IL GOVERNO SOGNA DI GUADAGNARE TRE MILIARDI VENDENDO IMMOBILI PUBBLICI ENTRO IL 2021, MA C’E’ UN PICCOLO PROBLEMA
IL 77% DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE E’ OCCUPATO DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NON E’ DISPONIBILE
Il governo di Lega e Movimento 5 stelle va avanti sul piano di dismissioni immobiliari già inserito nella legge di bilancio 2019.
Si legge, infatti, nella bozza del Documento di economia e finanza (Def) circolata il 9 aprile: “Per il 2018 i proventi derivanti dalle vendite di immobili pubblici dovrebbero ammontare a 600 milioni. Nel triennio 2019-2021 il programma di dismissioni immobiliari prevede un ammontare di 1,25 miliardi, oltre agli 1,84 già previsti”.
In altri termini, da qui al 2021, agli 1,84 miliardi di cessioni ordinarie già preventivate, si aggiungono 1,25 miliardi da operazioni straordinarie. Quest’ultima cifra, del resto, era già stata inserita nell’ultima legge di bilancio, che la suddivideva in 950 milioni per il 2019 più 150 milioni sia per il 2020 sia per il 2021.
In totale, quindi, il governo, che fa sapere di avere realizzato proventi per circa 600 milioni da quest’attività l’anno scorso, conferma per il triennio al 2021 la sua stima di 3 miliardi abbondanti di guadagni dalla vendita di palazzi, caserme e fabbricati.
Un obiettivo che potrebbe sembrare tutto sommato semplice da raggiungere, se si considera che le ultime stime disponibili elaborate dal ministero dell’Economia e risalenti al maggio del 2018 (ma su dati del 2015) fotografavano un valore patrimoniale dei fabbricati pubblici, vale a dire circa 1 milione di unità catastali per una superficie di 325 milioni di metri quadrati, pari a 283 miliardi di euro. Guadagnare 3 miliardi vedendo attività valutate 283 potrebbe, insomma, apparire come un’impresa non certo impossibile.
Ma c’è un piccolo problema che fa notare lo stesso ministero dell’Economia nella nota del maggio del 2018 con cui diffonde i risultati del censimento: gran parte di questo patrimonio immobiliare, ossia il 77% corrispondente a un valore stimato di circa 217 miliardi, è “riconducibile a fabbricati utilizzati direttamente dalla pubblica amministrazione e quindi non disponibili, nel breve e medio termine, per progetti di valorizzazione e dismissione”.
Il restante 23% “è dato in uso, a titolo gratuito o oneroso, a privati (51 miliardi), oppure risulta non utilizzato (12 miliardi) o in ristrutturazione (3 miliardi)”.
Questo significa che, per guadagnare quei 3 miliardi cui ambisce, lo Stato potrà verosimilmente contare soltanto su questo 23%, corrispondente a una porzione di patrimonio per un valore stimato di circa 66 miliardi e non di 283.
L’impresa di vendere immobili pubblici per fare cassa, quindi, è più ardua di quanto lì per lì possa sembrare. Senza contare che, in generale, il mercato immobiliare non sembra avere ripreso lo slancio di un tempo.
La vendita di immobili pubblici rientra nel grande calderone delle privatizzazioni, dalle quali il governo lo scorso autunno aveva fatto sapere di attendersi 18 miliardi solo nel 2019.
Si legge, così, nella bozza del Def che il debito pubblico quest’anno salirà al 132,7% del Prodotto interno lordo “pur includendo proventi da privatizzazioni pari all’uno per cento del Pil”, dunque in area 16-17 miliardi.
Immobili a parte, da cui come visto si conta di ottenere 3 miliardi di guadagni circa in tutto nel triennio, non sarà semplice raggiungere l’obiettivo di 13-15 miliardi dalla cessione di quote in società pubbliche o a controllo pubblico.
Anche perchè a fine novembre il vicepremier Luigi Di Maio aveva puntualizzato che non si sarebbero venduti “gioielli” bensì — aveva lasciato intendere — attività di poco valore: “Non stiamo parlando di asset strategici, di gioielli di Stato, stiamo parlando principalmente di immobili o partecipazioni inutili come quelle che si facevano negli anni per fare un favore al politico o a qualche lobby”.
(da “Business Insider”)
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