VECCHI AMICI, PARENTI STRETTI, FIDATISSIMI SODALI: IL GOVERNO MELONI E’ UN CIRCO
TUTTI GLI UOMINI DEL “PRESIDENTE”
Diciamo la verità. L’avvio col botto della legislatura iniziata con il testacoda del centrodestra causa pizzini dell’ex capobranco e oggi novello Picconatore Silvio Berlusconi, ci avevano già convinti a disdire l’abbonamento a Netflix: gli esercizi da trapezista di Giorgia Meloni per mettere insieme la nuova squadra di governo sono la plastica certezza che il meglio deve ancora venire, che altri lampi illumineranno il futuro dopo l’Instagram quirinalizio di Anna Maria Bernini, neo ministra dell’Università che Adesso Giura! (du-du-du) sulle note di Ambra Angiolini.
E che Gennaro Sangiuliano designato alla Cultura dovrà sudare sette camicie per accreditare il nuovo corso di questa destra che al momento è la conferma conforme del già noto.
Se il piatto da portata non è il Futurismo, Gentile, Croce e Prezzolini da tenere insieme a Gramsci, ma la retorica del sovranismo anche alimentare in cui l’italica mela cotogna spernacchia l’ananàs – pardòn – l’ananasso.
Ma chi sono i campioni di Giorgia M.? Vecchi amici, parenti stretti, fidatissimi sodali: gli altri sono amici si fa per dire di B., ma non proprio quelli che avrebbe voluto e già il pensiero corre alle Mare Carfagna, alle Maria Stella Gelmini e ai Renato Brunetta un tempo fedelissimi al capo e poi illuminati sulla via di Mario Draghi.
E Matteo Salvini? Ha dovuto digerire il niet che gli ha precluso la strada del Viminale per via dei processi ancora pendenti da quando ne era stato inquilino, ma il contentino della casacca da vice a Palazzo Chigi lo vive già come una camicia di forza: si è già messo a fare il premier ombra ribadendo di riffa o di raffa che di migranti si occuperà lui e non il ministro dell’Interno vero, il prefetto Matteo Piantedosi e che sempre lui metterà bocca sui dossier economici più scottanti dalle pensioni alle tasse.
In compenso come ministro delle Infrastrutture Salvini ha già indicato come priorità il Ponte sullo stretto di Messina, per la gioia del senatùr Umberto Bossi che già pensa di farlo interdire.
L’altro ministro leghista Roberto Calderoli dopo essere stato trombato da Ignazio La Russa per la presidenza del Senato vorrebbe portare a casa almeno l’autonomia ché Zaia è una pentola a pressione, ma è marcato a vista dal ministro del Sud Nello Musumeci già governatore sicilianissimo.
Chi manca? C’è Eugenia Roccella la sanfedista (il copyright è di Marco Travaglio) promossa ministra della Famiglia e della natalità e le Pari opportunità ma non per tutti.
E in quota Lega, Alessandra Locatelli piazzata alla disabilità dopo essersi guadagnata la fama di “sceriffa” per gli attacchi a clochard, moschee e ong e Giuseppe Valditara designato ministro dell’Istruzione e come lei finito già nel tritacarne delle polemiche per i suoi scritti su sovranismo, immigrati e decadenza dell’impero romano.
Ci sono i tecnici d’area come Orazio Schillaci alla Sanità messo in squadra per evitare che Berlusconi potesse rivendicarla per le competenze della sua Licia Ronzulli un tempo caposala.
Eppoi ci sono i nostalgici mai pentiti e pure un monarchico, Antonio Tajani, piazzato agli Esteri: Emanuele Filiberto per non sbagliare, è tornato a reclamare i gioielli di Casa Savoia.
Fortuna che Tajani ha ben altre grane, primo tra tutti il suo Re Sole Silvio e i suoi rapporti di amorosi sensi con Vladimir Putin consumati a suon di lettere dolcissime e scambi alcolici – vodka e lambrusco sulla tratta Mosca Arcore – rivelati a ridosso della nomina del forzista alla Farnesina e che in un colpo hanno fatto imbizzarrire Washington-Nato-Bruxelles-Partito popolare europeo.
E che dire di Paolo Zangrillo? È stato ministro dell’Ambiente giusto il tempo di un amen, complice un errore di trascrizione della lista dei ministri squadernata da Giorgia Meloni che poi l’ha spedito alla Pubblica amministrazione assegnata inizialmente al commercialista Gilberto Pichetto Fratin. Che però pure lui ne capisce il giusto anzi niente, ma poco male: c’è già l’ex ministro Roberto Cingolani che il neopremier ha assunto pro bono come consulente.
A salvare la baracca della compagine forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati che da seconda carica dello Stato, con ambizioni di diventare la prima, si è dovuta accontentare del ministero senza portafoglio alle Riforme. Dovendo cedere la Giustizia a Carlo Nordio che quest’estate, provocando un vespaio e qualche imbarazzo a Meloni, si era detto favorevole a ripristinare quell’immunità parlamentare abolita sull’onda di Mani Pulite.
Da ministro s’è già fatto più cauto: ha giurato che di piallare la legge Severino ora, mentre Berlusconi è sotto processo per il caso Ruby ter, non se ne parla. Vedremo, ma intanto il cuore di Silvio sanguina.
Anche perché il suo ritorno in Senato è stata una Caporetto: ha fatto a cazzotti con la Meloni tentando di sabotare l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato e ne è uscito malconcio grazie al soccorso dell’opposizione che lo ha votato “a sua insaputa” nonostante la lunga militanza missina e i busti duceschi.
Per marcare il terreno la Lega per la presidenza della Camera ha invece imposto Lorenzo Fontana ultracattolico filoputiniano e soprattutto uomo di fiducia di Matteo Salvini che invece si è visto imporre da Meloni al Mef Giancarlo Giorgetti, numero due del Carroccio ma pure fidato ministro draghiano: una scelta quella della presidente del Consiglio che sa fare di necessità virtù, quasi obbligatoria intanto per ragioni di continuità, ma soprattutto per mancanza di grandi alternative dato il diniego di tecnici come Fabio Panetta di entrare a far parte di un governo più che di centrodestra di destracentro.
Dove a fare la parte del leone sono i ministri di Fratelli d’Italia oltre che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo che Meloni ha riservato al magistrato a lungo prestato alla politica, Alfredo Mantovano. In una delle caselle di maggior peso, data l’attribuzione del dossier Pnrr, Raffaele Fitto che attende che la Cassazione si pronunci sull’accusa di falso ideologico che gli è valsa la condanna a risarcire il danno morale provocato alla regione Puglia di cui un tempo fu presidente. Altri sono inseguiti dall’ombra del conflitto di interessi che è aleggiato sul neoministro dello Sviluppo inizialmente in predicato di assumere l’incarico alla Difesa, Adolfo Urso per via delle consulenze alle aziende in affari con Teheran della società oggi ceduta al figlio su cui era stato già messo sulla graticola all’epoca della sua nomina alla guida del Copasir, il comitato sulla sicurezza della Repubblica.
Guido Crosetto designato alla Difesa per allontanare ogni sospetto ha messo in liquidazione le società e dismesso gli incarichi cercando di recidere i solidi legami con l’industria delle armi e dell’aerospazio. Pure la regina del Twiga Daniela Santanchè, nuovo ministro del Turismo, è già un caso per via delle deleghe alle concessioni balneari che potrebbero riguardare anche lo stabilimento balneare a Marina di Pietrasanta in cui è in affari con Flavio Briatore. Per finire con la titolare del Lavoro, la tecnica d’area Marina Calderone: il 21 ottobre Rosario De Luca ha lasciato il cda dell’Inps, istituto vigilato dal ministero ora guidato da sua moglie già presidente del Consiglio dell’ordine dei consulenti del Lavoro.
Francesco Lollobrigida, come stranoto cognato di Giorgia Meloni è invece stato nominato ministro alla Sovranità alimentare
Quanto che la promozione del cognato, nipote della Lollo nazionale si è resa necessaria per via dei «delicati equilibri» con gli alleati. Esattamente come accaduto per Luca Ciriani, reclutato in corsa per la casella delicatissima dei rapporti per il Parlamento, su cui M. si è voluta blindare.
(da agenzie)
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