Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL SINDACALISTA MARCO BENTIVOGLI: “L’ARROGANZA DELLE NOMENCLATURE DEI PARTITI PERDENTI È AL MASSIMO STORICO”
Stavolta il divorzio con la politica e ancora di più con il centrosinistra
(terzo polo incluso) è profondo. Crollo della partecipazione e antipolitica sono due colpi durissimi alla democrazia. Proprio “la gente” si è stufata del “meno peggio” e piuttosto si butta sul nazional populista. Stavolta, anche il cosiddetto “ceto medio riflessivo” si è stufato e ha disertato le urne. Eppure l’arroganza delle nomenclature dei partiti perdenti è al massimo storico.
Ancora credono che uno slogan a Sanremo, il progressismo chic degli influencer o i talk serali, possano sostituire le capacità di rappresentanza di un partito veramente popolare. Rispetto alle regionali precedenti (senza concomitanza con le politiche e su due giorni) vota il 30% di elettori in meno. Non solo, crollano iscrizioni, i comizi finali sono sempre più eventi piccoli, spesso solo online.
Lo stesso per congressi e primarie. Tutti a lamentarsi della qualità dei candidati, ma la malattia è più profonda.
La partecipazione è crollata in ogni ambito: sociale, sindacale, associativo, politico. Per i gruppi dirigenti non sembra un grosso problema. Tra “pochi”, la pratica della cooptazione funziona anche meglio. Il guaio è che quando ci si auto-coopta si finisce con il non leggere più la realtà.
Il nostro stato sociale sta crollando, crescono le persone abbandonate e chi rinuncia a curarsi. Ma è arretrato, da molti anni, per molti italiani. Non è un caso che, più in generale, le campagne elettorali siano accolte dal disinteresse, dal “tanto non cambia nulla”. Il candidato è altrettanto “solo”, i partiti non esistono quasi più. È, tuttavia, un bel segnale che i partiti più strutturati nel territorio reggano meglio. Ma anche lì l’insofferenza è notevole. C’è da sperare che almeno stavolta, dopo le sconfitte più cocenti o elezioni senza la metà degli aventi diritto, ci sia il coraggio di fare sul serio. Non come è accaduto prima e dopo il 25 settembre. E non usate la carta “giovani” mettendo in pista dei “giovani bonsai” di loro stessi. Con la stessa mimica, la stessa furbizia e cinismo per imparare a galleggiare.
(da La Repubblica)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
“NON HA RIDOTTO IL PROSELITISMO NÉ CONTENUTO LE ATTIVITÀ DEL MOVIMENTO INSURREZIONALISTA”
Quando il Superprocuratore Gianni Melillo ha ipotizzato che per il detenuto Alfredo Cospito si potesse passare dal carcere duro al circuito dell’Alta sicurezza, ossia un leggero decalage nell’asperità del trattamento carcerario, non era per bontà d’animo, ma sulla base di un ragionamento molto pratico che viene dalle forze di polizia.
Nel suo parere che sta sulla scrivania del ministro della Giustizia, Melillo riporta infatti due importanti informative di polizia e carabinieri, i cui reparti antiterrorismo ritengono che, a questo punto, tenere Cospito al 41bis non soltanto sia inutile, ma controproducente.
«A testimonianze di come la produzione documentale di questo tenore sia connaturata al movimento di cui il Cospito è figura di vertice, anche successivamente alla sua sottoposizione al regime del 41bis, sono stati acquisiti documenti dai toni particolarmente violenti e che incitano all’azione diretta nell’ambito della campagna di solidarietà anche internazionale indetta in favore del detenuto». Ecco perché, secondo la polizia, è controproducente tenere il terrorista anarchico al carcere duro: così si alimenta una campagna contro lo Stato italiano nel mondo.
Stesso ragionamento fa il Ros dei carabinieri, mai tenero con gli anarco-insurrezionalisti: «Risulta in tutta la sua evidenza – sono i passaggi scritti dai carabinieri e riportati nel parere della Dna – come la sottoposizione del detenuto Cospito Alfredo al regime del 41bis non abbia azzerato le comunicazioni e le pubblicazioni all’interno del movimento anarchico-insurrezionalista.
Considerato anche il fatto che la Fai/Fri non è struttura gerarchica né piramidale, questo ha di contro generato un incontenibile, diffuso e variegato movimento di contestazione che ha prodotto l’ulteriore nefasta conseguenza di aver fatto convergere nello stesso campo di lotta gruppi e individualità anarchico-insurrezionaliste ed esponenti di estrazione marxista-leninista con precedenti specifici di militanza brigatista ed esperienze di lotta armata».
Con pragmatismo investigativo, il Ros esamina la situazione come si è determinata in questo inizio di gennaio. «L’applicazione del regime 41bis e il conseguente isolamento di Cospito Alfredo – scrivono – non hanno determinato l’auspicata riduzione del proselitismo, né il contenimento dell’attività del movimento anarchico-insurrezionalista, che invece ha incrementato le azioni dirette, le iniziative politiche e l’elaborazione di scritti e documenti ideologici che trovano diffusione anche in ambiti esterni di contiguità politica al movimento stesso».
Detto tutto ciò, unendo considerazioni di fatto con quelle di diritto, la Superprocura suggerisce al governo una soluzione che salverebbe le esigenze umanitarie con quelle di sicurezza, allo stesso tempo sottraendo al movimento anarco-insurrezionalista un fondamentale argomento: se si togliesse Cospito dal 41bis e lo si riportasse all’Alta sicurezza come è stato negli ultimi 9 anni, imponendogli stavolta la censura della comunicazioni, si avrebbe un sufficiente argine alla diffusione di documenti propagandistici, ma senza i rigori del 41bis.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
CORDONE SANITARIO ATTORNO A BERLUSCONI
Ora o mai più. Giorgia Meloni intende chiudere una volta per tutti i conti
con Silvio Berlusconi. E farlo adesso che il voto regionale ha premiato Fratelli d’Italia e colpito duramente Forza Italia. Vuole costruire un cordone sanitario attorno all’anziano leader. Emarginando i falchi di Arcore, premiando Antonio Tajani. Progetta di trattare quasi esclusivamente con il ministro degli Esteri, affidandogli il compito di convincere dolcemente il fondatore a tirarsi fuori dalla mischia. In cambio, promette un’uscita di scena soft. Proprio ieri, Palazzo Chigi ha clamorosamente chiesto all’avvocatura dello Stato di revocare la costituzione di parte civile nel processo ‘Ruby ter’ a carico, fra gli altri, proprio di Berlusconi. E lo ha fatto a scrutinio ancora aperto, con un messaggio politico sfacciato destinato all’alleato, ma anche agli avversari politici.
Bastone e carota, questa è la tattica da adottare con Berlusconi. Ma nello stesso tempo, la leader non intende più tollerare parole come quelle pronunciate dal Cavaliere su Volodymyr Zelensky e i suoi brindisi con la vodka di Putin. “Sono stufa di queste sciocchezze – è il senso dei suoi ragionamenti, consegnati ai fedelissimi – servono solo a danneggiarmi”. Un grave incidente diplomatico che ha messo addirittura a rischio la missione a Kiev. Doveva svolgersi tra il 21 e il 22 febbraio, nelle stesse ore in cui Joe Biden si recherà in Polonia. L’ira degli ucraini ha complicato i piani. E adesso, per non sporcare il grande successo elettorale, Meloni ha dato ordine ai suoi diplomatici di rimediare al gigantesco pasticcio: “Per come si è messa, non possiamo più rimandare”.
Vittoria doveva essere, vittoria è stata. Larga, piena. E senza neanche mortificare troppo i partner di maggioranza. La Lega, in particolare, ha tenuto. Reggendo in Lombardia, Salvini salva la poltrona di segretario. “Matteo è stato serio e leale – ammette in privato la leader – ed è stato premiato”. Non è soltanto sfoggio di misericordia verso il partner, quello di Meloni. È voglia di circondare ancora di più Berlusconi, sfilandogli definitivamente la sponda salviniana. Non è detto che ci riesca.
Adesso che il leghista non deve affrontare sfide elettorali di peso per quindici mesi – e che ha salvato la poltrona, nonostante sondaggi foschi in Lombardia – potrebbe giocare una partita più aggressiva in vista delle Europee.
Ma la lente di Meloni è puntata, come detto, su Berlusconi. Sfrutterà tutto, anche l’interpretazione dei dati di Forza Italia nelle due regioni: 7,4% in Lombardia – culla e motore degli azzurri – 7,4% nel Lazio di Tajani. La presidente del Consiglio farà pesare il risultato per mettere all’angolo i berlusconiani lombardi e accrescere ancora il peso del ministro degli Esteri nel governo. “Con Antonio lavoro benissimo”. È un’operazione spregiudicata, ma necessaria. Da portare avanti adesso, visto che anche nel Ppe cresce il fastidio per l’ex premier. “Farneticazioni di un vecchio che dovrebbe andare in pensione”, le ha definite ieri l’eurodeputato estone del Ppe Riho Terras. A Palazzo Chigi, d’altra parte, nessuno dimentica che prima delle elezioni trapelarono notizie dei contatti tra il Cavaliere e l’ambasciatore russo in Italia Sergey Razov.
Per tutte queste ragioni, il viaggio di Meloni a Kiev è diventato fondamentale. Più volte annunciato, più volte rinviato, gestito in modo poco ordinato. Ora la leader ha deciso: fare di tutto per rispettare l’impegno e recarsi da Zelensky prima dell’anniversario dell’invasione, che cade il 24 febbraio. Ma anche a causa della freddezza degli ucraini, non è detto che riesca a rispettare la promessa.
Di certo, farà pesare la vittoria sul dossier del Pnrr: giovedì in Consiglio dei ministri approderà il decreto che mette mano alla governance del Piano. Ma non basta. Meloni sfrutterà l’onda lunga elettorale anche e soprattutto per ribaltare gli equilibri in Rai. I quadri intermedi di Fratelli d’Italia continuano a bombardare la leader, chiedendole di intervenire con il machete sulla televisione pubblica. Non è quello che auspica il Colle, che da sempre consiglia alla leader calma ed equilibrio, soprattutto nella gestione delle vittorie. Meloni, però, ha promesso ai suoi di pazientare ancora un attimo, perché qualcosa di forte farà. Presto. Nel mirino c’è Carlo Fuortes.
(da La Repubblica)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL CENTROSINISTRA NON MOBILITA’ PIU’ L’ELETTORATO, MA ANCHE A DESTRA MOLTI SONO RESTATI A CASA
Finirà come sempre, i capelli strappati per l’astensione record, ma poi nessuna azione concreta. L’astensione travolge la politica, ma alla politica in fondo non dispiace.
Il dato delle Regionali del 12-13 febbraio arricchisce la tendenza di due nuovi numeri sull’affluenza al voto: il 41,67% della Lombardia e il 37,19% del Lazio, un’astensione record del 60%. Come ricorda il deputato del Pd Federico Fornaro “nelle Regionali 2023 i votanti sono stati 5,1 milioni, mentre erano stati 8,9 milioni nelle precedenti Regionali del 2018”.
Strutturale. Come ricorda uno studio di OpenPolis, tra il 2008 e il 2022 “la quota di elettori che si sono recati alle urne si è ridotta di quasi 17 punti percentuali”. E se fino al 1987 il numero di astenuti si poneva comunque sotto il consenso dei due principali partiti, “nel 1992 per la prima volta il partito del non voto ha superato il secondo partito”. Ma è dal 2013 che “il non voto rappresenta la scelta più comune tra gli elettori”. Il 2013 è anche l’anno dello sconquasso elettorale prodotto dal Movimento 5 Stelle, la delegittimazione conclamata dei vecchi partiti e della vecchia classe politica. Una dimensione fondamentale, come vedremo, per capire il fenomeno, ma che presenta modalità tra loro diverse: la distanza dall’elettorato, la “stanchezza” della partecipazione politica, l’elemento di protesta o di disagio insito nel non recarsi alle urne.
La distanza. Ancora alla vigilia delle elezioni proliferavano gli “spin” dei dirigenti laziali del Pd secondo i quali una bassa affluenza avrebbe avvantaggiato il proprio candidato vista la maggiore fedeltà elettorale dei dem. Il disastroso risultato di Roma, città governata dal Pd e che ha registrato l’affluenza più bassa, 33,11%, dimostra la miopia di quei messaggini.
Il coordinatore della campagna di Alessio D’Amato ha dovuto ammetterlo: “L’astensionismo ci ha dato un colpo forte, il centrosinistra non è stato in grado di portare al voto l’intera base elettorale”. La deputata Chiara Gribaudo offre la ricetta più logica, per quanto più difficile: “Ricostruiamo un’alleanza con i nostri elettori”. Ma si tratta di fare i conti con circa quindici anni di rottura con quell’elettorato, sempre più abbandonato e che non ha voglia di consegnare cambiali in bianco.
Ma l’astensionismo riguarda anche chi ieri ha vinto nettamente: la coalizione che fa riferimento a Giorgia Meloni. Vittoria percentuale che però deve misurarsi con il deserto partecipativo che coincide con una latitanza della convinzione e della delega ai nuovi presidenti di Regione. Oltre il 31% dei voti di Fratelli d’Italia nel Lazio, ottenuti con il 62% di astensione, corrisponde solo all’11,5% degli elettori attivi, mentre il successo di Fontana in Lombardia, rivendicato come frutto di buon governo e, udite udite, di buona gestione dell’emergenza Covid, rappresenta poco più del 20% degli elettori, quasi la metà di quello ottenuto nel 2018.
Anche in questo caso, quindi, si registra un voto di distacco, di stanchezza e di protesta cumulati, frutto molto probabilmente anche della gestione della pandemia da Covid che non ha trovato altro modo di esternarsi.
La protesta. La situazione non è nuova, per quanto riguarda il Pd una chiara avvisaglia si era avuta nel 2014 alle Regionali dell’Emilia-Romagna, regione storicamente ligia elettoralmente quando si recò alle urne solo il 37,7% degli elettori. Allora, il segretario del Pd, Matteo Renzi, definì “secondario” quel dato e pochi mesi prima, alle elezioni europee di maggio, aveva fatto finta di non vedere che il “mitico” 40% del Pd fu ottenuto grazie a un’affluenza del 58,7% gonfiando a dismisura i voti ottenuti. S’è visto poi come è finita: l’abbaglio di avere il Paese nelle mani si è trasformato nella marginalità elettorale.
Ma i problemi riguardano, sia pure su altri versanti, il Movimento 5 Stelle. Sono lontani i tempi, novembre 2014, in cui Beppe Grillo poteva dire che “l’astensionismo in Emilia è il rigetto del cittadino per la politica” rassicurando che “l’astensionismo non ha colpito il M5S”. Anni dopo, con Giuseppe Conte, la preoccupazione sarebbe stata ben diversa: “È un dato che mi fa molto male – disse a commento del risultato delle Comunali romane del 2022 – quando il 60% dei votanti non va a votare è un dato che deve preoccuparci tutti”.
Quel dato emergeva dopo i cinque anni di governo di Virginia Raggi e interrogava un movimento che era passato molto rapidamente dalla fase “nascente” alla fase istituzionale e quindi interpellava chi si era candidato, con successo, a raccogliere il voto di protesta. Non è quindi un caso che l’astensionismo coincida anche con i cattivi risultati del M5S.
C’è un refrain comune alle diverse forze politiche secondo il quale l’astensionismo costituisce una minaccia per la democrazia. Ma si tratta anche di un fenomeno che rafforza una politica delle élite: quelle più istruite, informate, legate anche materialmente alla politica, lasciando fuori la maggioranza degli elettori spesso quelli a più basso reddito e meno istruiti. Una modalità della politica che non dispiace ai partiti in crisi, che si vedono premiare con uno sforzo molto minore. Per cui a parole tutti se ne lamentano, ma in fondo non dispiace a nessuno.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
BANSKY OMAGGIA GLI INNAMORATI RICORDANDO LA PIAGA DELLA VIOLENZA SULLE DONNE
Una donna con evidenti segni di maltrattamenti in volto getta nella
spazzatura il suo aguzzino. L’opera è comparsa sui muri di Margate, a pochi chilometri da Canterbury
«Il mascara di San Valentino». Recita così la descrizione della nuova opera di Banksy dedicata alla giornata degli innamorati.
Come è sempre abituato a fare, anche per questo 14 febbraio, lo street artist regala un’immagine di forte impatto: una donna con guanti da pulizie di casa e grembiule ha appena buttato la spazzatura, dal cassonetto semi aperto si intravedono le gambe di un uomo. Sul volto della protagonista segni di violenza, dal dente rotto all’occhio nero.
Da qui il riferimento amaro al «mascara di San Valentino», che in questo caso non è certo un trucco ma il segno più drammatico della violenza contro le donne.
L’opera dell’artista è comparsa sui muri di Margate, a pochi chilometri da Canterbury ed è stata condivisa sul suo profilo social seguito da quasi 12 milioni di persone.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
“DALLA PARTE DELLA LOBBY DELLE ARMI”
Il consigliere di Fratelli d’Italia in Veneto Joe Formaggio si è fatto ritrarre con un fucile mitragliatore in mano durante una visita alla fiera delle armi di Verona. Poi, in un comunicato, si è detto «dalla parte della lobby delle armi». Il comunicato è stato diffuso anche attraverso la piattaforma dell’assemblea regionale.
La nota – riportano oggi i quotidiani locali – è stata duramente contestata dai consiglieri di opposizione, i quali hanno definito grave che l’esponente di Fdi si sia fatto ritrarre con un mitra in mano.
Alle critiche si aggiungono la dichiarazione di Formaggio di aver visitato l’esposizione «in rappresentanza della Regione». E di averci portato anche il figlio. Aggiungendo che è «meglio portarlo alla fiera delle armi che lasciarlo a casa a guardare la schifezza di Sanremo». Il presidente del Consiglio regionale, il leghista Roberto Ciambetti, interpellato sulla vicenda ha dichiarato di non poter fare una censura preventiva. Ma ha annunciato «una policy per siti e social istituzionali».
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
“NON E’ PIU’ TEMPO DI FOTORITOCCHI, BISOGNA DIRE BASTA”
Elly Schlein, aspirante segretaria del Partito Democratico, parla della
sconfitta del centrosinistra alle elezioni regionali in Lazio e in Lombardia.
E in un’intervista a Repubblica dice che «se continuiamo a perdere elettori qualcosa vorrà dire. Servono più nettezza e coraggio, il Paese si aspetta questo dal Pd».
Nel colloquio con Giovanna Vitale Schlein sostiene che la colpa della sconfitta è «di chi per anni ha inseguito il centro senza accorgersi che si stava perdendo la sinistra. Un intero blocco ociale che ha preferito astenersi anziché votare Pd. Penso che mai come adesso serva una svolta netta. Per rinascere, per risalire bisogna avere più coraggio. Non è tempo di un fotoritocco, di ordinaria amministrazione. Se ci rifugiamo nell’usato sicuro non andremo da nessuna parte. Il Pd deve cambiare tutto ed essere un partito di sinistra che rappresenta chi non ce la fa. Sono rientrata per questo».
Per la candidata alle primarie «il dato dell’astensionismo è quello che fa più male. Quando ci guarderemo dentro credo si confermerà quanto già visto a settembre. Sono le fasce impoverite a disertare le urne, quelle che non si sentono più rappresentate. Per questo abbiamo bisogno di risvegliare la partecipazione, di una grande mobilitazione collettiva».
Il problema è semplice e l’analisi è piuttosto lineare: «La destra è arrivata al governo. Fa la destra – la guerra alle Ong, i favori agli evasori e alle corporazioni, l’isolamento in Europa – poi vince le elezioni. Noi dobbiamo fare la sinistra, non si può essere tutto e il contrario di tutto, sennò non si rappresenta più nessuno. Per sconfiggerli bisogna parlare a quella fascia di elettori che non va più neppure a votare perché non trova ascolto. E sa che non sarà certo la destra di Meloni a emanciparla dai bisogni, come si è visto nei primi 100 giorni di governo».
La piattaforma politica
Schlein spiega la sua piattaforma politica: «Bisogna dire basta. Noi ci batteremo per limitare i contratti a termine. Per non rifinanziare la guardia costiera libica. E per approvare Ius soli e legge Zan. Altrimenti si fa fatica a ricostruire credibilità, soprattutto fra i giovani e le donne che sono rimasti schiacciati nel partito, non solo nella società». E anche se nel voto dei circoli è indietro di venti punti, è ottimista: «In realtà siamo soddisfatti per come sta andando. Quel voto serve per scegliere i due candidati alle primarie. Partendo da outsider a dicembre, al contrario di chi si preparava da anni, penso sia un risultato molto significativo. E la partecipazione che stiamo vedendo è la miglior premessa per una mobilitazione collettiva ai gazebo».
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
L’OPERAZIONE VALCHIRIA CHE INCOMBE SU FORZA ITALIA
Con le elezioni regionali di Lazio e Lombardia Giorgia Meloni sembra voler chiudere i conti con Silvio Berlusconi. Il voto che ha scelto Francesco Rocca a Roma e di nuovo Attilio Fontana a Milano, ha senza dubbio premiato Fratelli d’Italia.
Ma al di là dei festeggiamenti per un test elettorale «che rafforza il governo e consolida la compattezza del centrodestra», come dice Meloni, la cerchia più ristretta della premier parla della necessità di «accelerare una riflessione sulla riorganizzazione dell’alleanza».
Il risultato elettorale, scrive la Repubblica, sembra dare ulteriore forza al piano della premier di emarginare i seguaci di Arcore dando spazio al dialogo esclusivo con Antonio Tajani.
Sono passate poche ore da quando l’avvocatura di Stato ha chiesto, non con poca sorpresa, di revocare la costituzione di parte civile nel processo Ruby ter, a carico, tra gli altri, anche di Silvio Berlusconi. Con la tecnica del bastone e della carota, Meloni continua ad accerchiare il leader di Forza Italia, usando se serve anche la Lega di Matteo Salvini: «Matteo è stato serio e leale, per questo è stato premiato», ha detto, puntando con tutta probabilità all’obiettivo di sottrarre a Forza Italia anche la sponda salviniana.
Ma le regionali rimarranno il tema più caldo dei prossimi giorni: il 7,4% di Forza Italia in Lombardia e Lazio sarà il dato che la presidente del Consiglio potrebbe far pesare ai berlusconiani per metterli all’angolo e far crescere il peso del ministro degli Esteri nel governo.
«Con Tajani lavoro benissimo», ha detto la leader poche ore fa. Un piano che Meloni potrebbe essere intenzionata a seguire soprattutto ora che Berlusconi continua a far storcere il naso a molti del Ppe in sede europea. «Farneticazioni di un vecchio che dovrebbe andare in pensione», è stato il commento dell’eurodeputato estone Riho Terras in merito alle dichiarazioni del capo di Forza Italia sul presidente ucraino Zelensky. Riorganizzare il centrodestra senza romperlo del tutto dunque sarà la sfida della presidente, anche rispetto ai venti di cambiamento che tirano all’interno dei singoli partiti della coalizione.
In Forza Italia, stando a quanto scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera, si è cominciato a parlare di una imminente «operazione Valchiria» e cioè di un piano di separazione degli incarichi di partito da quelli di governo. Scenario che se fosse attuato avrebbe riflessi inevitabili anche sull’esecutivo.
Quello che è certo è che Meloni avrà almeno un anno di tempo a disposizione per l’ipotetico riassetto, prima dei prossimi appuntamenti elettorali: le Europee, le Comunali e probabilmente anche le Provinciali. Secondo fonti accreditate di Palazzo Chigi, dai colloqui con le opposizioni starebbe infatti emergendo l’idea di abrogare la riforma Delrio e ripristinare il voto diretto dei cittadini per la scelta dei presidenti di Provincia.
(da La Repubblica)
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Febbraio 14th, 2023 Riccardo Fucile
SECONDO I SONDAGGISTI IL FENOMENO NON PUO’ CHE RAFFORZARSI SE NON ARRIVERANNO NOVITA’ VERE, CAPACI DI RISTABILIRE LA FIDUCIA
Ma perché l’onda sempre più alta dell’astensione appare ormai
ineluttabile? Perché la gente non crede più nel voto? Come riconquistare la fiducia? Giriamo queste domande a due autorevoli sondaggisti che dai numeri leggono in controluce l’umore politico di un Paese.
Secondo Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè il fenomeno dell’astensionismo è fisiologico e inarrestabile a meno che si verifichi un’inversione a 360 gradi dell’offerta politica. La risposta al «perché non si va a votare?» data da Weber è tanto semplice quanto tranchant: «Si disertano le urne perché il voto non conta nulla. Quindi o ci sarà un potente cambio di paradigma e l’offerta politica diventerà consistente rientrando in sintonia con l’elettorato oppure anche alle prossime europee e le politiche ci sarà un’astensione sempre più forte». Ma in che cosa gli italiani si sentono traditi? Da promesse elettorali non mantenute? «Le faccio due esempi. Fino al 2018-2019 il primo problema per gli italiani erano gli immigrati, e quello era un tema che in termini di mantenimento delle promesse non costava nulla e quindi era relativamente facile mantenerle. Poi nel 2020 con la pandemia il primo problema è diventato la salute e quindi la sanità. Quella invece costava e tanto, ed è stato quindi fatale non stare ai patti e crollare nella fiducia degli italiani. Poi guardi ora, e pensi solo che tra il 55 e il 60 per cento degli italiani sono contrari alla guerra e all’invio di armi in Ucraina. Sono per caso rappresentati da questo governo? Governo che proprio a causa dell’astensione è stato scelto soltanto dal 20 per cento degli elettori…». Quindi che cosa succederà, C’è bisogno di novità vere? «Assolutamente sì. I 5 stelle lo erano, ma come si è visto non lo sono più, i leader è dai tempi di Renzi che non si vedono più. Poi c’è stato Salvini e anche per lui ora c’è la parabola discendente. C’è da confidare nella fantasia italiana che ha inventato tutto e il contrario di tutto in politica o giù di lì: dal fascismo al comunismo sino al leghismo passando per le Brigate rosse. Presto poi ci si dovrà produrre nella ricerca di un nuovo leader che sostituirà la premier attuale che verrà lentamente ridimensionata dai fatti: finita la mano draghiana della provvidenza che calmiera le bollette e estinto il reddito di cittadinanza tutto sarà da reinventare».
Antonio Noto, direttore dell’istituto Noto sondaggi e membro del Consorzio Opinio Rai aggiunge che la bassa affluenza non è un problema di questo o quel patito, ma di tutti. «La bassa affluenza al voto (41,7% in Lombardia e 45,4% nel Lazio) ha riguardato gli elettori di tutti i partiti: non c’è infatti nessuna forza politica nazionale che avrà più voti, in valore assoluto, rispetto alle elezioni politiche di settembre scorso. La disaffezione si concentra tuttavia in misura maggiore in quei partiti che non sono ritenuti vincenti alle elezioni regionali, come se una parte dell’elettorato non si recasse alle urne quando percepisce che il candidato della sua coalizione non ha chance di vittoria. Questo accade quando la formazione del consenso non è influenzata da variabili ideologiche. Il motivo della scarsa affluenza sarà da approfondire ma nel corso degli ultimi dieci anni l’affluenza alle elezioni amministrative è stata sempre molto bassa. In questa tornata elettorale il calo di affluenza è stato dunque drastico ma il trend viene registrato da tempo, non è una sorpresa». E aggiunge: «L’astensionismo è un prodotto indiretto del fatto che la campagna elettorale è stata breve e sottotono, senza grande coinvolgimento dei leader nazionali. Quindi l’elettorato non ideologico, quello meno fidelizzato non è stato attratto ed è rimasto distante. Non si può nemmeno escludere che una quota parte non fosse nemmeno informata sul voto».
Lorenzo Pregliasco cofondatore e direttore di Youtrend spiega: «Nel Lazio abbiamo avuto la peggiore affluenza di sempre, in Lombardia la terza elezione più bassa di sempre dopo quelle di Lazio e Emilia Romagna del 2014. Siamo quindi di fronte a un tracollo di partecipazione al voto che ha ragioni strutturali dovute al fatto che negli ultimi anni evidentemente è in grande crescita il numero di persone che sentono che il loro voto non incide e quindi pensano che non valga più la pena di votare. Poi ci sono anche ragioni più contingenti come la percezione delle istituzioni che sono viste lontane dai cittadini e le elezioni regionali che non vengono percepite importanti a livello politico quanto un voto nazionale. Poi si è votato pochi mesi fa per le politiche e questi fattori messi insieme spiegano questo dato clamorosamente basso che assume caratteristiche macroscopiche a Roma, città dove è andato a votare il 33,1 per cento: neanche uno su tre. Questa astensione ha danneggiato maggiormente il centrosinistra nel Lazio e questo è un dato che emergeva già ieri nelle nostre analisi sulle correlazioni fra trend d’affluenza e risultato passato».
(da agenzie)
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