Destra di Popolo.net

ALINA E ANDRIY, LA FOTO SIMBOLO DI UNA GUERRA ATROCE

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

LA RAGAZZA UCRAINA CHE ABBRACCIA TENERAMENTE QUELLO CHE RESTA DEL SUO UOMO E’ UN PUGNO NELLO STOMACO

Se la lotta alla mafia è una guerra, alla guerra si può ben applicare un principio che ci suggerì Giovanni Falcone. Lui parlava della guerra alla mafia, noi parafrasando le sue parole le applichiamo tout court alla guerra: “La guerra è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione, e avrà quindi anche una fine”.
Quando questa guerra, quando questo impensabile orrore del nostro tempo sarà una pagina di storia, chiusa, avremo l’immagine simbolo di quel che è accaduto: una foto.
Come spesso accade, dalle atomiche sul Giappone, dal Vietnam in poi, arrivando ai nostri giorni, Medio Oriente, Iraq, Siria, dopo essere passati dai Balcani, saltando da una ferita all’altra, sono le foto a fissare il momento disturbante, ripeto, quello che ferisce, che distribuisce ad ognuno di noi una cicatrice invisibile, da portarci per il resto della vita, da trasmettere, monito, ai nostri figli, ai nostri nipoti.
Perché non accada più, saranno le parole che accompagneranno il nostro racconto, anche se poi la stupidità dell’uomo non farà nulla per fermare il ripetersi dell’orrore.
La foto simbolo di questa guerra, quella iniziata una notte di febbraio – era il 2022 – mi si è stampata addosso da quando l’ho vista per la prima volta su Instagram, pubblicata da Libération. E con questa foto ci faccio i conti da due giorni.
La foto è la storia di due coppie, quella fotografata e quella che da quell’inizio della guerra ha smesso di fotografare matrimoni, ad Odessa, per raccontare uomini, donne e bambini attraversati dalla lama tagliente e devastante che è la guerra. I fotografi di matrimoni in codice si firmano @libkos.
La coppia teneramente abbracciata, a letto, è un pugno allo stomaco violento, emoziona, sconvolge, ma riesce a trasmettere anche l’idea di una quiete che comunque, prima o poi, arriva dopo la tempesta.
Spiazza il sorriso di lei che abbraccia quel che resta del suo uomo. Le federe dei cuscini a fiori sono per un letto dove si fa l’amore. E in effetti, Alina che abbraccia quel che la guerra gli ha restituito di suo marito, con un incredibile e dolce sorriso stampato in viso, è l’amore che fa.
Gli occhi chiusi, sogna quel che ha sempre sognato di fare con il suo uomo. Tornano le note della musica che lui le dedicava. Si, perché prima che scoppiasse la guerra, prima dell’invasione, lui era un musicista ed è pensabile una casa con lei che accompagna con un movimento delle braccia, del corpo, della gonna, lui che suona per lei.
Nella foto, forse Alina pensa ad uno di quei giorni felici mentre stringe il corpo di Andriy. Lui ha gli occhi cuciti e cicatrici nere sulle guance e sul naso. Gli mancano le braccia, ha perso l’udito.
Andriy è stato ridotto così da un bombardamento russo. Il giorno dell’invasione, smessa la musica, era partito volontario: 47esima Brigata, guidava un’unità di ricognizione aerea.
L’immagine fissata da Kostianyin e Vlada Liberov, fotografi di matrimonio ad Odessa, è straordinaria, sa trovare nel volto di lei, nell’abbraccio di lei, negli occhi chiusi e sognanti di lei, una speranza che a noi sembra impossibile.
A volte, si sa, per sperare bisogna attraversare la disperazione. E Alina e Andriy per incredibile che possa apparire ora pensano con speranza al futuro. Intanto la speranza che questa orribile e folle guerra finisca. Poi la speranza che lui possa tornare a vedere, seppure con l’innesto di una retina artificiale, con l’aiuto di un occhio bionico. Tornare a vedere per rispondere al sorriso di Alina.
(da Globalist)

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EFFETTO LAVORO “NERO”, AL NORD DUE MESI DI GIORNATE RETRIBUITE IN PIU’ CHE AL SUD

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

LA CLASSIFICA DELLE CITTA’… UN DIRIGENTE GUADAGNA 577 VOLTE PIU’ DI UN OPERAIO

I lavoratori dipendenti del settore privato del Nord lavorano quasi due mesi in più all’anno dei colleghi del Sud. Siamo un Paese diviso tra stacanovisti e scansafatiche? Assolutamente no. L’analisi della Cgia di Mestre tiene conto delle ore lavorate “in nero”, che non possono essere incluse nelle statistiche. «È la diffusione del sommerso a rendere l’occupazione del Mezzogiorno fragile e povera – scrive l’Ufficio studi -. Se non cominciamo a contrastare efficacemente il lavoro irregolare, il divario Nord-Sud è destinato ad aumentare, danneggiando tutto il Paese».
Secondo l’elaborazione degli artigiani mestrini su dati Inps, nel 2021 il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato pari a 247, al Sud, invece, a 211. E la retribuzione media giornaliera lorda? Al Nord si è attestata attorno ai 100 euro, al Sud sui 75.Il 34 per cento in più. Ma perché al Sud “si lavora meno”? Oltre a un’economia sommersa più diffusa che nel resto del Paese che, statisticamente, non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente, c’è poca industria, soprattutto hig-tech, e una limitata concentrazione di attività bancarie, finanziarie ed assicurative.
Il mercato del lavoro è caratterizzato da tanti precari, molti lavoratori intermittenti, soprattutto nei servizi, e tantissimi stagionali legati al turismo. Si fa meno ricerca, meno innovazione e il numero dei laureati che lavorano nel Sud è basso.
Nel 2021 la retribuzione media giornaliera più elevata d’Italia è stata erogata ai lavoratori dipendenti del settore privato occupati nella provincia di Milano (124 euro). Seguono Bolzano (104,8 euro), Parma (103,8 euro), Bologna (103,4 euro), Modena (102 euro), Roma (101,3 euro), Reggio Emilia (100,6 euro), Genova (99,8 euro), Trieste (99,4 euro) e Torino (98,5 euro).
Gli stipendi giornalieri più bassi, invece, sono stati pagati a Trapani (67,1 euro), Cosenza (66,8 euro), Vibo Valentia (66,7 euro) e, infine, a Ragusa (66,5 euro).
Gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate
Gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate durante il 2021 sono stati quelli occupati a Lecco (259,5 giorni). Seguono i dipendenti privati di Vicenza (258,2), Treviso (256,9), Lodi (256,7), Pordenone (256 giorni), Bergamo (255,6 giorni), Padova (255,4), Cremona (254,8 giorni), Reggio Emilia (254,1 giorni) e Modena (252,2 giorni).
Le province, infine, dove i lavoratori sono stati “meno” in ufficio o in fabbrica durante l’anno preso in esame sono state quelle di Crotone (200,7 giorni), Lecce (200 giorni), Rimini (199,5 giorni), Agrigento (199,3 giorni) Salerno (198,7 giorni), Foggia (198,4 giorni), Cosenza (196,8 giorni), Trapani (195,6 giorni), Nuoro (193,7 giorni), Messina (193,4 giorni) e Vibo Valentia (177,2 giorni).
I dirigenti guadagnano il 577 in più degli operai
Sempre dal confronto della retribuzione media giornaliera relativa al 2021, i dirigenti italiani ricevano un emolumento del 577 per cento superiore a quello conferito agli operai. Se ai primi viene erogato una paga lorda di 500 euro a fronte di 291 giorni di lavoro all’anno, per i secondi la stessa sfiora i 74 euro per un totale di giorni lavorati pari a 219. La paga degli impiegati, invece, è di 97,5 euro, mentre i quadri percepiscono 219 euro al giorno.
E i settori dove le retribuzioni giornaliere nel 2021 sono state più elevate?
C’è il settore creditizio-finanziario-assicurativo (170 euro lordi), dell’estrattivo (163,5 euro), del comparto energia elettrica-gas, etc. (161,3 euro), dell’informazione-comunicazione (126,4 euro) e nel manifatturiero (107,2 euro). I lavoratori meno pagati, invece, sono alle dipendenze degli imprenditori del settore noleggio-agenzie di viaggio e servizi alle imprese (68,2 euro) e, infine, gli addetti al settore ricettivo e alla ristorazione (56 euro).
(da agenzie)

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NESSUNA PIETA’ PER I POVERI

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

I SOVRANISTI SI OPPONGONO A FAR GUADAGNARE UNA SOMMA DECENTE A 4 MILIONI DI LAVORATORI

Nemmeno le ultime considerazioni positive del governatore della Banca d’Italia e dell’Istat hanno convinto i sovranisti a fissare per legge un salario minimo.
Ostinatamente contrari a far guadagnare una somma decente a quasi quattro milioni di lavoratori privi di contratti nazionali, o tutelati (si fa per dire) da contratti pirata, ieri i partiti della maggioranza hanno affossato la discussione in Parlamento, cancellando la proposta portata avanti da tutte le opposizioni, con l’eccezione del solito Renzi.
In un Paese che vede esplodere le diseguaglianze, le forze di governo non stanno perdendo un colpo nell’allargare le fasce sociali più povere, condannate a peggiorare drammaticamente la loro condizione con la prossima abolizione del Reddito di cittadinanza.
Eppure, non manca la percezione del disagio di milioni di famiglie, tanto che per parare il colpo la premier ha lanciato personalmente la nuova card per i poveri.
Una manovra che però nasconde la più grande presa in giro di sempre, visto che interessa solo chi vive in condizioni praticamente di indigenza, e offre poco più di un euro al giorno per comprare alcuni prodotti alimentari, per di più senza la possibilità di sceglierli liberamente. Dunque, siamo di fronte al totale disprezzo per le classi più povere, per i falegnami che non devono permettersi di spingere i loro figli verso un lavoro migliore (Briatore dixit), per chi non ha alternativa ad accettare un lavoro povero, per chi non si adegua alle regole di un potere morbido con le caste amiche e inflessibile con chi ne sta fuori.
(da La Notizia)

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LOTTA ALLA MAFIA, MELONI AL BIVIO

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

METTERE LA MAGLIETTA DI BORSELLINO A PALERMO E LAVORARE A ROMA PER RINNEGARLO

Tenere insieme quelli di “Mangano è un eroe” e quelli che il prossimo 19 luglio per il ventesimo anno consecutivo sfileranno a Palermo con le magliette “Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”. Insieme non ci stanno, una scelta va fatta, e se l’orientamento del ministro della Giustizia Carlo Nordio (che insiste da due giorni sulla revisione del reato di concorso esterno in mafia) non ne terrà conto dovrà affrontarne le conseguenze perché il melonismo può sopportare e persino difendere certi racconti sgangherati, certe gaffe, certe eccessive predisposizioni all’affarismo più spregiudicato, ma non può reggere una picconata alla lotta alla mafia e soprattutto alla memoria dei magistrati di Palermo che sono da un trentennio i capisaldi del suo Pantheon
In passato, la destra ha ingoiato molti rospi in materia. Ha accettato per amor di coalizione di ignorare gli intrecci di interessi che hanno portato alla condanna di autorevoli rappresentanti forzisti, si è acconciata a sostenerli nelle liste quando erano indagati e turandosi il naso ha evitato di commentare ogni provvedimento rubricato sotto alla voce “favore ai clan”.
Dopo le elezioni si è sottomessa alla necessità di concordare con Silvio Berlusconi il nome del Guardasigilli e la sua linea d’azione, tanto che per ottenere il placet alla nomina di Nordio fu organizzato un faccia a faccia privato con il Cavaliere a Villa Grande.
Incontro a due, riservatissimo, dal quale entrambi uscirono contenti con l’annuncio che Berlusconi rinunciava a esercitare il diritto di primogenitura vantato sul ministero di via Arenula.
Poco dopo, quando sul tema delle intercettazioni Nordio suscitò il primo putiferio della sua carriera ministeriale, il Cavaliere diffuse addirittura un video di incoraggiamento: «Finalmente l’Italia ha un ministro della Giustizia di cultura liberale e garantista, una cultura profondamente affine alla nostra», «Noi di Forza Italia ne sosterremo l’azione con assoluta convinzione».
Ma adesso che Berlusconi non c’è più, ora che il dovere di accontentarlo è svanito e che l’agenda della giustizia non passa più per la scrivania di Arcore, i compromessi del passato si stemperano, perdono di senso.
E a tutti comincia a diventare chiaro il rischio che il racconto della prima premier donna d’Italia – legalità, rigore, Patria – sia sopraffatto dai residui della narrazione politica precedente, a lungo tollerata per interesse o necessità ma legata ad altre storie, a un’altra leadership e soprattutto a un diverso coacervo di interessi personali e modi di vita. Non solo in materia di giustizia.
A ben guardare, tutti gli inciampi di questo inizio estate sono collegati a uno stile molto lontano dal preteso rigore dio-nazione-famiglia della destra conservatrice e assai più vicino ai vecchi fasti del Popolo della Libertà, quello che Corrado Guzzanti raccontava come una festa sgangherata e senza regole dove valeva tutto, dai comizi sulla prostata alle furbate fiscali, dal conflitto di interesse all’irruzione per fatto personale nelle inchieste della magistratura o all’uso disinvolto di carte riservate per inchiodare gli avversari.
Il morto afferra il vivo e lo fa prigioniero, come dice una celebre espressione di Carl Marx: questo è il pericolo che si addensa e che trasforma il secco alt a Nordio sulla revisione del concorso esterno in qualcosa di più della correzione di una linea, cosa già vista in tanti casi di questi ultimi mesi.
Dietro quel segnale d’arresto non c’è solo l’immaginabile moral suasion del Presidente della Repubblica o l’urgenza di chiudere un conflitto con la magistratura aperto per rabbia e per dispetto.
C’è il timore di perdere la faccia e la reputazione, attributo massimo del nuovo corso meloniano. E c’è, soprattutto, un anniversario che scotta e al quale è impossibile presentarsi con la macchia di una ritrattazione in materia di mafia. Mettere la maglietta di Paolo Borsellino a Palermo e lavorare a Roma per diluire la sua eredità non è possibile, pure Nordio dovrà farsene una ragione.
(da La Stampa)

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I CONFLITTI DI SANTANCHE’: BANCHE E GRANDI AZIENDE NELLA LISTA DEI CREDITORI

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

LA MINISTRA CONTINUA A GESTIRE I DOSSIER DEL TURISMO MENTRE I SUOI MANAGER TRATTANO CON DECINE DI PRIVATI PER I 20 MILIONI DI DEBITI

Venti milioni di euro di debiti da coprire con accordi con i creditori per evitare il fallimento delle società della galassia della ministra Daniela Santanchè. E tra i creditori non ci sono solo Invitalia e il Fisco, ma diverse banche e anche grandi aziende con le quali i manager di Visibilia e Ki Group stanno cercando di trovare una intesa: mentre lei resta con un piede in entrambe le aziende, seppure senza poteri gestionali ma solo come socio o come “accollante”, cioè garante, di alcuni debiti.
Ma non c’è un conflitto di interesse costante di una ministra, che siede anche in Consiglio dei ministri, mentre i manager delle sue aziende bussano alla porta di banche e creditori vari per evitare il fallimento?
A scorrere l’elenco dei creditori delle aziende Visibilia e Ki Group, come compare nelle relazione dei periti del Tribunale di Milano ci sono nomi che contano nel panorama italiano: lo stesso mondo con il quale potrebbe trovare a confrontarsi da ministra del Turismo o comunque per iniziative politiche del governo guidato da Giorgia Meloni.
La situazione peggiore è quella di Visibilia srl: secondo la perizia in mano alla procura di Milano “la società si trova in stato di liquidazione con un patrimonio netto negativo di 3,2 milioni di euro già alla data del 31 dicembre 2020 e appare evidente come l’incapacità di far fronte ai debiti abbia ripercussioni estremamente gravi sui bilanci delle società creditrici Visibilia Editrice srl e Visibilia concessionaria”.
Insomma, se cade una carta cade tutto il castello Visibilia. La società in liquidazione ha un debito da 4,5 milioni di euro per un prestito non restituito a Banca Intesa San Paolo: banca che a sua volta ha ceduto questo finanziamento alla società di recupero crediti Kerdos che ha affidato la pratica legale a Prelios credit servicing. Nella perizia si legge che “si rileva l’esistenza di interlocuzioni finalizzate a una trattativa a fronte delle quali si è ancora in attesa della relativa formalizzazione”. Ma c’è di più: la ministra si è accollata come socia o attraverso la società immobiliare Dani debiti per 3,6 milioni di euro. Tanto che nel discorso al Senato Santanchè ha detto di aver messo a garanzia anche la sua casa: “Meriterei un plauso”, ha aggiunto. Ma scrivono i periti del tribunale: “Complessivamente, a causa della diversa posizione sia di socio che di accollante, il socio di riferimento ha un impegno complessivo per versamenti e garanzie di 3,6 milioni: non sono tuttavia disponibili informazioni patrimoniali specifiche per poter verificare la capienza del socio in termini di soddisfazione degli impegni presi”.
Insomma le garanzie non sono chiare, secondo i periti stessi.
Ma anche sul fronte Ki Group la situazione non è diversa. Il perito del Tribunale nella relazione sulla procedura negoziata per evitare il concordato su debiti per 12 milioni di euro (procedura naufragata comunque) segnala come a novembre, quando lei era già ministra, siano stati fatti quattordici incontri tra i dirigenti della società e i manager di aziende creditrici. E scorrendo l’elenco delle aziende coinvolte nei debiti Ki Group ci sono ad esempio banche e imprese che contano: Popolare di Milano, Banco popolare di Desio, la società Prelios, ma anche il gruppo Danone, il gruppo del biologico Alcenero, il mondo delle coop con Biancoviso e il gruppo International food, Insomma, tra i creditori delle società della ministra non ci sono solo società pubbliche che dipendono dal suo compagno di banco in Consiglio dei ministri Giancarlo Giorgetti, e cioè Invitalia e l’Agenzia delle entrate che fanno capo al ministero dell’Economia, ma anche grandi gruppi bancari e grandi aziende del Paese. E sempre per cifre importanti.
(da agenzie)

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FORZA ITALIA, IL PRIMO CONSIGLIO NAZIONALE SENZA BERLUSCONI

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

DALLA LETTERA DEI FIGLI ALL’ELEZIONE DI TAJANI (CHE NON SI CHIAMERA’ PRESIDENTE)

Un primo Consiglio nazionale senza Silvio Berlusconi, in cui la memoria del fondatore è però più che presente, quello che Forza Italia ha svolto oggi a Roma. Ad aprire l’assemblea la missiva inviata dai figli del Cav, letta dal reggente Antonio Tajani: «Carissimi, grazie per l’appoggio e vicinanza che avete sempre dato al nostro caro papà e grazie per tutto ciò che farete d’ora in poi per continuare a far valere gli ideali di libertà, progresso e democrazia che hanno sempre contraddistinto il suo pensiero e la sua azione. Un abbraccio grande a tutti con i migliori auguri di buon lavoro», scrivono.
L’elezione di Tajani
Il Consiglio nazionale è stato anche l’occasione per formalizzare l’elezione di Antonio Tajani a temporanea guida del partito. Non si chiamerà presidente, però, ha specificato il ministro degli Esteri: «Non è possibile più avere un presidente per il nostro movimento, per questo propongo al Consiglio di modificare in ogni articolo che lo prevede lo parola ‘presidente’ con la parola ‘segretario nazionale’ perché per noi c’è un solo presidente». La proposta è stata approvata all’unanimità come ha riferito in sala la capogruppo al Senato, Licia Ronzulli che guida i lavori. Subito dopo, Tajani è stato eletto segretario nazionale ‘pro tempore’ di Forza Italia all’unanimità. Sarà lui a guidare FI fino al Congresso. «Non è facile guidare un movimento politico che ha avuto come leader per quasi 30 anni Silvio Berlusconi. Io posso garantire soltanto il mio impegno, determinazione, volontà di trasformare tutti i suoi sogni in realtà. Per farlo avrò bisogno di tutti quanti voi, di tutta la nostra classe dirigente, eletti, simpatizzanti, militanti», ha detto lui prendendo la parola dopo il voto.
(da agenzie)

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LA RAGAZZA PICCHIATA DAL FIDANZATO A NAPOLI L’HA DENUNCIATO

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

I RAGAZZI CHE VOLEVANO AIUTARLA PRONTI A TESTIMONIARE

È stata la ragazza di 28 anni picchiata dal fidanzato a Napoli a denunciarlo ai carabinieri della stazione Vomero, dopo essersi fatta visitare al pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli.
Grazie a lei quindi i militari hanno potuto identificare l’uomo nel video diventato virale realizzato da alcuni turisti stranieri, come ha raccontato il deputato di Avs Francesco Emilio Borrelli sui social.
In quelle immagini si sono visti anche alcuni ragazzi che cercavano di prendere le difese della ragazza, mentre lei si metteva in macchina assieme a chi l’aveva schiaffeggiata poco prima.
E proprio quei ragazzi tra i 18 e i 20 anni «che non si sono girati dall’altra parte mentre avveniva l’aggressione», come sottolinea Borrelli, si sono detti disponibili a testimoniare nell’eventuale processo, dopo la denuncia per lesione aggravate a carico dell’uomo.
Secondo la ricostruzione dei carabinieri, i fatti sono avvenuti la sera tra l’8 e il 9 luglio in via Orazio, tra i quartieri di Posillipo e Chiaia. L’aggressore è stato identificato anche attraverso il numero di targa e si tratterebbe di un 36enne di Afragola che ha anche precedenti per droga. La sera dell’aggressione, anche i ragazzi presenti sul posto avevano avvertito i carabinieri: «La famiglia della vittima, resasi conto della situazione – ha spiegato Borrelli che ha incontrato i ragazzi testimoni della vicenda – è intervenuta con grande determinazione e le forze dell’ordine e la magistratura si sono mosse con grande celerità».
(da agenzie)

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CASO LA RUSSA, SIM E CELLULARE

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

COSA E’ POSSIBILE SCOPRIRE IN UN TELEFONO SE MANCA LA SCHEDA

Cosa è possibile scoprire in un telefono se manca la Sim? È quello che tutti si domandando dopo il sequestro – da parte della procura di Milano – del cellulare di Leonardo La Russa.
Nell’era degli smartphone, il ruolo delle Sim è ampiamente sopravvalutato. Quella piccola scheda a cui è associato il nostro numero di telefono, che negli anni si è fatta sempre più piccola, fino a diventare “Nano”, e che presto scomparirà in favore delle eSim, le schede virtuali, consente a un telefono di usare la rete cellulare per effettuare chiamate e inviare Sms. E dispone di una piccola memoria su cui salvare altri numeri di telefono.
In passato, quando i cellulari non erano ancora “smart”, e soprattutto non avevano una memoria in grado di accogliere decine di Gigabyte, si usava in effetti memorizzare i propri contatti sulla Sim, che faceva anche da “rubrica”. Quando cambiavamo telefono, bastava semplicemente passare la Sim dal vecchio al nuovo. I numeri, in fondo, erano tutto ciò di cui avevamo bisogno.
Oggi, invece, è più facile che la nostra rubrica telefonica si trovi sul dispositivo che usiamo. Perché è qui che i nuovi numeri vengono memorizzati di default, a meno che non si scelga di cambiare questa impostazione per privilegiare la Sim. Col passare degli anni, infatti, le persone hanno iniziato a trasferire da un telefono all’altro non solo i loro numeri, ma anche fotografie, video, indirizzi e-mail e cronologia delle chat di app di messaggistica istantanea come WhatsApp. La rubrica telefonica, insomma, è diventata semplicemente una parte dell’archivio digitale che ci accompagna da un dispositivo all’altro. Lo smartphone, insomma, sa tutto di noi, Sim o non Sim.
La Sim, inoltre, non è più così fondamentale per effettuare chiamate. Oggi è sufficiente il wi-fi. Ci si connette a una rete qualsiasi e si può telefonare anche attraverso WhatsApp. Oppure con Telegram, app di messaggistica sempre più diffusa.
Sia WhatsApp sia Telegram continuano a funzionare, sul proprio smartphone, anche quando la Sim non è presente nel telefono. Proprio in virtù della connessione wi-fi che garantisce la ricezione e l’invio di dati attraverso Internet. La Sim, nel caso di queste app di messaggistica istantanea, è cruciale infatti solo in fase di registrazione al servizio. In seguito non è più richiesta. Se venisse a mancare, sarebbe comunque possibile accedere alle proprie conversazioni, comprese quelle passate. E si potrebbe effettuare qualsiasi operazione: dalla ricerca di messaggi – usando una parola chiave – a quella di contenuti multimediali come foto e video.
Anche le app più popolari, come Instagram, Facebook, TikTok e Twitter resterebbero accessibili nel caso in cui una Sim venisse estratta dal telefono. In questo caso sarebbe sufficiente connettersi a una rete wi-fi. Proprio come si fa con un tablet sprovvisto di slot per la scheda telefonica.
Senza Sim inoltre, se si usa un telefono Android, si potrebbe comunque utilizzare Google Maps per rivedere tutti gli spostamenti che abbiamo fatto in passato. Questa particolare funzione, attiva quando si abilita la cronologia delle posizioni nelle impostazioni, permette di fare un salto indietro nel tempo e di ricordare quali luoghi abbiamo visitato in un determinato giorno. Ne abbiamo parlato ampiamente qui.
(da La Repubblica)

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MELONI & C. : USANO IL NOME DI BORSELLINO, MA SCELGONO BERLUSCONI

Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile

PAOLO INVITAVA I PARTITI A “FARE PULIZIA”… LA LEZIONE TENUTA DA BORSELLINO AGLI STUDENTI DELL’ISTITUTO “REMONDINI” IL 26 GENNAIO 1989

Vorrei cominciare [parlando] di cultura della legalità, una cosa che probabilmente a scuola si insegna molto poco. Che cosa intendo per cultura della legalità? Sapere e recepire appieno che cosa sono le leggi e perché le leggi debbono essere osservate. Verrebbe da pensare che le leggi vengono osservate soprattutto perché, se non si osservano, ci sono sanzioni penali o civili. Ma non è vero (…). Le leggi, la maggior parte della popolazione le osserva o dovrebbe osservarle, perché acconsente a esse, cioè ritiene che si tratti di comandi o divieti giusti. (…) Ma è chiaro che, tanto più queste leggi vengono osservate, quanto più si ritiene che le leggi siano giuste, quanto più il cittadino tende a identificarsi con le istituzioni (…). Ci sono dei bisogni del cittadino che sono il bisogno di giustizia, il bisogno di sicurezza, che il cittadino chiede naturalmente che gli vengano assicurati da un’istituzione sovrapersonale quale è lo Stato. Quando ritiene che non gli vengano assicurati, quando non si identifica, quando non ha la fiducia nelle pubbliche istituzioni, cerca naturalmente di trovare dei surrogati a queste esigenze (…). Se il mio vicino, il mio contraente, non mi paga, io devo essere in condizione di rivolgermi a un giudice che lo condanni a pagare e che mi assicuri la possibilità di riprendermi quello che gli ho dato (…).
Quando tutte queste cose non funzionano, cioè quando questo clima di reciproca fiducia non viene assicurato dallo Stato (…) allora, se esiste, se storicamente si è formata un’organizzazione criminale in grado di assicurare qualcosa del genere, un surrogato di questa fiducia che lo Stato deve poter assicurare fra tutti i cittadini, ecco che questa organizzazione trae forza, (…). E quando lo Stato non si presenta con la faccia pulita, tale da assicurare l’imparziale distribuzione delle risorse, allora ecco che lo Stato spesso diventa il veicolo in cui si inserisce l’organizzazione criminale rivolgendosi alla quale si ha quantomeno la speranza di riuscire ad accaparrare quella commessa, quell’appalto pubblico, quella possibilità di lucrare sulla distribuzione di risorse pubbliche. (…).
A un certo punto, la mafia scoprì che interessandosi [al traffico di stupefacenti] i suoi profitti potevano essere enormemente moltiplicati (…). E mentre prima era solo un’organizzazione parassitaria che si inseriva nella distribuzione delle risorse, cominciò addirittura a produrre queste risorse (…). E dovendo gestire questi enormi capitali, che cosa ha fatto? I capitali come si gestiscono? Si vanno a cercare dei mercati dove poterli poi impiegare, nelle attività che noi chiamiamo “paralecite”: cioè, le attività nascono dall’illecito e poi bisogna impiegare i capitali da qualche parte, e la mafia va a cercare naturalmente i mercati più ricchi. (…)
Non illudiamoci che le azioni giudiziarie, per quanto penetranti, possano fare piazza pulita della mafia. Si potrà accertare l’esistenza di quello o di quell’altro mafioso, raggiungere le prove, condannarlo, ma se non si incide a fondo sulle cause che generano la mafia è chiaro che la sua pericolosità… è chiaro che ce la ritroveremo davanti così come era prima.
Contiguità Quando mafia e stato vanno a braccetto
Sono emersi dalle nostre indagini tutta una serie di rapporti fra esponenti politici e organizzazioni mafiose che nella requisitoria del maxiprocesso vennero chiamati contiguità. Cioè delle situazioni di vicinanza o di comunanza di interessi che però non rendevano automaticamente il politico responsabile del delitto di associazione mafiosa. Perché non basta fare la stessa strada per essere una staffetta.
La stessa strada si può fare perché in quel momento, almeno dal punto di vista strettamente giuridico, si trova conveniente fare convergere la propria attenzione sullo stesso interesse. Questo non ci ha consentito, dal punto di vista giudiziario, di formulare imputazioni su politici, però stiamo attenti. Vi è un accertamento rigoroso di carattere giudiziario che si esterna nella sentenza, nel provvedimento del giudice, e poi, successivamente, nella condanna, che non risolve tutta la realtà, la complessa realtà sociale. Oltre ai giudizi del giudice esistono anche i giudizi politici, cioè le conseguenze che da certi fatti accertati trae o dovrebbe trarre il mondo politico. Esistono anche i giudizi disciplinari. Un burocrate, un alto burocrate dell’amministrazione che ad esempio abbia commesso dei favoritismi potrebbe non aver commesso automaticamente – perché manca qualche elemento del reato – il reato di interesse privato in atto d’ufficio, ma potrebbe essere sottoposto a procedimento disciplinare perché non ha agito nell’interesse della buona amministrazione.
Il grande equivoco Delegare la morale pubblica ai giudici
Ora, l’equivoco su cui spesso si gioca è questo; si dice: quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire be’ ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma erano o rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Disonestà La misura non è la fedina penale
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo “schermo” della sentenza, si è detto: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia e non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reato.
Paolo Borsellino

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