FINISCE L’ERA DEI PANETTONI GALUP : CHIUSURE E CESSIONI, COSI’ CAMBIANO I PRODOTTI STORICI
DALL’ALIMENTARE AI FRIGORIFERI, LA TRASFORMAZIONE DELL’INDUSTRIA DAL BOOM ECONOMICO AD OGGI
Quest’anno, a Natale, niente panettone Galup.
La storica azienda di via Finestrelle, nel centro di Pinerolo, ha firmato l’accordo con il sindacato per la messa in mobilità dei lavoratori. Le banche hanno staccato la spina. Sembrano lontani anni luce i caroselli interpretati da Erminio Macario, l’artista torinese per eccellenza: raccomandava il panettone di monsù Ferrua e ci avvertiva che venivano a comprarlo anche da Torino, fino da Mondovì, non prima di aver salutato madamin Rosa e la sua «bela carusseria».
La Galup, nata come pasticceria in un piccolo forno di mattoni rossi nel cuore della cittadina piemontese, è stata la prima a produrre il panettone basso ricoperto di glassa alle nocciole delle Langhe e nel 1937 aveva ottenuto il brevetto di «fornitore della Real Casa».
A Torino (ma anche a Genova, con un altro impasto) il panettone basso, a Milano, con Motta e Alemagna, il panettone alto, alto come il Duomo.
Un’altra storica azienda dell’alimentare chiude i battenti.
Il destino sembra già scritto: il capannone, 10 mila metri quadrati nel centro di Pinerolo, fa gola agli immobiliaristi, che infatti hanno già manifestato interesse all’acquisto.
Il marchio, forse, se lo contenderanno altri produttori di panettoni, che vorrebbero usarlo per i loro prodotti di alta gamma.
Galup è parola dell’infanzia: in piemontese vuol dire «goloso» e veniva usato quasi sempre in senso negativo per sgridare qualche ragazzo che si mostrava, appunto, troppo goloso, troppo ingordo.
Ma era anche un marchio di qualità : quando di un cibo si diceva che «a l’è propri galup» era come assegnarli le stelle Michelin.
La Galup si era trasformata in fabbrica nel 1948, quando monsù Pietro Ferrua aveva messo in piedi una piccolo laboratorio industriale.
E, a partire dagli anni 70, fino al trionfo degli 80, i panettoni Galup si erano affermati in tutto il mondo.
Grazie anche alla televisione, agli spot interpretati da Macario, a sottolineare la piemontesità assoluta del prodotto.
Già , a ben pensarci, dopo Motta, dopo Alemagna, dopo Galup sta finendo l’industria italiana legata a Carosello.
L’industria del boom economico, l’industria che ha fatto grande l’Italia: i frigoriferi, i televisori, gli aspirapolvere, le lavatrici, i detersivi, gli aperitivi e tutto quell’universo merceologico che ha accompagnato per mano gli italiani nel processo di modernizzazione, ne ha rispecchiato i problemi e le aspirazioni all’emergere della società dei consumi.
Quello spazio pubblicitario ha avuto molti meriti, si è subito proposto come una sorta di galateo del consumo.
Se si scorre l’elenco dei vecchi spot pubblicitari è come leggere degli epitaffi, percorrere un ideale viale di Spoon River.
Magari i marchi esistono ancora, sono stati assorbiti da qualche multinazionale, ma hanno perso senso e storia.
Ogni rèclame sembra raccontare una vita, un’impresa, la fatica di affermarsi, l’identità italiana, la gioia del benessere, abitudini tenaci, profondi affetti, ma ora, sotto la polvere di qualche teca, «tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina».
Aldo Grasso
(da “il Corriere della Sera”)
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