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A COSA SERVE L’EUROPA? ECCO I MOTIVI PER VOTARE

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

“NON C’E’ FUTURO PER I POPOLI EUROPEI SE NON NELL’UNIONE”

«Non c’è futuro per i popoli europei se non nell’Unione». Sono parole di Jean Monnet, universalmente considerato il padre della Comunità Economica Europea. Era il 1950. Da allora si è costruito molto, e oggi l’Europa è messa di fronte a nuovi rischi: come si intende affrontarli? L’esito delle elezioni dell’8 e 9 giugno orienterà il futuro dell’Europa, che non potrà mai essere più forte e democratica se metà della popolazione non va a votare.
Se guardiamo all’Italia vediamo che nel 2022 l’astensione alle Politiche arriva al 36,1%. I cittadini dunque votano sempre meno, e ancora di meno alle Europee: nel 2019 non va alle urne il 45,5% della popolazione contro il 29% del 2004.
Chi vota per la prima volta
In tutta la Ue, su 359 milioni chiamati complessivamente alle urne, ci sono 23 milioni di giovani che voteranno per la prima volta. La tendenza, soprattutto nei Paesi fondatori, è che l’astensione sotto i 35 anni diminuisce. In Italia i 18-34 enni sono 10 milioni, di cui quasi 2,8 nuovi giovani elettori.
Cosa possiamo aspettarci da loro? Insieme a Davide Angelucci (Unitelma, La Sapienza) abbiamo elaborato i sondaggi elettorali dell’Italian National Election Studies (Itanes) e del gruppo di ricerca dell’European Election Studies (Ees) che fa capo a istituzioni accademiche di tutta Europa.
I dati mostrano che gli over 35 sono decisamente più interessati alla politica interna, mentre dai 35 in giù le elezioni Europee vengono considerate importanti al pari delle Politiche. Si può quindi affermare con ragionevole certezza che i più giovani non considerano il voto per il Parlamento europeo solo un referendum che esprime il gradimento sul governo di turno; cosa che invece purtroppo emerge dalla campagna elettorale, dove lo scontro politico ruota più sulle questioni interne che sul potenziale della Ue.
Il peso dell’Europarlamento
Guardiamo le ultime tornate elettorali: nella fascia 35-54 anni alle Politiche del 2018 si astiene il 31%, e il 44% alle Europee 2019. Anche per gli over 55 l’astensione alle Europee aumenta: si passa dal 25-28% al 36%. Fra i 18-34 enni alle Politiche 2018, Europee 2019, e Politiche 2022 l’astensione è del 38-40%, cioè praticamente la stessa, indipendentemente dal fatto che si tratti di votare per eleggere il governo italiano o chi ci rappresenta a Strasburgo.
Andiamo ora a stringere il campo sugli Gen Z, cioè i nati dal ’97 al 2012. È la generazione che si mobilita contro il riscaldamento climatico con i «Fridays for Future», la difesa dei diritti umani e Lgbtq+, condanna il body shaming e il bullismo. Sono soprattutto questi giovani che adesso devono assumersi la responsabilità di scegliere da chi vogliono essere rappresentati per l’Europa di domani, altrimenti qualcun altro lo farà per loro. Hanno debuttato in massa alle Politiche 2022 dove i nuovi elettori sono stati 4,7 milioni: ebbene in quell’occasione l’astensione della loro generazione è scesa al 35%. Un segnale che fa ben sperare. Ma cosa ha fatto la Ue per i giovani?
Dall’Erasmus ai tirocini retribuiti
Dal 1987 l’Erasmus cioè il «Programma di azione della comunità europea per la mobilità degli studenti universitari», suggerito dagli insegnanti italiani Domenico Lenarduzzi e Sofia Corradi, ha permesso a 15 milioni di ragazzi di frequentare gratis un’università straniera. E dal 2014 il programma è esteso anche agli studenti delle scuole superiori. Tra il 2021 e il 2027 sono stati messi a disposizione 26 miliardi in borse di studio per 10 milioni di studenti .
Una costola dell’Erasmus è DiscoverEU, più conosciuto come il vecchio Interrail, che per il 2024 ha un fondo di 41 milioni. Il programma offre ai 18enni il biglietto del treno valido un mese per visitare i Paesi della Ue (qui).
Dal 2018 ne hanno usufruito quasi 250 mila giovani. I candidati devono rispondere a un quiz riguardanti la Ue in generale, e altre iniziative dell’Unione europea rivolte ai giovani. Il portale Erasmusintern.org mette a disposizione apprendistati o tirocini retribuiti, in tutti i Paesi membri e in altri come la Norvegia. E proprio sui tirocini, che oggi in Italia hanno come cifra garantita per legge solo 300 euro mensili, il Parlamento europeo si sta impegnando per varare una normativa che garantisca una remunerazione in grado di coprire le necessità incomprimibili (cibo, vestiario, alloggio, trasporto) e in base al costo della vita dei singoli Stati (qui). E’ attivo il fondo di 1 miliardo per dare a 270 mila giovani un’esperienza di volontariato retribuito dai 2 ai 12 mesi (qui e qui) nei Paesi Ue. Per chi vuole mettersi in proprio c’è la possibilità di accedere a un microprestito di 25 mila euro (tecnicamente si chiama «Strumento Progress di microfinanza», qui pag. 80).
Green Deal
L’Europa è stata la prima a preoccuparsi della salute del pianeta in cui vivranno i giovani, imponendo la riduzione delle emissioni inquinanti. E gli altri Paesi hanno poi dovuto fare altrettanto. L’obiettivo Ue è di ridurre le emissioni nette di gas serra entro il 2030 almeno del 55% rispetto al 1990. Per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050. Non a caso lo strumento con cui sta finanziando con 1000 miliardi il costo della transizione ecologica per cittadini e imprese (qui) si chiama «Next Generation Eu».
Acquisti online e Internet
L’Unione Europea promuove le connessioni Wi-fi gratuite in piazze, biblioteche e negli edifici pubblici con finanziamenti di 15 mila euro per ciascun Comune che fa decollare i progetti (qui). Quando si esce dal proprio Paese e si entra in un altro della Ue, dal 2017 non si pagano più costi aggiuntivi sui servizi telefonici grazie al regolamento Ue che consente di usare lo smartphone pagando la stessa tariffa di casa propria. Dobbiamo a una norma dell’Unione (qui) la possibilità di restituire entro 14 giorni gli acquisti fatti online, senza dover fornire alcuna giustificazione.
Per le donne
Ci sono poi le categorie dei grandi astensionisti: donne, disoccupati, il Sud. Una donna su due alle ultime Europee non ha votato (contro il 27% degli uomini). Eppure il nostro Paese ha incassato 14,8 miliardi dal Fondo Sociale europeo 2021-2027 (qui e qui): una parte di questi soldi devono essere spesi per incrementare la parità di stipendio e l’occupazione femminile che, secondo i dati Eurostat, è messa malissimo. Tra i 20 e i 64 anni in Italia lavora solo il 56,5% delle donne contro il 70,2% della media Ue. Anche il divario tra l’occupazione maschile e quella femminile è di 19,5 punti, quasi il doppio della media Ue, che si ferma al 10,3% (qui). Grazie ai contributi Ue molte donne hanno potuto avviare un’impresa; altre hanno potuto espandere la propria attività accedendo ai fondi del Programma Cosme, che riconosce alle imprenditrici un punteggio più alto. Ci sono poi i 10 giorni di paternità retribuita. Quando nell’aprile 2019 la Plenaria approva le nuove misure – che per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita di famiglia prevedono per il padre o il secondo genitore equivalente, se riconosciuto, il diritto a ricevere in busta paga il 100% dell’intera retribuzione per 10 giorni dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi(qui) – la durata del congedo in Italia è di 5 giorni. La direttiva è stata recepita a partire dal 2021 (qui).
Fondi per i disoccupati e il Sud
Fra i disoccupati l’astensione alle ultime Europee è salita al 55% (più 11 punti rispetto al 2014), contro il 38% di chi un lavoro ce l’ha. La Ue li aiuta a trovare un impiego attraverso i fondi per i corsi di inclusione digitale; alle Regioni ha elargito 4,9 miliardi tramite il Pnrr, da spendere entro il 2025, per la formazione e riqualificazione professionale di 3 milioni di disoccupati (qui). Vediamo infine chi non vota in base alle circoscrizioni elettorali: alle Europee 2019 l’astensione al Nord è del 37%, quasi del 42% al Centro, del 53,5% al Sud e del 65% nelle Isole. Ebbene, da dove arrivano i fondi strutturali e di coesione destinati allo sviluppo territoriale, economico e sociale delle Regioni meno sviluppate? Da Bruxelles. Solo per il 2021-2027 si tratta di ben 30 miliardi (qui). Se poi le Regioni del Sud non li utilizzano non è certo colpa della Ue.
Benefici per tutti
Oltre alle singole categorie ci sono poi le direttive a beneficio di tutti, a partire dall’adozione degli standard di sicurezza alimentare più elevati al mondo. E non solo sulla trasparenza dell’etichettatura, ma anche sul «Sistema di allerta rapido per cibi e mangimi», il Rasff. In Italia sono arrivati pistacchi turchi e iraniani con alti livelli di aflatossine; carote dall’Egitto con residui di Linuron, un pesticida vietato in Europa; fagioli del Madagascar con Chlorpirifos, una sostanza bandita in Ue perché sospettata di danneggiare il cervello dei bambini (qui): su questi prodotti è scattato l’allarme e sono stati banditi dal commercio. In ogni Paese Ue c’è un punto di raccolta che notifica a tutti gli altri, in tempo reale, i sospetti di eventuali contaminazioni. Se l’Efsa, l’Agenzia Ue per la sicurezza alimentare, conferma la validità dell’alert, tutti gli Stati hanno l’obbligo di ritirare il prodotto. Sono tra i più alti al mondo anche gli standard Ue per il benessere degli animali: norme che coinvolgono soprattutto gli allevamenti intensivi (qui), sui quali spetta poi ai singoli Stati vigilare. Il programma di monitoraggio europeo sui limiti dei pesticidi ammessi per legge è il più completo: ogni anno si analizzano 75 mila campioni di alimenti rispetto a 600 pesticidi diversi.
Come siamo usciti dagli anni bui
È il caso di ricordare gli anni della pandemia. La Commissione europea ritiene fin da subito i vaccini una priorità nella risposta al Covid incentrando i suoi sforzi sullo studio di un vaccino sicuro ed efficace, e si impegna a negoziare per conto di tutti gli Stati membri. Stipula contratti per 71 miliardi di euro: «Si tratta di accordi preliminari di acquisto – ribadisce la Corte dei conti europea –, in cui la Commissione condivide con il produttore il rischio di sviluppo di un vaccino in tempi più rapidi e sostiene l’allestimento di capacità produttive su vasta scala a carico del bilancio Ue». A fine 2021 gli Stati membri hanno ricevuto quasi 952 milioni di dosi, garantendo così a tutti, Nord, Sud, ricchi e poveri, l’accesso al vaccino. La Ue poteva non farlo visto che la Sanità è di competenza dei singoli Stati, ma cosa sarebbe successo se per esempio la Germania, che è un Paese più ricco, avesse trattato per conto suo e acquistato vaccini prima di noi? Ci sarebbe stata la rivolta dei cittadini, e sarebbe scattata la corsa al rialzo dei prezzi. Per inciso: la Ue è stata l’unica area geografica del pianeta che ha regalato all’Africa 145 milioni di dosi. In quel periodo, nonostante fosse tutto chiuso, non sono mai mancati gli approvvigionamenti perché l’Unione ha garantito il funzionamento della filiera. E come ha fatto il nostro Paese a riprendersi e ripartire? Prima la Bce ha comprato 730 miliardi di titoli di Stato italiani, e poi sono arrivati i fondi del Pnrr, consentendo così l’indebitamento a un costo molto basso.
Il momento è ora
Certo, le istituzioni europee hanno spesso mostrato debolezza, inciampi e disaccordi al loro interno, ma quando si dice: «dov’è l’Europa, perché non fa di più?» è utile sapere che le decisioni le prende chi alza la mano a Strasburgo e a Bruxelles, non a Roma. E un’Europa più forte passa dal Parlamento Europeo, a condizione che sia legittimato da una forte partecipazione al voto.
(da Il Corriere della Sera)

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LUCIA ANNUNZIATA: “AVER CANDIDATO TARQUINIO, STRADA E ME E’ UN SEGNALE DI APERTURA CHE RACCONTA DI UN PD VIVO E PLURALE. i PARTITI DOVE TUTTI PENSANO LA STESSA COSA ESISTONO SOLO IN NORD COREA E NELL’ITALIA DELLA MELONI”

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

“HO LASCIATO LA RAI PERCHÉ MELONI NON MI APPREZZAVA, IN VIRTÙ DELLA LEGGE RENZI, LE NOMINE DEI VERTICI RAI LE FA PALAZZO CHIGI. QUINDI SE AL MIO EDITORE NON PIACCIO, ME NE VADO”

Lucia Annunziata da Sarno, lei si è dimessa dalla Rai per candidarsi col Pd alle Europee?
«Se fosse così, sarei una veggente. Ho lasciato a maggio 2023, la proposta di Schlein mi è arrivata nel marzo scorso. Chi pensa che già allora sapessi cosa avrei fatto quasi un anno più tardi mi attribuisce doti profetiche che non mi pare di avere»
Perché ha accettato?
«Perché mi è stato chiesto di correre come indipendente, io non mi sono iscritta al Pd, e di mettere la mia esperienza al servizio delle istituzioni comunitarie. I conflitti in Ucraina e in Medioriente segnalano un generale surriscaldamento del quadro internazionale, ma esiste anche una questione meridionale che l’autonomia differenziata rischia di aggravare».
È quindi per difendere il Sud che ha lasciato la Tv di Stato?
«Ho lasciato perché avevo avuto molti segnali del fatto che la premier non mi stimasse. Nell’intervista per un libro e in un comizio a Caltanissetta aveva detto: Annunziata non è una vera giornalista, ha lavorato solo perché in tasca aveva una tessera di partito, lei non è espressione della meritocrazia, che noi invece intendiamo riportare in Rai».
Se n’è andata perché si è offesa?
«In virtù della legge Renzi, le nomine dei vertici Rai le fa Palazzo Chigi, quindi Meloni era il mio editore. E se l’editore non mi apprezza, io me ne vado».
Non prenderà la tessera del Pd neanche se verrà eletta?
«Al momento no, una delle ragioni per cui i partiti funzionano è perché al loro interno convivono tante voci. Aver candidato Tarquinio, Strada e me è un segnale di apertura che racconta di un Pd vivo, plurale. I partiti che si credono uniti perché tutti pensano la stessa cosa esistono solo in Nord Corea e nell’Italia di Meloni».
Anche lei come Tarquinio pensa che la Nato vada sciolta?
«Io no, ma questa non è una decisione che spetta a me e neanche a lui. Ricordo che solo 15 anni fa tutta la politologia internazionale sosteneva che la Nato fosse morta, finita: dopo l’89 si diceva che la democrazia aveva vinto e non c’era più bisogno di strutture figlie della seconda guerra mondiale per garantire l’ordine. Da quel momento in poi, però, la Nato è ritornata centrale come scudo a protezione dell’Occidente: per esempio si è accollata la difesa dell’Ucraina».
Che campagna sta facendo?
«La politica è innanzitutto rapporto col territorio. Due mesi fa mi sono trasferita a Napoli, ci ho messo dei soldi miei prendendoli dal fondo pensione perché quando sei indipendente non puoi avere finanziamenti dal partito, non ho fatto fund rising perché poi quelli a cui chiedi vogliono che tu restituisca. Ho solo una macchina e 4 persone che lavorano con me, fra cui Nico Stumpo, il leggendario motore delle campagne elettorali di Pier Luigi Bersani»
Non teme che i signori delle tessere possano penalizzarla?
«Qui c’è gente che fa politica sul territorio da vent’anni, loro i voti ce li hanno, io me li vado a cercare. Quello che sarà non lo so, però sto battendo palmo a palmo la mia circoscrizione: sono già andata in tutte le sei regioni del Sud 3 volte».
Se dovesse farcela?
«Mi trasferisco a Bruxelles. Il lavoro europeo è una cosa complicata, bisogna farlo a tempo pieno, non facendo avanti indietro con il trolley. Per me non sarebbe la prima volta: sono andata via dall’Italia che avevo 30 anni e sono tornata a 45. Ora spero di ripartire».
(da La Repubblica)

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TURISTA OLANDESE SFREGIA CON “FIRMA” LE PARETI DOMUS SCAVI ERCOLANO

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

HA USATO UN PENNARELLO NERO INDELEBILE: COSA ASPETTA IL GOVERNO A STABILIRE L’ARRESTO IMMEDIATO PER QUESTI IMBECILLI?… IN CERTI PAESI MARCIREBBE UN ANNO IN GALERA, COSI’ AVREBBE QUATTRO MURI DA AFFRESCARE

Turista olandese “firma” le pareti di una domus romana nel Parco archeologico di Ercolano scampata al Vesuvio.
E’ successo nella serata di ieri quando, prima il personale di vigilanza e i Carabinieri poi, sono stati allertati per lo sfregio.
Un 27enne olandese, in vacanza in Campania, ha deciso di lasciare un segno del suo passaggio, vergando con un pennarello gli antichi stucchi di una dimora strappata alle ceneri del Vesuvio. Una firma, con un marker nero, di quelli indelebili.
L’uomo è stato immediatamente identificato e denunciato per danneggiamento e imbrattamento di opere artistiche.
Come al solito se la caverà con una multa che non paghera’ mai.
(da agenzie)

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VIGILI DEL FUOCO: “IL CORPO NAZIONALE CADE A PEZZI E SI SPRECANO FONDI PER INFIOCCHETTARE CHI SFILA DAVANTI ALLE PIÙ ALTE CARICHE DELLO STATO”

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

IL SINDACATO DEI VIGILI DEL FUOCO SI SCAGLIA CONTRO LA DECISIONE DI REALIZZARE DELLE “PATCH” (CIOÈ LE TOPPE), IN OCCASIONE DEL 2 GIUGNO: “È UN IRRISPETTOSO SPRECO DI FONDI. LE SEDI SONO DISTRUTTE E MANCANO I SOLDI PER SISTEMARE I MEZZI. DI UN PATCH NON CI FREGA NULLA SE PER AVERE UN’UNIFORME NUOVA BISOGNA ASPETTARE DUE ANNI”

Nel 2016 erano le divise da Power Rangers, ordinate e poi, fortunatamente, mai indossate. Quest’anno sono delle toppe, almeno due ma forse anche tre, comparse sulle uniformi dei vigili del fuoco che sono stati chiamati a sfilare ai Fori Imperiali in occasione della Festa della Repubblica di oggi.
“Non sono autorizzate dal dipartimento e non ci rappresentano: non le usiamo davvero, sono state acquistate per l’occasione”, denuncia Costantino Saporito, sindacalista del Coordinamento Usb dei Vigili del fuoco e istruttore professionale. In un settore che lamenta carenza di mezzi e di personale – “un corpo nazionale che cade a pezzi” – rincara la dose Saporito – stride ogni anno di più la scelta di infiocchettare i vigili che scendono in parata davanti alle più alte cariche dello Stato. “Le stesse che si scordano di noi e poi ci applaudono durante le tragedie e le catastrofi”, lamenta il sindacalista.
In una delle tre toppe campeggia la scritta “2 giugno” con un tricolore, in un’altra, invece, viene raffigurato il Colosseo, riservata alle divise di chi ha issato la gigante bandiera che oggi avvolge il monumento. “Però quando facciamo un passaggio di qualifica, quando diventiamo caporeparto, ad esempio, i fregi non si trovano mai”, continua Saporito.
“Piuttosto che questa rappresentazione rassicurante e pulita, con mezzi fiammanti e uniformi nuove, sarebbe stato meglio farci sfilare per come siamo davvero: sporchi di polvere, fango e sudore. Così come quando portiamo soccorso alle persone”.
L’iniziativa, riporta il sindacato, sarebbe di un Comandante delle Scuole Centrali Antincendi, che avrebbe acquistato gadget con i fondi dello Stato e che, denunciano, più volte avrebbe facilmente distratto delle cifre per curare l’immagine dei vigili. “Com’è accaduto anche alla cerimonia di giuramento di Giorgia Meloni con il picchetto d’onore, quando si è tentato di rendere militaresco un corpo che non lo è. La Corte dei conti dovrebbe fare un bel controllo”, incitano.
Il problema non starebbe tanto nel costo – probabilmente irrisorio – per la realizzazione delle toppe apposte su una cinquantina di uniformi. Ma in un irrispettoso spreco di fondi, mentre “a livello nazionale le sedi sono distrutte e fatiscenti e mancano i soldi per sistemare i mezzi. Di un patch non ci frega nulla”. Se per avere un’uniforme nuova bisogna aspettare due anni, denunciano, si dovrà attendere il 2036 perché vengano messi a disposizione 80 nuovi mezzi per l’intero territorio nazionale, composto, però, da 110 comandi in tutto. “Oggi al comando di Roma la partenza più importante che abbiamo è stata immatricolata nel ‘97 e ci sono solo due autoscale, una in centrale e una a Ostia”.
(da agenzie)

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ATTACCO A MATTARELLA

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

I LEGHISTI HANNO SUPERATO OGNI MISURA ACCETTABILE, DIMOSTRANDO DI ESSERE ANCHE INCOMPETENTI IN MATERIA GIURIDICA E STORICA

Molto rumore per nulla. Bisogna ricorrere al titolo della commedia di Shakespeare se si vuole fare un bilancio della sortita congegnata ieri dalla Lega, attaccando Sergio Mattarella nella Festa della Repubblica.
Volendo presentarsi come gli ultimi tutori dell’autorità nazionale, hanno contestato il suo cenno alla «sovranità europea», evocata riflettendo sull’imminente voto nei 27 Paesi della Ue che la «consacrerà». Eh no, caro presidente, «se pensa davvero che la sovranità sia dell’Unione europea invece che dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi». Questo ha proclamato Claudio Borghi. Imitato subito dopo dal leader Matteo Salvini, che ha ricalcato le stesse parole, senza però materializzare l’ipotesi che il capo dello Stato debba abbandonare la carica.ù
Nessuna replica dal Quirinale, dopo così incaute (per non dire eversive) dichiarazioni. Siamo in campagna elettorale ed è scontato che qualcuno alzi toni polemici pur di farsi notare. Silenzio dal Colle, dunque. E nessuno sfogo bisbetico come qualcuno ipotizzava, anche se stavolta i leghisti hanno superato ogni misura accettabile, dimostrandosi anche incompetenti in materia giuridica e storica.
Basta squadernare la Costituzione per trovare, all’articolo 11 (noto per il ripudio della guerra), che «l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Ecco com’è nato il nostro ingresso nell’Europa
Una partecipazione che nel tempo si è tradotta in cessioni di quote di sovranità decise liberamente. È successo, e Mattarella l’ha ricordato spesso, in materia di politiche agricole, concorrenza, barriere doganali, mercato comune e, in particolare, con la creazione e l’armonizzazione della gestione economica e monetaria. Ma l’evocazione di «sovranità europea», per il percorso già compiuto, non è affatto una fuga in avanti.
Tutto ciò ha spinto il presidente a rammentare insieme l’identità italiana e quella europea, sottolineando la sovranità anche di quest’ultima, che per fortuna ci tiene lontani dal concetto di Stato-Nazione dal quale hanno avuto origine due guerre mondiali.
Mattarella ne accenna in un messaggio alle forze armate, quando si richiama ai valori della nostra Costituzione soprattutto quando ricorda che i «padri della Patria erano consapevoli dei rischi e dei limiti di chiusura negli ambiti nazionali e sognavano un’Italia aperta all’Europa, vicina ai popoli che ovunque nel mondo stessero combattendo per le proprie libertà».
(da Il Corriere della Sera)

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GIORGIA MELONI SI TROVA DI FRONTE A UNA VORAGINE NEI CONTI PUBBLICI E DEVE GESTIRE L’INCAZZATURA AMERICANA PER IL MANCATO ACCORDO AL G7 SUGLI ASSET RUSSI

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

LA DUCETTA È TERRORIZZATA DAL FALLIMENTO DEL PLEBISCITO: “NON SCALDO LA SEDIA, NON MI FARÒ INTRAPPOLARE DA QUELLI LÌ” (I SOLITI, INNOMINABILI POTERI FORTI)

È un periodaccio. Di tensione e cattivi pensieri. Di sondaggi riservati che fortunatamente nessuno può pubblicare. Non ne va bene una. L’ultima, ieri, gravissima, con Matteo Salvini che attacca Sergio Mattarella. Una follia, per Giorgia Meloni.
Un conto è mostrarsi sovranisti e nazionalisti, come fa la premier a dispetto del Presidente, un altro scagliarsi contro il Colle. Per ore, valuta se difendere il Capo dello Stato. Ha un contatto con il suo vicepremier, aspro, chiedendogli di correggersi. Alla fine, evita di esporsi pubblicamente. Non ci sarà neanche, almeno fino a sera, un colloquio telefonico con il Presidente per esprimergli solidarietà e dissociarsi dai leghisti.
La verità è che resta in silenzio per non dividere la destra. Contestare l’alleato costerebbe troppo in termini politici […]. Ma quanto imbarazzo, nel suo tacere. Fosse solo per Salvini, poi. Cattivi pensieri ruotano attorno a un G7 che sta facendo impazzire gli sherpa e che rischia di trasformarsi in un mezzo flop.
Pessime vibrazioni arrivano dal Tesoro, che ha comunicato in via riservata a Palazzo Chigi un dato incontrovertibile e brutale: non c’è un euro in cassa, allacciamo le cinture per la prossima legge di bilancio. Non ne va bene una e Meloni è comunque lì, consapevole e arrabbiata, a giocarsi tutto.
Ha trasformato il voto in un referendum, il 10 giugno come Festa della Consacrazione: la premier contro il resto mondo. Sogna un plebiscito, ma teme un capitombolo. Deve urlare, strappare, provocare. Se vince, nessun prigioniero. Se perde, chissà.
Ormai non esclude neanche una tentazione per ora indicibile, che inizia a circolare come sfogo: imitare Pedro Sanchez e Rishi Sunak, portare tutti al voto all’inizio del 2025. Per adesso, basti lo slogan ripetuto a chiunque la incroci: «Non scaldo la sedia, non mi farò intrappolare da quelli lì». Sarebbero i soliti, innominabili poteri forti, nemici esterni e finti amici annidiati tra le mura del palazzo. Fantasmi.
Sabato sera, in un angolo poco illuminato dei giardini del Quirinale, c’è la sorella Arianna. La cerca: «Ma Giorgia dove sta?». Telefona, la rintraccia. La leader è comoda su una poltroncina. Qualcuno le allunga un calice pieno fino all’orlo. Bollicine. Meloni ci pensa un attimo. Da settimane si tormenta con una dieta ferrea, è tornata anche ad allenarsi in palestra, capita che si presenti a Palazzo Chigi attorno alle 11. Guarda il calice, di nuovo. Cede. In un lungo, unico sorso.
Tutti domandano in queste ore: perché il plebiscito? Perché personalizzare, buttare a mare ogni remora istituzionale, alzare la voce? […] Come detto, non si possono riportare i numeri, ma una sensazione sì: i fratelli d’Italia sarebbero inchiodati al loro recente passato. E quando va così, è un attimo a scendere sotto la soglia del 26%, quella indicata come minimo sindacale, dopo aver sognato lo sfondamento del 30%. Il timore è che le peggiori sorprese arrivino dalla circoscrizione del Nord Est
Un segnale concreto è invece arrivato dal Tesoro. Non c‘è un euro per fare politica, il senso dell’allarme. La voglia di fuga di Giancarlo Giorgetti di solito anticipa sconvolgimenti politici: è andata così con il Conte uno, il Conte due e l’esecutivo Draghi.
Bankitalia tre giorni fa ha avvertito del rischio per l’alto debito, frutto di una congiuntura a tenaglia: basta con la flessibilità dell’era Covid, c’è una procedura d’infrazione in arrivo e le nuove regole del Patto a strozzare i sogni di gloria di Palazzo Chigi.
«I ministeri sono in affanno da tempo, non va bene», è l’analisi che spesso Meloni consegna allo staff. E poi c’è il G7. Ne parla poco anche la premier, ormai, dopo averne fatto una bandiera di consenso. C’è una ragione, nota alle diplomazie alleate: finora gli sherpa hanno mancato gli obiettivi prefissi. Non riescono a trovare un compromesso ragionevole sugli asset russi, a causa delle resistenze degli europei.
Gli americani, che premono per gli “Ukraine bond”, sono furiosi. Per non parlare della linea italiana sulle armi, le uniche che devonofrenare la gittata e non possono oltrepassare il confine ucraino. Roma sembra isolata, ma c’è poco da fare. “Noi dobbiamo pensare anche alle decine di imprese italiane che operano in Russia”, confidava Antonio Tajani parlando con Guido Crosetto al Colle. «La linea non cambia», annuiva il ministro.
Ecco perché Meloni spinge sui social, gioca a “TeleMeloni” e attacca La7, urla contro “Elly” e si presenta come “la stronza” a Vincenzo De Luca: non può rischiare il fallimento, non può restare sotto il 26%. Ha anche accelerato sui decreti, ignorando i dubbi del Colle e sfidando i giudici, generando tensioni tra emissari del governo e del Quirinale (raccontano fonti dell’esecutivo di un recentissimo e movimentato colloquio telefonico tra Alfredo Mantovano e il segretario generale del Colle Ugo Zampetti).
Tutto, pur di difendere il consenso. Quando le cose vanno male, soltanto i voti possono placare le vendette La maggioranza è ampia, l’interesse comune è restare al potere. Ma per la prima volta da molti mesi, uno scenario inizia a solleticare le fantasie di Palazzo Chigi, scuotendo come scossa elettrica il potere dei boiardi di Stato, dei capi di gabinetto, dei vertici politici e istituzionali del Paese, quelli che sabato sera chiacchieravano proprio di questa voce sul prato del Colle. Si può riassumere in uno stato d’animo: insofferenza.
La premier non è più così certa di vincere bene queste elezioni. Pensa ancora di avvicinarsi a “quota trenta” ma mette in conto anche un brutto risultato. A quel punto, non accetterebbe di finire nelle sabbie mobili dell’immobilismo. un pessimo risultato alle Europee la renderebbe ancora più irrilevante nelle trattative per la nuova Commissione a Bruxelles. Dove ha in mente il nome di un possibile commissario. L’ha accennato l’altro giorno, senza svelarne il nome. A Palazzo Chigi sostengono che potrebbe essere quello di Elisabetta Belloni.
(da La Repubblica)

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CLAUDIA SHEINBAUM E’ LA NUOVA PRESIDENTE DEL MESSICO, SARA’ LA PRIMA DONNA A RICOPRIRE QUESTO RUOLO NELLA STORIA DEL PAESE

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

LA CANDIDATA DEL CENTROSINISTRA STRAVINCE LE ELEZIONI… INGEGNERE ENERGETICA, SINDACA DI CITTA’ DEL MESSICO, HA DIMEZZATO LA CRIMINALITA’ NELLA CAPITALE E DIMINUITO L’INQUINAMENTO

Claudia Sheinbaum sarà la nuova presidente del Messico, come ampiamente previsto dai sondaggi: con più della metà delle schede scrutinate, è ormai chiaro che alle elezioni presidenziali che si sono svolte domenica, insieme a quelle per rinnovare il parlamento, Sheinbaum – candidata di MORENA, il partito del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador (noto con l’acronimo AMLO, di centrosinistra) – ha ottenuto quasi trenta punti percentuali in più della sua principale rivale, Xóchitl Gálvez, che rappresenta una coalizione di partiti di centro e di centrodestra, è più del 25 per cento.
Claudia Sheinbaum ha 61 anni, è un’ingegnera energetica ed è l’ex sindaca di Città del Messico dove era stata eletta nel 2017 con un programma basato su due punti principali: aumentare la sostenibilità ambientale di una città nota come una delle più inquinate al mondo e combattere la violenza dei gruppi criminali.
È riuscita soprattutto nel secondo intento: durante il suo mandato a Città del Messico gli omicidi si sono quasi dimezzati, anche se sono circolati dubbi sull’affidabilità dei dati.
Sheinbaum si è occupata, tra le altre cose, di clima ed è stata parte dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, il principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Sheinbaum è entrata in politica nel 2000 e fin da subito la sua carriera è stata legata a quella di López Obrador, che nel periodo in cui lui era sindaco l’ha nominata assessora all’Ambiente di Città del Messico. Quando nel 2014 AMLO ha lasciato il suo partito storico di sinistra, il PRD, lei lo ha seguito e ha contribuito a creare MORENA, il partito di cui ora entrambi fanno parte.
Sheinbaum sarà la prima donna a diventare presidente del paese e dovrà affrontare numerosi problemi storici del Messico: un’economia che cresce ma non quanto sarebbe necessario, la violenza del narcotraffico, che negli ultimi anni è aumentata, e l’immigrazione. Sheinbaum dovrà anche fare i conti con l’eredità ingombrante del suo predecessore: AMLO è infatti la figura politica più rilevante e carismatica degli ultimi trent’anni in Messico e resta molto amato tra la popolazione. Alcuni analisti ritengono che Sheinbaum, dopo aver vinto le elezioni grazie alla popolarità di AMLO, non sarà davvero in grado di liberarsi dalla sua influenza, e rimarrà una presidente sotto tutela. Sia Sheinbaum sia AMLO, ovviamente, negano questa possibilità.
Alle elezioni si è votato anche per i 500 deputati della Camera, i 128 senatori e i governi di nove Stati: Chiapas, Guanajuato, Jalisco, Morelos, Puebla, Tabasco, Veracruz, Yucatàn e di Città del Messico.
(da Il Post)

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LA TELEFONATA FURIOSA DELLA MELONI A SALVINI DOPO L’ATTACCO AL QUIRINALE: “UNA GRANDE SCIOCCHEZZA”. ORA FDI TREMA, I SONDAGGI RISERVATI LO DANNO SOTTO LE POLITICHE MENTRE SCHLEIN STA RIMONTANDO

Giugno 3rd, 2024 Riccardo Fucile

GIORGETTI PROSSIMO A LASCIARE IL GOVERNO

Una telefonata partita da Palazzo Chigi subito dopo l’attacco di Claudio Borghi al Quirinale. Con toni abbastanza decisi Giorgia Meloni ha spiegato a Matteo Salvini che o smentiva «o sarò costretta a sconfessarti in tv». Anche perché, ha spiegato la premier al leader della Lega, «Chiedere così le dimissioni di Mattarella è un errore che non porta consenso, anzi. È stata una grande sciocchezza». Questo è il retroscena all’origine del dietrofront del Capitano: «Non chiediamo le dimissioni di nessuno». Mentre intanto i sondaggi riservati sulle elezioni europee dicono che Fratelli d’Italia sono più o meno sulla soglia del 26% indicata come risultato minimo. E ben lontani dal 30% sognato. Una prospettiva che potrebbe portare a scricchiolare il suo governo.
«Una grande sciocchezza»
Il contatto tra Salvini e Meloni arriva a metà pomeriggio. La minaccia della smentita in tv non è una boutade: Meloni ha in programma per stasera un intervento su Rete 4. Durante il suo comizio a Piazza del Popolo anche la premier ha attaccato l’Unione Europea proprio sulla sovranità. Ma senza mai chiamare in causa il Quirinale. La telefonata contribuisce a movimentare ulteriormente i rapporti tra FdI e Lega, che non sono al loro massimo storico. Anche perché il Capitano ha puntato molto su questo voto per cominciare a ribaltare i rapporti di forza tra i due partiti. «La festa della Repubblica ci ricorda che dovremmo tornare alla prima idea di Europa, che immaginava la sua forza nell’unione ma anche nelle specificità degli Stati nazionali», aveva detto proprio Meloni in mattinata. Ma una cosa sono le parole diplomatiche, un’altra l’attacco diretto a Mattarella.
I sondaggi segreti sulle Europee
C’è però anche un altro motivo che alimenta il nervosismo della premier. Lo spiega il retroscena di Repubblica. Mentre Meloni lancia il referendum sull’Europa da Piazza del Popolo, infatti, i sondaggi riservati di queste ore danno FdI al palo. Anzi, a rischio addirittura di discesa da quella soglia del 26% che era considerato il risultato minimo. Secondo i rumors riportati da Repubblica la circoscrizione in cui il partito della premier è più in difficoltà è quella del Nord-Est. Alle politiche aveva regalato grandi soddisfazioni, ora tra Veneto ed Emilia-Romagna potrebbe abbassare la media nazionale. C’è anche il pericolo affluenza, prevista in ribasso. Votare dal pomeriggio di un sabato di giugno nel primo week end con le scuole chiuse potrebbe portare a una fuga dalle urne. E tradizionalmente la bassa affluenza non favorisce di certo il centrodestra. Per questo adesso Meloni non è più così sicura di vincere queste elezioni.
Quota trenta
Anzi, di più. Se quota trenta, ovvero il 30% dei voti, è lontana, all’orizzonte si cominciano ad udire alcuni scricchiolii. Tanto che Meloni mette in conto anche un brutto risultato. In quel caso potrebbe cominciare anche una strategia di logoramento nei suoi confronti. È quello che lei teme di più. E allora ecco anche l’ipotesi di ribaltare il tavolo. Anche perché un pessimo risultato alle elezioni la metterebbe in una condizione di irrilevanza nella trattativa per la prossima Commissione Europea. E per la quale avrebbe già in mente il nome di un possibile commissario: Elisabetta Belloni. Intanto cominciano ad addensarsi le nuvole all’orizzonte. Quelle che arrivano dal ministero dell’Economia retto da Giancarlo Giorgetti sono piuttosto allarmanti. Bankitalia ha parlato del rischio debito e delle nuove regole del Patto di Stabilità che potrebbero fermare le iniziative di Palazzo Chigi.
Le dimissioni di Giorgetti
E proprio il ministro dell’Economia potrebbe presto salutare. Giorgetti ha offerto a Meloni la disponibilità a lavorare nella nuova Commissione Europea. Una scelta che preparerebbe la sua uscita da via XX Settembre. «Preparatevi a fare senza di me», è il virgolettato attribuito al ministro. Che soffre per l’assenza di risorse per la politica della premier. E si rende conto che presto dovrà incentivare il suo ruolo di guardiano dei conti. E finire di conseguenza nel mirino delle forze politiche di maggioranza che invece chiedono di spendere di più. Per questo la via d’uscita europea per Giorgetti sarebbe un’onorevole ritirata. Meglio di una disonorevole sconfitta.
(da Open)

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