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PIER SILVIO SPOSTA SEMPRE PIU’ A SINISTRA MEDIASET, HA CHIESTO A DIRETTORI DELLE SUE RETI DI DARE MAGGIORE SPAZIO NEI TALK A OSPITI DEL PD E AI TEMI DEI DIRITTI E DELLA GIUSTIZIA, IL RAPPORTO “CORDIALE” CON ELLY SCHLEIN “PERSONA CAPACE”

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

UN’INDICAZIONE CHE SEGUE LA SPARATA DI MARINA BERLUSCONI CONTRO TAJANI (“SE PARLIAMO DI ABORTO, FINE VITA O DIRITTI LGBT MI SENTO PIÙ IN SINTONIA CON LA SINISTRA”) E L’INDICAZIONE DEGLI EREDI DEL CAV AI VERTICI DI FORZA ITALIA DI DISTINGUERSI DA MELONI E SALVINI

Diritti, giustizia ma anche maggiore capacità di distinguersi dagli alleati di governo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Non sono solo le parole d’ordine che Marina e Pier Silvio Berlusconi hanno dato nelle ultime settimane ai vertici di Forza Italia (Antonio Tajani si è subito allineato): il secondogenito del fondatore ha spiegato che questi dovranno essere anche i temi principali dei talk e dei telegiornali Mediaset alla ripresa della stagione televisiva a settembre.
E per farlo Pier Silvio, che è l’amministratore delegato del Biscione, ha chiesto a direttori e autori di dare maggiore spazio a una parte dell’opposizione: il Partito Democratico.
Un’operazione che va avanti da tempo, spiegano due fonti interne a Mediaset a conoscenza della questione. Almeno dalla scorsa estate quando il figlio di Berlusconi ha deciso di dare una sterzata “progressista” alle reti del Biscione con l’assunzione di Bianca Berlinguer e Myrta Merlino.
L’ordine è stato quello di puntare sugli ospiti più moderati del partito di Elly Schlein, rispetto a quelli del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra che vengono considerati troppo “radicali”. Insomma, un’opposizione con cui non possono esserci spazi comuni.
Dall’interno di Mediaset fanno sapere che i rapporti tra Pier Silvio e Schlein sono “cordiali” (non ci sono conferme di contatti, anche periodici) e che l’amministratore delegato di Mediaset stimi la leader del Pd, probabilmente anche vedendo in lei la futura presidente del Consiglio con cui sarà utile avere buoni rapporti.
La considera capace, nuova e in grado di superare la fase dell’antiberlusconismo dei vecchi dirigenti dem.
Non è un caso che il secondogenito di Berlusconi non abbia mai attaccato direttamente la leader del Pd limitandosi a chiedere a Forza Italia di “tornare a occupare lo spazio dei moderati”.
Anzi, dopo la presentazione dei palinsesti Mediaset di metà luglio a Cologno Monzese in cui Pier Silvio aveva fatto trapelare la sua volontà di scendere in campo, era stato Tajani a mettere in mezzo la segretaria del Pd dimostrandosi più realista del re: “C’è spazio per noi tra Meloni e Schlein”, aveva detto il segretario azzurro.
Intanto in questi giorni proseguono gli ammiccamenti tra i vertici di Forza Italia e il Pd su alcuni temi: la modifica della legge Severino per tutelare gli amministratori condannati in primo grado, norme per superare l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri fino allo ius soli che ha già ricevuto lo stop di Lega e Fratelli d’Italia.
Convergenze che non stanno piacendo all’entourage della presidente del Consiglio Meloni. “Se Tajani vuole andare con il Pd e fare le nuove larghe intese tanti auguri! Si sta solo facendo usare per dimostrare che siamo fascisti…”, dice un dirigente di Fratelli d’Italia chiedendo l’anonimato perché non autorizzato a parlare della questione.
Ieri Meloni ha fatto uscire il capogruppo Tommaso Foti che ha sconfessato Forza Italia sullo ius soli: “Che l’opposizione provi a dividere la maggioranza è scontato, ma spetta a quest’ultima non farsi tirare per la giacca e realizzare, con serietà e pragmatismo, il programma che con il loro voto gli elettori hanno approvato, evitando di dividersi su temi che la sinistra oggi ritiene fondamentali, salvo averli accuratamente ignorati quando era maggioranza”.
L’irritazione aumenta alla luce delle prossime mosse: Forza Italia vuole portare con sé il deputato meloniano Andrea De Bertoldi, appena espulso da Fratelli d’Italia perché accusato di aver fatto alcune consulenze a imprese del settore geotermico.
Il nuovo corso di Mediaset però ha ricadute anche sugli altri partiti della maggioranza di governo. Da FdI fanno sapere da mesi di non sentirsi rappresentati abbastanza nei nuovi talk show del Biscione e, anzi, di essere trattati come un partito di opposizione. Per non parlare della Lega che ormai vede parte della famiglia come un nemico fino a proporre di alzare i tetti pubblicitari della Rai facendo infuriare Mediaset.
(da Il Fatto Quotidiano)

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I CAPOCCIONI DEI PALAZZI ROMANI SI RIMBALZANO LA DOMANDINA: “QUANTO DURA IL GOVERNO MELONI?”. LA VOCE PREVALENTE È CHE LA DUCETTA POTREBBE MANGIARE IL PANETTONE 2024 MA DIFFICILMENTE ASSAGGERÀ LA COLOMBA PASQUALE 2025

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

A SETTEMBRE, I NODI ARRIVERANNO AL PETTINE (FINANZIARIA, PNRR, PATTO DI STABILITÀ, MES, ETC.) ED INIZIERÀ UNA VIA TRUCIS PER IL GOVERNO MELONI CHE HA COME GOLGOTA IL REFERENDUM SULL’AUTONOMIA… L’ESITO È SCONTATO (SONDAGGI: CONTRARI ALL’AUTONOMIA DAL 65 AL 75%) E LA MELONA, CAPITA L’ANTIFONA, SI È PREMURATA DI AVVERTIRE CHE NON SE NE ANDREBBE SE LO PERDESSE… MA CHE FARÀ SALVINI DAVANTI AL CROLLO DELLA LEGGE-SIMBOLO DELLA LEGA?

Sotto gli ombrelloni o alla fine dello stillicidio di telefonate di Ferragosto, tra una freddura e una frittura (“Questo non è caldo… è cattiveria!”; “Si sta come nel forno con le patate”, etc.), tra i capoccioni dei Palazzi romani decolla immancabile la domandina: “Secondo te, quanto dura il governo Meloni?”.
Ebbene la voce prevalente tra coloro che ne hanno viste di tutti i colori e dolori, è che la Ducetta potrebbe mangiare il panettone 2024 ma difficilmente assaggerà la colomba pasquale 2025.
Alla ripresa settembrina, come scritto più volte, con la presentazione della Finanziaria i nodi arriveranno al pettine ed inizierà una interminabile Via Trucis. Per il governo Ducioni non basterà, infatti, il “tesoretto” derivante da inaspettate entrate fiscali per coprire i mille buchi (cuneo fiscale, pensioni, Superbonus, etc.) che minacciano di intaccare il consenso popolare di cui ancora gode Fratelli d’Italia.
Altro calcio in culo in preparazione è rappresentato dal voto in autunno in tre regioni (Umbria, Emilia-Romagna e Liguria), dove il “campolargo” della sinistra rischia davvero di fare bottino pieno.
Così, tra smorfie e moine da attrice di borgata, inizieranno a cadere le tante simulazioni del Camaleonte del Colle Oppio: in primis, quella di essere una leader liberal-conservatrice.
Infatti, del tutto ignara di cultura del potere e priva di una classe dirigente all’altezza, più che governare, in questi due anni di governo, la Melona è stata capace solo di fare l’opposizione all’opposizione.
Del resto, il Grande Balzo da via della Scrofa a Palazzo Chigi di Fratelli d’Italia avvenne grazie alla scelta, unico partito, di tenersi fuori dalla maggioranza del governo Draghi, risucchiando così la mega bolla del Papeete di Salvini (“Voglio pieni poteri!”) e anche una buona quota di voti arrabbiati di elettori grillini, proponendosi come Partito della Provvidenza, ultima occasione di cambiamento dopo i fallimenti di Lega e Movimento 5 Stelle.
La crescente stizza degli euro-poteri per l’ex “Regina della destra europea”, così tremante davanti alle caldane vannicciane di Salvini da perdere il controllo degli otoliti bocciando Ursula sia in Consiglio Europeo come premier, sia in Commissione come leader di Fratelli d’Italia, farà sì che la “Nazione”, come la chiama lei, non avrà un Commissario UE di prima fascia, né sconti sul Pnrr (come avuti da Francia e Germania), né aperture per riconfigurare il nuovo Patto di Stabilità.
Ma l’incazzatura dei poteri al comando dell’Unione Europea (Macron, Scholz, Tusk, Sanchez) verso l’unico stato che non ha ratificato il Mes, ora fa scopa anche con l’irritazione degli americani dopo che a Borgo Egnazia “Io so’ Giorgia”, presidente di turno del G7, ha confuso le apparenze e il cerimoniale con la realtà, pensando di trasformare il suo ego nell’ago della bilancia del summit, col risultato di scontentare tutti ed essere considerata da tutti velleitaria e, soprattutto, inaffidabile.
E soprattutto sul futuro prossimo di Meloni sta l’orizzonte, che potrebbe negare la colomba pasquale 2025 e far cadere Il governo prima della fine della legislatura 2027, del referendum abrogativo dell’Autonomia differenziata, legge simbolo di quello che resta della Lega di Salvini.
E dato che trovare una maggioranza dei due terzi in Parlamento è una sfida quasi impossibile, il referendum, previsto in primavera, sarà inevitabile.
Secondo gli ultimi sondaggi riservati, la percentuale di italiani pronti ad abrogare l’Autonomia tocca una forchetta che va dal 65 al 75%. Dato che non deve sorprendere visto che, oltre ai partiti di opposizione, è contraria Forza Italia, che raccoglie gran parte dei suoi voti in Sicilia, Calabra e Campania, dove la norma di Calderoli è vista come il fumo agli occhi, ma anche quella parte di Fratelli d’Italia di stampo statalista.
Quindi l’esito del referendum costituzionale è scontato, e la Meloni che nella conferenza stampa di fine 2023 aveva ammesso il baratto con Salvini (“L’autonomia si tiene perfettamente con il premierato”), una volta capita l’antifona, la Giovanna d’Orco della Garbatella si è premurata di travestirsi da orsolina e di avvertire che non se ne andrebbe se lo perdesse.
Davanti alla minaccia di una tale fine ingloriosa del governo Due-Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano si è arrampicato così sugli specchi: “La premier ha fatto un discorso chiaro. Ha detto che questa riforma è uno dei punti più qualificanti del programma con il quale il centrodestra si è presentato agli elettori e ha avuto il consenso e la fiducia. Ci sono tanti altri punti del programma e il grado di apprezzamento del governo in carica da parte degli elettori sarà espresso sulla base dello sforzo e dei risultati di realizzazione dell’intero programma, quindi anche su questa voce specifica, ma non c’è un rapporto di causa effetto: se perde il referendum il governo va a casa. Non è mai stato presentato in questi termini”.
Quindi sappiamo che, anche in caso di sconfitta, a differenza di Renzi, Meloni non se ne va da Palazzo Chigi. Ma che farà Salvini davanti alla bocciatura delle legge-simbolo del Carroccio?
Il Capitone ha due strade. Come la sua premier, potrebbe spalancare le braccia e dire: pazienza, ci inchiniamo al voto del popolo sovrano. Oppure: visto lo stato di fibrillazione della Lega, l’altra via di Salvini potrebbe portarlo verso a un Papeete numero 2: l’addio all’alleanza di governo e con le conseguenti dimissioni del premier.
A quel punto Sergio Mattarella, prima di sciogliere le Camere, dall’alto del Colle aspetterà di vedere se la Ducetta riuscirà a rimettere in piedi una maggioranza di governo.
Altrimenti, in caso di voto anticipato, per Fratelli d’Italia sarebbe un disastro: si presenterebbe senza la coalizione di centro destra e quindi senza premio di maggioranza mentre per l’opposizione il campolargo si trasformerebbe in una “gioiosa macchina da guerra”.
(da Dagoreport)

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SALLUSTI SI E’ SVEGLIATO MALE: “VOGLIONO INDAGARE ARIANNA MELONI” E SCATTA LA RIDICOLA CHIAMATA ALLE ARMI: “NON PASSERANNO”

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

DONZELLI EVOCA UNA COSPIRAZIONE ORCHESTRATA ADDIRITTURA DA RENZI CHE REPLICA; “QUESTI VEDONO I FANTASMI, SOFFRONO DI ANSIA DA COMPLOTTO”

“Vogliono indagare Arianna Meloni”, titola il Giornale in prima pagina e in un editoriale Alessandro Sallusti parla apertamente di “gioco di sponda” tra “giornali ostili, magistrati e sinistra” che nasconderebbe una vera e propria “campagna per accerchiare la sorella della premier”. Scoppia così il caso Arianna e con sistematico tempismo arriva la batteria di dichiarazioni di Fratelli d’Italia a esprimere sdegno, solidarietà e un avvertimento: “Non passerete”.
Il direttore del quotidiano di proprietà degli Angelucci evoca un presunto “metodo Palamara”, “in grado di deviare il corso della democrazia”. In pratica un sistema politico-giudiziario costruito ad arte “per azzoppare l’avversario”. La prova? Un’”attenzione sproporzionata” verso la dirigente di FdI che porterebbe all’accusa di “traffico d’influenze”.
Sallusti indica nei renziani i mandanti politici dell’operazione. A partire dalla senatrice Iv Raffaella Paita che aveva attaccato la responsabile della segreteria politica di via della Scrofa “per l’influenza sulle nomine Rai” e sul rinnovo dei vertici alle Ferrovie dello Stato. Accuse – scrive Sallusti – “amplificate sia da Maria Elena Boschi sia da Matteo Renzi”.
Il retroscena del Giornale, come detto, non passa inosservato in quel di FdI. Il primo a intervenire è il presidente dei senatori Lucio Malan che parla di “inquietante possibile sbocco giudiziario della campagna contro Arianna Meloni”. A cui il capogruppo alla Camera Tommaso Foti esprime “solidarietà piena”, aggiungendo “un messaggio ai mestatori professionali: ‘Non passerete'”. Per la vicecapogruppo alla Camera Augusta Montaruli, “usare la magistratura come un grimaldello per colpire non solo un governo legittimamente eletto ma persone specchiate, con il ‘metodo Palamara’, è meschino, vile e caratteristico delle peggiori dittature”. Mentre il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove accusa la sinistra “di livore, rabbia e odio”. “L’altro giorno si è passato il segno associando la parolina magica ‘influenza’ a Arianna Meloni e quindi accusandola indirettamente di un reato: il traffico di influenze”, aggiunge. Reato peraltro, come molti giuristi hanno osservato, “sterilizzato” dal ministro Carlo Nordio.
Ma intanto la valanga è partita e il responsabile Organizzazione di FdI Giovanni Donzelli posta un video in cui ipotizza senza mezzi termini una “cospirazione per fermare governo e riforme” e un tentativo di “inquinare la democrazia”.
Anche la Lega si schiera nella vicenda. Con il vicesegretario del Carroccio, vicino a Salvini, Andrea Crippa che parla di “scenario preoccupante perché verosimile”.
Tirata in ballo, la senatrice Paita replica: “Ritrovarsi ad essere accusati di ordire fantomatici complotti giudiziari come hanno fatto Alessandro Sallusti e a ruota lo Stato maggiore di FdI è pura fantascienza”. “Non ci faremo intimidire” – aggiunge – “Giorgia Meloni deve venire a rispondere in aula e dirci: è vero o no che Arianna Meloni è intervenuta nelle nomine? E se sì, a che titolo?”. Interviene anche Renzi che si domanda “se le sorelle Meloni vedono i fantasmi”. “In questa domenica di agosto ci tocca rispondere alle aggressioni di Fratelli d’Italia e alle ansie da complotto della famiglia della premier”, aggiunge il leader di Iv che parla di “linguaggio di odio, violento e squadrista”.
(da agenzie)

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C’È DA DOMANDARSI COME POSSANO SENTIRSI A CASA LORO, I SEDICENTI “MODERATI”, NELLA COALIZIONE GESTITA COME UNA CASERMA DALLA “DONNA SOLA AL COMANDO”

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

IL 14 OTTOBRE 2022, BERLUSCONI AGITÒ IN AULA AL SENATO UN FAMOSO PEZZO DI CARTA, DOVE DI SUO PUGNO AVEVA SCRITTO: “GIORGIA NON È DISPONIBILE AI CAMBIAMENTI, È UNA CON CUI NON SI PUÒ ANDARE D’ACCORDO: SUPPONENTE, PREPOTENTE, ARROGANTE, OFFENSIVA”. SE QUEL FOGLIETTO ESISTE ANCORA, È IL MOMENTO CHE MARINA E PIER SILVIO LO RITIRINO FUORI DAI CASSETTI DI VILLA SAN MARTINO

Cos’altro è diventata, questa rovente estate meloniana, salviniana e vannacciana, se non una continua esalazione di fumi tossici generati da un’ideologia oscurantista e cattivista, cieca e sorda di fronte alla realtà? Le crociate da atei devoti contro il Dioniso delle Olimpiadi francesi. Le squallide proteste anti-gender sul cromosoma di Imane Khelif.
L’esaltazione della pugile-patriota Angela Carini, promossa testimonial a sua insaputa del Ponte sullo Stretto. La ripugnante discussione sui «tratti somatici» di Paola Egonu, lodata come «esempio di integrazione» in un penoso tweet di Bruno Vespa e “violata” per l’ennesima volta da qualche autoctono imbecille in un bel murale della street artist Laika.
Se ne fregano dello ius soli, dello ius scholae, dello ius culturae. Oggi come negli Anni Venti e Trenta dell’Europa Nera, il loro credo è ancora Blut und Boden: sangue e suolo.
Tutto il resto è meticciato. Dunque, fuori dalla “Nazione” e dalla cittadinanza, fuori dalla sacra triade Dio-Patria-Famiglia e dai diritti fondamentali.
Ma sappiamo anche un’altra cosa: dal decreto-carceri alle norme sull’integrazione, dai diritti civili all’Autonomia Differenziata, dalla collocazione in Europa alle elezioni in America, si è aperta una faglia, che vede Forza Italia su posizioni sempre più distinte e distanti da quelle di Meloni e di Salvini.
È probabile che questa parziale autonomizzazione politica di Antonio Tajani sia scattata grazie alla vecchia cinghia di trasmissione tra la famiglia Berlusconi e il partito-azienda, che i figli hanno rimesso in moto due mesi fa, «nel nome del padre» e del suo «amore per la libertà».
Ma se l’ispirazione è sincera, allora c’è da chiedersi come possano convivere l’idea di centro-destra custodita dagli eredi del Cavaliere e la dottrina della destra-destra propalata dai nipotini di Almirante. C’è da domandarsi come possano sentirsi a casa loro, i sedicenti “moderati”, nella coalizione gestita come una caserma dalla “donna sola al comando”.
Il 14 ottobre 2022, dopo un sacrosanto “vaffa” all’indirizzo del traditore Ignazio La Russa, l’Unto del Signore agitò in aula al Senato un famoso pezzo di carta, dove di suo pugno aveva scritto: “Giorgia non è disponibile ai cambiamenti, è una con cui non si può andare d’accordo: supponente, prepotente, arrogante, offensiva”. Aveva aggiunto anche “ridicola”, poi l’aveva cancellato. Se quel foglietto esiste ancora, è il momento che Marina e Pier Silvio lo ritirino fuori dai cassetti di Villa San Martino.
(da La Repubblica)

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IL CASO DELLA GIORNALISTA RAI STEFANIA BATTISTINI, IL DG ROSSI E L’AD USCENTE SERGIO HANNO VOLUTO A TUTTI I COSTI RIPORTARE IN ITALIA LA REPORTER, MENTRE IL DIRETTORE DEL TG1 CHIOCCI ERA CONTRARIO

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

I SERVIZI ITALIANI, D’ACCORDO CON MOSCA, AVEVANO TROVATO UN COMPROMESSO: LASCIARE BATTISTINI IN UCRAINA, SPOSTANDOLA A KIEV… LA DUCETTA È INCAZZATA NERA CON IL FEDELISSIMO ROSSI, PERCHÉ LA SCELTA DI RIMPATRIARE LA GIORNALISTA APPARE UN CEDIMENTO AI DIKTAT RUSSI

Un enorme pasticcio aziendale, capace di trasformare uno scoop mondiale in una fuga. Una decisione assunta dal dg della Rai Giampaolo Rossi e dall’ad Roberto Sergio, ostinatamente. Che interpreta forse un sentimento crescente in settori dell’esecutivo, critici verso l’attacco ucraino sul suolo russo. E che adesso, però, imbarazza l’Italia con gli alleati e infastidisce Palazzo Chigi.
È un giallo politico e diplomatico, quello del rientro precipitoso a Roma imposto a Stefania Battistini. Nato da un servizio esclusivo nelle campagne di Kursk, ma diventato caos ai piani alti della tv pubblica. Ricostruiamolo, avvalendoci di fonti interne a viale Mazzini, agli Esteri e alla Presidenza del Consiglio.
È estate piena e Battistini agisce con discrezione e rapidamente. Grazie ai suoi contatti, riesce a entrare in Russia – nella porzione di territorio occupato dagli ucraini – e racconta per immagini a bordo di un tank di Kiev le enormi falle nella difesa di Mosca. Il Cremlino è furioso. Minaccia. È il primo bivio, un caso mediatico che diventa diplomatico e politico.
Ai vertici di viale Mazzini – raccontano fonti aziendali – la preoccupazione è massima. La paura è che tutto sfugga di mano. Si ipotizza perciò quasi immediatamente un rientro anticipato dell’inviata in Italia. A premere per questa soluzione è soprattutto Rossi. Il direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci – da tempo in profondo freddo proprio con il dg – è invece per una linea di compromesso e favorevole a lasciare Battistini sul terreno, spostandola però da Sumy a Kiev. Si media e si raggiunge un’intesa di massima.
Si muovono ovviamente anche i servizi, si apprende. Considerano la soluzione costruita per Battistini praticabile. Come sempre in questi casi, parlano con la controparte russa. L’obiettivo è evitare ritorsioni. Tra queste, anche possibili restrizioni – o addirittura la chiusura – della sede Rai di Mosca. La Farnesina si muove in questa direzione, con la stessa soluzione in tasca: Battistini nella capitale ucraina, qualche segnale distensivo al Cremlino per alleggerire il clima.
E invece, è proprio a questo punto che i vertici Rai imprimono un’improvvisa accelerazione. Rossi e Sergio decidono di far rientrare Battistini. La cronista, raccontano varie fonti sul campo, non la prende bene. Vorrebbe restare. Lavora sul fronte da più di due anni e viene invitata alla ritirata dopo un colpo giornalistico del genere. Il segnale è evidentemente deflagrante, perché si inserisce in un quadro di enorme difficoltà diplomatica che sta già lacerando il governo italiano dal giorno dell’invasione di Kursk.
L’esecutivo, infatti, sbanda paurosamente fin dalle prime notizie del contrattacco di Kiev. Il primo a esporsi è Guido Crosetto: nessun Paese, dice, deve invaderne un altro, «è un principio generale». Uno smarcamento che mette in difficoltà Meloni e spinge Palazzo Chigi a far esporre alcuni parlamentari a favore dell’offensiva di Kiev, giudicato utile alla futura trattativa di pace. Ma non basta.
Il governo ribadisce di non voler consentire l’utilizzo di armi italiane per colpire target in Russia, facendo storcere il naso agli alleati occidentali. La Lega intanto, per bocca del capogruppo Massimiliano Romeo, critica duramente l’azione dell’Ucraina: «Il tentativo di incrementare il proprio capitale spendibile al tavolo negoziale con gli attacchi sul suolo russo potrebbe comportare un’escalation militare che allontana una soluzione pacifica».
Ecco il quadro in cui si inserisce la decisione dei vertici aziendali Rai. Una mossa che, almeno secondo fonti diplomatiche a lei vicine, non sarebbe piaciuta a Giorgia Meloni. La ragione sta nell’enorme rischio di mostrarsi troppo cedevoli di fronte alle pressioni di Mosca.
Sia chiaro, la premier si muove su questo terreno con enorme cautela e non esiterà, se necessario, a ricalibrare la linea dell’esecutivo in caso di vittoria di Donald Trump. Già da qualche settimana difende le ragioni di Kiev con un po’ meno intensità di un tempo. Al momento, però, non può e non vuole scoprirsi sul fronte atlantico. E potrebbe manifestare questa linea già nei prossimi giorni.
(da Repubblica)

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GLI “SCHIAVI” CONTINUANO A MORIRE NELLE CAMPAGNE ITALIANE: A DUE MESI DAL CASO DI SATNAM SINGH, UN ALTRO BRACCIANTE INDIANO È MORTO NELL’AGRO PONTINO

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

SI CHIAMAVA DALVIR SINGH, AVEVA 54 ANNI ED ERA ASSUNTO CON CONTRATTO REGOLARE… SI È ACCASCIATO A TERRA, PROBABILMENTE A CAUSA DI UN MALORE DOVUTO AL CALDO E ALLA FATICA… ELLY SCHLEIN: “VITTIMA DELLO SFRUTTAMENTO, NON SI PUO’ LAVORARE CON 40° ALL’OMBRA”

Si chiama Dalvir Singh, aveva 54 anni, faceva il bracciante indiano con regolare contratto a Borgo Piave, alle porte di Latina. Nel tardo pomeriggio di venerdì è morto mentre lavorava, probabilmente a causa di un malore dovuto al caldo e alla fatica, si è accasciato e non è stato possibile rianimarlo.
A due mesi dal dramma di Satnam Singh e dalle proteste sindacali che ne se sono seguite, questa vicenda riporta il tema all’attenzione pubblica. Secondo quanto ricostruito dai primi accertamenti dei carabinieri della stazione di Borgo Podgora – i contorni della vicenda però sono molto diversi rispetto al caso del 31enne, abbandonato quando ancora era vivo con un braccio amputato, per questo il suo datore di lavoro Lovato è finito in carcere.
Domani a Sabaudia è fissata l’autopsia sul corpo di Dalvir, come avviene in questi casi è stato aperto un fascicolo, l’ipotesi di reato omicidio colposo, contro ignoti. Dagli accertamenti svolti finora è emerso che il 54enne era assunto dal 2020 presso l’azienda specializzata in silvicoltura, con un contratto. Viveva solo, a qualche chilometro di distanza, nella zona di Cori.
Venerdì mattina era arrivato in azienda per irrigare tra le 8 e le 10, poi per evitare di tornare indietro in bici, si era fermato in un capanno, verso le 17.30 alla ripresa del lavoro si è sentito male. La domanda a cui dovrà dare risposta l’autopsia è se siano stati presi tutti gli accorgimenti per evitare la tragedia.
In una nota interviene anche la segretaria del PD Elly Schlein: “Solo un mese fa, dopo quello che è accaduto a Satnam Singh, il Governo prometteva che avrebbe contrastato in ogni modo ‘l’Italia peggiore’, quella del caporalato e dello sfruttamento. Ieri invece è stato stroncato nei campi a 40 gradi all’ombra Dalvir Sing, 54 anni. Questi non sono incidenti sul lavoro ma sono persone uccise dallo sfruttamento in condizioni di lavoro inumane. La presidente Meloni e il suo Governo intendono occuparsene? O continueranno a fare proclami di circostanza solo di fronte all’onda emotiva dei singoli drammatici episodi di cronaca?”.
“Il Pd – aggiunge – continuerà a incalzare il Governo e a battersi per dire che servono più risorse per attuare la legge contro il caporalato e lo sfruttamento, per la prevenzione, per creare sistemi di protezione per chi denuncia il caporalato e lo sfruttamento, serve fare molto di più per la sicurezza sul lavoro, per responsabilizzare le aziende e per arginare la piaga della precarietà e della manodopera senza salari dignitosi e senza diritti”.
(da agenzie)

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LO SPOT EFFICACE DEI DEMOCRATICI USA: TRUMP GUIDA UNO SCUOLABUS VUOTO, COME LO VEDE ALLA GUIDA UNA MADRE NON FA SALIRE LA FIGLIA

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

“SE NON TI FIDI A LASCIARGLI I TUOI FIGLI, PERCHE’ AFFIDARGLI IL PAESE?”

Una madre in attesa alla fermata dello scuolabus con la figlia, il pulmino giallo che si ferma e alla guida c’è l’ex presidente degli Stati Uniti. La campagna elettorale negli Stati Uniti passa anche dalle decine di spot, nazionali e locali, che gruppi e singoli candidati alla Casa Bianca nelle elezioni di novembre confezionano per i due sfidanti Donald Trump e Kamala Harris.
In quello del deputato californiano al Congresso Eric Swalwell, già sfidante di Joe Biden per pochi mesi come candidato democratico alle presidenziali del 2020, l’ex presidente repubblicano viene rappresentato come un autista poco affidabile, che ripete alcuni dei suoi slogan.
La mamma decide di non far salire sua figlia sul bus, preferendo accompagnarla di persona, e il video continua: «Se non ti fidi a lasciarlo con i tuoi figli, perché affidargli il Paese?».
(da agenzie)

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SICCITA’, BONELLI CHIEDE LO STATO DI CRISI: “CHI L’HA VISTO IL COMMISSARIO NOMINATO DA MELONI?”

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

L’EMERGENZA IDRICA ATTANAGLIA IL SUD E IL GOVERNO DORME

“C’era una volta il commissario contro la siccità, nominato dal governo Meloni. Ma chi l’ha visto? E soprattutto, cosa ha fatto?”.
Così Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra, lancia le accuse contro il governo mentre il Paese – specialmente nel Sud e Isole soffre per la mancanza di acqua – : “Spicca il silenzio della premier Meloni, che non è riuscita a pronunciare una parola sul disastro in corso nel nostro Paese”.
Da maggio 2023 è Nicola Dell’Acqua a guidare la cabina di regia sull’emergenza idrica voluta dal governo Meloni. Il dirigente era a capo di Veneto Agricoltura, dopo essere stato direttore dell’Arpav e aver ricoperto lo stesso ruolo per il presidente Luca Zaia.
“Per quanto ci riguarda, è necessario dichiarare lo stato di crisi climatica e adottare provvedimenti conseguenti”, la richiesta di Bonelli che ricorda come “in Sicilia, la siccità e la desertificazione hanno causato danni per oltre 3 miliardi di euro, con una riduzione del 70% della produzione cerealicola e del 45% delle coltivazioni arboree. In alcune aree particolarmente colpite dalla siccità, vigneti e agrumeti sono stati estirpati”. E prosegue: “In Puglia la produzione di olive è prevista in calo del 50%, mentre in Basilicata la produzione di grano potrebbe diminuire del 90%. La situazione è grave anche in Abruzzo e Calabria”.
L’estate 2024, secondo i dati Copernicus, è stata la più calda di sempre. La temperatura dei nostri mari ha raggiunto i 30 gradi, provocando la proliferazione di mucillagine, con danni alla biodiversità e all’economia e l’ingresso nei nostri mari di specie aliene, “di cui 134 sono state censite come pericolose per l’equilibrio ambientale”.
A lanciare l’allarme anche la Coldiretti, con il Meridione assediato dalla mancanza di pioggia in un 2024 che si conferma anche in italia il più caldo di sempre. Secondo i nuovi dati di Isac Cnr, i primi sette mesi dell’anno hanno fatto registrare una temperatura di 1,55 gradi superiore alla media dal 1880 ad oggi, con una punta di 1,72 gradi proprio al Sud.
In questo contesto emerge la difficoltà degli amministratori locali. Il governatore ed esponente FdI Marco Marsilio ha chiesto lo stato di emergenza per l’Abruzzo. Il presidente della Regione siciliana Renato Schifani ha chiesto poteri in deroga per ripristinare i dissalatori abbandonati. La presidente della Sardegna Alessandra Todde ha lamentato la mancanza di risorse da parte del governo contro l’emergenza.
E la carenza d’acqua potabile, necessaria per l’irrigazione dei campi, preoccupa gli epidemiologi come Massimo Ciccozzi: “La siccità che è anche un problema di sanità pubblica. Chi consumerebbe frutta e verdura senza problemi?”.
(da agenzie)

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LE CARCERI ITALIANE SONO UNA POLVERIERA: IERI SERA È SCOPPIATA UNA RIVOLTA NELLA CASA CIRCONDARIALE DI BARI. SETTANTA DETENUTI HANNO SEQUESTRATO UN INFERMIERE E AGGREDITO UN AGENTE DELLA PENITENZIARIA

Agosto 18th, 2024 Riccardo Fucile

LA PROTESTA DEI SINDACATI CONTRO IL GOVERNO: “A BARI A FRONTE DI 252 POSTI DISPONIBILI, SONO PRESENTI BEN 390 DETENUTI, GESTITI DA 220 POLIZIOTTI PENITENZIARI QUANDO NE SERVIREBBERO ALMENO 449.”

Sembra tornata la calma ma nella serata di venerdì 17 agosto si è temuto il peggio per una rivolta scoppiata nel carcere di Bari. Verso le 20 è arrivato un allarmante comunicato dei sindacati della polizia penitenziaria.
Questo: «Gravissimi disordini sono in corso presso la Casa circondariale di Bari. Dalle primissime notizie che ci giungono, alcuni detenuti di una sezione detentiva avrebbero sequestrato un’infermiera e aggredito violentemente l’appartenente alla Polizia penitenziaria in servizio, che cercava di impedirlo. Sarebbero stati richiamati gli agenti di riposo e altri sarebbero stati inviati da diverse carceri della regione». Sono le parole con cui Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, ha diffuso la notizia. In realtà, si è saputo dopo, la vittima del sequestro è stato un infermiere e non una infermiera.
La rivolta sarebbe cominciata intorno alle 20, circa settanta detenuti della seconda sezione dell’istituto, al primo piano dove sono reclusi i detenuti per reati comuni, hanno iniziato a protestare, danneggiando suppellettili e dando fuoco a lenzuola e coperte. Nel corso della rivolta è stato sequestrato un infermiere del reparto e aggredito violentemente un agente penitenziario che ha riportato ferite al volto. L’agente è stato portato in ospedale.
«A Bari – dice De Fazio della Uilpa – a fronte di 252 posti disponibili, sono presenti ben 390 detenuti, gestiti da 220 poliziotti penitenziari quando ne servirebbero almeno 449. Ormai il Re è nudo, è chiaro a tutti che il decreto carceri e la sua conversione in legge non sono serviti e non serviranno a nulla. La premier, Giorgia Meloni, sospenda le ferie e convochi una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri».
(da Il Corriere della Sera)

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