno 2018 al 4 settembre 2019 è stato sottosegretario al lavoro, con il primo Governo Conte. Poi, dal 25 febbraio 2021 al 2 settembre successivo, con il Governo Draghi, è stato sottosegretario all’economia. Infine è stato scelto nel novembre scorso di nuovo come sottosegretario al Lavoro da Giorgia Meloni. E proprio il Mef e il dicastero del lavoro controllano l’Enpaia e indicano anche i membri del CdA.
La vicenda sembra più complessa. Il sottosegretario, stabilitosi alla Camilluccia sei anni fa, già tra il 2018 e il 2019, quando era al Lavoro, avrebbe iniziato a ristrutturare l’appartamento, sapendo che c’era la possibilità di acquistarlo.
Il 13 marzo 2020 l’Enpaia ha affidato l’incarico per le linee guida su affitti e vendite all’avvocato Francesco Scacchi, in passato e per le vicende dell’Ugl legale anche di Renata Polverini. Il 20 marzo successivo il CdA dell’ente ha deciso sulla vendita di alcuni immobili, tra cui quello in via Cortina d’Ampezzo, e nel 2021 approvato le linee guida, prevedendo che l’acquisto potesse essere fatto anche dai conviventi dei titolari del contratto di locazione. Problema risolto per Durigon, che il 23 giugno scorso ha fatto l’affare proprio insieme alla compagna Alessia Botta, quest’ultima proprietaria del 90% dell’immobile.
“Sono tutte sciocchezze. Non c’e stato nessun favoritismo. Ho pagato quello che hanno pagato tutti. Neanche ho questa forza economica, ho pure dovuto fare un mutuo. Tutti abbiamo comprato così, lì c’erano anche altri personaggi, non è che c’ero solo io”. E infatti, il 14 dicembre scorso alla Camilluccia un immobile Enpaia con il 30% di sconto è stato acquistato anche da Francesco Rocca, candidato presidente della Regione Lazio per il centrodestra
(da La Repubblica)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
SAREBBERO 29 TANK GIÀ PRONTI, CHE SI TROVANO NEI GARAGE DELL’ESERCITO
Il governo tedesco ha autorizzato l’esportazione di carri armati Leopard 1 in Ucraina. A confermarlo oggi a Berlino è stato il portavoce del governo Steffen Hebestreit, senza fornire ulteriori dettagli. Finora, il governo federale aveva annunciato solo la consegna dei più moderni carri armati Leopard 2, provenienti dalle scorte della Bundeswehr.
Secondo Der Spiegel, sarebbero 29 i Leopard 1 che sono già stati in gran parte approntati da parte dell’industria tedesca.
Attualmente si troverebbero presso l’azienda Flensburger Fahrzeugbau. Secondo la Sueddeutsche Zeitung, Rheinmetall e Flensburger Fahrzeugbau Gesellschaft vorrebbero approntare decine di carri armati Leopard 1 per l’esportazione verso l’Ucraina.
Al momento tuttavia ci sarebbero stati problemi con l’approvvigionamento di munizioni.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
LA BATTUTA DI UN AMICO DI ENTRAMBI: “IN POLITICA C’È GENTE CHE SI È DIMESSA PER CASE CON VISTA SUL COLOSSEO, GENTE CHE È FINITA IMPELAGATA DENTRO LE AFFITTOPOLI DI SUPER-APPARTAMENTI E VOI 2 NEI GUAI PER DIVIDERE LE SPESE DI UN APPARTAMENTINO COME 2 FUORISEDE”
«Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere», ha detto a entrambi un amico comune. Loro due, Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, di pacche sulle spalle ne hanno ricevute tante, anche se il dolore per il clamoroso scivolone — che è costato a entrambi una strigliata epica di Giorgia Meloni, il livore freddo di Carlo Nordio e l’avvicinarsi al filo di quel precipizio oltre il quale ci sono solo le dimissioni — non si lenisce con una battuta.
E così, quando è stato chiaro oltre che il secondo aveva rivelato una notizia al primo (i colloqui in carcere tra l’anarchico Cospito e il camorrista Di Maio), che a sua volta l’aveva spiattellata in Aula, l’amico di entrambi ha tirato le somme: «In politica c’è gente che si è dimessa per case con vista sul Colosseo, gente che è finita impelagata dentro le Affittopoli di super-appartamenti e voi due nei guai per dividere le spese di un appartamentino come due studenti fuorisede».
Galeotta fu la cucina, che in fondo è l’unico spazio in comune del trilocale con doppi servizi, parzialmente arredato, senza soggiorno, che il sottosegretario alla Giustizia e il plenipotenziario di FdI condividono nella Capitale.
E dire che sotto sotto la storia dei due peones che smezzavano l’affitto di un’unica casa — soprattutto da quando, a ottobre, quei due peones sono diventati due calibri grossi della Repubblica — aveva fatto intenerire il cuore di chi ricordava la bella politica dei tempi andati, la sobrietà elevata a stile di vita, quell’atmosfera da Erasmus ante-litteram che finiva per cementare legami umani, prima che politici.
Tradizioni di tempi ormai andati che solo loro, Delmastro e Donzelli, hanno portato avanti fino all’altro giorno, quando nella cucina condivisa quella notizia è passata dalla bocca del sottosegretario alle orecchie dell’uomo-partito.
I coinquilini d’Italia, come qualcuno li ha ribattezzati (Dagospia, ndr) rielaborando il nome del partito di provenienza, sono come gemelli diversi, diversissimi. Piemontese di Biella Delmastro, fiorentino Donzelli; destra radicata in famiglia il primo (che è figlio d’arte, papà Sandro ha fatto due legislature piene con Alleanza Nazionale) di famiglia socialista e antifascista il secondo, che per un periodo ha fatto lo strillone nella società di distribuzione dei giornali della famiglia di Matteo Renzi; stili di vita totalmente differenti, simili per quanto riguarda l’attività politica ma diversissimi per tutto il resto.
«Diciamo che a me non piacciono le zucchine bollite», ha detto a più riprese il sottosegretario alla Giustizia ironizzando sull’attitudine del compagno di casa a tenersi alla larga dagli stravizi alimentari della politica. «A me, invece, non piace mangiare al ristorante tutte le sere», è il modo gentile con cui Donzelli si smarca invece dalle riunioni serali a base di amatriciane e carbonare.
(da Il Corriere della Sera)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
I GRUPPI PARLAMENTARI CHIEDERANNO ANCHE IL RISARCIMENTO DANNI: “ORA VEDIAMO SE HANNO IL CORAGGIO DI NON NASCONDERSI DIETRO L’IMMUNITA’ PARLAMENTARE”
I gruppi parlamentari del Pd di Camera e Senato annunciano querele e richieste di risarcimento danni contro il sottosegretario Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli dopo lo scontro in aula a Montecitorio sul caso Cospito e le accuse di ambiguità dei dem nei confronti dei movimenti anarchici.
Quegli attacchi, così come le dichiarazioni seguite nei giorni successivi, sono secondo i parlamentari dem: «diffamanti e lesive dell’onorabilità dei parlamentari Pd e gravemente offensive della storia e dell’ impegno di una forza politica che ha avuto e continua ad avere come proprio valore fondante la lotta alla criminalità organizzata e a ogni forma di terrorismo».
Da giorni i dem invocano le dimissioni per i due dirigenti di FdI, finora respinte al mittente. Ora con l’arrivo delle querele, i gruppi del Pd sperano che il viceministro e il coordinatore di FdI «si assumeranno le responsabilità delle loro gravi affermazioni senza nascondersi dietro l’immunità parlamentare».
L’attacco di Delmastro
A far scoppiare l’ultima protesta del Pd sono state in particolare le parole del viceministro Delmastro che, intervista sul quotidiano Il Biellese, aveva detto che i dem «devono spiegare all’opinione pubblica quell’inchino ai mafiosi». Il riferimento è alla visita che quattro parlamentari Pd avevano fatto nel carcere di Sassari a Cospito, che li avrebbe poi indirizzati ad alcuni boss mafiosi detenuti in quella struttura.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
“IN ITALIA IL RAZZISMO E’ RIMASTO LO STESSO DA QUANDO ANDAVO ALL’ASILO”… OVVIO, FINO A CHE I RAZZISTI NON FINIRANNO IN GALERA, A QUALSIASI LIVELLO
“So già che, se mio figlio sarà di pelle nera, vivrà tutto lo schifo che ho vissuto io. Se dovesse essere di pelle mista, peggio ancora: lo faranno sentire troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri. Vale la pena, dunque, far nascere un bambino e condannarlo all’infelicità?”. Parole feroci e tristissime, quelle usate da Paola Egonu in un’intervista a Vanity Fair:
Paola Egonu e quella crudele maestra d’asilo
“A quattro anni – dice la campionessa italiana di pallavolo – ho capito di essere diversa. Ero all’asilo e, con un mio amichetto, stavamo strappando l’erba del giardino: ci facevano ridere le radici. La maestra ci ha messo in castigo. Per tre volte le ho chiesto di andare in bagno. Per tre volte mi ha risposto di no. Alla fine ci sono andata di corsa, senza permesso. Troppo tardi: mi ero fatta tutto addosso. La maestra mi ha riso in faccia: “Oddio, fai schifo! Ma quanto puzzi!”. E, per il resto del giorno, non mi ha cambiata. Ho dovuto attendere, sporca, l’arrivo di mia madre nel pomeriggio. Ancora oggi, 20 anni dopo, fatico a usare una toilette che non sia quella di casa mia”.
Paola Egonu e le lacrime durante gli ultimi Mondiali
Da allora a oggi c’è meno razzismo in Italia? “No. Capita che mia mamma chieda un caffè al bar e che glielo servano freddo, che in banca lascino entrare la sua amica bianca ma non lei”, risponde Egonu, che attualmente gioca in Turchia, nel VakifBank Istanbul. Egonu fu inquadrata da un telefonino mentre, al termine della finale per il terzo posto dei Mondiali del 2022, in Olanda, diceva in lacrime al suo manager “Capisci? Mi hanno chiesto se sono italiana”: “Chi mi insulta in quella maniera – spiega – non sa nulla di me, di noi atlete. Non sa quanto fatichiamo, quanto siamo stanche, quanto non ci sentiamo all’altezza, quanto a volte vorremmo solo prenderci una pausa da tutto, ma non possiamo. Non ho nemmeno il tempo per godermi una vittoria che arriva la sfida successiva: dopo lo scudetto c’è la Champions, e l’Europeo, la Super Coppa, le Olimpiadi. Allora poi succede che qualcuno mi dice la frase sbagliata e io mi domando: perché mai dovrei rappresentare voi?”.
Sanremo, la pallavolista Paola Egonu annuncia la sua partecipazione al Festival sui social
Paola Egonu condurrà con Amadeus una delle serate del prossimo Festival di Sanremo: “Sono cresciuta in un contesto in cui lo standard di bellezza presupponeva l’essere bianca. E, sa, i ragazzini possono essere molto spiacevoli. Io ero sempre la più alta, ero nera, con questi ricci che odiavo. A un certo punto mi sono rasata a zero. Peccato che poi venivo presa in giro perché non avevo i capelli. La vita era uno schifo. Io mi sentivo uno schifo”.
(da Open)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
STORIA, FUTURO E PROGETTI DELLA CANDIDATA ALLA SEGRETERIA DEL PD
Da dove iniziamo a raccontare la storia di Elly?
(Sorride). «Dal mio naso, direi, ti va bene?».
E perché proprio dal naso?
«Perché è senza dubbio una parte importante del mio corpo. E da quando mi sono candidata è diventato due cose insieme: prima un simbolo. E subito dopo un bersaglio».
«Naso giudeo», scrivono ossessivamente sui social. Lei sarebbe finanziata da Soros per scalare il Pd.
«Magari. La verità è più semplice».
Quale?
«Si è attivato un vero e proprio esercito di odiatori che parte dal mio naso e dal mio cognome per esprimere ignobili sentimenti antisemiti. Ma vuoi sapere la cosa più bella?».
Certo.
«Gli stereotipi quasi sono sempre ingannevoli».
Cioè?
«Per quanto sia orgogliosissima del lato ebraico della mia famiglia paterna, io non sono ebrea, perché come sapete la trasmissione avviene per linea matrilineare. Ma la cosa più folle come ti dicevo è il dibattito sul mio naso».
Perché?
«Perché non è un “naso ebreo Schlein” che ho ereditato da mio padre, come scrivono i razzisti nella rete».
No? E da dove arriva, allora?
«È un naso tipicamente etrusco».
«Etrusco»?
«Sì, ho le prove. Mi arriva, con la fotocopiatrice, da mia madre. È un naso toscano, come lei».
Adesso inizio ad essere disorientato: Schlein è un cognome ucraino naturalizzato americano. Suo padre è americano ma si è trapiantato in Europa. Sua madre è toscana di Siena, ma lei è cresciuta in Svizzera, per poi emigrare a Bologna.
«Hai ragione, è una storia bella appassionante e molto complessa. Ma è anche la storia che spiega meglio di ogni altra cosa chi sono io».
Fino a due mesi fa Elly Schlein non era iscritta al Pd. Ne era uscita, sbattendo la porta, durante l’era renziana. Ci è tornata adesso, dopo otto anni, grazie ad una modifica dello Statuto che ha riaperto i termini di iscrizione per farla partecipare.
«Aggrega il consenso dei giovani», dicono le vecchie volpi. «Una come lei nasce ogni dieci anni», mi ammonisce il suo grande (e sorprendente) sponsor, Dario Franceschini. Ma la vera notizia di questa intervista arriva alle prime battute, perché quando le dico che Stefano Bonaccini è il favorito, lei si arrabbia: «Guardate – mi dice sorridendo – che voi avete tutti capito male. Io non sono la sparring partner! Io nel voto popolare, ai gazebo, vinco!».
Ci arriviamo presto. Adesso ripartiamo dall’album di famiglia.
«È meno complicato di quello che sembra. Mio nonno veniva da Leopoli. Ma quando agli inizi del secolo scorso lui nacque, la città era ancora sotto l’impero austroungarico. Poi è diventata Polonia, oggi è Ucraina. Si chiamava Schleyen».
E poi cosa accade?
«Arriva da emigrante ad Ellis Island e gli americani gli cambiano il nome in “Schlein”, più facile.
Quindi lei, a proposito di cliché, non viene da una ricca famiglia ebraica.
«Macché! Mio nonno si è spaccato la schiena per dare un futuro migliore ai suoi figli ma è morto presto».
Cosa faceva?
«All’arrivo era sarto. E poi ha gestito un chiosco di generi alimentari vendendo caramelle e giornali. Quindi si è trasferito nel New Jersey. Non ha mia più rivisto i suoi parenti più cari».
Perché?
«Il resto della sua famiglia che è rimasta a Leopoli è stata sterminata dai nazisti dopo le leggi razziali».
Nessun superstite?
«Nessuno. Io e mio padre siamo andati nel 2018 in Polonia a cercarli con le loro foto e non abbiamo più trovato nessuno. Sono stati tutti spazzati via dall’Olocausto».
Suo padre, cresciuto in America, è diventato professore.
«Dopo la laurea è tornato in Europa. Ha studiato in Austria, Germania e Italia. Negli anni Settanta, ad un convegno sul federalismo – pensa! – ha conosciuto mia madre, Paola Viviani, insegnante a Milano».
Da quel lato dell’albero genealogico lei ha un nonno parlamentare.
«Agostino Viviani: grande avvocato antifascista, unico laico e socialista, in una famiglia cattolica».
Che lei ha fatto in tempo a conoscere.
«Era stato presidente della Commissione giustizia del Senato. Relatore della riforma del diritto di famiglia nel 1975».
E come se lo ricorda?
«Affettuoso ma severo. È morto a 98 anni. Quando io avevo 8 anni mi fece un regalo solenne: una copia della Costituzione, rilegata, e i quattro codici commentati».
Altro che bambole! E il suo accento?
«È divertente, vero? Nessuno capisce di dove sia».
Perché?
«Sono nata e cresciuta in un paesino vicino a Lugano, lì ho fatto le elementari con l’esperienza bellissima della pluralità nelle classi: avevo compagni spagnoli, portoghesi, italiani e profughi dei Balcani».
Formativo?
«Mi ha insegnato nella culla cosa significhi uguali nei diritti e nell’accesso. Siamo tutti meridionali di qualcuno. Mi capitava di parlare a scuola con l’accento ticinese e a casa con l’accento di mia madre. Tentativo di sentirmi più inclusa. Sono in Emilia-Romagna dal 2004 e ogni tanto mi capita di prendere la cadenza emiliano-romagnola».
Secchiona?
«Mahh… In Svizzera il voto massimo era 6. Io ho preso il massimo dei voti in tutte le materie tranne ginnastica».
Altro ricordo del nonno?
«Mi portavano a studiare da lui, e mi mettevano lì tra tomi di diritto e macchine da scrivere».
Lei ha due fratelli.
«Mia sorella Susanna è diplomatica, Benjamin insegna fisica».
Dopo la scuola lei decide di tornare in Italia e si sposta a Bologna.
«Ero un’aspirante regista».
E ora?
«Continuerò ad aspirare alla regia per tutta la vita. Volevo emulare i grandi classici italiani come Monicelli. Amavo Quentin Tarantino, impazzivo per Kim Ki Duk».
Si è laureata al Dams?
«Nooooh! Alla fine ho ripiegato su giurisprudenza. Però vado tutti gli anni al Festival di Locarno. È stato il mio modo di viaggiare. Sul grande schermo».
È stata anche in giuria, a Locarno.
«Una volta. Premiammo il film di Kim Ki Duk . E l’anno dopo vinse a Venezia».
Con il cinema ha chiuso?
«Macché! Ho fatto l’assistente alla regia ad un piccolo film che si intitola “Anja la Nave”, sull’emigrazione degli albanesi. Ma a questa passione non rinuncio».
Già medita di abbandonare?
«Ho un contratto a termine con la politica: una battaglia ha tirato l’altra come le ciliegie. Poi ritornerò al cinema».
Perché giurisprudenza?
«Non ci crederà. Avevo preso una multa ingiusta e mi ero arrabbiata. Mi sono iscritta per contestarla perché sono testarda».
Infatti non ci credo.
«Mio nonno ero avvocato, mia madre insegna diritto, ho sempre avuto questa idea intorno a me, di battersi contro le ingiustizie».
E la tesi?
«Ne ho fatte due. Una in Diritto costituzionale sulla criminalizzazione degli stranieri. E una sulla sovra-rappresentazione degli stranieri nelle carceri».
Ovvero?
«Sa che statisticamente per uno straniero è più facile otto volte essere fermato se va piedi piuttosto che in auto?».
Come mai?
«Perché non si vede il colore della pelle».
E quanto ha preso?
(Ride). «110 e lode in entrambe: sì, in effetti sono po’ secchiona! Sono una che studia all’ultimo, poco disciplinata, con l’ansia di non essere preparata. Però alla fine funziona».
Ha fatto da volontaria la campagna di Obama del 2008, a Chicago nella sua città.
«Molto formativa: un’esperienza pionieristica, con lo sforzo di una visione di Paese che tenesse dentro tutto».
Esempio?
«Avevo al fianco pensionate nere a fare chiamate, insieme a ragazzini del liceo che si battevano per non indebitarsi tutta la vita. Mai si sarebbero trovati, se non per Obama».
E chi altro c’era?
(Ride). «Il mondo! La comunità lgbt, le comunità ispaniche, i portoghesi, gli asiatici…».
E così tornò, quattro anni dopo.
«Era cambiato tutto. Nel 2008 lavoravano in una specie di scantinato a fare le telefonate con gli elenchi cartacei».
E al secondo mandato?
«Avevano meccanismi automatizzati per le telefonate. Cento chiamate al minuto!».
E poi?
«Il porta a porta e il car pooling dall’Illinois all’Ohio. Ho fatto tutto».
E che lezione si porta in queste primarie italiane?
«Non c’è un leader solo, ma una nuova comunità che spinge un’idea».
Ha la foto ricordo con Barack?
«Il giorno in cui venne al comitato disgraziatamente ero fuori. Ma a tutti noi riservarono i posti di prima fila la sera del voto».
Torna in Italia e si butta in politica.
«Faccio la campagna di Italia Bene Comune. È il 2013, l’anno del complotto dei 101».
E lei occupa le sezioni, oggi glielo rimproverano.
«Dopo il killeraggio di Prodi. Hanno affossato tre cose, assicurando le larghe intese: Bersani, Prodi e il centrosinistra. Ci davano degli irresponsabili. Ma la storia ha dimostrato che avevamo ragione».
C’è il Congresso: Renzi, Cuperlo, Civati.
«Sostengo Pippo, che avevo conosciuto in un incontro organizzato da un’associazione studentesca».
Diventa eurodeputata.
«Mi hanno chiesto di candidarmi alle europee. Non avevo un euro. Non avevo speranze… Grazie alle preferenze, invece, venni eletta».
Non aveva soldi?
«La mia ricchezza è un’altra fake news di provenienza antisemita. La mia è una normalissima famiglia borghese».
E come ci è riuscita?
«Immodestamente sono una macchina. Ho fatto viaggi a tappeto in giro per il Paese. Come oggi».
Era la beniamina dei vecchi iscritti?
«Sehhhhh… Eravamo la minoranza dissidente. Non è che ci abbiano coccolato. Ma avevamo preso 400mila voti con Pippo: il 13%!».
Perché lascia il Pd nel 2015?
«Per via delle riforme di Renzi: Jobs Act, Buona Scuola, referendum. Fondiamo Possibile».
E a Bruxelles?
«Mi sono occupata del contrasto all’evasione delle multinazionali. Mi piace una immagine…».
Quale?
«Abbiamo paradisi fiscali senza palme. Ci sono grandi gruppi che con schemi elusivi legali levano ricchezza ai poveri».
Cioè?
«Istruzione, sanità, pensioni, investimenti per il futuro. Si perdono 800 miliardi di euro, ha stimato lo studioso Richard Murphy».
E come si può impedire?
«Capendo quante aziende hai, quanto profitti e quanti lavoratori hai. Si scopre chi sta fregando chi».
Ha dato battaglia sul Regolamento di Dublino, inseguendo Salvini.
«Ero relatrice del gruppo socialista. E l’ho smascherato: pensi che la Lega non è mai venuta a ventidue riunioni negoziali».
E quindi lei glielo ha detto?
«Pensavo che Salvini stesse cercando una risposta su Google. Sono forti con i deboli e deboli con i forti. Non vogliono cambiare Dublino».
E perché?
(Altro sorriso). «Paura di Orbàn».
E la sua sfida?
«Sta crescendo l’onda. Percorro cinque regioni in due giorni, giro da anni, 20mila persone si sono iscritte alla mia pagina».
Esempio?
«Folla pazzesca ad Arezzo in un luogo riqualificato energeticamente, l’Urban center».
Cos’è?
«Uno spazio aggregativo nato dal recupero di un’antica fonderia: economia sostenibile alimentata da energia rinnovabile».
Ma come può pensare di vincere?
Il Pd ha 60mila iscritti. Se questi primi 20mila sostenitori registrati votano, e crescono, cambiano i rapporti di forza delle vecchie correnti. La nostra è una campagna di respiro».
Ovvero?
«I conservatori oggi hanno una visione comune. Subiamo l’internazionalismo dei nazionalisti».
Un paradosso?
«Vero. Però la Le Pen, Farage, Trump, Salvini e la Meloni, e Bolsonaro parlano la stessa lingua».
E i progressisti?
«Non stiamo facendo abbastanza».
Esempio?
«Congedo paritario per tre mesi in Spagna, pienamente retribuito, per entrambi i genitori. Una riforma del lavoro contro la precarietà. Chi ne parla in Italia?».
Era giusto combattere il Jobs Act?
«Direi. Renzi ha liberalizzato i contratti a termine. E finiti gli incentivi, malgrado il blocco dei licenziamenti della pandemia. si sono continuati a perdere posti di lavoro».
Quali?
«È scientifico. Giovani donne e Sud hanno ereditato i contratti più precari».
Cosa vuole fare lei
«Mettere un limite ai contratti a termine. Favorire le assunzioni a tempo indeterminato. Le altre ricette sono fallite».
Perché?
«C’è una regola non scritta: se entri precario nel mondo del lavoro resti precario. Ed ecco perché gli italiani emigrano».
Come mai?
«Questa destra è così ossessionata dall’immigrazione che non vede l’emigrazione. Un’intera generazione cerca certezze perdute».
Altri modelli?
«In Germania e Spagna hanno fatto abbonamenti del trasporto pubblico locale a 9 euro».
E il Pd?
«Dobbiamo uscire da una visione ombelicale. Anche nei confini nazionali dobbiamo portare giustizia fiscale, emergenza climatica e contesto alle disuguaglianza. E soprattutto: nuove tutele del lavoro digitale».
Lei vuole diminuire l’orario di lavoro a parità di salario.
«Sembrava un’eresia, sta già accadendo dopo lo smart working».
Domanda delle cento pistole: alleati o no ai Cinque Stelle?
«Le alleanze non devono arrivare dall’alto. Nascono dal basso, sui territori».
Opposizione dialogante o dura?
(Sorriso). «Più efficace, direi».
La prima bandiera della sua segreteria quale sarebbe?
«Il salario minimo. Fra l’altro tutte le opposizioni sono d’accordo».
Punto debole della destra?
«Un’analisi vecchia. Facci caso: non parlano di precariato e non vedono il lavoro povero».
Un no da dire forte?
«Quello alla liberalizzazione delle trivelle».
Le piace il Pnrr?
«Le sue missioni sono quelle giuste: trasformazione digitale, conversione ecologica e coesione sociale».
E l’autonomia differenziata?
«La proposta di Giorgetti è inemendabile».
In questo diverge da Bonaccini?
«Bisogna capire qual è la sua idea. Però non si può dividere il Paese. Ed è quello che la Lega vuole».
Una parola d’ordine nuova?
«Combattere la povertà energetica. Si possono fare molte chiacchiere, ma ci sono italiani che non riescono a pagarsi il riscaldamento. Sono in cima ai miei pensieri».
Luca Telese
(da TPI)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
UNA CONSEGUENZA DELLE DISEGUAGLIANZE
In Europa il 32% dei decessi per tumore è associato a povertà e bassa istruzione. In Italia la situazione è migliore ma si impiega troppo tempo in burocrazia e serve personale per aiutare i medici. La richiesta viene dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) in occasione del convegno ‘Close the Care Gap’ al Senato, alla vigilia della Giornata Mondiale contro il Cancro che si celebra il 4 febbraio.
L’obiettivo dell’evento, afferma l’Aiom, è sensibilizzare i cittadini sulle differenze nell’accesso alle cure. In Europa, dunque, il 32% delle morti per cancro negli uomini e il 16% nelle donne sono associati alle disuguaglianze socioeconomiche. Le persone meno istruite e più povere, affermano gli oncologi, adottano stili di vita scorretti, eseguono con scarsa frequenza gli screening, non accedono ai sistemi sanitari e troppo spesso arrivano alla diagnosi di tumore in fase già avanzata.
Queste disparità sono meno evidenti nei Paesi che presentano sistemi sanitari universalistici come il nostro, in grado di garantire le cure a tutti. L’Italia, però, avverte Aiom, deve colmare il divario nell’adesione ai programmi di screening che ancora permane fra Nord e Sud e serve un grande piano di sensibilizzazione per recuperare queste lacune. Inoltre, nel nostro Paese, più del 50% del tempo di ogni visita oncologica è assorbito da adempimenti burocratici.
Per questo gli specialisti chiedono di assumere personale che possa occuparsi di questi aspetti. “L’Italia sembra soffrire meno delle disuguaglianze sociali nei tumori – afferma il presidente Aiom, SaverioCinieri – ma vi sono aree su cui servono interventi urgenti, a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini sui corretti stili di vita”. Nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro. Il 40% dei casi può essere evitato agendo su fattori di rischio modificabili. In particolare il fumo di tabacco è il principale fattore di rischio, associato all’insorgenza di circa un tumore su tre e a ben 17 tipi di neoplasia, oltre a quella del polmone.
Un’altra forte criticità, afferma l’Aiom, riguarda gli adempimenti burocratici che assorbono più della metà del tempo di ogni visita oncologica. Una ricerca svolta in 35 strutture ospedaliere, per un totale di 1469 pazienti visitati, ha mostrato che, durante un appuntamento, per 11 minuti dedicati alla visita della persona, ulteriori 16 vengono spesi per la compilazione di moduli, spiega Rossana Berardi, membro del Direttivo Aiom: “Proponiamo – afferma – un modello di affiancamento di nuovo personale agli oncologi. Figure amministrative e paramediche, biologi o data manager in grado di supportare il personale sanitario durante le visite.
Meno tempo dedicato a compilare moduli significa più ore a disposizione per le visite dei pazienti”. Insomma, conclude Cinieri, “chiediamo maggior attenzione per affrontare la pandemia di cancro, più spazi fisici e più professionisti in staff, comprese figure di aiuto come gli psiconcologi, data manager e case manager”.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2023 Riccardo Fucile
LE RATE SONO AUMENTATE FINO AL 43%, PER UN MUTUO A TASSO VARIABILE DA 126MILA EURO IL RIALZO È DI 195 EURO IN PIÙ AL MESE
Peggiorano le condizioni finanziarie nell’eurozona. Calano le domande di mutui, si alzano i requisiti per ottenerli e si amplifica la stretta creditizia , la più intensa dai tempi della crisi dei debiti sovrani. L’aumento dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea (Bce) inizia a impattare su famiglie e imprese in modo consistente.
Secondo l’ultimo Bank lending survey di Francoforte, nel quarto trimestre 2022 la contrazione della richiesta di mutui abitativi, meno 21%, è stata «la più forte mai registrata», e «la domanda di credito al consumo e altri prestiti alle famiglie è diminuita fortemente in termini netti, sebbene in misura minore rispetto ai mutui per l’edilizia».
Uno scenario che, secondo Goldman Sachs, rappresenta «un sostanziale ulteriore irrigidimento degli standard di credito» chiesti a famiglie e imprese, su cui pesano principalmente le prospettive incerte dell’economia ma a cui il costo dei fondi e la posizione di liquidità contribuiscono sempre più. La situazione è destinata a peggiorare di pari passo con i rialzi del costo del denaro. […] A differenza della crisi che ha investito l’eurozona un decennio fa, in questo caso il fenomeno è diffuso in modo omogeneo nell’area euro.
Mutui, maxi aumento per i tassi variabili: ecco quanto sono cresciute le rate nell’ultimo anno
Rincari in vista per i mutui degli italiani. Con la Bce che si prepara a un nuovo rialzo dei tassi di 50 punti il ritocco si prepara a farsi sentire sui finanziamenti a tassi variabili degli italiani. A fare i calcoli è il portale Facile.it, usando come riferimento un finanziamento a tasso variabile da 126 mila euro a 25 anni sottoscritto a gennaio 2022. Nell’arco di poco più di un anno, e se le Bce procedesse con il nuovo rialzo, ci si troverebbe a versare una rata più cara del 43%, pari a 195 euro in più.
Il tasso (Tan) di partenza sottoscritto a gennaio 2022 e usato nell’analisi è pari a 0,67%, corrispondente ad una rata mensile di 456 euro. A partire dalla seconda metà dello scorso anno, a causa dei quattro aumenti del costo del denaro decisi dalla banca centrale europea, la rata ha iniziato a salire considerevolmente arrivando, a gennaio 2023, a 619 euro e, come detto, se la Bce decidesse di aumentare i tassi di altri 50 punti base e l’euribor crescesse in modo analogo, la rata mensile del mutuatario arriverebbe nei prossimi mesi addirittura a circa 653 euro, vale a dire 197 euro in più rispetto a gennaio 2022 (+43,2%).
(da agenzie)
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