GENOVA SENZA “PROTEZIONEâ€
LA MACCHINA CRESCIUTA IN EPOCA BERTOLASO NON È SOLO RESPONSABILE DEL MANCATO AVVISO DELLA PIENA
“Grazie a dio che ci sono i bamboccioni. Li prendiamo pure per il sedere… e invece quei ragazzi ci hanno ripulito la città . Perchè se fosse per noi, per la Protezione civile, saremmo ancora sotto il fango”.
Luigi si prende la pettorina colorata, se la strattona quasi: “Qui lo Stato non s’è visto. Non s’è visto proprio nessuno. A parte il sindaco che quasi lo prendevano a calci nel sedere, tutti gli altri se la sono data a gambe levate perchè avevano il terrore di mettere la loro faccia su questa disfatta… premier, ministri, governatori e assessori… nemmeno l’ombra”.
Meno male che lo dice lui, Luigi, che è proprio della Protezione civile.
Del resto bastava guardarsi intorno venerdì e sabato: migliaia e migliaia di persone che spalavano, che ripulivano la città .
Praticamente tutti privati cittadini.
Anche questo ha sommerso la tragedia di Genova: il mito della Protezione civile.
“Guardi, a me non me ne frega niente delle polemiche. Ho altro a cui pensare, guardi com’è ridotto il mio salotto… ma per due giorni non ne ho visto nemmeno uno di quelli lì”,
Rosetta Aloi indica con il dito un enorme fuoristrada della Protezione civile che passa a sirene spiegate per le strade di Borgo Incrociati. Aggiunge: “Ora si fanno vedere! Ora mettono il lampeggiante!”.
Accanto a Rosetta c’è Lucia, una studentessa universitaria con la maglietta della Sorbona.
Sorride, si punta un dito in mezzo al petto: “Siamo noi la Protezione civile”.
Assenti i rappresentanti delle istituzioni, la gente di Genova è tentata di prendersela con loro: quegli uomini con il caschetto e la pettorina che una volta erano visti come gli angeli custodi.
Ormai non bastano per calmare i genovesi. Del resto gli appigli per le polemiche non mancherebbero.
Sono gli stessi operatori della Protezione civile regionale a darsi il primo schiaffo da soli: “Che cosa posso dire? Sì, è vero, l’allarme doveva venire da noi. Ma per colpa di quelle maledette previsioni, di un modello matematico del belino non siamo riusciti a lanciare l’avvertimento”, sussurra uno degli addetti della sala operativa.
A Genova la Protezione civile ha tre centri: quello regionale (23 dipendenti, di cui dodici sempre reperibili), che fa capo all’assessore Raffaella Paita; poi quello comunale (la delega è in mano all’assessore Gianni Crivello).
Infine c’è la Protezione civile presso la Prefettura.
Ma il grosso delle truppe è costituito da volontari: 172 associazioni per cinquemila persone in Liguria.
Quanti ce ne sono a Genova? “Settecento”, assicura la Protezione civile nazionale. Ieri, dopo 72 ore. Molti meno nei primi giorni dell’emergenza.
Ma le critiche non si fermano a quella notte tragica e sfortunata . “Quando scatta l’allerta ti mandano un sms. E così pensano di essersi tolti di dosso le responsabilità ”, scrolla le spalle un vigile urbano della sala operativa della polizia municipale. Chiarisce il concetto: “Ma se uno non ha il cellulare, se è sordo o cieco, che diavolo succede?”
Non è una convivenza facilissima quella tra polizia municipale e Protezione civile. Siamo nel Matitone, quel grattacielo che sembra un lapis e ha segnato ormai l’orizzonte genovese quasi come la Lanterna.
È la nuova sede del Comune. Al decimo piano c’è la Centrale Operativa Automatizzata (Coa).
Qui, venne (mal)gestita l’emergenza dell’alluvione 2011 (il processo è in corso).
E oggi qui, gli uni accanto agli altri stanno i vigili urbani e gli uomini della Protezione civile.
“Bravi ragazzi, per carità !”, mette le mani avanti un altro agente della municipale. E già capisci che la critica è pronta nella fondina: “Il fatto è che non sappiamo quanti siano, quanto costino. E poi…”.
E poi? “Alle sette di sera se ne vanno, come se l’emergenza facesse un orario d’ufficio”.
Ed ecco di nuovo Luigi: “C’è stato un tempo che sembravamo dei semidei. Tutti a dire: arriva Bertolaso e sembrava la Madonna della Guardia. Guardi che io c’ero a L’Aquila”, muove la mano come a mimare il terremoto,
“Eravamo pieni di soldi, avevamo delle jeep pazzesche. Era un bluff, ma la gente aveva fiducia. Adesso si incazzano tutti con noi”, poi si dà un’occhiata intorno come per accertarsi di poter parlare: “A volte sento una tensione da tagliare con il coltello. Ce l’hanno con qualsiasi divisa che gli passi davanti. E il guaio è… che penso abbiano ragione”.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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