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“ECCO COME HO INCASTRATO CALDEROLI”: VOLO DI STATO PER MOTIVI PERSONALI, IL RACCONTO DI BIOLE’

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

L’USO PRIVATO DELL’AIRBUS DELLA REPUBBLICA DA PARTE DELL’EX MINISTRO PADAGNO, SALVATO DALLA GIUNTA PER AUTORIZZAZIONI   A PROCEDERE IN PURO STILE “ROMA LADRONA”

Se non ci fosse stato lui, il volo di Stato “per motivi personali” dell’allora ministro Roberto Calderoli sarebbe passato inosservato.
Non ci sarebbero stati l’esposto, l’indagine della Procura di Roma per truffa aggravata e, di conseguenza, il pronunciamento della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, che mercoledì scorso ha negato a maggioranza la richiesta dei pm capitolini.
La sua iniziativa, quindi, per ora si è rivelata un mezzo buco nell’acqua, almeno dal punto di vista dell’iter giudiziario-parlamentare.
Ciò non toglie, però, che la denuncia ha reso pubblico il comportamento poco istituzionale dell’esponente del Carroccio, almeno a sentire le accuse avanzate dai pm.
Il lui in questione è Fabrizio Biolè, 35 anni a luglio, consigliere regionale del Piemonte, eletto nel 2010 con il Movimento 5 Stelle grazie alle 737 preferenze raccolte nella circoscrizione di Cuneo.
E proprio nei dintorni di Cuneo si trovava il 19 gennaio dello scorso anno, quando un suo conoscente gli ha segnalato che quella mattina era atterrato all’aeroporto di Levaldigi un Airbus della Repubblica Italiana con a bordo Calderoli.
Fabrizio Biolè ha deciso di verificare la ‘soffiata’.
“Da tempo in zona si vociferava di aerei di Stato che atterravano a Levaldigi, questa volta avevo la possibilità  di andare a vedere con i miei occhi e così ho fatto”.
In effetti, un velivolo con la sigla Repubblica italiana era fermo in pista.
“Si trattava certamente di un Airbus, perchè c’era un appassionato di aeronautica che stava scattando alcune foto”.
Il passo succcessivo si è rivelato più difficile: verificare chi ci fosse a bordo.
“Sono andato agli uffici dell’aeroporto e ho chiesto quale fosse il motivo di quella presenza, visto che per quel giorno nel cuneese non erano previsti appuntamenti con la presenza delle quattro più alte cariche dello Stato. Adducendo motivi di privacy, nessuno ha voluto rispondere alle mie domande”.
Biolè non si è arreso: usufruendo di un articolo dello statuto della Regione Piemonte, ha inoltrato a chi di competenza una domanda formale per fare chiarezza su quella presenza insolita.
Ma anche le vie ufficiali non hanno avuto buon esito.
“Dopo una serie di discussioni con i vertici dello scalo, dopo circa un’ora e mezza sono stato spedito al posto fisso di polizia, ma anche in questo caso l’unica cosa che mi hanno detto è che si trattava di un personaggio con alto livello di protezione. Sono rimastro ancora per un po’ di tempo e a un certo punto ho visto arrivare una serie di auto: forse erano quelle che accompagnavano il ministro, ma io Calderoli non l’ho mai visto”.
L’identità  del passeggero misterioso è stata scoperta a distanza di qualche giorno, quando Biolè ha divulgato un comunicato stampa per rendere noti i particolari della vicenda e chiedere le risposte che nessuno aveva voluto dargli.
“La redazione di Cuneo de La Stampa ha collegato il volo di Stato a Calderoli, che proprio in quei giorni si trovava in zona — ha raccontato Biolè -. A questo punto, l’entourage dell’allora ministro della Semplificazione ha risposto al quotidiano di Torino. Dicendo tre cose: che il ministro si trovava a Cuneo per l’incidente occorso al figlio della sua compagna; che l’aereo con cui avrebbe fatto ritorno a Roma non era un Airbus di Stato; che il ministro era arrivato all’aeroporto con mezzi propri per rientrare a Roma in tutta fretta”.
Il motivo?
Doveva partecipare a una seduta della Commissione parlamentare sul federalismo.
“Non era vero — ha detto Biolè — Ho cercato su internet e ho scoperto che quel giorno non c’era nessuna riunione della Commissione. Fatto sta che avevo tutti gli elementi che mi servivano, li ho raccolti e ho presentato un esposto alla Procura di Cuneo”.
Dopo mesi di silenzio, a gennaio la questione è diventata di dominio pubblico.
I giornali hanno scritto di Calderoli indagato per truffa aggravata, la Procura di Roma ha inviato l’incartamento al Tribunale dei ministri e, storia di appena una settimana fa, la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato ha respinto la richiesta.
Per loro, la versione fornita dal ministro (volo legato a “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’esercizio di funzioni istituzionali”) era credibile.
Peccato che la Procura e le indagini in proprio del Tribunale dei ministri parlavano di “artifici e raggiri” di Calderoli ai danni dei funzionari della Presidenza del Consiglio per ottenere il volo di Stato per motivi strettamente personali”.
“Non posso negare di essere molto amareggiato da questa decisione — ha confidato il consigliere regionale ‘grillino’ — Considerando il momento che sta vivendo il Paese, speravo in un comportamento diverso da parte dei parlamentari della Giunta, in un segnale in controtendenza. E invece non è cambiato nulla: deputati e senatori continuano ad usufruire di quell’ingiusto privilegio che si chiama ‘autorizzazione a procedere’ a scapito dei cittadini, tanto che le indagini sulle loro malefatte vengono autorizzate dai loro colleghi di partito. Calderoli sarebbe dovuto andare davanti al giudice e dimostrare le sue ragioni, ma come al solito la casta si è autodifesa”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LIGURIA: COME LA ‘NDRANGHETA INQUINA LA POLITICA

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

DOPO LO SCIOGLIMENTO DEI COMUNI DI BORDIGHERA E VENTIMIGLIA, EMERGONO I RAPPORTI TRA MALAVITA E POLITICA…LE FAMIGLIE CHE GESTISCONO IL CONSENSO, I RETROSCENA DELLE CAMPAGNE ELETTORALI SVELATI DALLE INTERCETTAZIONI

Nel Ponente Ligure i voti “dei calabresi” contano. I politici li vanno a cercare. E alla fine si scottano.
“Al voto calabrese si sono rivolti tutti i candidati a tutte le elezioni, è un dato che vi posso dare per certo”, conferma Alessio Saso, consigliere regionale del Pdl eletto nel 2010 nella circoscrizione di Imperia.
Saso è attualmente indagato per promesse elettorali in una delle inchieste che hanno portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Ventimiglia, pochi mesi dopo che la stessa sorte era toccata alla vicina Bordighera.
Una doppietta senza precedenti nel Nord Italia.
E senza precedenti è il numero di politici locali citati nelle ultime inchieste sulla ‘ndrangheta storicamente insediata nella fetta occidentale della Riviera Ligure, in particolare la “Maglio 3” del 2011.
Oltre a Saso, il parlamentare Eugenio Minasso, anche lui del Pdl, fotografato mentre festeggiava l’elezione a consigliere regionale nel 2005 con Michele Pellegrino, esponente della famiglia al centro dell’indagine che ha portato allo scioglimento di Bordighera, e Giovanni Ingrasciotta, già  luogotenente del boss trapanese Matteo Messina Denaro e recentemente rinviato a giudizio per tentata estorsione.
Poi l’ex vicesindaco di Ventimiglia Vincenzo Moio (Pdl), per il quale la Procura di Genova ha chiesto l’arresto per associazione mafiosa — non concesso dal gip — intercettato mentre chiedeva appoggio elettorale per sua figlia Fortunella, candidata per la lista Alleanza democratica-Pensionati alle regionali del 2010, a Domenico Gangemi, attualmente in carcere con l’accusa di essere il capo della “locale” di ‘ndrangheta a Genova.
Avrebbero ricevuto sostegno dalla crimnalità  calabrese anche Pietro Marano dell’Udc e Cinzia Damonte dell’Idv, già  assessore all’urbanistica del Comune di Arenzano.
Non sono casi isolati.
Una manciata di nomi “di rispetto” appaiono in grado di controllare un migliaio di preferenze, spesso determinanti.
Li elenca tutti insieme, in una telefonata intercettata, lo stesso Saso: “Ho altre persone sono riuscito a tenermi nel tempo e che ancora mi danno una mano: Michele Ciricosta, Nunzio Roldi, Peppino di Bordighera (Giuseppe Marcianò, annotano gli investigatori, ndr)”.
E ancora, Fortunato Barilaro e i fratelli Pellegrino”. Tutti, dal primo all’ultimo, coinvolti nell’inchiesta Maglio 3.
Roldi è stato arrestato per aver preso a fucilate la macchina di Piergiorgio Parodi, uno dei più importanti imprenditori edili del Ponente, dopo una discussione sui lavori per la costruzione del porto turistico di Ventimiglia.
I politici coinvolti non possono negare di aver chiesto quei voti.
Giurano però di non aver minimamente sospettato di legami con la criminalità  organizzata, in alcuni casi ancora da provare in tribunale.
“Sono stato ingenuo e superficiale”, afferma Alessio Saso, “ma almeno fino al 2009 la Liguria era presentata da tutti, investigatori compresi, come un’isola felice. I calabresi in Liguria sono migliaia, e le persone più conosciute tra loro possono dire ‘sostenete questo candidato’, ma senza forzare nessuno”.
Il primo dicembre 2009, Alessio Saso va a trovare Domenico Gangemi nel suo negozio di frutta e verdura in piazza Giusti a Genova, dopo alcune telefonate dove, in tono piuttosto confidenziale, i due discutevano dell’appoggio elettorale.
In una di queste, Gangemi spiega che può controllare molti voti nel capoluogo, ma di essere in grado di convogliare consensi anche nell’imperiese: “Ce li ho tutti sotto mano qui! anche lì c’ho tanti paesani, qualche parente, qualcosa penso che faremo anche lì, penso, la dobbiamo fare, non penso!”.
Il 13 luglio 2010 Gangemi sarà  arrestato nell’inchiesta Crimine-Infinito, con l’accusa di essere il numero uno della ‘ndrangheta in Liguria.
A inguaiarlo, tra l’altro, i suoi incontri a Rosarno, con Domenico Oppedisano, considerato il capo del “crimine”, cioè il sommo custode delle regole della ‘ndrangheta.
“Siamo tutti una cosa, pare che la Liguria è ‘ndranghetista”, gli spiega Gangemi, “quello che c’era qui lo abbiamo portato lì”.
E’ normale andare a cercare voti da un fruttivendolo?
“Gangemi è una persona che da anni organizzava la festa dei calabresi a Genova”, spiega Saso, “era uno conosciuto, che si muoveva. Non mi ha mai chiesto nulla di illecito, ma col senno di poi ho commesso un errore”.
Il politico del Pdl sarà  eletto con più di seimila voti, secondo soltanto a Marco Scajola, nipote dell’ex ministro Claudio, incontrastato re della politica imperiese.
A Domenico Gangemi si rivolge anche Vincenzo Moio, già  vicesindaco di Ventimiglia, per ottenere un sostegno elettorale in favore della figlia Fortunella.
Il padre di Vincenzo, Giuseppe, è stato condannato all’ergastolo perchè coinvolto in una sanguinosa faida calabrese.
“Vengo da una famiglia con certe problematiche e ho lottato una vita per uscire da queste situazioni”, dice Vincenzo Moio, nato a Taurianuova in provincia di Reggio Calabria,“ma in campagna elettorale i voti si vanno a cercare da tutti”.
Secondo l’ex vicesindaco del Comune poi sciolto per mafia, anche in Liguria “ci sono delle famiglie storiche meridionali che hanno mantenuto un certo tipo di gestione del consenso elettorale, ma non hanno nulla a che vedere con la malavita”.
Quanto al provvedimento del ministero dell’Interno che, su sollecitazione del Prefetto di Imperia Fiamma Spena, ha colpito la sua città , Moio pensa che faccia “male alla città ”, perchè non vede “alcuna forza criminale che possa incidere sull’amministrazione”.
Pacchetti di voti a disposizione dei politici più “affidabili”, equilibri di ‘ndrangheta che finiscono per influenzare l’esercizio della democrazia in Liguria.
In questo contesto matura lo scioglimento del Comune di Bordighera, il 10 marzo 2011, e del Comune di Ventimiglia, il 3 febbraio di quest’anno.
Perchè secondo le indagini, i signori del voto calabrese cercavano di ottenere in cambio la loro parte di affari e favori pubblici. Con le buone o con le cattive.
A Bordighera tre consiglieri comunali hanno denunciato minacce da esponenti del clan Pellegrino — al quale la Dia ha sequestrato beni per nove milioni di euro — seguite alla mancata autorizzazione per l’apertura di una sala giochi.
A Ventimiglia sono ancora in corso le indagini sulla costruzione del porto turistico, l’affare alla base delle fucilate all’imprenditore Parodi.
E sulla Mavron, la cooperativa sociale regina degli appalti comunali, che secondo i carabinieri di Imperia è controllata in modo occulto da Giuseppe Marcianò, proprietario di diversi locali nella zona, ora sotto inchiesta per associazione mafiosa.
Marcianò è uno dei “grandi elettori” citati da Alessio Saso, così come Fortunato Barilaro, sorpreso in due “summit” di ‘ndrangheta dove, secondo i carabinieri, si decidevano “doti” e affiliazioni.
Suo figlio Giuseppe — che respinge fermamente ogni coinvolgimento della famiglia in affari criminali — è funzionario del Settore commercio al Comune di Ventimiglia.

Lorenzo Galeazzi e Mario Portanova
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA REGIONE CAMPANIA REGOLAMENTA PER LEGGE I MAESTRI DI SCI ALPINO, PECCATO CHE NON VI SIANO PISTE DA NEVE

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

LA PROPOSTA ERA STATA AVANZATA DALLA MOGLIE DI MASTELLA: “OFFRIRA’ OPPORTUNITA’ DI LAVORO”: FORSE, MA FUORI REGIONE

Antonia Ruggiero, consigliera regionale del Pdl, ci ha provato fino alla fine: “Lo dico da presidente della commissione che ha approvato all’unanimità  quel testo di legge: rinviamo il voto”.
Sapeva, lei che anche oggi è partita qualche ora prima del solito dalle innevate montagne avellinesi per arrivare in tempo in Consiglio, che votare quel testo il giorno dopo la dichiarazione di stato di emergenza in Campania e mentre in Irpinia un’altra donna — la seconda in poche ore — moriva assiderata era quantomeno inopportuno.
di cambiare l’ordine dei lavori non c’è stato verso.
Così, dopo quasi un mese di inattività , il Consiglio regionale campano si è riunito per approvare una legge che regolamenta la professione di ‘maestro di sci’.
E non dello sci nautico, sia chiaro, ma di quello alpino.
“Un provvedimento atteso da oltre vent’anni, che dà  risposte concrete a esigenze altrettanto concrete”, ha dichiarato entusiasta Sandra Lonardo Mastella, moglie dell’ex Guardasigilli Clemente e consigliera Udeur firmataria della proposta.
Che però non deve aver convinto del tutto, viste le polemiche che hanno seguito la votazione: due consiglieri del Pd usciti dall’aula per dissenso insieme ai colleghi del gruppo sono risultati comunque votanti, garantendo il numero legale che la maggioranza da sola non era riuscita a raggiungere.
Un piccolo caso, su cui i democratici annunciano ricorso dopo che la Giunta per il regolamento, a maggioranza, ha dichiarato comunque valido il voto garantendo per ora il via libera alla legge. “A chi ha osteggiato l’iniziativa, a chi ha ironizzato sull’opportunità  di affrontare la votazione durante l’emergenza maltempo — ha detto la Lonardo insieme al collega di partito De Flaviis – rispondiamo che non vi sono leggi più o meno importanti. Questa offrirà  opportunità  di lavoro e di crescita professionale (oltre che sportiva) a tanti giovani”.
Ma quanti siano davvero gli aspiranti maestri di sci campani Sandra Lonardo non l’ha specificato: “Se fosse anche solo uno a trovare lavoro ne saremmo felici”.
Quel che è certo è che il fortunato sarà  poi comunque costretto a esercitare la professione altrove, visto che in Campania c’è solo una stazione sciistica neanche troppo frequentata, complice la concorrenza delle vicine e più note località  abruzzesi. È lì, infatti, che vanno i campani amanti della neve e della montagna.
Ed è sempre lì, non in Campania, che si è fatta le ossa pure Chiara Carratù, giovane sciatrice partenopea e nuova stella della nazionale italiana.
Neanche lei, testimonial della Regione per volere del Governatore (e sciatore) Stefano Caldoro, quand’era piccola sceglieva l’appennino campano per sciare.
I suoi genitori preferivano affrontare ogni giovedì un viaggio di due ore per trascorrere i weekend a Roccaraso, dove la giovane posillipina ha affrontato le sue prime discese e dove nel 2012 parteciperà  ai mondiali juniores di sci alpino.
Con la Campania nel cuore e sull’elmetto.
Ma non sotto gli sci: per tornare a solcare le discese campane non c’è legge che tenga. C’è bisogno di neve (non di emergenze) e, soprattutto, di piste.
E quelle, per ora, in Campania ancora non ci sono.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I DISABILI (VERI) DIMENTICATI DALLO STATO

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

IN ITALIA 2,8 MILIONI LE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI…E TUTTO RICADE SULLE SPALLE DELLE FAMIGLIE

«Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio 5,50, un criminale 3,50…». Iniziava così un problema del manuale di matematica nella Germania nazista del 1940: lo scolaro doveva calcolare, senza quei pesi, quanto si poteva risparmiare.
Alla larga dai paragoni provocatori, ma che razza di Paese è quello che taglia i fondi ai disabili?
Ed è lecito che sfrutti fino in fondo, come denuncia il Censis, le famiglie che si fanno carico giorno dopo giorno, spesso eroicamente, dell’assistenza?
Pochi numeri, presi da un’inchiesta del «Sole 24 Ore», dicono tutto.
Rispetto al Pil, l’Italia spende molto più della media dell’Europa a 15 per le pensioni (16,1% contro 11,7%), come gli altri nel totale del welfare (26,5% contro 26%) ma nettamente meno per la non autosufficienza: 1,6% contro 2,1%.
Un quarto di meno.
Non bastasse, negli ultimi anni, nella scia della scoperta di casi come quello emerso la settimana scorsa al rione Santa Lucia di Napoli (dove secondo il «Mattino» 9 su 10 degli invalidi controllati erano falsi) l’accetta si è abbattuta sui costi del pianeta della disabilità  colpendo tutti. I furbi ma più ancora i disabili veri, verso i quali lo Stato era già  storicamente molto tirchio.
Basti vedere, in un’analisi di Antonio Misiani, il taglio delle due voci che più interessano l’handicap.
Dal 2008 al 2013 il Fondo per le politiche sociali precipita nelle tabelle del governo Berlusconi da 929,3 milioni di euro a 44,6.
Quello per la non autosufficienza da 300 a 0: zero!
Numeri che da soli confermano il giudizio durissimo del Censis: «La disabilità  è ancora una questione invisibile nell’agenda istituzionale, mentre i problemi gravano drammaticamente sulle famiglie, spesso lasciate sole nei compiti di cura». Peggio: «L’assistenza rimane nella grande maggioranza dei casi un onere esclusivo della famiglia».
Scegliamo una storia esemplare, una fra centinaia di migliaia.
Quella di Gloriano e di sua moglie Mariagrazia. Lui fa l’elettricista, lei lavorava in una fabbrica tessile finchè, 28 anni fa, non fu costretta a mollare per seguire Giulia.
La piccola aveva dei problemi. Seri.
«La prima diagnosi fu emessa dopo quasi 4 anni (non per colpa nostra!..) dalla nascita: “Ritardo psicomotorio con deficit cognitivo in paralisi cerebrale minima”».
Problemi che con il passare del tempo si sono sempre più aggravati. Basti dire che, nonostante gli insegnanti di sostegno a scuola, i progetti di recupero, l’assistenza minuto per minuto dei genitori, non ha mai imparato a leggere e scrivere.
Fatto sta che al secondo accertamento sull’handicap, al 18° compleanno, il responso fu netto: «Invalida con totale e permanente inabilità  lavorativa 100%». Tanto per capirci, spiega la madre, è del tutto non autosufficiente.
Ogni consulto, ogni cura, ogni tentativo d’arginare la progressiva deriva della malattia sono stati inutili.
Colpa di un’anomalia, pare, «del cromosoma 16». Finchè nel 2006 il degrado è stato nuovamente verificato: «Insufficienza mentale medio-grave in paraparesi spastica (neurologica e sensitiva assonale) cognitiva. Scoliosi e invalidità  al 100% con necessità  di assistenza continua».
Un calvario. Una vita intera inchiodata minuto per minuto, giorno dopo giorno, anno dopo anno a quella missione.
Unici momenti di tregua, indispensabili per respirare e non impazzire, quelli in cui Giulia, sia pure sempre più a fatica, veniva affidata a strutture di assistenza tipo le case famiglia: «Nostra figlia ha sempre desiderato sin da piccola di stare coi bambini prima e poi man mano che cresceva con i ragazzi e comunque in mezzo alla gente».
Una soluzione che l’anno scorso aveva permesso a Gloriano e Mariagrazia di fare perfino, evviva, una breve vacanza.
Costava 27 euro al giorno, alla famiglia, l’accoglienza di Giulia in una comunità -alloggio di Abano Terme: «Poi, prima di Natale, ci è stato comunicato che il contributo familiare sarebbe salito a 92 euro e 68 centesimi, cioè la quota alberghiera totale».
Troppi, per chi riceve dallo Stato, per prendersi cura 24 ore su 24 di quella figlia totalmente disabile, una pensione lorda mensile di 270,60 euro più l’indennità  di accompagnamento di 487,39 per un totale complessivo di 757 euro e 99 centesimi.
I giornali locali ne hanno fatto un caso, giustamente, di quelle cento o centoventi famiglie che di colpo si sono viste togliere quel servizio che per molti rappresentava l’unica occasione per «staccare» un po’.
«Diventerà  un servizio solo per chi potrà  permetterselo?», si è chiesto il settimanale diocesano «La difesa del popolo».
Ma la storia della famiglia di Giulia va moltiplicata, come dicevamo, per centinaia di migliaia.
Dice la pagina «La disabilità  in cifre» dell’Istat che in Italia i disabili «sono 2 milioni 600 mila, pari al 4,8% circa della popolazione di 6 anni e più che vive in famiglia. Considerando anche le 190.134 persone residenti nei presidi socio-sanitari si giunge a una stima complessiva di poco meno di 2 milioni 800 mila persone».
In primo luogo, ovvio, ricorda uno studio della Caritas Ambrosiana, ci sono i vecchi: «Secondo un’indagine dello Studio Gender, l’Italia spende meno della metà  di quanto fanno in media gli altri Paesi europei per l’assistenza agli anziani».
Risultato: «la cura dell’anziano non più autosufficiente ricade sulle famiglie. In due casi su tre lasciate a loro stesse. In particolare sono le donne, figlie, mogli, nuore, le indiscusse protagoniste del lavoro di cura».
Per i disabili più giovani, spiega al sito superabile.it Pietro Barbieri, presidente della Fish, la Federazione italiana del sostegno all’handicap, il quadro è lo stesso: «Da noi si spende meno della metà  della media europea a 15 per la non autosufficienza. E il dato comprende sia l’indennità  civile che l’assistenza domiciliare pagata dai Comuni. Qui non si tratta di prendere provvedimenti più equi, qui si dice alle famiglie “arrangiatevi!”»
E a quel punto sapete cosa accadrà ? «Che le famiglie cominceranno a chiedere il ricovero per un congiunto non autosufficiente. E a quel punto avremo una maggiore segregazione di persone che non hanno fatto nulla di male e un costo molto più alto per il Paese. Si pensi al costo giornaliero di una degenza».
Facciamo due conti?
Questi disabili non anziani, secondo la Fish, sarebbero circa 400 mila.
Se le famiglie, abbandonate a se stesse, fossero obbligate a scaricare i figli e i fratelli sul groppone dello Stato, questo sarebbe obbligato a costruire strutture per un costo minimo (dall’acquisto del terreno alla costruzione fino all’arredamento) di 130 mila euro a posto letto per un totale di 52 miliardi.
Per poi assumere, stando ai protocolli, almeno 280 mila infermieri, psicologi, cuochi, inservienti per almeno altri 7 miliardi l’anno. Più tutto il resto.
Un peso enorme, del quale l’Italia di oggi non potrebbe assolutamente farsi carico.
E allora ti domandi: possibile che lo Stato non si accorga di quanto si fanno carico al suo posto le famiglie?
Lo studio presentato ieri dalla Fondazione Cesare Serono e dal Censis, e centrato sulle persone colpite dalla sclerosi multipla e dall’autismo, dice che «il 48,5% dei malati ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana.
Ma il dato oscilla dal 9,5% di chi si definisce lievemente o per nulla disabile all’83% tra i malati più gravi».
Bene: «Le risposte arrivano quasi solo dalle famiglie. Il 38,1% dei malati riceve assistenza informale tutti i giorni dai familiari conviventi (e la percentuale aumenta tra chi riferisce livelli di disabilità  più elevati: 62,8%).
L’aiuto quotidiano da parte di parenti non conviventi e amici è più raro (8,1%)». E se è «minoritario il supporto offerto dal volontariato (8,4%)» solamente «il 15,3% riceve aiuto da personale pubblico e solo il 3,3% tutti i giorni». Umiliante.
Tanto è vero che le famiglie, dignitosamente, non chiedono soldi, nonostante si sobbarchino spese molto spesso insopportabili: chiedono collaborazione. «L’assistenza domiciliare è ritenuta uno dei servizi più utili dal 77,5% del campione e il 72,4 ne ritiene necessario il potenziamento».
Gli «aiuti economici e gli sgravi fiscali» vengono dopo.
Lo studio presentato ieri dice tutto: «La disabilità  della persona con autismo ha avuto un impatto negativo sulla vita lavorativa del 65,9% delle famiglie coinvolte nello studio. In particolare, il 25,9% delle madri ha dovuto lasciare il lavoro e il 23,4% lo ha dovuto ridurre». Uno Stato serio, davanti a numeri così, se lo deve porre il problema.
Perchè sarebbe inaccettabile scaricare ulteriori responsabilità  e fatiche e spese e angosce su quelle famiglie.
Ci sono già  state, come ricordavamo, stagioni orribili in cui i disabili (si pensi a certi manifesti tedeschi degli anni Trenta…) sono stati visti come un fardello economico.
Mai più.

Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)

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GIORNALI: IL QUOTIDIANO PIU’ LETTO IN ITALIA SI CONFERMA “REPUBBLICA”, IN CRESCITA ANCHE “CORRIERE DELLA SERA”, “LA STAMPA” E “IL MESSAGGERO”

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

AUMENTANO ANCHE IN GENERALE I LETTORI DI QUOTIDIANI: + 3%…BENE “IL GIORNALE” SCENDE “LIBERO”…TRA I SETTIMANALI VINCE “L’ESPRESSO”

Gli ultimi dati Audipress attribuiscono a la Repubblica il 7,5% di lettori in più.
Una crescita che ne consolida il primato di quotidiano d’informazione più seguito nel nostro Paese (per la quattordicesima volta dal 2004 a oggi). Il bacino di “followers”, di seguaci raggiunge un livello molto alto: i lettori di Repubblica sono ormai 3 milioni 523 mila.
Il segno positivo si registra in tutte le testate della “galassia”: Affari&Finanza, con il 4,4% in più, si conferma leader tra le testate economiche settimanali; il Venerdì incassa un più 12,4%; il femminile D un più 16,9%.
Il Corriere della Sera raggiunge quota 3 milioni 430 mila lettori con una crescita del 4,8%.
Va bene la Stampa che ha all’attivo 2 milioni 321 mila lettori e una progressione dell’8,9%.
Bene anche il Messaggero che conquista il 2,6% di lettori in più e può superare così la barriera di 1,6 milioni. In termini percentuali, però, l’accelerazione più forte si segnala in casa di Italia Oggi (più 17,3%) e del Sole 24 Ore, che incassa un più 16,2%.
Proprio la crisi economica, l’addio di Berlusconi e la cura del governo Monti hanno spinto molti più italiani a cercare nei giornali una bussola per orientarsi in tanta tempesta: la rilevazione Audipress segnala un aumento del 3% del complesso dei lettori dei quotidiani.
Il beneficio si avverte anche in molte testate locali.
Quelle del Gruppo L’Espresso hanno molti motivi per sorridere: la Provincia Pavese si segnala con un più 26,2%, la Gazzetta di Modena con un più 13,7%, la Nuova Venezia con un più 11,1%. E ancora il Tirreno e la Gazzetta di Mantova, che viaggiano sopra il 10%.
Tra le testate sportive, la Gazzetta dello Sport – saldamente prima – ha 4 milioni 377 mila lettori (più 8%).
Ma vendono cara la pelle sia il Corriere dello Sport (più 6,8%) sia Tuttosport (più 11,2).
Continua invece la crisi d’identità  della stampa gratuita che accusa tutti segni negativi: Dnews è a meno 18,9%, mentre Leggo e Metro accusano emorragie di lettori superiori al 4%.
Segnali contrastanti tra le testate vicine alla destra: se il Giornale porta a casa 746 mila lettori (più 2,5% rispetto alla precedente indagine), invece Libero perde per strada il 2,8% di sostenitori.
E’ in ripresa, sull’altro fronte, l’Unità , che può vantare una crescita del 5,2%.
Sorpasso nel segmento dei settimanali di attualità : l’Espresso è il più letto con 2 milioni 538 mila lettori (contro i 2 milioni 468 mila dello storico concorrente Panorama).
Sul fronte di Internet, va molto bene Repubblica. it.
Secondo la rilevazione Audiweb-Avdb, il sito ha ormai una media mensile di 9 milioni di lettori (ultimo trimestre 2011). Repubblica. it vanta anche il “travaso” più robusto: sono quelle persone che leggono il quotidiano su carta e poi frequentano anche quello online.
Questi seguaci del “marchio” sono un milione 57 mila.

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LA CADUTA DEL REGIME DEI COLONNELLI DI AN: I 4 MILIONI CHE LA FONDAZIONE AN PRESTÒ AL PDL NEL 2010 TORNARONO SEI MESI DOPO, CON QUESTO MISTERIOSO “BONIFICO DA ESTERO”

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

ANCHE BIZZARRE TRANSAZIONI, INVENTARI INCOMPLETI, CREDITORI INSODDISFATTI NEL CAOS DELLA GESTIONE DEL PATRIMONIO DELLA FONDAZIONE AN

Ieri c’erano gli spalloni. Oggi le transazioni bancarie. Tra la Svizzera degli anni ’70 e l’Italia dei nostri giorni, passa la storia minima della politica contemporanea.
I quasi quattro milioni di euro che la Fondazione An prestò al Pdl il 23 marzo del 2010 tornarono quasi sei mesi dopo dall’estero.
Aveva il Pdl un conto corrente oltrefrontiera in Svizzera, Liechtenstein o Montecarlo?
Sulla vicenda dei 26 milioni di euro scomparsi in due anni (2009-11) dalle casse dell’associazione Alleanza Nazionale irrompe un’ombra straniera.
Uno strano bonifico datato sei agosto 2010.
Tremilionisettecentocinquantamila euro restituiti dal Pdl alla “Fondazione Alleanza Nazionale” a neanche sei mesi dal prestito della stessa cifra.
Un altro mese di attesa per veder accreditata la cifra a inizio settembre.
Un’operazione opaca che sulla ricevuta della Bnl appare come “bonifico estero” e come giustificazione ha una dicitura simile: “A seguito bonifico dall’estero” che fa pensare a una presunta triangolazione bancaria tra un’istituto europeo, il forziere italiano del Pdl (Il Montepaschi di Siena) e quello dell’ex An (la Bnl).
Il ritardo di trenta giorni tra l’ordine originario e l’accredito del pagamento dipendeva dalle difficoltà  incontrate (la cifra era rilevante) nell’aggiramento della legge denominata curiosamente “Pds” sulla trasparenza bancaria del marzo dello stesso anno?
O ancora, l’ordinante era un non residente in Italia che aveva utilizzato una piattaforma estera con un “conto euro non residenti”?
Domande che si susseguono, mentre dopo le reciproche denunce, lo stato di un’associazione nata sulle ceneri dell’ultimo congresso di An della primavera 2009 in cui il partito confluì nel Pdl, si sposta dal profilo civile a quello penale.
Non solo a Roma, ma in tutta Italia.
Non finirà  qui anche se dietro i proclami, tra duellanti (finiani e filoberlusconiani) si cerca un accordo, forse tardivo, che non lasci entrambe le fazioni a mani vuote.
Nel frattempo dall’immenso incartamento sull’ultimo biennio della fondazione emergono pagine ambigue.
L’inventario dei beni, ad esempio.
Sessant’anni di tormentata storia repubblicana fatta di sezioni, palazzi e donazioni per ottenerne in tutto due, datate marzo 2009 e novembre 2011, che definire scarne è generoso. Due fogli non firmati nè siglati da alcun legale rappresentante o soggetto legittimato in cui i beni dell’ex Msi constano in tre quote di società  immobiliari, 4 unità  abitative, un terreno a Monterotondo, due autovetture, una ventina di computer e qualche frigorifero.
Insipienza, mancata catalogazione o sparizione?
E poi ancora, più in là  dei soldi spesi in parcelle degli avvocati, stornati per spese a favore delle regionali del Pdl o per accontentare gli ex elementi della Federazione romana che erano arrivati a pignorare un appartamento di proprietà  del sindaco di Roma Gianni Alemanno, una lista di creditori insoddisfatti.
Personale dipendente che negli anni matura Tfr non saldati.
Nel marzo 2009 sono in 43, per un totale di quasi 800.000 euro.
Due anni più tardi, nel novembre 2011 gli “insoddisfatti” sono diventati 23 e tra i loro nomi, a dimostrazione che le famiglie discutono, ma non si abbandonano mai, nomi che rimandano al passato. Abbatangelo Ione, figlia di Massimo, ad esempio.
Un padre dal curriculum non comune.
Sua figlia lavora con il partito che nel 2009 le deve 10.255 euro. Due anni dopo Ione ha quasi estinto il debito. Deve ottenerne poco meno di duemila.
Altra debitrice dell’associazione è Rachele Mussolini, nipote di Benito, 36 anni, figlia di Romano, quartogenito del capo di un Fascismo che non dimentica mai le sue radici.
C’è anche spazio per il rispetto della parola data da Almirante ai familiari di Francesco Cecchin, martire della destra, ucciso barbaramente nel ’79 a 17 anni.
Sua sorella Maria Carla lavora per An. Nel 2009 le devono 34 mila euro.
Due anni dopo, nulla.
La Fondazione finanziava anche le cellule in vitro dei giovani pidiellini.
Si legge infatti in una nota presentata in sede civile e allegata alla denuncia dell’avvocato e parlamentare Antonio Buonfiglio e della segretaria di Gianfranco Fini, Rita Marino, che “il 29 giugno 2009, il comitato dei garanti volle destinare imprecisati finanziamenti ad organizzazioni giovanili del Pdl (…) e al contempo, espresse una disponibilità  di massima alla luce dei preventivi di spesa che sarebbero stati presentati con riferimento ad Atreju”.
Una festa nazionale che ogni anno, tra uno scherzo e l’altro di Giorgia Meloni, a estate quasi tramontata, raggruppa giovani di destra e stato maggiore del Pdl.
Tra denari mancanti e risse tra ex fratelli, non è più tempo di bottiglie stappate

Alessandro Ferrucci, Malcom Pagani e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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DEBITO DA DUE MILIONI DI EURO PER LE SOCIETA’ DEL LEGHISTA “DURO E PURO” PINI

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

LO STATO RIMANE CREDITORE DI UNA SCATOLA GIA’ SVUOTATA… L’AUTORE DELLA NORMA SULLA RESPONSABILITA’ CIVILE DEI MAGISTRATI NE HA DI COSE DA CHIARIRE

Il 4 febbraio scorso il Fatto Quotidiano pubblica l’articolo dal titolo “Pini evasore a sua insaputa” in cui, tra l’altro, ricostruisce la storia della Nikenny Corporation srl — di cui l’onorevole leghista Pini, autore dell’emendamento sulla responsabilità  civile dei magistrati, è socio di maggioranza e procuratore institore — debitrice allo Stato di circa 2 milioni di euro per imposte accertate. L’onorevole leghista Gianluca Pini ci invia una richiesta di rettifica in cui senza entrare nel merito dei fatti, accusa noi e i magistrati di utilizzare “metodi mafiosi” per “sputtanarlo politicamente”.
Lettera che abbiamo pubblicato sul sito e che non rettifica nulla, ma ci diffama.
Invece Pini scrive il contrario su Facebook e Twitter: “Naturalmente al Fatto sono troppo democratici e non han pubblicato la mia risposta. E il direttore si nega al telefono. Che coraggio eh?”, suscitando i commenti di “barbari sognanti” (i seguaci di Roberto Maroni) del tipo: “È un giornale con cui non vale la pena neanche di pulirsi il c… forse i giornalisti che ci lavorano ci si possono pulire la bocca… infami non forniti di materia umana persevera e vediamo se è rimasto loro anche un solo spigolo che non sia ostruito dal fango”.
L’onorevole Pini continua a ripetere che lui è parte lesa, che è stato truffato. Ne prendiamo atto, ma questa è la storia.
L’onorevole Pini è socio di maggioranza relativa al 40 % con carica di procuratore institore (dal 29 maggio 2002 al primo dicembre 2010) della società  Nikenny Corporation srl (che passa dal commercio di apparecchiature elettromeccaniche all’importazione di caffè al ginseng dalla Malesia) costituita il 19 aprile 2002.
Amministratrice unica è Alessia Ferrari socia al 30 %; altri due soci con il 15 % ciascuno sono il leghista Avio Bellagamba e Maurizio Parma del consiglio provinciale della Lega Nord di Piacenza.
Nel 2004 la Guardia di Finanza scopre che “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, la società  ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2004 per complessivi euro 1. 419. 044 (fatture emesse dalla Tech Line srl) e nell’anno 2003 per fatture emesse dalla Full Service srl per euro 627, 00 e ha emesso fatture alla Full Service per euro 217. 243, 61”.
A risponderne penalmente è l’amministratore unico, Alessia Ferrari, il processo in corso cadrà  in prescrizione.
A questo punto Pini, già  deputato della Lega Nord — quella che tuona contro “Roma ladrona” per intenderci — cosa fa?
Escogita un piano per salvare la propria attività  dall’aggressione dello Stato creditore.
Il 28 dicembre 2010, mentre la Nikenny Corporation è ancora attiva, costituisce la Gold Choice Europe srl, sempre per l’importazione di caffè: Pini è l’amministratore e il socio di maggioranza, mentre il socio di minoranza è Paola Ragazzini anche lei leghista e sua compagna, tecnico di laboratorio alla Usl di Ravenna in aspettativa per ragioni familiari fino al prossimo 31 agosto.
All’insaputa dell’amministratrice unica Ferrari, Pini vi trasferisce l’attività  della Nikenny Corporation srl trasformando di fatto la società  debitrice allo Stato per quasi 2 milioni di euro in una scatola vuota.
Prova del trasferimento dell’attività  è il contratto di esclusiva con lo stesso fornitore di caffè malese della Nikenny Corporation.
Non sappiamo come l’avrà  presa Alessia Ferrari, quando ha scoperto di essere diventata amministratore unico di una “scatola vuota”; probabilmente maluccio visto che il 14 febbraio 2011 viene destituita dall’assemblea dei soci (ricordiamo che Pini ha il 40 %) e sostituita da Elvio Bagnara, anche lui leghista nonchè magazziniere della Nikenny Corporation srl.
La società  viene quindi messa in liquidazione. Indovinate chi viene nominato liquidatore?
L’amministratore-magazziniere Elvio Bagnara che somiglia tanto alla classica “testa di legno”.
Un’operazione perfetta per non onorare il debito milionario.
Sempre che il creditore, cioè lo Stato, per riprendersi ciò che gli spetta, non mandi la Guardia di Finanza, o l’Ufficio delle Entrate a bussare alla porta della Gold Choise Europe srl, società  al 90 % di Pini dove è stata trasferita l’attività  della società  debitrice per quasi 2 milioni di euro (che in questi tempi di crisi non farebbero male alle casse pubbliche).
Fin qui i fatti tutti documentati.
Se l’onorevole Pini volesse risponderci su questi fatti, saremmo ben lieti di ospitare una sua replica.
Riassumiamo gli interrogativi per agevolarlo.
1) Se, come afferma, è parte lesa in quanto non aveva alcun potere nella Nikenny Corporation e non curava i rapporti con i fornitori, come ha fatto a svuotare in un baleno la società  debitrice allo Stato per circa 2 milioni di euro trasferendo, all’insaputa dell’amministratrice, l’intera attività  alla nuova società ?
2) Come mai era lui, e non l’amministratrice Ferrari, a firmare il contratto di esclusiva con il fornitore malese di caffè, esclusiva passata alla sua Gold Choice Europe srl?
3) A quale titolo, allora, utilizzava la carta di credito intestata alla società  che pagava mensilmente estratti conto di 1. 000 o 1. 600 euro?
4) A quale titolo ha fatto acquistare dalla società  per circa 90 mila euro una Bmw X 6 con cui andava e va ancora in giro (non sappiamo se ora l’auto sia intestata alla nuova società ), non pagando, tra l’altro, multe per 4. 300 euro? 5) A quale titolo usava il cellulare intestato alla società  che pagava bollette di 2 mila euro a volta?
6) A quale titolo faceva intestare dal ristorante Don Abbondio di Forlì le fatture dei suoi pranzi e delle sue cene alla società  di cui, come sostiene, era solo socio di capitale?
In sintesi: se l’onorevole non aveva alcun potere nella Nikenny Corporation, come mai quanto meno fino all’ 11 luglio del 2011, giorno in cui è stata messa in liquidazione, ha goduto di tutti questi fringe benefits, sui quali, tra l’altro, si dovrebbero anche pagare le relative tasse?
Infine, l’onorevole nella lettera al Fatto scrive: “Dalla data della mia prima elezione non ho più svolto il ruolo di procuratore o amministratore di alcuna ditta e quello al quale si fa riferimento nel pezzo è stato rimesso nel 2009”. Ma le date non tornano: come forse l’onorevole Pini saprà , l’onorevole Pini è stato eletto deputato nell’aprile del 2006 e si è dimesso da procuratore institore della Nikenny Corporation srl il primo dicembre del 2010, esattamente 27 giorni prima della costituzione della Gold Choice Europe srl. L’on. Pini parla mai con l’on. Pini?

(da”Il Fatto Quotidiano“)

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SOTTRATTI ALL’ERARIO SEI MILIARDI DI EURO NELL’AMBITO DELLA SANITA’

Febbraio 11th, 2012 Riccardo Fucile

LA MACCHINA PUBBLICA, LA FINANZA E GLI ACCCERTAMENTI: IL SETTORE SANITARIO RIMANE IN TESTA ALLA CLASSIFICA DI SPRECHI E RUBERIE

In tre anni hanno provocato un «buco» nel bilancio dello Stato pari a 6 miliardi e 250 milioni di euro, quasi un terzo della manovra da 20 miliardi già  varata dal governo di Mario Monti per il 2012.
Sono i dipendenti pubblici accusati di danno erariale, dopo essere finiti sotto inchiesta per reati che vanno dalla corruzione alla truffa, dall’omissione in atti d’ufficio all’abuso.
Ma anche per semplici «negligenze» nello svolgimento delle proprie mansioni. Funzionari e impiegati che sfruttano il lavoro dei propri colleghi e nella maggior parte dei casi riescono ad arricchirsi.
Complessivamente, 14.327 persone che tra il 2009 e il 2011 sono state «segnalate» dalla Guardia di Finanza alla Corte dei Conti e per molte di loro è scattata anche la denuncia penale.
Si tratta di una minoranza, ma capace di mandare in crisi il bilancio.
Soltanto nell’ultimo anno sono state 883 le «ispezioni» effettuate dai finanzieri, 4.148 le «segnalazioni» per una «perdita» quantificata in un miliardo e 841 milioni di euro.
Il settore della spesa sanitaria rimane in cima alla lista degli sprechi e delle ruberie, ma molti altri sono i campi dove la «cattiva gestione» si mescola all’illecito.
Uno è certamente quello delle case popolari, amministrate spesso con l’obiettivo di favorire parenti, amici e potenti.
E poi c’è il mercato delle consulenze, con amministrazioni locali che addirittura sostituiscono i dipendenti con «esperti» ingaggiati all’esterno e pagati con parcelle da capogiro.
E proprio sull’attività  di controllo nel settore della spesa pubblica che – al pari dell’evasione fiscale – si concentrerà  l’attenzione investigativa della Finanza anche nel 2012 come ha ribadito nella sua direttiva il comandante generale Nino Di Paolo, proprio alla luce dei risultati ottenuti.
A Catania il direttore dell’Ente Case Popolari aveva assegnato un negozio a suo figlio – che non ne aveva diritto – e non si è preoccupato di allegare neanche la richiesta, tantomeno di riscuotere il canone.
Del resto sono moltissimi gli alloggi che aveva concesso a parenti e amici e alla fine ha provocato un danno di 42 milioni di euro.
Grave è anche il «buco» causato da 21 tra amministratori comunali e responsabili di un altro Istituto case popolari che hanno consentito a numerosi inquilini di prendere possesso degli immobili, ma non hanno mai stipulato con loro un contratto di locazione e alla fine non hanno potuto pretendere neanche un euro.
C’è anche il caso di un ente con 83 milioni di affitti non riscossi e lì per cercare, inutilmente, di recuperarli è stata autorizzata una consulenza legale che ha provocato un ulteriore esborso di tre milioni di euro.
Altri problemi sono stati riscontrati dai finanzieri al momento di censire gli appartamenti lasciati vuoti. In un caso si è scoperto che c’erano 50 alloggi popolari pronti da anni e mai utilizzati: il mancato introito verificato è stato di due milioni di euro, da sommare alle spese di ristrutturazione per renderli nuovamente abitabili dopo anni di abbandono.
Numerose indagini sono state avviate pure sulla «cartolarizzazione» degli stabili perchè al momento della cessione è stato determinato un prezzo molto inferiore al valore di mercato. Fatti i conti, l’ammanco complessivo per il 2010 e il 2011 è stato di 170 milioni di euro con 70 persone denunciate alla Corte dei Conti e 34 alla magistratura ordinaria.
I casi più frequenti di «danno» sono quelli dei medici che lavorano per il Servizio sanitario nazionale e senza autorizzazione svolgono anche attività  privata.
Negli ultimi due anni, denunciano i finanzieri, «le verifiche per le prestazioni mediche “intramoenia” hanno consentito di scoprire un danno pari a 172 milioni di euro e di deferire ai giudici contabili 190 dipendenti, mentre nei confronti di 71 è scattata anche la denuncia penale». Il record di quest’anno spetta a un primario che ha svolto oltre 3.500 visite presso il proprio studio privato senza naturalmente dichiarare i relativi ricavi.
Alcuni suoi colleghi di una Asl che percepivano le indennità  di esclusiva, uscivano per andare a visitare i pazienti, ma per giustificare le assenze presentavano falsi contratti per attestare che andavano a insegnare.
Il «sistema» è stato sfruttato in maniera costante in Calabria: i finanzieri hanno denunciato alla Corte dei Conti 115 medici e 25 impiegati della Asp di Catanzaro contestando loro un danno complessivo di 12 milioni di euro. Il meccanismo di illecito riguarda la «Alpi», vale a dire l’attività  libero professionale intramuraria.
Chi l’accetta può svolgere lavori esterni soltanto in casi particolari e con il «visto» del dirigente. E invece si è scoperto che nessuno effettuava i controlli e questo ha consentito al personale ora finito sotto inchiesta di lavorare fuori e di svolgere l’attività  privata addirittura all’interno di una clinica che non aveva le autorizzazioni per alcune prestazioni che invece venivano effettuate. Altrettanto grave è il caso di tre medici che dichiaravano sul foglio presenza di essere al lavoro, mentre facevano visite nei propri studi privati dall’altra parte della città  o addirittura in un’altra provincia.
La «segnalazione» delle Fiamme Gialle ai giudici contabili riguarda incassi «in nero» per 200 mila euro, ma è stata presentata anche una denuncia penale per truffa.
Stesso reato è stato contestato ad alcuni specialisti che utilizzavano Tac e risonanze magnetiche delle strutture pubbliche per i propri pazienti privati.
Truffa, falso e concussione sono gli illeciti addebitati ad alcuni dottori che lavoravano in una struttura ispettiva sull’igiene e la sicurezza negli ambienti di lavoro e avevano accettato consulenze da quelle stesse aziende che dovevano tenere sotto controllo.
Onorario concordato: mezzo milione di euro, oltre a docenze e corsi di formazioni pagati a parte.
Al momento appare inspiegabile il comportamento del direttore sanitario di un ospedale che, come viene sottolineato nella relazione della Guardia di Finanza «ha autorizzato personale sanitario dipendente all’esercizio dell’attività  libero professionale intramuraria ambulatoriale presso strutture private non accreditate, pur avendo a disposizione spazi realizzati ad hoc utilizzando un finanziamento pubblico di quasi 700 mila euro».
Il caso più eclatante è certamente quello di un Comune che – nonostante potesse contare su un ufficio legale interno – aveva affidato incarichi esterni per un’attività  che, come hanno riscontrato le Fiamme Gialle, era «seriale, superflua e svolta soltanto formalmente».
Questo non ha comunque impedito un esborso di ben 21 milioni di euro.
Nel dossier si evidenzia come quello dei lavori affidati a personale non dipendente sia ormai un vero e proprio «sistema» che consente agli alti funzionari di gratificare amici e parenti con un danno per il bilancio da centinaia di milioni di euro e soprattutto a discapito di quegli «esperti» interni che potrebbero svolgere perfettamente le stesse mansioni.

Fiorenza Sarzanini –
(da “Il Corriere della Sera”)

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