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VOLEVANO VENDERE A FABRIZIO CORONA DOCUMENTI SEGRETI SULLA CATTURA DI MESSINA DENARO

Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile

ARRESTATI UN CARABINIERE E UN CONSIGLIERE COMUNALE DI FRATELLI D’ITALIA

Un carabiniere e un politico di Mazara del Vallo hanno tentato di vendere documenti segreti sulle indagini che riguardavano la cattura di Matteo Messina Denaro. Si sono rivolti anche a Fabrizio Corona. Oggi sono stati arrestati e posti ai domiciliari. Il militare si chiama Luigi Pirollo ed è accusato di accesso abusivo a sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio. Il complice è Giorgio Randazzo, consigliere della Lega di Mazara del Vallo poi approdato in Fratelli d’Italia. L’accusa nei suoi confronti è quella di ricettazione.
L’indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Le forze dell’ordine hanno anche perquisito la casa di Corona. «Ho fatto il mio lavoro e mi sono comportato da cittadino onesto e corretto e nonostante tutto eccomi ancora qua in questa situazione», ha fatto sapere lui attraverso il suo avvocato Ivano Chiesa.
Il maresciallo e il fotografo dei vip
Pirollo è maresciallo. Secondo la ricostruzione dei pm il carabiniere, in servizio al N.O.R. della Compagnia di Mazara del Vallo, si è introdotto illegalmente nel sistema informativo dell’Arma. Poi ha estratto una copia di 786 file riservati relativi alle indagini sulla cattura del padrino, arrestato dal Ros il 16 gennaio scorso. Infine li ha consegnati a Randazzo. Quest’ultimo ha contattato Corona e ha cercato di vendergli i documenti top secret. Poi, su indicazione dello stesso fotografo si è rivolto a Moreno Pisto, direttore del quotidiano online MowMag, proponendogli di acquistare il materiale. I due, secondo la ricostruzione di Repubblica, dicevano di avere tra le mani un grande scoop. Ma erano solo teorie complottistiche sulla cattura. Secondo la ricostruzione delle indagini le intercettazioni disposte a carico di Fabrizio Corona hanno consentito la scoperta della trattativa.
Il precedente
Corona infatti venne in possesso di una serie di audio di chat tra il boss e alcune pazienti da lui conosciute in clinica durante la chemioterapia quando, ancora ricercato, usava l’identità del geometra Andrea Bonafede. Quei file finirono poi a Non è l’Arena. La circostanza spinse gli inquirenti a mettere sotto controllo il telefono di Corona. In una delle conversazioni intercettate, che risale al 2 maggio scorso, il fotografo fece riferimento a uno «scoop pazzesco» di cui era in possesso un consigliere comunale, poi identificato in Randazzo, grazie a non meglio specificati carabinieri che avevano perquisito i covi del capomafia e che volevano vendersi il materiale.
Il tentativo di vendita
Nei giorni successivi Corona ha continuato a manifestare l’intenzione di rivendere il materiale che il consigliere gli avrebbe procurato. Il 25 maggio Pisto, Randazzo e il fotografo si sono incontrati.
In quella occasione il giornalista di Mow, con uno stratagemma, è riuscito in segreto a fare copia dei file a lui mostrati e offerti dal politico. Dopo averli visionati si è reso conto della delicatezza del materiale si è rivolto a un collega che gli ha consigliato di parlare con la polizia. Pisto, allora, è andato alla Mobile di Palermo e ha raccontato tutta la vicenda.
La scoperta
Sulla base delle sue testimonianze gli investigatori hanno cominciato a indagare e hanno scoperto, attraverso indagini informatiche, che i documenti copiati dal giornalista ad insaputa del consigliere erano stati rubati e che l’autore del furto era Pirollo che aveva lasciato tracce del suo “ingresso” nel sistema e che era uno dei soli due ufficiali che avevano avuto accesso al server della Stazione di Campobello (l’altro carabiniere è risultato estraneo ai fatti).
Continuando a indagare gli inquirenti hanno inoltre scoperto che il carabiniere aveva rapporti di frequentazione con il consigliere. Il tentativo di piazzare i file è stato così sventato e sono state chiarite a quel punto le parole di Corona intercettate a maggio.
(da Open)

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800 EURO AL MESE PER SCARICARE 1.000 BAGAGLI AL GIORNO: LA VITA DI UN AEROPORTUALE ITALIANO

Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile

DIETRO LO SCIOPERO DEI LAVORATORI DI SABATO SCORSO, CONDIZIONI INACCETTABILI

Migliaia di lavoratori aeroportuali sabato scorso, 15 luglio, hanno incrociato le braccia per otto ore nell’ambito di uno sciopero proclamato da Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl per chiedere il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da più di 6 anni.
L’astensione dal lavoro ha visto un’ampissima partecipazione: secondo i sindacati ha aderito quasi il 100% dei lavoratori e delle lavoratrici a dimostrazione che le questioni poste sul tavolo non possono essere più ignorate. Se ciò avverrà – spiega a Fanpage.it Fabrizio Cuscito, Coordinatore del dipartimento Trasporto Aereo della FILT Cgil – nei prossimi mesi verrà proclamata una nuova mobilitazione: “Negli aeroporti lavorano persone che guadagnano meno di 800 euro al mese e che devono scaricare migliaia di bagagli al giorno per un salario da fame. Non possiamo più accettare questa situazione. Se le aziende non accoglieranno le nostre richieste sciopereremo di nuovo”.
Sabato scorso, 15 luglio, i lavoratori del settore del trasporto aereo hanno scioperato per otto ore. Centinaia di voli sono stati cancellati in tutta Italia e decine di migliaia di passeggeri hanno subito gravi disagi. Ci ricorda le ragioni di questa mobilitazione, proclamata in piena estate?
Il contratto di questi lavoratori è scaduto da oltre sei anni e gli attuali salari medi negli aeroporti sono eccessivamente bassi per le esigenze delle persone e per il tipo di lavoro che svolgono, senza considerare il carovita, l’inflazione e tutto ciò che ne consegue. Come se non bastasse dopo il Covid la mole di lavoro è sensibilmente aumentata, mentre il personale scarseggia. Insomma, a queste condizioni non è più possibile lavorare.
Lei parla di salari bassi. Quanto guadagnano i lavoratori aeroportuali?
Negli aeroporti ci sono lavoratori e lavoratrici che guadagnano meno di 800 euro al mese, soprattutto se precari, mentre quelli con maggior anzianità di servizio possono arrivare a percepire fino 1.200 euro. Le cifre sono queste. E i turni che si effettuano sono massacranti. Prendiamo gli addetti al carico e scarico bagagli: quando arriva un volo intercontinentale con 300 passeggeri due persone devono scaricare 300 bagagli che possono arrivare a pesare 20/30 chili. Naturalmente finita questa mansione non vanno mica a casa: gli aerei da scaricare possono essere 4/5 nell’arco di un turno di lavoro. Parliamo di oltre mille bagagli. Tutto questo a fronte di un salario di meno di 800 euro al mese. È oggettivamente inaccettabile.
Negli ultimi giorni le temperature stanno sfiorando, e talvolta superando, i 40 gradi…
Sul piazzale di un aeroporto ci sono i fumi del cherosene, il cemento caldo della pista e i 40 gradi all’ombra. Pensate scaricare centinaia di bagagli di un aereo in queste condizioni, soprattutto nei velivoli più vecchi che non dispongono dell’ausilio di sistemi automatici di carico e scarico. Parliamo, per fare un esempio, di tutti i voli Ryanair.
Alla luce di queste condizioni di lavoro qual è stata l’adesione allo sciopero di sabato scorso?
È stata pressoché del 100% in tutti gli scali italiani. Tutti quelli che hanno potuto scioperare l’hanno fatto: si è trattato di una mobilitazione molto sentita da lavoratori e lavoratrici, che ha unito anche il mondo sindacale e che ci ha fornito una grande forza contrattuale. Penso che anche le parole di Salvini ci abbiano aiutato… Faccio notare che mentre il Ministro dei Trasporti cercava di limitare il nostro diritto allo sciopero e minacciava provvedimenti a Londra Gatwick i lavoratori aeroportuali hanno proclamato otto giorni consecutivi di sciopero in piena estate. Insomma, ricordo che mentre in Italia abbiamo scioperato per otto ore in un Paese vicino come il Regno Unito si sciopera per otto giorni…
Dopo lo sciopero di sabato è stato riaperto un tavolo di trattativa con le aziende?
Domani avremo la prima riunione post sciopero con le aziende del settore handling (biglietteria, check-in, carico e scarico bagagli, ecc.): si tratta di 4/5 società pressoché sconosciute all’opinione pubblica che tuttavia si avvalgono della maggior parte dei lavoratori aeroportuali. Parliamo di grandi aziende come Swissport, Aviapartner, Aviation Services, GH Italia e Airport handling, alle quali chiediamo di impegnarsi per garantire ai dipendenti condizioni di lavoro migliori. Quelle attuali, come detto, sono semplicemente inaccettabili.
Se le vostre richieste non verranno accolte prevedete altre giornate di sciopero nei prossimi mesi?
Sì, certo, se non raggiungeremo un accordo soddisfacente saremo costretti a indire un altro sciopero dopo l’estate. Mi auguro, tuttavia, che le aziende abbiano capito le ragioni dei lavoratori e la loro forza. Chiediamo che gli stipendi mensili vengano aumentati mediamente di 270 euro, escluse ovviamente le sei stagioni di vacanza contrattuale perse, per le quali faremo una richiesta a parte.
(da Fanpage)

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TAGLI DEI CONFINI E DEL PERSONALE: LA CROCIATA SOVRANISTA CONTRO I PARCHI

Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL PROFESSOR PICCIONI, DOCENTE DI STORIA ECONOMICA ALL’UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA: “CETO GOVERNATIVO INDIFFERENTE SE NON OSTILE”

Riduzione dei finanziamenti, in molti casi già quasi totalmente assorbiti delle spese di personale, mancanza di un’organica politica statale, tentativi di ridimensionamento dei confini come quello della Regione Abruzzo (che nel 2021 ha provato a tagliare di un quinto la superficie Parco del Velino-Sirente): le aree protette italiane – che coprono attualmente il 12% del territorio, tra parchi nazionali (24), parchi regionali (134), aree protette marine, riserve naturali statali, oasi naturali delle associazioni ambientaliste -vivono una fase molto difficile. Ai problemi finanziari e gestionali si aggiungono inoltre i crescenti attacchi all’integrità ambientale dei loro territori, attacchi “non contestati o persino favoriti dagli amministratori, come costruzione di strade e parcheggi, tagli boschivi, eventi spettacolari con impatto ambientale, cave, autorizzazione di nuovi impianti scioviari, mancata repressione di abusi edilizi”.
Lo racconta in un bel libro che ripercorre la storia dei parchi – Parchi nazionali. Storia delle aree protette in Italia (Il Mulino) – Luigi Piccioni, docente di Storia economica nell’Università della Calabria, che denuncia anche il “progressivo spostamento di attenzione e di risorse dai compiti di conservazione, ricerca, educazione a pratiche piuttosto convenzionali di branding del territorio e delle attività esistenti, anche quando prive di qualificazioni ambientali”.
La crisi degli anni Cinquanta e la progressiva rinascita
La storia dei parchi nazionali è avvincente e al tempo stesso turbolenta. Le prime aree protette nascono negli anni Venti e Trenta sulla base di una forte spinta dal basso e dotandosi di enti di gestione democratici, che prevedono la presenza delle rappresentanze locali, dei ministeri, del mondo scientifico e delle associazioni protezionistiche e turistiche. Il fascismo però abolisce nel 1933 gli enti di gestione e passa i due parchi nazionali “storici” alla Milizia nazionale forestale, attuando una gestione di profilo molto basso, in molti casi con effetti negativi di lunga durata.
Con la rinascita della democrazia i parchi nazionali restano in un limbo e per oltre un ventennio “ci si limita alla faticosa conservazione dell’esistente”. L’unica eccezione è costituita dall’operato di Renzo Videsott, artefice del ritorno del Parco del Gran Paradiso all’autonomia e poi suo direttore per molti anni, che tenta oltretutto di fare della protezione della natura una grande questione nazionale, anticipando la nascita – tra gli anni Cinquanta e Sessanta – di nuove associazioni ambientaliste come Italia Nostra e il Wwf. L’affermazione di queste associazioni coincide oltretutto con la crescita popolarità dell’ecologia e con essa della domanda natura integra e di aree protette, che in Italia come in tutto il mondo dalla fine degli anni Sessanta finiscono col vivere un vero e proprio boom.
La legge fondamentale del 1991
Questi processi vanno di pari passo con l’iter parlamentare della legge quadro che dura trent’anni e culmina nella famosa legge quadro del 1991, che porta a sintesi tutte le proposte e le discussioni dei decenni precedenti. La legge stabilisce che l’istituzione e la gestione dei parchi nazionali spetta allo Stato mentre alle Regioni è demandata la creazione e la gestione di propri parchi che vengono considerati allo stesso livello dei primi, conciliando le richieste delle associazioni e quelle delle regioni. Alle associazioni ambientaliste e ai rappresentanti del mondo scientifico viene garantita un’adeguata presenza nei consigli direttivi dei parchi nazionali, mentre la Comunità del parco è prevista come organo dell’Ente con un’ampia rappresentanza delle comunità locali. A dispetto dei tempi lunghi, l’“impatto di questi provvedimenti sul mondo delle aree protette italiane è formidabile”, scrive Piccioni.
Parchi come monadi: manca un coordinamento nazionale
Ma allora perché quella spinta propulsiva si è fermata? Secondo l’autore, tra le cause ci sono l’affermazione di un ceto governativo indifferente se non ostile alla protezione della natura, la riduzione della rappresentanza della politica ambientalista in parlamento e l’incapacità dei Verdi italiani di rappresentare la propria presenza nella società. Così, ad oggi, spiega l’autore, “quello che era il sistema previsto dalla legge quadro è stato infatti avviato ma poi nel giro di pochi anni depotenziato”. L’Italia non dispone più neanche di un organismo di promozione, sostegno e coordinamento dei soli parchi nazionali. In effetti, “non c’è nessuna politica organica dei parchi nazionali, i parchi sono monadi, ognuno va avanti per conto suo”.
Dal 2010 in poi, oltretutto, una serie di proposte di legge – fortunatamente abortite – hanno tentato di rafforzare il controllo dei partiti sui parchi, di ridurre la componente scientifica nei consigli degli Enti parco introducendo quella dei portatori di vari interessi economici, di consentire attività ecologicamente insostenibili, circostanza che ha provocato, tra l’altro, una profonda spaccatura all’interno del mondo ambientalista.
Aree protette percepite come preziose. Ma meno di un tempo
Fortunatamente l’intelaiatura normativa della legge quadro del 1991 continua a funzionare da scudo contro i molti tentativi di attacco all’integrità, all’autonomia e all’identità dei parchi italiani.
I parchi, dunque, non possono essere aboliti o ridotti? “Arrivare a una loro abolizione o a un loro completo snaturamento è molto difficile, qui come altrove”, spiega l’autore, “basti ricordare lo scandalo del Parco nazionale d’Abruzzo degli anni Sessanta, quando l’attacco speculativo all’area fu fermato da inchieste di tutte le testate giornalistiche e divenne anche un catalizzatore della coscienza ambientale”. Possono però riuscire delle operazioni di defunzionalizzazione, come è avvenuto nel caso dello Stelvio, un parco nazionale creato nel 1934, molto esteso e profondamente osteggiato sin dall’inizio dalla minoranza di lingua tedesca. Oggi esso è frammentato in tre amministrazioni provinciali diverse. O possono essere adottate scelte paradossali come nel caso del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, dove è l’Ente parco che promuove oggi il taglio di tremila esemplari del raro Pino nero di Villetta Barrea grazie ai finanziamenti del Pnrr, mentre associazioni locali e nazionali si oppongono tenacemente.
In ogni caso a “dispetto di promesse non mantenute, di compiti non assolti, di attacchi politici, di malfunzionamenti, di sabotaggi e tentativi di stravolgimento della legislazione, lo scombinato mondo delle aree protette costituisce oggi a livello nazionale un elemento imprescindibile della protezione della natura”. E, ancora per fortuna, nell’immaginario collettivo italiano i parchi rimangono serbatoi di riconciliazione con la natura, fonti di serenità e di salute, luoghi di godimento di paesaggi integri e maestosi. “La formidabile spinta dal basso degli anni Sessanta-Ottanta però si è esaurita” conclude Piccioni, “e nell’opinione pubblica col tempo è diminuita anche la consapevolezza dell’importanza delle aree protette come luoghi di partecipazione democratica e di costruzione di un futuro collettivo più sostenibile. Questi arretramenti implicano un rischio grave per le aree protette perché in questo modo si allentano le pressioni positive sul mondo della politica. Che finisce così coll’assecondare sempre di più interessi che vanno in direzione opposta”.
(da Il fatto Quotidiano)

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