L’IDEOLOGIA DELL’ORIZZONTE STRETTO. OBIETTIVO MINARE LA LIBERTA’
I CARATTERI DISTINTIVI DEI SOVRANISTI
Facciamo il nostro paese grande rimpicciolendolo – questa è l’implicazione del mantra ripetuto e replicato ormai dovunque. La logica pare la seguente: se circoscriviamo il termine di paragone, se diamo definizioni specifiche di quel che siamo, sarà più facile dichiarare al mondo che «come noi non c’è nessuno», che siamo grandi. Grandi “di nuovo”, ovvero rilanciando quella specificità che alcuni decenni di contaminazioni col mondo largo avevano reso invisibile. Questa grandezza per mezzo della restrizione dell’orizzonte è uno dei caratteri distintivi della destra, in tutti i paesi dove ha ruoli di governo.
In questa lotta a far grande il mondo rimpicciolito vi sono già dei caduti, alcuni eccellenti, come il diritto internazionale, la cooperazione internazionale e le varie forme di interdipendenza. Ci sono anche caduti meno visibili ma non poco importanti. Uno di questi è la curiosità intellettuale, la libera ricerca, la sperimentazione, in una parola l’usanza di coltivare quel dubbio igienico che ci tiene allertati, mentalmente vivi, eticamente diffidenti del conformismo.
Michele Serra, commentando la chiusura per decisione ministeriale del Leoncavallo di Milano, ha scritto che ad essere interrotta è un’idea di vita urbana che pensa che ai «margini» o «in uno spazio ricavato scavando dentro le dimenticanze del capitale» possa «fiorire la socialità» e con essa l’incontro e la cultura.
I «margini» sono in questo caso le aree lontane dal centro paradigmatico, dal conformismo a quella piccolezza che si dichiara grande, misurata con le altezze dei palazzi. È incredibile come, con tutto il richiamo che si fa alla liberaldemocrazia e ai valori dell’Occidente, si mini proprio uno dei pilastri della tradizione liberale, quella che fa della correzione, della critica, della ricerca di sempre nuove strade, la linfa vitale della vita civile.
Varie ragioni hanno facilitato la virata verso la chiusura dell’orizzonte, a partire dalla crisi del 2008, alla pandemia, alle guerre in Ucraina e a Gaza, con l’avvento di nuove tensioni geopolitiche. Il secondo Trump ha completato l’opera con una politica estera improntata al nazionalismo statunitense e quindi all’adozione degli accordi bilaterali come metodo, da cui il fastidio per ciò che resta del paradigma dell’interdipendenza: l’Europa.
Ma identificare la sicurezza economica con quella nazionale e
poi quest’ultima con il restringimento degli spazi di libertà, con la dichiarazione di guerra agli orizzonti larghi porta con sé rischi enormi. Internare i migranti in prigioni speciali, forgiando pratiche di eccezione al diritto, sta insieme alla repressione dei cittadini che non si omologano. Con una repressione diretta e una indiretta o per incentivi – se vuoi fare carriera devi dire o non dire questo o quello.
In tutti i casi, vince la tecnica della paura. Paura di essere imprigionati e paura di essere emarginati, puniti nella vita del lavoro. Nell’introduzione italiana del Saggio sulla libertà di J.S. Mill per i tipi di Piero Gobetti, Luigi Einaudi scriveva un secolo fa, nel 1925, che chi combatte contro un regime liberticida combatte per la sicurezza della persona e nazionale.
Identificare la libertà con l’autosufficienza e quindi la chiusura degli orizzonti, significa umiliare la libertà. Che non è un bene del singolo soltanto, ma della società, perché un antidoto al silenzio della ricerca, una via per contrastare la tirannia dell’“opinione” che, quella sì, favorisce l’individualismo e l’isolamento, indebolendo la forza interiore. L’individualità e l’individualismo erano per i liberali dell’Ottocento opposti come “idiozia” e “comunicazione”.
L’obbedienza passiva e il conformismo, pensavano, non rafforzano i legami sociali, ma semplicemente creano caratteri
egoisti, disconnettono il senso del dovere dagli interessi dei propri simili. Tutti perdono. E non c’è grandezza. Perché il piccolo che si dichiara grande deve prima di tutto rimpicciolire ognuno, nelle proprie aspirazioni, nei legami e nelle aspettative.
Deve, infine, fare in modo che le associazioni siano poche e controllate. Gli individui dissociati sono meno preoccupanti per i governi illiberali.
Qui si comprende come la libertà civile sia il fondamento del bene e della sicurezza, che dovrebbe strutturarsi in forma di sinergia tra l’obbedienza alla legge e i limiti del potere statale attraverso i controlli costituzionali e lo Stato di diritto. Un regime dispotico o oligarchico non può generare grandezza perché non è amico della libertà “civile”, una libertà che si deve poter respirare a pieni polmoni direttamente, non assunta da una bombola d’ossigeno certificata da un governo.
(da editorialedomani.it)
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