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RITRATTO DI YULIA NAVALNAYA, LA VEDOVA DI ALEXEY NAVALNY FINITA NEL MIRINO DI PUTIN: PER SFUGGIRE AGLI EMISSARI DELLO ZAR, CHE NON SI FANNO PROBLEMI A FARE FUORI I NEMICI IN TUTTA EUROPA, SARÀ COSTRETTA A VIVERE SOTTO SCORTA E SPOSTARSI SPESSO

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

LA FIGLIA STUDIA A STANFORD, IL FIGLIO È IN COLLEGIO IN GERMANIA… IL CREMLINO DA ANNI CERCA DI SCREDITARLA SPARGENDO FAKE NEWS SU SUOI PRESUNTI AMANTI O SUI RAPPORTI CON LA CIA

Nessuno è più sicuro, in Russia come all’estero, nella fase finale assassina e ultra stalinista del putinismo. Figurarsi la «regina della dissidenza russa», come molti chiamano adesso Yulia Navalnaya, la coraggiosa moglie di Alexey, una donna che il Cremlino non può piegare, né controllare. Ecco come vivere quando si è un target del regime. Da anni, e peggio che mai adesso.
Come Stalin faceva ammazzare anche all’estero i suoi nemici (Lev Trozky a Città del Messico fu solo il più famoso, tra l’altro colpito a picconate un 20 agosto, stesso giorno in cui tanti anni dopo, nel 2020, venne avvelenato per la prima volta Alexey Navalny), così sotto la dittatura di Putin sono stati colpiti all’estero, variamente avvelenati o presi a pistolettate, nemici di Putin da Alexander Livtinenko (a Londra, polonio) a Sergey Skripal (a Salisbury, Regno Unito, novichok), fino all’ultimo «traditore», Maxim Kuzminov, il giovane pilota russo che dirottò e consegnò all’Ucraina un elicottero militare russo Mi-8 (trovato morto due giorni fa a Villajoyosa, Alicante, colpi di pistola).
Sotto Putin, si muore non solo nelle prigioni russe al Circolo polare artico, si muore anche assassinati in piena Europa (con i Paesi europei distratti dinanzi al dilagare degli agenti russi). Ora però succederà come non mai.
Per questo, la routine di Yulia Navalnaya non sarà mai più – ma non lo è da anni – quella di una donna al sicuro. E lei lo sa benissimo, «se avessi avuto paura non sarei la moglie di Alexey». Ora però è evidente che le cose sono cambiate.
Un Putin senza freni, senza più nessuna parvenza di volontà dialogante con il mondo “libero”, può ordinare di ammazzare in primis i due grandi dissidenti rimasti in carcere, come spiega Christo Grozev a Meduza: «Le mie fonti mi hanno già avvertito che potrebbe esserci un’ondata di repressioni e omicidi, che Putin ha “piani speciali” per i leader dell’opposizione russa. Se questo è vero, gli imprigionati ILYA Yashin e VLADIMIR Kara-Murza saranno particolarmente vulnerabili».
Certamente rischia tantissimo anche lei, Yulia, bersaglio mobile in un raggio di fuoco che ormai comprende tutta l’Europa. Nulla trattiene ormai Putin. Come Stalin – e a differenza invece della fase brezneviana in cui l’Unione sovietica comunque si ritraeva dall’assassinare i grandi dissidenti (da Solzhenitsyn a Sakharov e Sharansky).
Cosa fa Yulia Navalnaya per andare avanti, e proteggersi?
La sua scelta ostinata è stata quest’anno quella di esserci il più possibile in Russia, dov’era rinchiuso Alexey. Primo accorgimento: quando il Cremlino ha fatto etichettare l’Fbk, la Fondazione di Navalny, come «organizzazione estremista», e gli associati di Navalny sono stati costretti a sciogliere i loro uffici sul campo – il quartier generale è da tempo tra Vilnius e la Germania – Navalnaya ha mantenuto un formale non coinvolgimento nel Fbk, e meticolosamente tiene separato il suo ruolo dal lavoro della Fondazione.
A differenza del marito, però, Navalnaya si trova al momento fuori dalla Russia, come ha spiegato Tatiana Stanovaya, senior fellow al Carnegie Russia Eurasia Center. «Per il regime russo, questa è una pessima notizia». Non diremo ovviamente dove. Yulia si sposta molto. Con estrema riservatezza.
Ha due figli in Paesi che, si spera, possano proteggerli sia a livello di intelligence che di forze di polizia, perché i luoghi sono noti, Dasha è tornata a studiare a Stanford, Zakhar è rimasto in collegio in Germania. «Yulia ha dimostrato grande coraggio perché è chiaro che sarà il prossimo bersaglio del Cremlino», ha dichiarato Lyubov Sobol (che vive in esilio, in Germania).
La moglie di Navalny continua la sua sfida di libertà (ieri ha detto «non mi interessa come commenta le mie parole l’addetto stampa dell’assassino. Restituite il corpo di Alexey e lasciatelo sepolto con dignità, non impedite alla gente di salutarlo»).
Putin però continua – anzi espande – la sua sfida, questo è il problema, per una donna comunque sola: perché è una fantasia che servizi occidentali la proteggano. Come sa chiunque conosca qualcuno del team Navalny e li abbia visti girare soli e indifesi, in qualche capitale europea.
Il Cremlino ha a lungo cercato di distruggerla calunniandola, dandole della protetta dalla Cia, inventando storie sentimentali extramatrimoniali con oligarchi “filo occidentali”, costruendo un inesistente padre agente del Kgb, o spargendo in giro che Yulia ha la cittadinanza tedesca. Altra balla.
Lei però non è donna che puoi piegare con la disinformazia. E la partita sarà guardarsi dagli sgherri di Mosca. Quelli che lui encomia solennemente. Tre giorni dopo l’assassinio di Alexey Navalny nella colonia penale “Polar wolf”, Putin ha conferito il grado di colonnello generale al primo vicedirettore del servizio penitenziario federale Valery Boyarinev.
(da “La Stampa”)

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IL LEADER DEI VERDI: “IO HO DENUNCIATO MI NEGANO LE CARTE DI UN PIANO FOLLE”

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

INTERVISTA A PAOLO BONELLI: “PER ANDARE DA SIRACUSA A TRAPANI LE FERROVIE IMPIEGANO 11 ORE E MEZZA E TRE CAMBI PER FARE 300 KM. BASTA SPUTTANARE SOLDI NEL PONTE SULLO STRETTO, OPERA INUTILE, PERICOLOSA E COSTOSA”

«Nel 2016 Matteo Salvini sul Ponte sullo Stretto la pensava come Angelo Bonelli: cosa è cambiato in questi anni?», dice lui stesso, Angelo Bonelli, leader dei Verdi e autore dell’esposto firmato anche da Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, e Elly Schlein, segretaria del Partito democratico. Spiega: «Ho dovuto farlo questo esposto: per tre volte ho chiesto all’amministratore delegato Ciucci l’accesso ai documenti relativi al Ponte e per tre volte mi sono sentito dire che erano riservati. Ma non posso ricevere questa risposta, sono un parlamentare».
Matteo Salvini, leader della Lega, che è il ministro delle Infrastrutture oltre che vicepremier, dice che la sinistra non vuole il Ponte, perché è contro il progresso. Bonelli scuote la testa: «È lui che va contro il progresso. Sta letteralmente buttando a mare dodici miliardi, perché non è quel Ponte che gli italiani vogliono ma scuole che non cadano a pezzi, una sanità che funzioni, un trasporto pubblico efficiente. Ma anche interventi sul dissesto idrogeologico, strutture per l’acqua potabile».
Il leader dei Verdi porta esempi concreti, uno per tutti: «Ma lo sa Salvini come funzionano le ferrovie in Sicilia? Lo sa che per andare in treno da Siracusa a Trapani ci vogliono undici ore e mezza e tre cambi? Sono trecento chilometri che collegano due tra i siti archeologici più belli del mondo. Nemmeno con la littorina ci voleva tanto tempo».
Secondo il leader dei Verdi questo progetto del Ponte sullo Stretto non è soltanto inutile, dannoso e costoso, ma soprattutto pericoloso. Dice: «È un Ponte a campata unica che non è mai stato realizzato in nessuna parte del mondo: 3 mila e 300 metri con sopra la ferrovia. Una follia. Bisogna calcolare che il Ponte che nel mondo ad oggi ha la campata più grande del mondo è Akashi. una campata di 1900 metri. Ma sopra non hanno voluto mettere la ferrovia».
(da agenzie)

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LA FIRMA IN 24 ORE, I DOCUMENTI MANCANTI, GLI INCONTRI CON SALVINI

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

COSA C’E’ DIETRO L’INCHIESTA SUL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA…. L’ITER CHE HA RIMESSO IN PIEDI LA SOCIETA’ E I PRESUNTI CONFLITTI DI INTERESSE

L’indagine sul Ponte sullo Stretto di Messina mette sotto la lente l’iter autorizzativo dell’opera voluta dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini.
L’esposto presentato dall’opposizione chiede di indagare sull’iter che ha rimesso in piedi la società ex Iri Stretto di Messina. E a far rivivere i contratti della gara del 2008. Quella vinta dal consorzio Eurolink. Perché lo Stato ha deciso la caducazione del contenzioso con i privati. Mentre l’aggiornamento del progetto è stato consegnato 24 ore dopo la stipula dell’atto formale.
E si concentra anche sugli incontri di Salvini prima dell’ok. In particolare quelli con l’ex ministro di Berlusconi Pietro Lunardi. E quelli con Pietro Salini, a capo della cordata Eurolink. Mentre, fa sapere Angelo Bonelli dei Verdi, le sue richieste di vedere i documenti dell’opera sono sempre finite frustrate.
Ad indagare nel fascicolo aperto per ora contro ignoti e senza ipotesi di reato sarà la pubblica ministera Alessia Natale, che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione.
Il Corriere della Sera spiega che secondo l’esposto «l’opera è una pura rivisitazione del tramontato progetto dei primi anni duemila, portato avanti dal medesimo Pietro Lunardi, già ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi, in una serie di incontri assieme allo stesso Salvini e all’imprenditore Pietro Salini (l’amministratore delegato di Webuild, incaricata della realizzazione dell’opera)». E ci sono due circostanze da approfondire: Giuseppe Busia dell’Autority anticorruzione ha detto che «è stato assegnato al privato un notevole potere contrattuale che va bilanciato modificando il decreto in sede di conversione di legge».
Cosa c’è che non va
E poi c’è il nome di Omar Mandosi. È il responsabile delle risorse umane della società Stretto di Messina. Ma il suo nome compare nelle carte dell’inchiesta Anas, anche se non da indagato, come trait d’union tra Denis Verdini e il nuovo governo.
Piazzale Clodio ha affidato le indagini al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria
(da agenzie)

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AI SARDI UNA VALANGA DI BUGIE

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

L’ULTIMO SHOW DELLA MELONI IN SARDEGNA E’ STATO ALL’ALTEZZA DELLA SUA FAMA DI CANTASTORIE

Per gli appassionati del genere, ieri è andato in onda uno dei migliori film fantasy di sempre. Tutto merito di una star che l’intero globo terracqueo ci invidia, anche perché poche attrici raccontano le barzellette restando serie come fa Giorgia Meloni.
E l’ultimo show in Sardegna, a chiusura della campagna elettorale, è stato all’altezza della sua fama di cantastorie.
Lasciamo perdere, dunque, le frottole sulla granitica unità delle destre, visto che sono sotto gli occhi di tutti gli scazzi continui con Salvini e Forza Italia.
Ma sentirle dire di aver fatto scendere lo spread al livello record di 150 punti, quando Conte lo prese a 228 e lo lasciò a 89,8 supera il limite della decenza, al pari dei successi rivendicati sui migranti proprio nell’anno del boom negli sbarchi.
Per i sardi che invece volevano sentire cosa farà per loro, il capo del governo non ha detto niente, se non che vuole portare un telescopio europeo in mezzo ai monti.
Zero idee su come ripristinare la continuità territoriale, che oggi rende onerosissimo spostarsi dall’Isola, solo un rinvio generico ai soldi impegnati sulla sanità nazionale mentre la regione è scesa agli ultimi posti per le prestazioni e ai primi per l’eternità delle liste d’attesa negli ospedali.
E neppure una sillaba per spiegare come mai è stato messo alla porta il governatore uscente di destra, Solinas, che ha lasciato le macerie. Le stesse che il governo nazionale sta accumulando nel Paese, nascondendole sotto cumuli di balle. Bugie che i sardi domenica prossima potranno smettere di doversi bere.
(da La Notizia)

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“NON MI VOLEVI VICINO SUL PALCO, EH?”: A CAGLIARI, PER IL COMIZIO CON IL CANDIDATO GOVERNATORE TRUZZU, LITE TRA SALVINI E MELONI

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

I DUE SONO DIVISI SU TUTTO: LA DUCETTA E’ INCAZZATA PER LE AMBIGUITA’ DEL LEGHISTA SUL CASO NAVALNY… LE SPACCATURE SUL TERZO MANDATO

L’ultimo a salire sul palco è Matteo Salvini. Suona Mameli, sventolano bandiere. Il leghista si ritrova ai margini della foto di famiglia. Guarda la premier, che gli fa cenno: «Vieni». Lui va. E le sussurra: «Non mi volevi vicino, eh?». Lei sorride mentre canta — «l’Italia s’è destaaa » — e gli tira un colpetto di gomito all’altezza del costato. Sorrisi e falli di reazione, veleni e ipocrisie. I due si giurano «un governo di cinque anni», tutto facile perché «in Giorgia ho trovato un’amica». E intanto litigano. Costruiscono trappole dietro le quinte. E non si fidano.
Non perché lo scrivono «i giornaloni », ma perché — non è un mistero — preparano la resa dei conti dopo le Europee. E rischiano di frantumarsi già oggi sul terzo mandato.
Sul volo Az delle 14.15 che decolla da Fiumicino i due leader si ignorano. Meloni siede davanti, l’alleato è dieci file più indietro. Neanche sulla scaletta si ritrovano. Si parlano dietro al palco del comizio di Cagliari, cinque minuti e una foto. Non sufficienti a ritrovarsi sul terzo mandato: se la Lega non ritirerà l’emendamento — si vota oggi, aleggia un rinvio — FdI dirà no e farà scattare la conta.
La verità? Alessandra Todde, candidata dei giallorossi in Sardegna, ha già compiuto un miracolo: costringere la destra a cessare le ostilità per un giorno, mentre in Parlamento pianificano assalti. Evocare la pace, per paura di perdere un’Isola già vinta.
I sondaggi non si possono citare, ma insomma: i meloniani giurano di essere avanti, temendo però la rimonta. Soprattutto se Renato Soru dovesse fare flop, riducendo l’emorragia a sinistra.Ecco perché Meloni si trasforma.
Davanti ai militanti sceglie un tono teatrale: voce in falsetto, battute, un breve balletto, smorfie studiate, attacchi mirati. Performance di oggettivo livello scenico, toni durissimi. Contro il centrosinistra: «Il campo largo? Ma che è, un campo da calcio? I sardi non meritano di essere cavie di un esperimento che mette insieme gente che a Roma manco si guarda».
Ma non basta. C’è un fossato grande come la Russia a dividerli. Ci sono le tesi di Salvini su Navalny a imbarazzare Meloni. Da quando il dissidente è stato ucciso, Palazzo Chigi si è limitato a quattro righe di comunicato. Neanche ieri la premier condanna l’alleato, però. Poco prima del comizio, si concede un riposino in un hotel di Cagliari. Alcuni giornalisti l’attendono per chiederle di Navalny. Lo staff la fa uscire dal retro.
Nel faccia a faccia con Salvini però Meloni avrebbe chiesto all’alleato di «evitare ambiguità», anche in vista del G7 che presiederà sabato.
In Sardegna il massimo che la leader concede alla realtà conflittuale della destra è un brevissimo passaggio, «a volte discutiamo o ci sono specificità». Per il resto, il comizio diventa una piccola gara a chi spara il mortaretto più rumoroso. Utile magari a respingere l’appello alla resistenza antifascista di Todde. Tajani che fa finta di cercare cosa si ritrova in testa e dice: «Non vedo fez, né camicia nera, manganello e olio di ricino ». Salvini che rilancia: «Dirsi fascisti nel 2024 è fuori dal tempo». Meloni che spinge sul premierato: «Se passa, posso smettere di fare questo lavoro. Scherzo! Governeremo cinque, dieci anni…». Salvini che parla della droga: «È una merda. E chi si droga è coglione!».
Per poi aggiungere, forse la vetta di giornata: per fortuna le tv locali parlano della Sardegna, perché quelle nazionali non fanno «servizio pubblico» e l’hanno «cancellata». Sì, la Rai, in mano alla destra. Chiude Meloni, attaccando la sinistra: «Lo spread sale, dicevano, così mettiamo un altro governo tecnico, un inciucione… si sono svegliati sudati!». Domenica si vota, poi si torna a litigare.
(da La Repubblica)

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FINTA UNITA’ E PANICO, MELONI E’ AGITATA: “TRUZZU, VINCI?

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

NEL RETROPALCO A CAGLIARI LA LITE CON SALVINI, RISSA SU REGIONI E RUSSIA… E C’E’ L’INCUBO DEI VOTI DISGIUNTI DI SOLINAS

A Cagliari Giorgia Meloni doveva risolvere due grane: quella di Matteo Salvini che fa le bizze sul terzo mandato per i presidenti di Regione e quella di Paolo Truzzu, suo candidato in Sardegna che non è più così sicuro di vincere alle elezioni di domenica.
Alle 19.50, quando si imbarca per tornare a Roma, la premier non ha risolto né l’una né l’altra: con il leghista il chiarimento tanto atteso non c’è e le divisioni restano nonostante un teso faccia a faccia nel retropalco; sulle elezioni alla premier resta ancora il brivido finale di un risultato inaspettato con scossoni sul governo.
Il comizio alla Fiera di Cagliari quindi si gioca su due livelli: il palco e il retropalco. Finzione e facciata. Davanti a 3.500 persone, tra cui molte truppe cammellate con pullman organizzati da ogni provincia della Sardegna, Meloni, Salvini e Antonio Tajani si mostrano uniti. “I giornaloni non ci faranno litigare, io e Giorgia siamo amici”, dice il leghista. “Non stiamo insieme per costrizione: ognuno con le sue specificità anche se ogni tanto discutiamo. Staremo insieme 5 anni”, aggiunge la leader di FdI.
Ma, dopo essersi a malapena salutati sull’aereo per Cagliari, è dietro il palco che i due si parlano: cinque minuti di faccia a faccia in cui affrontano anche il tema del terzo mandato per i governatori. Non si chiariscono. Ognuno resta della propria opinione. Oggi, forse, si vota l’emendamento leghista in commissione con spaccatura certa della maggioranza. Si proverà a rinviare. Lei ha chiesto a Salvini di non essere ambiguo su Navalny alla vigilia del G7.
Il comizio invece si gioca tutto sul vittimismo e l’attacco all’avversaria Todde. Tutti e tre sfidano il centrosinistra sull’antifascismo professato dalla candidata del M5S. “Dirsi antifascista nel 2024 non è possibile”, spiega il vicepremier del Carroccio. Tajani elogia la Brigata Sassari e aggiunge una smorfia: “Non mi vedo in camicia nera, fez e manganello”. Anche Meloni non si lascia perdere la battuta citando l’intervista di Todde al Fatto: “Vuole vincere solo per l’antifascismo? Un programma concreto e innovativo…”, ironizza.
Tutti e tre più volte attaccano il centrosinistra e la sua candidata. Salvini prova ad appropriarsi pure di Enrico Berlinguer: “Il suo Pci era una cosa seria, mica la sinistra di oggi”. Meloni aggiunge in romanesco: “Il campo largo? Ma che è? Un campo di calcio? A Roma non si salutano e in Sardegna nemmeno. I sardi non se lo meritano”. E giù applausi.
Il timore del ribaltone però c’è. Gli ultimi sondaggi in mano a FdI danno Truzzu avanti di 4-5 punti su Todde. Non abbastanza. Il timore è il voto disgiunto del Partito Sardo d’Azione: sostenere la lista e votare per Renato Soru, la scheggia impazzita.
“Se l’ex presidente della Regione scende sotto il 10% rischia di toglierci voti”, spiega il meloniano Deidda
Anche perché Truzzu non è proprio un trascinatore di folle. È il primo a parlare ma non scalda i leghisti presenti. Pochi applausi e la richiesta di “cercare i voti casa per casa”. Tant’è che arriva addirittura a fare un sondaggio su quanti domenica andranno a votare centrodestra e Truzzu: tutti alzano la mano. Dietro al palco però Meloni gli chiede: “Ma vinci?”. Stessa richiesta di Giovanni Donzelli. Lui prova a ostentare tranquillità. Anche a Cagliari cinque anni fa c’era più di un dubbio, poi è andata bene. La premier spera che andrà così anche stavolta. “I sondaggi ci danno in testa, il peggiore che ho visto mi dà tre punti avanti”, spiega Truzzu alla fine dell’evento. Il comizio fila via con qualche momento straniante. Salvini ricorda il processo Open Arms e allarga le braccia: “Se volete arrestarmi, sono qui”. Aggiunge che “la droga è una merda”. Meloni gioca sul solito vittimismo in romanesco: “Ogni giorno ci dicono: ‘il governo sta per cadere, sta per cadere. Poi se svejano”. Scherza sulle riforme: “Se le approvo, poi me ne vado…”. Parte l’inno di Mameli. Salvini e Meloni se ne vanno, senza salutarsi.
(da ilfattoquotidiano.it)

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CINTURE DI INSICUREZZA

Febbraio 22nd, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO LA FRENESIA DIVENTA SCIATTERIA

Lo spot del ministero dei Trasporti sui rischi che si corrono guardando il telefono mentre si guida è sacrosanto e condividiamo l’entusiasmo con cui il ministro in persona lo ha celebrato sui social.
Cioè, lo condivideremmo se non fosse che nessuna delle quattro ragazze protagoniste del video indossa la cintura di sicurezza.
Qualcuno si chiederà come sia possibile che un così macroscopico sfondone sia passato inosservato a chi ha scritto lo spot, ma anche a chi lo ha prodotto, girato, interpretato, montato e infine a chi, dentro il ministero, lo avrà guardato per l’approvazione definitiva.
La risposta è semplice, purtroppo: viviamo nel culto, o sotto il tallone, della velocità, e la Fretta ha una sorella gemella che si chiama Sciatteria. Coloro che hanno lavorato a quella pubblicità lo avranno fatto di corsa per rispettare tempi di consegna frenetici, dettati dall’esigenza di risparmiare su tutto, dall’affitto del set a quello della saletta di montaggio.
Lo so, predico dal pulpito sbagliato. Nei giornali vige la regola del «meglio mai che tardi», ma la stampa quotidiana nasce trafelata fin dall’Ottocento, essendo la rapidità la sua ragione sociale.
È il resto del mondo che si è adeguato al modello senza averne alcun reale bisogno. A proposito di sicurezza: oltre che sulle strade, il limite di velocità andrebbe abbassato anche nelle altre attività umane.
Andare più piano non rende meno sballottabili dagli errori, ma dà almeno il tempo di allacciare le cinture.
(da corriere.it)

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