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QUANTO COSTA SOGGIORNARE A “BORGO EGNAZIA” IL SITO CHE OSPITA IL G7? PER UNA NOTTE NELLA “CASA PADRONALE” SI ARRIVA A SBORSARE ANCHE 20 MILA EURO

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

NELLA STRUTTURA HANNO GIRATO DELLE PUNTATE DI “BEAUTIFUL”, CI HANNO “SVACCANZATO” CHIARA FERRAGNI, IL “GLADIATORE DEL CARBOIDRATO” RUSSELL CROWE, MICHEAL BUBLÉ, IL MAGNATE RICHARD BRANSON E TOM HANKS … I GIORNALISTI DOVRANNO ACCONTENTARSI DEL PING-PONG, DI UN FLIPPER E DI UNA “STANZA PER LA PREGHIERA”

C’è anche una ‘prayer room’, una piccola stanza dedicata alle preghiere, nel media center allestito nella Fiera del Levante di Bari per il G7 al via da oggi.
Dodicimila metri quadrati a disposizione degli oltre 1.700 operatori dei media accreditati, tra cui 700 giornalisti in arrivo da tutto il mondo per raccontare il summit di Borgo Egnazia.
La piccola prayer room occupa una stanza ad hoc che gli addetti ai lavori stanno allestendo in queste ore, con un un occhio particolamente attento a chi, di fede musulmana, ha la necessità di dedicare alla preghiera cinque momenti quotidiani.
Nel grande media center tanti i richiami alla Puglia, a partire dagli ulivi che punteggiano gli ambienti, con un tocco rigorosamente locale anche per il catering, dove trovano spazio taralli, mozzarelle e altre leccornie del territorio. E di olio locale sono stati omaggiati i giornalisti: una piccola bottiglia è tra i gadget del summit, nello zaino destinato ai cronisti con il logo ‘G7 Italia’ in bella vista.
Presente un’eccellenza del made in Italy nel mondo, ovvero la Nutella, con un corner ad hoc e una confezione del celebre barattolo in versione summit, colorata di blu con marchio G7. Al centro del media center è stata poi allestita un’area relax con grandi cuscini distribuiti sotto un ulivo, e non è la sola zona destinata allo svago dal lavoro: presenti anche un tavolo da ping pong, due biliardini o calciobalilla e altrettanti flipper.
NEL BORGO DEL POTERE
«Nowhere else», da nessun’altra parte. Così quella frase emozionale, cuore della campagna promozionale dell’esclusivo resort 5 stelle, sembra quasi conquistare un nuovo significato. Perché i grandi della Terra sono per l’appunto qui, a Borgo Egnazia. E da nessun’altra parte.
Ed eccolo questo luogo esclusivo, incastonato nelle campagne brindisine e che conserva tutto il fascino delle antiche masserie pugliesi. Una struttura nella tipica pietra bianca, un design contemporaneo e interni dai colori chiari. Sedici ettari tra Fasano e Savelletri, a metà strada tra ulivi e mare, scelti dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per ospitare da oggi il forum internazionale.
Qui, prima dei capi di Stato e di Governo o del Papa che, per la prima volta nella storia parteciperà a un G7, hanno soggiornato star per tutti i gusti. Da Micheal Bublé al magnate Richard Branson, da Tom Hanks a Dolce e Gabbana. L’estate scorsa Russell Crowe, stregato dalla bellezza dei luoghi. E poi Chiara Ferragni che non aveva certo lesinato foto e commenti del suo soggiorno.
Eppure, si sa, i vip non sono tutti uguali. E spesso molti alloggiano qui senza farlo sapere. Ma non nel giorno più bello. Hanno iniziato, nel 2012, Justin Timberlake e Jessica Biel con il loro «sì» scucendo – secondo i ben informati – 6 milioni di dollari, poi nel 2014 le nozze dei rampolli indiani Ritika Agarwal e Rohan Meta che sul piatto ne avevano messi 14 in più, facendo arrivare elefanti e cavalli.
E se l’amore vince sempre – o quasi – non c’è da meravigliarsi che alcune puntate della longeva soap “Beautiful” siano state girate proprio qui, con gli storici Ridge e Brooke. A voler dare un premio agli ospiti più affezionati, c’è probabilmente Madonna che qui ha festeggiato almeno 3 compleanni con altrettanti mega party a suon di pizzica.
Ma il cuore resta Borgo Egnazia, con i suoi 550 posti letto, che riproduce un tipico paesino pugliese, con piazza centrale per le feste, stradine e bancarelle. È qui che soggiorneranno i leader, da Joe Biden a Olaf Scholz. Tra staff e sicurezza, 5mila persone. Varcando l’ingresso ad arco, si incontra “La Corte” che accoglie ristorante gourmet, bar, spa e una serie di camere, suite inclusa.
Ci sono poi il Borgo e le incantevoli ville a tre piani, con vista mare. Chi sceglie la casa Padronale può usufruire di comfort esclusivi, a cominciare dallo chef privato, e non possono mancare rilassanti Jacuzzi. E poi campi da tennis e da golf, palestre e piscine, due spiagge private, ristoranti con 80 cuochi a disposizione.
Ora veniamo ai conti: nei prossimi giorni, una notte nella matrimoniale in Corte supera i 900 euro. Colazione inclusa, però. Si sa, chi è in vacanza è generalmente ben disposto a spendere e qui la clientela di certo non ha problemi ad arrivare a fine mese. Una notte in Villa – che può ospitare fino a sei persone – costa oltre 8mila euro, per la Casa Padronale si può arrivare a 20mila.
La sensazione è che possano essere proprio le ville su tre piani ad ospitare gli alloggi dei leader. Ciascuna con piscina, letto a baldacchino e vista panoramica. Qualche anno fa Borgo Egnazia venne persino ribattezzato dai tabloid inglesi “Beckingham palace” in omaggio alla coppia David e Victoria Beckham, in vacanza con i figli. Avevano affidato a un selfie un romantico giro in bicicletta tra i campi di grano, mentre l’ex calciatore si era fatto conquistare dal ristorante stellato “Due camini”, postando ogni singola portata e spendendosi in complimenti con Domingo Schingaro.
È lui, «di poche parole e mille piatti che racchiudono antichi racconti» l’executive chef. Qui un menu di 7 portate tra pasta al siero di latte e agrumi, passando per la battuta di podolica, salsa barbecue, ricci di mare e pelose o i ravioli, ciambotto e fegato di rana pescatrice può costare 180 euro, a cui aggiungerne 150 per l’abbinamento vini.
(da agenzie)

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ITALIA VIVA E’ ALLA FRUTTA: VOGLIONO LO SCALPO DI RENZI, DOPO IL FLOP ALLE EUROPEE C’È CHI NE INVOCA LE DIMISSIONI

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

IL CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE, LUIGI MARATTIN, IL PIU’ CRITICO CONTRO RENZI, VIENE SUBITO UCCELLATO: “ANCHE LUI ENTRA NEL CLUB DEI BENEFICIATI IRRICONOSCENTI”… ANCHE VELARDI, DIRETTORE DEL “RIFORMISTA”, INVITA RENZI A LASCIARE IL CAMPO

Si azzuffano tra loro. I renzianissimi pubblicano sui social la foto dell’onorevole Luigi Marattin in tenuta da mare, sorridente con le infradito, «ora entra nel club dei beneficiati irriconoscenti», gli scrivono. La senatrice Raffaella Paita lo accusa pubblicamente di non avere fatto campagna elettorale («non si scappa dai propri impegni»), Marattin è costretto a denunciare «le tecniche grilline», non è vero che prendeva il sole, giura, «ho fatto 14 iniziative elettorali». «Pulisci la zona caminetto!», gli scrive un’utente di X sotto la foto incriminata che lo vede davanti al focolare.
Tutto questo astio perché il bel Luigi, dopo la rovinosa sconfitta di Italia Viva nella coalizione degli Stati Uniti d’Europa, è stato il più critico con Matteo Renzi, sostenendo che bisogna azzerare tutto, annunciando quindi la sua candidatura al congresso straordinario indetto dallo stesso Renzi. «Spero soltanto ci sia correttezza», ha precisato. Chiediamo a un vecchio dirigente il significato di quell’invito al rispetto delle regole, e lui sospira: «Vabbé, è che non lo conosci Renzi, quello proverà a metterci una controfigura».
Nessuno si salva dal brutto carattere. Anche i più intelligenti. Sono anni che Renzi cade in piedi, facendo fallire le feste degli altri stando ai margini, il senatore-manovratore, l’arci italiano, il talento più grande, ma anche il più distruttivo, comparso sulla scena politica nel nuovo secolo.
Ma stavolta il flop rimediato alle Europee sembra condannarlo. Ci sono antipatie da cui non si guarisce. Renzi viene percepito come l’antipatico della nazione. «E così punterà su pochi collegi, quelli che interessano agli amici», dice un altro che gli era vicino. «E galleggerà, conservando lo status di senatore utile per le attività di conferenziere».
Persino Claudio Velardi, il direttore del Riformista, lo invita a lasciare il campo. «Con gli amici bisogna usare parole di verità: si è creata una situazione per cui la sua leadership risulta respingente», dice al telefono. Insieme a Chicco Testa ha scritto una lettera al Foglio per suggerirgli di fare un passo indietro, invito esteso anche a Carlo Calenda, beninteso: «Avete fallito».
Ora Renzi e Calenda sono obiettivamente teatro. I due intendono la relazione come stato di perenne tensione, come quelle coppie il cui punto di equilibrio è la lite. Costretti a stare insieme si prendono e si lasciano, «uno scontro di personalità», per citare Velardi. Uno scontro che Bonifazi-Richetti riproducono in piccolo, col primo che accusa Calenda di avere preso soltanto 70mila voti, mentre Renzi ne ha raccolti 207mila. «Ego sovrabbondanti, narcisismi», sospira ancora Velardi. «E pensare che i loro elettori sarebbero d’accordo su tutto, i leader no».
L’altro giorno, all’indomani della disfatta, Renzi si è prodotto in un lungo elogio di Vittoria Nallo, eletta consigliera regionale in Piemonte, «una delle prime allieve della scuola di formazione che facciamo ormai da cinque anni. Un simbolo della forza della comunità». Un po’ come se Cadorna dopo Caporetto avesse fatto l’elogio di un giovane tenente entrato in servizio quel giorno. Anche la Paita usa l’argomento Nallo per dimostrare a Marattin che non è vero «sta finendo tutto, è appena iniziata la nostra sfida».
L’impressione è che molti si stiano guardando intorno. Corrono voci di fughe. Ma verso dove? Le agenzie battono la notizia delle dimissioni dal partito dell’ex parlamentare Ernesto Magorno. Lo chiamiamo. «La politica non c’entra», assicura. «È che assumo la guida dell’associazione L’oro di Calabria, finalizzata a valorizzare le risorse della mia regione, il cui direttore scientifico è Francesco Verderami, giornalista del Corriere della Sera, calabrese di Gioia Tauro».
«La rottura del Terzo Polo è stato un errore colossale», insiste Marattin. Anche su questo Paita lo ha sbertucciato pubblicamente: «Non si mette sullo stesso piano chi come Calenda ha rotto il terzo polo e chi come noi ha cercato di ricucire».
(da agenzie)

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LO STAFF DI PALAZZO CHIGI STA SBARELLANDO: IL FOTOGRAFO UFFICIALE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, FILIPPO ATTILI, COSTRETTO A RITOCCARE TUTTE LE IMMAGINI DELLA DUCETTA PER FAR SPARIRE RUGHE E IMPERFEZIONI, HA CONDIVISO UNA FOTO IN CUI ERA SPARITO MEZZO SOPRACCIGLIO DELLA PREMIER

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

ATTILI HA DOVUTO DICHIARARE L’ERRORE E SOSTITUIRE LO SCATTO

“Repubblica” lo chiama il selfie “con ritocco”. Un presunto errore dettato da un caso. Non è proprio così. Tutte le immagini ufficiali di Giorgia Meloni, scattate dal fotografo di Palazzo Chigi, Filippo Attili, vengono infatti ritoccate, per far sparire le rughe della sora Giorgia.
Stamani, forse per la concitazione legata all’importanza del G7, è avvenuto un incidente (quasi) irreparabile: il ritocco del selfie della Ducetta era stato un po’ troppo pesante: nella fretta di smaltare il viso della premier, infatti, le era stato portato via mezzo sopracciglio. Con un effetto tragicomico impossibile da ignorare.
Così Attili ha dovuto dichiarare l’errore nella chat con i giornalisti e ritirare la foto, prontamente sostituita con quella originale…
Per ingannare l’attesa di Biden, Meloni di rosa vestita, le unghie invece rosse fuoco – si concede un selfie con dietro centinaia di operatori della stampa, che poi lo staff diffonderà precisando che c’è stato un lieve ritocco …
(da agenzie)

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“FUORI I FASCISTI DAL PARLAMENTO”: RIPRENDONO I LAVORI ALLA CAMERA TRA LE PROTESTE E I CORI DELLE OPPOSIZIONI, LE SENATRICI OCCUPANO L’AULA DEL SENATO

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

MAGGIORANZA COMPLICE DEGLI AGGRESSORI DEL PARLAMENTARE M5S DONNO: DECLASSANO L’AGGRESSIONE A “DISORDINI”… ELLY SCHLEIN RIUNISCE I GRUPPI PARLAMENTARI_ “NON FAREMO PASSARE QUESTA AGGRESSIONE COME UN FATTO NORMALE”… IL LEGHISTA FIGHETTO CRIPPA STRAPARLA DI “COMUNISTI” (FORSE SI RIFERIVA AI SUOI AMICI PUTINIANI?)

Si torna in Aula, dopo i calci e i pugni di ieri alla Camera durante il voto sul ddl autonomia, con il deputato 5S Leonardo Donno uscito in sedia a rotelle colpito da un collega (o più) dell’opposizione. Riprendono i lavori, la seduta sul ddl Autonomia alla Camera e il premierato al Senato. E ripartono le polemiche e le proteste. “Fuori i fascisti dal Parlamento”, urlano i deputati delle opposizioni che hanno anche intonato ‘Bella ciao’, dopo che il deputato M5S Ricciardi è andato all’attacco del numero due della Lega Crippa che avrebbe detto che ‘Bella ciao’ è peggio della Decima.
Prima di riprendere l’esame del ddl, Elly Schlein ha convocato l’assemblea dei gruppi parlamentari del Pd. La linea: tornare in Aula per la prosecuzione dei lavori ed evitare “di cadere nelle provocazioni”. Non solo. La segretaria dem vuole poi sentire “i leader delle altre opposizioni per valutare possibili azioni congiunte”.
E assicura che “l’opposizione sarà durissima contro riforme che scardinano l’impianto costituzionale del Paese. Non faremo passare questa aggressione come un fatto normale, quello che è successo non può passare sotto silenzio”.
Nuove proteste alla Camera
Intanto, la seduta alla Camera è ricominciata. E subito sono ricominciate le polemiche alla ripresa del lavori. Le opposizioni si sono iscritte a parlare sul processo verbale contestando il fatto che riguardo alla rissa di ieri si parli di ‘disordini’. “Ovviamente – ha detto il deputato dem Federico Fornaro – quello che è successo ieri non è sintetizzabile nel verbale con la parole ‘disordini’: il combinato disposto soprattutto riguardo l’ultima fase della seduta è una aggressione. È una questione di chiarezza tra di noi”. Il vice presidente di turno, Sergio Costa, ha ricordato che il processo verbale non riporta le parti in cui la seduta è sospesa. “Non sono stati disordini ma un’aggressione squadrista”, ha detto Marco Pellegrini di M5S. “Dalla citazione della X Mas alle aggressioni il passo è stato breve e non si può dire che il deputato Donno ha aggredito Calderoli. Saranno le immagini a dire chi ha fatto un’aggressione ad un deputato inerme che era stato bloccato dai commessi”.
Il leghista Crippa, la X Mas e Bella ciao
Le polemiche continuano. Questa volta sono le dichiarazioni del vicesegretario leghista Andrea Crippa sul gesto della ‘Decima’, mimato ieri in Aula dal suo collega Domenico Furgiuele, a far salire la tensione a Montecitorio. Se per me il gesto della Decima è un gestaccio? “Per me lo è di più cantare ‘Bella ciao’, perché il comunismo ha portato a milioni di morti. Purtroppo in questo Parlamento esistono ancora i comunisti”, le parole del numero due di Matteo Salvini stigmatizzate in Aula dal vicepresidente del M5S Riccardo Ricciardi.
“Leggere queste cose è una roba che non sta in cielo né in terra. È una vergogna, dovresti uscire da quest’Aula e vergognarti”, urla Ricciardi. Scoppia un nuovo parapiglia in Aula. I deputati di opposizione iniziano a intonare “Bella ciao” per poi scandire in coro “Fuori i fascisti dal Parlamento”. La seduta, ancora una volta, viene sospesa.
Premierato in Senato, le opposizioni sventolano il Tricolore
Sono ripresi anche i lavori in Senato sul ddl sul premierato ma è mancato il numero legale con conseguente sospensione della seduta per 20 minuti. Notando l’assenza di numerosi senatori della maggioranza, Beatrice Lorenzin al secondo voto dell’aula ha chiesto la verifica del numero legale. La vicepresidente Licia Ronzulli ha dovuto constatare l’assenza del numero sufficiente di senatori ed ha sospeso la seduta.
La seduta è poi ripresa tra le proteste. All’esame gli emendamenti all’articolo 7. Ma i senatori delle opposizioni hanno sventolato in Aula il Tricolore e in risposta i colleghi della maggioranza hanno intonato l’Inno di Mameli durante il voto degli emendamenti al premierato. La vicepresidente Ronzulli ha sospeso la seduta un’altra volta.
Ma le proteste non si fermano. Contro l’aggressione al deputato Leonardo Donno, i senatori delle opposizioni hanno occupato i banchi del governo nell’aula di Palazzo Madama mostrando le bandiere italiane, “l’azione è avvenuta dopo l’intervento del capogruppo M5S al Senato, Stefano Patuanelli, che ha detto ‘la Repubblica non può essere umiliata da chi non accetta che gli si consegni il tricolorè”, si legge in una nota del Movimento.
(da agenzie)

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DA PARENZO A “L’ARIA CHE TIRA” IL LEGHISTA IEZZI PROVA PURE A FARE LA VITTIMA E DONNO GLI URLA: “VERGOGNATI, TI DEVONO SBATTERE FUORI DAL PARLAMENTO, SQUADRISTA”

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

IL BULLO LEGHISTA FA L’ARROGANTE E NON INTENDE CHIEDERE SCUSA, PUO’ RINGRAZIARE CHE NON ESISTONO PIU’ LE OPPOSIZIONI DI UNA VOLTA O PER USCIRE DAL PARLAMENTO NON GLI SAREBBE BASTATO IL REPARTO CELERE

Il giorno dopo la rissa alla Camera, tra il grillino Leonardo Donno e il leghista Igor Iezzi non c’è neanche lo spiraglio di una stretta di mano virtuale. Ci ha provato David Parenzo a far riappacificare i due deputati, dopo lo scontro a Montecitorio che ha visto Donno uscire in carrozzina dall’Aula.
A L’Aria che tira su La7 avviene il primo confronto tra i due, con Donno collegato in video e Iezzi al telefono. Donno si era lamentato di non aver ricevuto alcuna solidarietà, né da Fratelli d’Italia né dalla Lega. Parenzo dà al leghista accusato di aver aggredito il collega di provare a scusarsi: «Neanche Calderoli ha ricevuto una manifestazione di solidarietà dal M5s», risponde Iezzi ricordando la scintilla che aveva scatenato la bagarre alla Camera. Donno infatti si era precipitato davanti ai banchi del governo sventolando il tricolore davanti al ministro Roberto Calderoli (senza mai toccarlo, peraltro)
«Se non c’erano i commessi che facevi?»
Iezzi non cede alle richieste di spiegare il suo gesto e chiedere scusa. E contrattacca inventandosi una inesistenze “aggressione” a Calderoli: «Donno ha compiuto un’aggressione nei confronti di un ministro e, se ha un minimo di onestà intellettuale, ammetterà che io non l’ho colpito. Ristabiliamo prima la verità dei fatti».
Arriva quindi la risposta di Donno: «Chiedo scusa io ai cittadini italiani perché c’è gente del genere che rappresenta anche loro. È come se uno esce per strada con una pistola, spara a una persona, non la colpisce ma dice “non l’ho colpito!”».
Lo scontro degenera, per fortuna stavolta solo a distanza. Donno chiede al leghista: «se non ci fossero stati i commessi a proteggermi, Iezzi mi prendeva a pugni in faccia e mi lasciava per terra? Ti devi vergognare, ti devono sbattere fuori dal parlamento».
Donno chiama Iezzi un «soggetto pericoloso», mentre il leghista prova a controbattere al telefono sovrastando la voce del collega. «Devi essere sbattuto fuori dal Parlamento – incalza il deputato M5s – E ti dovresti vergognare perché continui a rilasciare dichiarazioni vergognose». I toni esplodono, con Donno che urla: «Ti devi vergognare…Fascista e squadrista».
(da agenzie)

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“BIDEN PARLERA’ DI ABORTO CON LA MELONI. SUI DIRITTI NON CEDE”: IL CONSIGLIERE USA PER LA SICUREZZA, JAKE SULLIVAN, MANDA UN PIZZINO ALLA DUCETTA DOPO LO SCONTRO SULLA BOZZA DEL G7 E SULLE PRESSIONI ITALIANE PER TOGLIERE DALLA DICHIARAZIONE FINALE DEL VERTICE OGNI RIFERIMENTO ALL’ABORTO

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

L’ABORTO È UNA DELLE ARMI PIÙ IMPORTANTI DI BIDEN NELLA CAMPAGNA PRESIDENZIALE CONTRO TRUMP

Se davvero la presidenza italiana del G7 ha chiesto di togliere dalla dichiarazione finale del vertice ogni riferimento all’aborto e ai diritti della salute riproduttiva, difficilmente il presidente americano Joe Biden la firmerà, e la premier Giorgia Meloni deve aspettarsi che questo tema emerga durante il bilaterale di domani con il capo della Casa Bianca.
Si capisce da come il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha risposto ad una domanda di Repubblica su questo terreno di potenziale scontro.
Abbiamo chiesto a Sullivan se Biden era informato della cancellazione, è d’accordo, o solleverà la questione dei diritti con Meloni. “Il presidente – ha risposto il suo braccio destro per la politica estera – parla sempre dei diritti umani in tutte le sue interazioni, tanto con gli amici, quanto con i competitori e gli avversari.
Non mi aspetto che nei due prossimi giorni sarà diverso”. Quindi ha aggiunto: “Non posso commentare la questione specifica dell’aborto nella dichiarazione finale, perché non ne avevo sentito parlare, ma dal punto di vista del presidente, lui non cambia il messaggio in base alle persone con cui parla e nulla al riguardo cambierà durante il vertice”.
Poco importa, se la presidenza italiana ha chiesto di togliere il riferimento. L’aborto è una delle armi più importanti di Biden nella campagna presidenziale contro Trump, che attraverso la super maggioranza conservatrice creata nella Corte Suprema lo ha cancellato a livello federale, e il capo della Casa Bianca non può permettersi di firmare una dichiarazione che lo ignora. Significherebbe condannarsi alla sconfitta il 5 novembre.
Biden non vuole attriti con Meloni. Però sui diritti non può cedere, quando la questione esce dal perimetro nazionale per diventare internazionale.
Il discorso è simile per le migrazioni, come ha sottolineato ancora Sullivan: “Due anni fa, al Summit of the Americas di Los Angeles, il presidente ha riunito una ventina di paesi con la Declaration for Migration and Protection. È la sua visione basilare su come fare una gestione dell’immigrazione efficace, umana ed ordinata, che resta al centro del suo approccio e ha tre elementi: primo, attuazione umana ed efficace; secondo, investire nella cause profonde, affinché la gente non senta la necessità di partire; terzo, espandere i percorsi legali per avere migrazioni che possano rilanciare la vitalità della nostra nazione e di altre nazioni nell’emisfero
(da agenzie)

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LA CORTE EUROPEA CONDANNA L’UNGHERIA A PAGARE 200 MILIONI DI EURO PER AVER NEGATO I DIRITTI AI MIGRANTI

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

INOLTRE UNA MULTA DI UN MILIONE DI EURO PER OGNI GIORNO DI RITARDO PER NON AVER DATO ESECUZIONE A UNA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 2020 SULLE PROCEDURE DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE

Razzismo istituzionale. La Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato l’Ungheria a versare una somma forfettaria di 200 milioni di euro e una penalità di un milione di euro per ogni giorno di ritardo per non aver dato esecuzione a una sentenza della Corte di giustizia del 2020 sulle procedure relative al riconoscimento della protezione internazionale e al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Tale inadempimento, che consiste nell’eludere deliberatamente l’applicazione di una politica comune dell’Unione nel suo insieme – spiegano i giudici di Lussemburgo – costituisce una violazione inedita ed eccezionalmente grave del diritto dell’Unione. Nel dicembre 2020 la Corte di giustizia ha dichiarato che l’Ungheria non aveva rispettato le norme del diritto dell’Unione in materia, segnatamente, di procedure relative al riconoscimento della protezione internazionale e al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Tale inadempimento riguardava la limitazione dell’accesso alla procedura di protezione internazionale, il trattenimento irregolare dei richiedenti tale protezione innzone di transito e la violazione del loro diritto di rimanere nel territorio ungherese in attesa di una decisionendefinitiva sul loro ricorso contro il rigetto della loro domanda, nonché l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Ritenendo che l’Ungheria non si fosse ancora conformata alla sentenza del 2020 (tranne per quanto riguarda le zonendi transito, che l’Ungheria aveva già chiuso prima della pronuncia di tale sentenza), la Commissione europea han presentato un nuovo ricorso per inadempimento diretto all’applicazione di sanzioni pecuniarie.
Nella sua sentenza, la Corte accerta che l’Ungheria non ha adottato le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza del 2020 per quanto riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale, il diritto dei richiedenti tale protezione di rimanere in Ungheria nell’attesa di una decisione definitiva sul loro ricorso contro il rigetto della loro domanda e l’allontanamento dei cittadini di Paesi terzi in soggiorno irregolare.
(da Globalist)

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DIOR 56 EURO, ARMANI 98, ALVIERO MARTINI 20: QUANTO PAGANO I BRAND DEL LUSSO PER PRODURRE LE BORSE

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

I GRANDI MARCHI AFFIDAVANO LA PRODUZIONE AGLI OPIFICI CINESI PER POI RIVENDERE IN NEGOZIO I PRODOTTI PER MIGLIAIA DI EURO

Le portiamo a casa in eleganti confezioni, come se non ci fosse cosa più preziosa. E forse così è, dal momento che il loro costo è circa due volte lo stipendio medio di un milanese. Ma dietro alle borse della moda del lusso, ci sarebbero persone sfruttate costrette a lavorare in condizioni di scarsa igiene e dall’assenza di misure di sicurezza. Questo quello che stanno svelando da mesi i controlli dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano: tutto è iniziato con gli accessori di Alviero Marini, poi è stata la volta delle borse di Amani e ora di Dior.
Alla base della produzione di accessori di questi famosi marchi c’è la volontà di abbattere i costi e un sistema che si ripete: le aziende affidano la produzione a società esterne che a loro volta subappaltano a laboratori con lavoratori di origine cinese che si nascondono in qualche struttura del Milanese o in giro per la Lombardia. Alviero Martini, Armani e Dior: cosa sta accedendo, ma soprattutto perché, nonostante queste inchieste, la loro reputazione non sembra in procinto di calare?
I costi di produzione e vendita degli accessori di Alviero Martini
Lo scorso gennaio la prima a finire in amministrazione giudiziaria era stata la Alviero Martini Spa, l’azienda che produce borse e accessori con le carte geografiche. I carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro avevano svelato che la casa di moda, che da vent’anni fa capo alla holding Final Spa, aveva affidato parte della sua produzione a opifici che, a loro volta, avevano subappaltato a laboratori cinesi per – così come per tutti gli altri casi – ridurre i costi e massimizzare i profitti. Ma in questi capannoni gli operai lavoravano in nero e in clandestina, vivevano sul posto di lavoro e cucinavano per tantissime ora al giorno.
Così – dopo sopralluoghi e accertamenti del caso – il Tribunale di Milano aveva emesso la misura nei confronti dell’azienda. La Alviero Martini Spa era stata accusata di non aver controllato i suoi fornitori. Le sue ispezioni interne invece avrebbero potuto svelato prima i sospetti di caporalato.
Poco dopo l’uscita dell’inchiesta era arrivata la nota stampa dell’azienda precisando di “essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la Società né i propri rappresentati, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro”.
Ma come venivano massimizzato i profitti affidando la produzione a laboratori cinesi? Il costo medio di produzione per un accessorio di Alviero Martini era di circa 20 euro: il prezzo di vendita nelle vetrine dello stesso prodotto era invece di 350 euro. Insomma, minor costi basti profitti. A discapito dei lavoratori però.
La prima relazione degli amministratori giudiziari nominati dal Tribunale di Milano hanno fornito parare positivo, segno che le cose potrebbero essere cambiate dopo l’inchiesta. Nel giro di qualche mese quindi potrebbe essere revocata la misura di prevenzione.
I costi di produzione e vendita delle borse di Armani
Passano pochi mesi e i carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro entrano nei laboratori, sempre cinesi e sempre in Lombardia, dove vengono prodotte le borse di Armani. Questa volta a finire in amministrazione giudiziaria è la Giorgio Armani Operations spa. Anche in questo caso la carenza di controlli abbiano agevolato “colposamente” (e quindi non volontariamente) chi è accusato di caporalato, ovvero chi gestisce gli opifici.
Sul posto di lavoro si è scoperto che i lavoratori erano in condizioni di pericolo: oltre al fatto che i “dipendenti” non erano mai stati sottoposti alla visita medica di idoneità, sui macchinari erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dei macchinari e i dispositivi chimici e infiammabili non erano custoditi nel modo corretto.
Con le borse di Armani però i costi iniziano a salire. I carabinieri hanno verificato che la borsa che negli store del brand di alta moda viene venduta a 1.800 euro viene in realtà prodotta a un costo di 93 euro. Con questa cifra l’azienda subappaltatrice non autorizzata vendeva la borsa all’azienda subappaltatrice autorizzata: quest’ultima a sua volta vendeva l’accessorio in questione alla società appaltatrice in house a 250 euro. Fino alla cifra che troviamo nelle vetrine di circa 2mila euro.
L’azienda aveva rilasciato la seguente nota stampa: “Apprendiamo della misura di prevenzione decisa dai Tribunali di Milano nei confronti della Giorgio Armani Operations. La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare il rischio di abusi nella catena di fornitura. La Giorgio Armani Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”.
I costi di produzione e vendita delle borse di Dior
E infine lunedì 10 giugno è finita in amministrazione giudiziaria la Manufactures Dior Srl. Anche in questo caso il copione è lo stesso: lavoratori costretti a operare in condizioni pessime di sicurezza in opifici gestiti da cinesi. I carabinieri con le loro indagini hanno svelato che parte della produzione della pelletteria con marchio Dior avveniva nella società Pelletteria Elisabetta Yang e presso la New Leather: qui le condizioni dei lavoro “erano tali da integrare gli estremi illeciti sfruttamento del lavoro”. I locali dei laboratori “si presentavano in condizioni di insalubrità al di sotto del minimo etico”.
A spiegare i costi di vendita e produzione sono stati anche alcuni lavoratori sentiti dai militari. Uno di loro ha spiegato che le borse avevano un costo variabile dai 35 ai 70 euro. Nel dettaglio, in condizioni si sfruttamento i lavoratori producevano la borsa Dior (modello Po312yky) a un costo di 53 euro, la stessa poi veniva venduta nelle vetrine dei negozi di lusso a 2.600 euro.
L’obiettivo degli imprenditori finiti sotto indagine – ancora una volta – era quello di abbattere i costi di lavoro. Oltre a una produzione a prezzi stracciati, venivano completamente evase le imposte dirette relative al costo dipendenti (contributi, assicurazione infortunio; si pensi ai lavoratori in nero).
Perché queste inchieste non hanno un impatto sulla reputazione delle aziende
Nonostante queste tre inchieste giudiziarie nella moda del lusso, la reputazione del brand non sarebbe mai stata veramente in discussione. Andrea Barchiesi, il fondatore di Reputation Manager (società che si occupa proprio della costruzione della reputazione online di aziende e brand), a Fanpage.it aveva commentato così la “crisi” che sta attraversando l’azienda di Giorgio Armani dopo l’uscita dell’inchiesta:
“Non è così grave, è un po’ tra gli addetti al settore: si è accesa, ma è rimasta bassa di picco e si è quasi subito spenta. Dal punto di vista dell’immagine non ci sarà un forte impatto, molto dipenderà dall’esito giudiziario. Bisognerà vedere come evolverà, ma per adesso si è messa in una camera un po’ tecnica. È una crisi particolare, non c’è interesse, forse anche per l’eccezionalità del personaggio”.
(da Fanpage)

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IL SOVRANISMO FRANCESE RESTA UN AFFARE DI FAMIGLIA: MARION MARÉCHAL ROMPE CON ZEMMOUR E PREPARA IL RITORNO ALL’OVILE DI ZIA MARINE LE PEN

Giugno 13th, 2024 Riccardo Fucile

IL LEADER DI RECONQUETE, CHE HA OTTENUTO IL 5,4% ALLE EUROPEE E NON VUOLE SENTIR PARLARE DI ALLEANZE COL “RASSEMBLEMENT NATIONAL”, SCAPOCCIA: “E’ LEI CHE SI È AUTOESCLUSA DAL PARTITO. SONO DISGUSTATO E FERITO. HA IL RECORD MONDIALE DI TRADIMENTO”

Intervistata dalla tv TF1, la nipote di Marine Le Pen, Marion Maréchal, già numero 2 del partito di Eric Zemmour Reconquête alle europee, ha espresso “tristezza” all’indomani della sua espulsione da parte del leader.
Zemmour l’ha esclusa dal partito accusandola ieri sera di fare il gioco del Rassemblement National (RN) per aver invitato a votare per quel partito e per l’alleanza che farà con i Républicains. La Maréchal ha negato ogni volontà di rientrare nel partito della zia Marine, precisando che non si dimetterà dalla carica di eurodeputata e non si candiderà alla legislative.
Éric Zemmour, leader del partito di estrema destra Reconquête ha annunciato stasera a BFM TV l’espulsione di Marion Maréchal, che nel tardo pomeriggio ha invitato a votare per il Rassemblement National – partito della zia Marine Le Pen in cui militava prima di passare a Reconquête – nell’alleanza con i Républicains. “E’ lei che si è autoesclusa dal partito – ha detto Zemmour – sono disgustato e ferito. La gente non è per forza interessata dalla vita interna dei partiti politici. Ma il suo è un record del mondo del tradimento”
Nuovo colpo di scena nella famiglia Le Pen. Dopo che Marion Maréchal, nipote di Marine, ha tradito il suo clan due anni fa per andare con il partito Reconquête di Eric Zemmour, ieri ha annunciato un divorzio simbolico dall’intellettuale ultrasovranista. Maréchal, 34 anni, era andata lunedì al quartier generale del Rassemblement National per stringere un’alleanza in vista delle elezioni anticipate.
I negoziati però erano stati interrotti da Jordan Bardella, presidente del Rn. L’ostacolo era proprio Zemmour. «Per costruire un’alleanza e una maggioranza è necessaria la fiducia» ha spiegato Bardella. «Le posizioni assunte da Zemmour durante tutta la campagna europea, le invettive che ha usato hanno reso nulle le condizioni per un accordo».
Zemmour non l’ha presa bene e ha deciso di presentare dei candidati di Reconquête in duello con quelli del Rn. Una mossa da cui Maréchal ora prende le distanze, chiamando a «sostenere, in tutta la Francia, i singoli candidati della ‘coalizione di destra’», ovvero i candidati dell’alleanza elettorale tra il Rn e Eric Ciotti, che dice, rappresentano «una speranza senza precedenti di battere Emmanuel Macron e l’estrema sinistra».
La lista di Reconquête, guidata da Maréchal, ha ottenuto il 5,4% alle europee di domenica.
Gli eurodeputati di Reconquête sono affiliati a Strasburgo con i Conservatori di Giorgia Meloni. Maréchal è sposata con Vincenzo Sofo che, a differenza sua, non è riuscito a essere eletto domenica. Nel 2019 era diventato eurodeputato con la Lega, prima di passare a Fratelli d’Italia. Sofo si è fermato al tredicesimo posto al Nord-Ovest con 8.090 preferenze. Nella famiglia dei sovranisti le divisioni e le parentele non sono una rarità: insieme a Maréchal, Reconquête ha fatto eleggere all’europarlamento anche Sarah Knafo, compagna di Zemmour ed eminenza grigia durante l’ultima campagna presidenziale. Ora il partito dell’intellettuale potrebbe subire una scissione e Maréchal potrebbe tornare all’ovile dalla zia.
(da agenzie)

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