LA SVOLTA A DESTRA DEI CONSERVATORI EUROPEI GUIDATI DALLA MELONI, CON GLI INGRESSI DI VIKTOR ORBAN E DEL PARTITO DI ERIC ZEMMOUR, COMPLICA I PIANI PER IL BIS DELLA VON DER LEYEN ALLA GUIDA DELLA COMMISSIONE UE
DA UNA PARTE CRESCE L’IMBARAZZO DENTRO IL PPE PER POSSIBILI CONVERGENZE CON ECR. DALL’ALTRA I SOCIALISTI E I LIBERALI LANCIATO UN ULTIMATUM: “MAI CON GLI ESTREMISTI DI DESTRA”. E SENZA I VOTI DI PSE E RENEW, URSULA NON VA DA NESSUNA PARTE
La svolta ancora più a destra dei Conservatori europei guidati da Giorgia Meloni fa scricchiolare il bis di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Non solo per l’imbarazzo evidente che sta crescendo dentro il Ppe, ma perché i Socialisti e i Liberali hanno subito lanciato un ultimatum: «Mai con la destra».
Von der Leyen da tempo lavora a un rinnovo del suo mandato e da mesi ha scommesso sul sostegno della premier italiana e del suo partito, Fratelli d’Italia. Ma i nuovi innesti nell’Ecr, il gruppo europeo di destra che vede proprio Meloni al suo vertice, stanno stravolgendo lo schema iniziale. L’ingresso dell’europarlamentare francese Nicolas Bay della formazione di estrema destra “Reconquête” di Eric Zemmour, l’annunciata adesione di Fidesz, il partito ungherese di Viktor Orbán, e l’ipotesi che anche Marine Le Pen ne faccia parte dopo le elezioni europee, si stanno rivelando un boomerang.
Nonostante le avances nei confronti della presidente del Consiglio italiana, l’inquilina di Palazzo Berlaymont sa bene che senza i voti di Pse e Renew (il partito di Emmanuel Macron) nessuno ha i numeri per essere eletto alla guida dell’esecutivo europeo. Tutti i sondaggi, infatti, confermano che non esiste una maggioranza nel prossimo Parlamento Ue senza socialisti e popolari. E che l’ipotizzata alleanza tra Ppe e Ecr è solo nella testa di qualche dirigente italiano di Fratelli d’Italia. Ma del tutto impraticabile. La base, insomma, resta la cosiddetta “maggioranza Ursula”.
Da giorni il presidente del Pse, lo svedese Stefan Lofven, ripete: «Nessuna cooperazione è possibile con la destra». E ancora ieri il segretario generale del Pse, Giacomo Filibeck, ha ricordato: «Noi puntiamo sul nostro spitzenkandidat Nicolas Schimit. Ma in ogni caso non staremo mai insieme ai partiti di destra. Né con l’Ecr, né con Identità&Democrazia (il gruppo di Matteo Salvini, ndr)».
E la stessa posizione è stata assunta dai liberali di Renew. «È la linea rossa. L’unica cosa che il gruppo Ecr ha appena conquistato accogliendo Reconquête – ha avvertito la capogruppo, Valerie Hayer – è la sua esclusione definitiva dalle trattative politiche. Anche prima che arrivasse Orbán. Nessuna compiacenza nei confronti dell’estrema destra europea».
È dunque un messaggio nemmeno tanto criptico a Von der Leyen: se vuoi davvero farti confermare, allora devi lasciare perdere i Conservatori. Non solo. Pse e Renew adesso iniziano a puntare l’indice contro i Popolari. Chiedono in particolare al presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber, di «uscire dall’ambiguità».
Una richiesta che fa perno sul malcontento che tra i popolari inizia a serpeggiare per le aperture a destra. In particolare gli esponenti del nord Europa non gradiscono i contatti con l’Ecr. Non lo apprezza soprattutto il capo del governo polacco, Donald Tusk, che farà di tutto pur di non entrare nella maggioranza europea con il suo nemico interno, il Pis di Morawiecki.
Tra l’altro la stessa Von der Leyen deve fare i conti con il dissenso all’interno del suo stesso partito, la Cdu tedesca. Il suo massimo organismo dirigente, infatti, lunedì 19 la indicherà come spitzenkandidat del Ppe. Sembra una scelta a suo favore, ma lo è solo apparentemente. La presidente della Commissione non avrebbe voluto questa designazione per ripresentarsi invece dopo le elezioni europee come candidata “super partes”.
Il suo progetto è così svanito (ha insistito su questo punto proprio il tedesco Weber, suo “nemico” storico) e dovrà scendere nell’agone politico come tutti gli altri. E come tutti gli altri potrà essere sottoposta a possibili siluramenti. Il Ppe sarà comunque il primo gruppo al Parlamento europeo, ma dovrà inevitabilmente scendere a patti almeno con il Pse e con Renew.
E il feeling mostrato dall’attuale presidente della Commissione verso Giorgia Meloni rischia proprio per questo motivo di diventare controproducente. I nomi di Zemmour, Le Pen e Orbán rappresentano una sorta di spauracchio per tutti i partiti europeisti. Compreso quello popolare.
Il messaggio è ora arrivato chiaramente alle orecchie di Von der Leyen e di chiunque altro voglia candidarsi alla presidenza della prossima Commissione Ue. E per Giorgia Meloni queste mosse potrebbero rivelarsi solo un modo per affrontare la competizione a destra con il gruppo salviniano.
(da La Repubblica)
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