Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL SENATUR BLOCCA IL SINDACO USCENTE DI VERONA… QUANDO IL GIOCO SI FA DURO, I DURI COMINCIANO A GIOCARE: ORA VEDIAMO CHI SONO I CACASOTTO, SE I CERCHISTI O I BARBARI SOGNANTI
Il sindaco di Verona Flavio Tosi “non può fare una lista personale”. Alla fine è arrivata la voce del Capo, Umberto Bossi, per stoppare il primo cittadino scaligero. Ma la volontà del Senatùr questa volta potrebbe cadere nel vuoto.
Tosi non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua lista.
Lo ripete da un mese, da quando cioè la segreteria nazionale, guidata dal bossiano Gian Paolo Gobbo, ha emesso il verdetto: divieto categorico di liste nominali.
Lui prima ha tentato la mediazione, poi ha minacciato di ritirarsi, infine è andato a In Onda a garantire che la sua lista “ci sarà ”.
Ricordando che “già nel 2007 presentammo una lista Tosi che ottenne il 17%”, più di quella della Lega.
E concludendo: “Il punto è riuscire a vincere e la Lega da sola non raggiunge il 50%”. Al suo fianco si è schierato da subito il sindaco di Varese, Attilio Fontana, che ha definito Tosi “indispensabile” per il Carroccio, e il governatore Luca Zaia che, in un’intervista al quotidiano veronese l’Arena ha definito Tosi “Leghista vero e nostro uomo di punta”.
Caduto nel vuoto dunque il diktat della segreteria nazionale, rimasto inascoltato il monito di Roberto Calderoli (che ha anche cacciato Tosi dalla vicepresidenza del Parlamento Padano), adesso è intervenuto il Capo, Bossi.
E la parola del Senatùr, per i leghisti, è legge.
O almeno lo è stata fino a oggi.
Perchè il partito è letteralmente spaccato in due: da una parte i Barbari Sognanti, che invocano il passaggio del Carroccio nelle mani di Roberto Maroni, dall’altra i cosiddetti cerchisti, i “badanti” che hanno accerchiato Bossi manipolandolo (secondo la base) in funzione del proprio tornaconto.
E dopo gli scontri in Lombardia, con il congresso di Varese finito tra contestazioni al Senatùr, il repulisti fatto in Emilia e Liguria, commissariate da Rosi Mauro, ora la battaglia arriva in Veneto.
A Verona, in particolare, dove il sindaco Tosi, convinto e fedele maroniano, rischia di vincere le prossime elezioni a mani basse.
Ma per gli ortodossi bossiani una sua vittoria equivarrebbe alla presa del potere da parte dei Barbari Sognanti.
La guerra interna ha ormai raggiunto l’apice, tanto che Calderoli (da sempre acerrimo nemico di Tosi) e gli altri colonnelli di via Bellerio, sono propensi a commissariare il Veneto fino a cacciare dal partito lo stesso Tosi.
La filosofia dei talebani bossiani la riassume chiaramente Flavio Tremolada, “l’assessore sceriffo” alla sicurezza del comune di Lesmo, nonchè braccio destro del cerchista Marco Desiderati.
“A noi non interessa vincere le elezioni o conquistare un Comune, non ce ne facciamo niente: noi vogliamo ripulire il partito, anche se questo significa tornare al 2, 3 per cento”.
Tremolada intravede il commissariamento del Veneto come una necessità e applaude anche all’annuncio di Bossi sulla possibilità di lasciare la giunta di Roberto Formigoni in Regione Lombardia.
“Dobbiamo ricominciare? Lo faremo, ma prima di tutto bisogna ripulire in casa nostra”.
Dovrà ricredersi dunque Maroni che lunedì scorso, durante un comizio a Parma, aveva archiviato lo scontro sulla lista di Tosi come “un film visto solo dai giornalisti”.
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
GIOIELLERIE E CENE DA 750 EURO, OLTRE A 150 EURO SPESI IN PROFUMERIA, ALTRI 100 IN INTIMO E BIANCHERIA PER LA CASA…IN 11 RICEVUTE UNA SPESA DI 3.870 EURO CON LA CARTADI CREDITO AZIENDALE
Ristoranti con conti anche da 750 euro. Gioiellerie, profumerie, negozi di articoli sportivi.
Ha davvero speso così i soldi della Rai Guglielmo Rositani, consigliere a Viale Mazzini ed ex parlamentare di Alleanza nazionale?
A domanda, Rositani non risponde.
Repubblica lo ha cercato al telefono e per e-mail il 16 febbraio, il 20 febbraio e di nuovo ieri, anche attraverso la sua assistente Raffaella Pichini. Ma senza risposta.
Il consigliere della Rai non vuole confrontarsi sulle spese di rappresentanza che la televisione di Stato permette a tutti i componenti del Cda, lui compreso, attraverso la carta di credito aziendale.
In busta anonima, nei giorni scorsi, Repubblica ha ricevuto le fotocopie di 11 ricevute di carta di credito per una spesa totale di 3870 euro.
Tutte le ricevute hanno lo stesso codice “AID” che conduce ad un’unica carta di credito.
Su una di queste fotocopie compare la scritta “Rai”.
Un’altra ricevuta – Hotel Ristorante da Checco al Calice d’Oro (Rieti), importo 420 euro – è spillata su carta intestata della televisione di Stato (mentre la ricevuta stessa ha l’intestazione scritta a mano: onorevole Rositani).
Tutte le ricevute sono emesse in ristoranti, negozi, esercizi di Rieti, città dove Rositani vive.
Ed ecco le spese in dettaglio, dunque: Hotel Ristorante da Checco al Calice d’Oro 420 euro e Ristorante la Foresta 500 euro (per 10 pasti a prezzo fisso).
Altre tre ricevute portano a questo Ristorante la Foresta, molto apprezzato, pare: 300 euro per 7 coperti, 750 euro (quantità 15) e 250 euro (per 5 coperti).
A seguire ci sono: il Gioielliere Passi 300 euro; la Goielleria Cesare Amici 400 euro; ancora la Gioielleria Cesare Amici 380 euro; quindi la Profumeria Michele Cellurale 150 euro e Grassi Sport 310 euro.
Infine, Letizia Sas (intimo e biancheria per la casa, si deduce da Internet) per altri 110 euro.
Le spese sono state fatte tra il 9 aprile 2011 e il 21 agosto 2011.
Repubblica ha spedito a Rositani e alla sua assistente due distinte e-mail che avevano, in una cartella allegata, copia di tutte le ricevute.
Ma il consigliere di amministrazione della Rai non ha risposto alle e-mail, agli sms e non è venuto al telefono del suo ufficio al settimo piano di Viale Mazzini.
Martedì, però, Rositani ha informato l’ufficio Affari Legali della Rai delle e-mail che aveva ricevuto da Repubblica.
I consiglieri di amministrazione della tv di Stato, per il loro lavoro, ricevono uno stipendio annuo lordo di poco superiore ai 98 mila euro.
Questa somma può essere integrata da un extra fino a 28 mila euro, a patto che i consiglieri diano vita a gruppi di lavoro ristretti, chiamati “comitati editoriali”.
A queste somme, i consiglieri aggiungono una carta di credito aziendale – per le spese di rappresentanza – che ha un tetto massimo di 10 mila euro l’anno.
Al momento del loro insediamento, di norma, i consiglieri non ricevono istruzioni scritte su come utilizzare la carte di credito.
Il suo impiego viene rimesso alla sensibilità del singolo amministratore,
Per le sue spese di rappresentanza, il consigliere Rositani non ha ricevuto contestazioni dalla Rai.
Aldo Fontanarosa
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
TUTTI SUL PIEDI DI GUERRA: RUTELLI PARLA DI RISCHIO PALUDE, BERSANI MINIMIZZA… TASSISTI E AVVOCATI ANCORA INSODDISFATTI
Troppo o troppo poco. Il decreto sulle liberalizzazioni scontenta tutti.
Se le categorie professionali continuano ad essere sul piede di guerra malgrado le modifiche ottenute, anche i sostenitori più fedeli del governo hanno il mal di pancia. “Il rischio è la palude: se la situazione dovesse degenerare, i parlamentari del Terzo Polo si riuniranno per valutare quale comportamento avere in sede di voto”, fa sapere Francesco Rutelli, a nome dell’intero Terzo Polo.
In fermento anche il Pd, ma Pier Luigi Bersani cerca di minimizzare. “Ci sono stati alcuni passi avanti e non solo passi indietro”, spiega il segretario, “rispetto alla proposta del governo c’è qualche arretramento e qualche avanzamento”.
Detto questo, “abbiamo sempre auspicato qualche sforzo in più su un arco di problemi, come quelli delle professioni, dell’energia, della benzina o dei farmaci si può fare un po’ di più”.
Come Pd, assicura, “voteremo il provvedimento, ma credo che il tema sia ancora aperto e qualche ulteriore passo si potrà fare, visto che la discussione non è finita”.
Monti difende il pacchetto.
Parole che alla fine hanno spinto il presidente del Consiglio Mario Monti a difendere l’operato dell’esecutivo.
“Puntiamo molto” sulle liberalizzazioni, dice il premier in conferenza stampa con il premier spagnolo Mariano Rajoy.
Il provvedimento serve per “liberare il nostro potenziale” .
Ma i segni di cedimento verso le lobby sono risultati evidenti a tutti.
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
SENTENZA STORICA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI: ITALIA CONDANNATA ALL’UNANIMITA’….RIGUARDAVA 24 PERSONE: E’ STATO VIOLATO L’ART. 3 DELLA CONVENZIONE, QUELLO SUI TRATTAMENTI DEGRADANTI… DOVREMO VERSARE 15.000 EURO PIU’ LE SPESE A 22 VITTIME
Stop ai respingimenti in mare. Bocciate le espulsioni collettive.
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all’unanimità l’Italia per i respingimenti verso la Libia.
Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
Strasburgo ha così posto un freno ai respingimenti indiscriminati in mare e ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani.
L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.
La politica migratoria del vecchio governo Berlusconi continua a perdere pezzi.
A picconare i pacchetti sicurezza sono tribunali ordinari, Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Consulta e Corte di giustizia dell’Unione europea.
Sotto le loro sentenze cadono: l’aggravante di clandestinità , il divieto di matrimonio con irregolari, il reato di clandestinità (nella parte che punisce con il carcere gli immigrati irregolari).
Ora a crollare è il muro dei respingimenti in mare dei migranti, sotto i colpi della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce i respingimenti attuati dall’Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi.
“Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa – spiega il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) – in acque internazionali, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti – stando al ricorso – sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà , senza essere prima identificati, ascoltati nè preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. I migranti non hanno avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo”.
“Le successive condizioni di vita in Libia dei migranti respinti il 6 maggio 2009 sono state drammatiche – sostengono dal Cir – La maggior parte è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici, dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l’Italia a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorietà e insensatezza della politica dei respingimenti”.
Al riguardo va ricordato che, secondo le stime dell’Unhcr, circa 1.500 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare nel 2011.
Le reazioni alla sentenza. “Viene condannato il governo italiano ma vince lo spirito della nostra Costituzione, nonchè la tradizione del popolo italiano – sostiene Andrea Olivero, presidente nazionale Acli – quella di un paese accogliente che non respinge i disperati in mare consegnandoli ad un tragico destino. Un monito durissimo per il governo che ha commesso quell’errore e per le forze politiche che non solo difesero, ma si fecero vanto di quell’azione, mentre tutte le organizzazioni della società civile per il rispetto dei diritti umani ne denunciavano l’illegalità e la disumanità “.
Avevamo predetto in tenpi non sospetti che sarebbe andata a finire con una brutta figura internazionale e così è stato.
Ora la multa dovrebbero pagarla in via Bellerio, magari facendo rientrare una piccola somma dalla Tanzania.
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
ORA RISCHIA DI DECADERE… HA AGEVOLATO UNA MULTINAZIONALE NELLA QUALE LAVORA IL FIGLIO: CONDANNA A UN ANNO E MEZZO DI RECLUSIONE E INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI…SI RISCHIA DI TORNARE AL VOTO
Il governatore del Molise, Michele Iorio, è stato condannato per aver favorito il figlio e ora rischia di decadere, a pochi mesi dalla sua terza rielezione alla guida della Regione.
I giudici del tribunale di Campobasso hanno emesso una sentenza che potrebbe segnare le sorti del governo regionale.
Iorio, infatti, è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici (per un anno e mezzo).
Ed è proprio l’interdizione che farebbe automaticamente scendere il governatore dallo scranno più alto del Molise, rimandando nuovamente la regione al voto.
Al momento però, la pena è stata sospesa e la difesa ha già annunciato il ricorso in appello.
Per i giudici il governatore, forte del suo ruolo istituzionale, avrebbe aiutato indebitamente la multinazionale Bain &co, dove lavorava il figlio Davide.
Alla società in questione, infatti, erano state affidate consulenze per progetti riguardanti l’autostrada Termoli-San Vittore e per il sistema sanitario regionale.
A inguaiare Iorio, due delibere di giunta (datate 2003 e 2004), proposte all’esecutivo direttamente dal presidente.
Il governatore, inizialmente, era stato accusato anche di concussione, accusa poi caduta in sede di udienza preliminare. E’ però arrivata la condanna per abuso d’ufficio.
Le motivazioni si conosceranno tra novanta giorni.
“L’impianto accusatorio è stato confermato. Sono state accolte le mie richieste. Non ho altro da aggiungere”, ha commentato il pubblico ministero Fabio Papa che per anni ha portato avanti prima l’indagine e poi il processo.
“Si tratta di una sentenza ingiusta. Vedremo cosa accadrà in appello”, ha detto invece Arturo Messere, avvocato di Iorio.
“Io ho le mie convinzioni. Ritengo che il fatto non costituisca minimamente reato”.
I giudici di Campobasso, Michele Russo, Libera Rosaria Rinaldi e Gianpiero Scarlato. hanno anche sancito che il risarcimento dei danni alla parte civile, il Codacons.
Questa non è l’unica inchiesta in cui è coinvolto il governatore del Molise, che da oltre undici anni è alla guida della Regione tra inchieste, polemiche e forti riconferme elettorali.
Iorio è indagato per i soldi del terremoto finiti per acquistare una nave (il Termoli Jet) ed è accusato di aggiotaggio per la vicenda dello Zuccherificio del Molise.
Rischia il processo anche per una vicenda di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, e per favorito una scuola privata nella distribuzione di fondi pubblici.
Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
SEGUONO IL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO MARIO CANZIO CON 562.000 EURO E IL CAPO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA FRANCO IONTA CON 543.00 EURO…IN SESSANTA OLTRE 294.000 EURO L’ANNO
Da un primo elenco che il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi ha reso noto alle commissioni congiunte Lavoro e Affari costituzionali della Camera sono una sessantina i manager pubblici con stipendi superiori ai 294 mila euro, il tetto imposto dal decreto Salva Italia.
Al primo posto dell’elenco c’è il capo della Polizia, Antonio Manganelli, che ha guadagnato 621.253,75 euro.
Dietro di lui il ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, con 562.331,86 euro e il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta con 543.954,42 euro.
Mentre il Comandante generale Guardia di Finanza Nino di Paolo (in pensione) guadagna oltre 302.939,25 trattamento corrisposto fino al 19 agosto 2011.
A seguire il direttore generale del Corpo Forestale Cesare Patrone dichiara un reddito di oltre 362mila euro.
È di 364.196 euro lo stipendio del capo Dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli.
Lo comunica la presidenza del Consiglio, che segnala inoltre che «tra il personale dei ruoli con incarico di struttura» di Palazzo Chigi «nessun dipendente supera il tetto del primo presidente della Corte di Cassazione».
Dunque, il taglio previsto dal decreto all’esame del Parlamento, per portare gli stipendi al di sotto di 294 mila euro, si applicherà eventualmente soltanto al capo della Protezione civile.
Mentre il segretario generale del Ministero Affari esteri Giampiero Massolo porta a casa oltre 412mila euro.
Nel Ministero della Giustizia il Capo dipartimento minorile Bruno Brattoli guadagna oltre 293mila euro.
Invece nel dicastero di via XX settembre il Capo di gabinetto dell’Economia Vincenzo Fortunato prende una retribuzione pari 536.906,98 euro.
Mentre il ragioniere generale dello Stato Mario Canzio 562.331,86.
Nei Monopoli di Stato il direttore Raffaele Ferrara 481mila euro.
Il Direttore Agenzia delle Entrate Attilio Befera 304mila euro, mentre la sorella dell’attuale sindaco di Roma, Gabriella Alemanno e direttore generale Agenzia del Territorio, percepisce un reddito di oltre 307mila euro.
Il presidente dell’Antrust Giovanni Pitruzzella guadagna uno stipendio annuale di 475mila euro.
Nelle autorità energia e gas il presidente Pier Paolo Borboni dichiara 475.643,00. Mentre il presidente della Consob Vegas percepisce un reddito di 387mila euro.
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
CONVENZIONI, RIMBORSI, FALSE ESENZIONI: IN CORSIA MANCANO I SOLDI, MA PIU’ CHE DEI TAGLI E’ COLPA DELLE TRUFFE…IL 68% DEL DEBITO ARRIVA DA LAZIO E CAMPANIA
Inutile cliccare, non vi risponderà nessuno.
Ieri il sito del ministero per la Salute offriva un edificante rebus a chi voleva farsi un’idea di come sia messa davvero la sanità italiana mentre i disastri dell’Umberto I seppelliscono la residuale fiducia nel sistema pubblico.
Nella sezione dedicata al mega ‘Piano di rientro del deficit sanitario’ per le Regioni non virtuose (Piemonte, Liguria, Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna), la documentazione è un cumulo di notizie imperscrutabili. Riunioni, verifiche, richiami, sospensioni delle erogazioni per mancato rispetto dei comportamenti prescritti.
Cioè, siccome i commissari non fanno quanto promesso, lo Stato non sgancia un euro dei dieci miliardi stanziati, e tutto rimane in balia del vuoto anestetico.
Ma come se ne esce? E qual è il quadro complessivo?
Non si sa, ed è un peccato, perchè a questo punto la faccenda s’è fatta davvero interessante.
Possibile che il semplice avvio delle politiche di risparmio sul sistema sanitario abbia generato un crollo così vertiginoso delle prestazioni o è forse la corposa voce del bilancio statale — 111 miliardi di euro nel 2010 — a rischiare di travolgere la contabilità generale una volta manifestati in rosso (deficit ufficiali) e in nero (ammanchi mostruosi stile Massa Carrara) i suoi veri conti?
Risposta ardua.
Bisogna recuperare in fretta i 38 miliardi di buco accumulati negli ultimi dieci anni (dati Sole 24 Ore), eppure l’andazzo generale resta tradizionale: spendi, ruba e spandi.
La Corte dei Conti, impegnata stavolta a guardare nel fondo oscuro della Regione Lazio, ha presentato ieri la sua relazione. Renata Polverini sta giostrando un deficit da un miliardo di euro, un miracolo considerato che nel 2006 era di 11 miliardi.
Allora, eliminati sprechi e porcherie, ora funziona tutto bene?
“Gravissimi fatti illeciti sono stati riscontrati durante il 2011 nel settore della spesa sanitaria — ha detto Angelo Raffaele De Dominicis, procuratore regionale della Corte -. Casi come quello delle convenzioni con il Gruppo San Raffaele, vicenda che con i suoi 137 milioni di euro di sprechi e di truffe, ancorchè limitata ad una tipologia di prestazioni sanitarie (la riabilitazione), desta particolare sconcerto e preoccupazione soprattutto ove si consideri che oltre il 68 per cento dell’intero debito sanitario nazionale è costituito dal disavanzo accumulato da due regioni: Lazio e Campania”. Traducendo, il guaio non sono le — indispensabili — manovre di risparmio quanto il continuo folleggiare nella gestione del sistema sanitario.
Che, guarda caso, continua a privilegiare le convenzioni con i privati anche a fronte del progressivo calo delle risorse.
È stato il ministro dell’economia Mario Monti a metter giù un po’ di numeri lo scorso dicembre nella sua “Relazione generale sulla situazione economica del Paese”: se per la voce ‘ beni e servizi ‘ si è sottolineata una cauta contrazione degli aumenti, continua a briglia sciolta la corsa alla medicina convenzionata e accreditata. Un’operazione della Guardia di Finanza, da poco conclusasi dopo tre anni di lavoro in tutta Italia, disegna un vero e proprio scenario malavitoso tra corsie e lettighe (mancanti): danni erariali per 2 miliardi di euro e altri 500 milioni di frode fiscale.
Come?
Il campionario è vastissimo: case di cura private che possono ricoverare in convenzione solo per emergenza e invece ospitano chiunque per qualsiasi ragione (Abruzzo), medici di base rimborsati per assistiti inesistenti e iperprescrizione di farmaci (Taranto), false autocertificazioni per ottenere prestazioni in regime di esenzione e interventi estetici spacciati per medicali (Avelli-no).
Notevole l’episodio laziale denominato ‘ Lazzaro’, ovvero un’organizzazione capace di far riconoscere la mutua a 1. 500 cittadini defunti e a 5. 500 persone delle quali non era nota l’identità (ma ai defunti di Frosinone venivano anche pagate le ricette per farmaci acquistati dopo il decesso).
Dunque, per capire perchè manchino le risorse, tocca guardare dentro il sistema più che ai tagli del ministero.
Lo ha spiegato bene il procuratore della Corte dei conti della Calabria, Cristina Astraldi De Zorzi, per motivare i 300 milioni di danni causati dalla malagestione della sanità regionale: “Novantuno atti di citazione sono stati emessi verso altrettanti dirigenti medici di Azienda sanitaria che hanno percepito indennità non spettanti per avere esercitato attività libero professionale intramuraria — ha detto inaugurando l’anno giudiziario qualche giorno fa -. Tre atti di citazione sono relativi al risarcimento danni nei confronti di sanitari ospedalieri che hanno causato il decesso di pazienti, uno è invece dovuto alla illegittima trasformazione di 76 rapporti di collaborazione coordinata e continuati-va da parte di azienda sanitaria provinciale con conseguente causazione di danno erariale dell’importo di oltre 23 milioni di euro”.
Il ministro Tommaso Padoa Schioppa, nel lontano 2007, aveva tentato la compilazione di un Libro Verde sulla spesa pubblica invocando una diversa qualità della spesa, piuttosto che una strage dei finanziamenti. In quel rapporto si dava per certa la possibilità di spendere con maggior profitto i 680 euro di spesa sanitaria pro capite, ma nella generale sollevazione contro le previsioni di un rigido burocrate nessuno ebbe l’ardire di immaginare che solo cinque anni dopo la cifra sarebbe salita agli attuali 1. 800 euro.
La solita Corte dei Conti, analizzando le carte fornite dalle Regioni commissariate (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Calabria), ha denunciato la difficoltà di comprendere il reale stato dell’arte a partire dalla compilazione dei bilanci ufficiali: “In alcuni casi il debito è attualizzato, in altri tiene conto solo di valori finanziari — dicevano i magistrati nel 2009 -. I coefficienti di incognita legati alla parifica tra pretese credito-rie e scritture contabili, alla possibilità di sovrapposizioni di debiti appartenenti a tranches di deficit diverse, a duplicazioni di pretese, rendono i saldi perennemente provvisori e controvertibili. Ciò senza dire delle stime di copertura, talvolta labili, talvolta caratterizzate da coefficienti variabili”.
Credeteci o no, la prossima volta che entrerete in un pronto soccorso, sarà questo il vostro vero problema.
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
TRA I REDDITI DELLA MINISTRA DELLA GIUSTIZIA MANCA LA SUA SOCIETA’ PROPRIETARIA DI UNA CASA CON PARCO E PISCINA SULL’APPIA ANTICA
Il ministro della Giustizia Paola Severino vive da anni in una splendida villa, tre piani con parco e piscina, immersa nel verde di una zona tra le più belle di Roma, poco distante dall’Appia Antica.
Un professionista del suo livello, per molti anni avvocato di grido con clienti di gran fama, può di sicuro permettersi una casa così importante.
Non per niente, come risulta dalla dichiarazione depositata martedì sera, il reddito del Guardasigilli nel 2010 ha superato i 7 milioni.
La sorpresa però è un’altra: l’immobile dove risiede il ministro non compare nella sua scheda personale.
Anzi, secondo quanto si legge nel documento disponibile on line, la residenza anagrafica di Paola Severino si trova a un indirizzo diverso da quello della villa.
Possibile? Forse il ministro è in affitto? Forse ha cambiato casa di recente?
Le carte raccontano una storia diversa.
La villa nella zona dell’Appia Antica risulta intestata a una società semplice, la Sedibel.
Le quote di quest’ultima appartengono per il 90% al ministro e per il restante 10% alla figlia Eleonora Di Benedetto, anche lei avvocato nello studio legale gestito fino a tre mesi fa dalla madre.
Questa è la situazione così come viene descritta dai documenti ufficiali.
Riassumendo: la villa è di proprietà di Paola Severino, perchè è lei la titolare della società a cui l’immobile è intestato.
Nè la villa nè la società compaiono però nella cosiddetta scheda trasparenza presentata martedì dal nuovo responsabile della Giustizia. Ieri sera il Fatto ha interpellato la portavoce del ministro. Niente di fatto.
Non abbiamo ricevuto alcuna spiegazione di questa singolare omissione.
Alla voce “quote e azioni societarie” della sua dichiarazione il ministro ha invece segnalato un pacchetto di titoli Generali, per un valore di circa 50 mila euro, e la piccola partecipazione, 1,2% per un valore nominale di 500 mila euro, nel Gruppo bancario mediterraneo.
Un investimento, quest’ultimo, che finora non ha dato grandi soddisfazioni, visto che il piccolo istituto di credito ha da anni i conti in rosso.
Con la villa romana si viaggia su cifre ben superiori.
La lussuosa dimora del ministro è iscritta nello stato patrimoniale della Sedibel per una valore di 7,5 milioni di euro.
Questa però è semplice una valutazione contabile che risale al 2006, data dell’ultimo bilancio depositato. Il prezzo di mercato, secondo alcune fonti interpellate dal Fatto, potrebbe sfiorare i 10 milioni.
La villa che ora appartiene al ministro Severino era già salita agli onori delle cronache più di trent’anni fa.
All’epoca apparteneva al grande giurista Rosario Nicolò, che nel 1977 fu rapito da una banda di malviventi calabresi proprio all’ingresso del parco di casa sua.
Nicolò, preside della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma dal 1967 al 1980 e consulente di grandi imprese, fu liberato dopo 37 giorni di prigionia. Severino nel 2005 comprò la villa da Angela e Francesco Nicolò, i due eredi del professore scomparso nel 1987.
Da sette anni, quindi, la casa risulta intestata alla Sedibel.
Passa il tempo e le carte della società non segnalano novità di rilievo.
Tutto tranquillo, solo ordinaria amministrazione fino a un paio di mesi fa, quando si registra un cambio al vertice.
Paola Severino, socio amministratore della Sedibel, passa il testimone alla figlia Eleonora. Il 90% delle quote restano però di proprietà del Guardasigilli.
Il cambio in corsa risale al 25 novembre scorso, pochi giorni dopo il giuramento del governo Monti, il 16 novembre.
In quello stesso 25 novembre, le carte ufficiali registrano un’altra operazione in famiglia per il neoministro.
Questa volta la compravendita riguarda le azioni della Sedi services srl. Il 60% del capitale di questa società viene ceduto dal Guardasigilli.
Chi compra? Il 20% passa alla figlia, che possedeva un altro 40%. Il restante 40% della Sedi viene acquistato da Paolo Di Benedetto, marito di Paola Severino.
Con questa doppia transazione, registrata nello studio del notaio Mario Fea, il ministro ha quindi girato il controllo della società ai suoi due famigliari.
Ma di che cosa si occupa la Sedi? Dal bilancio risulta che la società , nei primi mesi del 2011, ha preso in leasing un ufficio a Milano per un valore di 1,4 milioni.
Acqua passata ormai per il ministro che ha venduto le sue quote.
Lo stesso non si può dire per la lussuosa villa romana.
Quella è ancora casa Severino, ma il ministro non lo ha fatto sapere agli italiani.
Vittorio Malagutti
( da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL NOTAIO CHE SALVO’ BELSITO OGGI E’ PRESIDENTE DELLA FILSE… MUTUI, AUTO E CHAMPAGNE PER LE FIAMME GIALLE… UN SUO AMICO ISPETTORE DI POLIZIA ARRESTATO… L’ESCALATION DEL POLITICO CHE GESTISCE 20 MILIONI DI FONDI PUBBLICI L’ANNO
L’uomo d’oro e tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito, l’ex sottosegretario che, secondo una serie di dossier fino ad oggi sconosciuti, si è costruito un tesoretto falsificando assegni o intestandoseli senza titolo, nelle sue acrobazie finanziarie aveva un notaio fedelissimo che al momento governa la Filse, cassaforte della Regione Liguria.
Non solo.
Per anni ha mantenuto, quali sponde privilegiate, appartenenti alle forze dell’ordine: loro gli segnalavano potenziali clienti potendo contare su informazioni privilegiate, lui li aiutava a ottenere mutui, prestava auto, cambiava cheque scoperti e faceva regali. Ma si giustificava davanti ai giudici con un “non mi sembra una forma di corruzione”.
E prima di entrare nelle grazie di Umberto Bossi, per il quale gestisce decine di milioni di euro ogni anno di rimborsi elettorali, faceva affari perlomeno bizzarri: “Avevo creato una società per comprare la villa della principessa del Marocco” disse al pm che cercava di raccapezzarsi nel dissesto dell’azienza gestita da Belsito con un entorurage di trafficoni.
Belsito fu protagonista sul finire degli anni ’90 di due fallimenti ravvicinati: quello della Coast Service, intermediaria di un’altra impresa fallita, la Cost Liguria.
Per il secondo crac, il futuro tesoriere dela Lega rimase iscritto 4 anni sul registro degli indagati.
Alla fine la procura decise di accusare solo l’amministratore delegato, archiviando la posizione di Belsito che era uscito formalmente e sulla carta dalla società prima che emettesse alcune false fatturazioni, prova regina del malaffare.
Secondo i suoi soci in realtà Belsito rimase invece amministratore di fatto, ma l’abile mossa gli permise di non finire nei guai.
Oggi è possibile scoprire chi fu il suo consulente nel momento cruciale che gli curò la cessione di quote: è la stessa persona che oggi è a capo della Filse, la società della regione per le operazioni finanziarie.
E sempre della Filse Belsito è stato anche consigliere di amministrazione.
Il documento che certifica lo stretto rapporto tra Belsito e il notaio Biglia è una relazione degli investigatori delegati a indagare sui fallimenti societari di Belsito.
Il 27 ottobre si presentano a casa di Ermanno Pleba, socio di Belsito nella Cost, e spunta l’atto di cessione di quote: Pleba e Belsito escono formalmente dall’azienda che tra poco verrà travolta dal’inchiesta e ciò permetterà loro di dribblare conseguenze penali.
Dichiara Pleba: “parliamoci chiaro, Biglia è l’uomo che ha aiutato Belsito in tutti i suoi affari”.
Biglia sarà nel 2011 fortemente voluto a capo della Filse, la finanziaria della regione, da Giovanni Paladini, uomo di Antonio di Pietro in Liguria. Paladini, deputato, è amico personale del notaio .
Ma Biglia l’incarico più in vista lo ottiene dal ministro leghista Calderoli: una consulenza sul piano casa.
Le carte delle vecchie indagini rivelano che negli anni degli assegni sospetti, i collaboratori occulti di Belsito erano un ispettore di polizia e un finanziere.
Il primo, tale Mauro Federico (che fu anche arrestato) lo accompagnava ovunque e rappresentava il perno per una serie di truffe.
A casa di Belsito saranno trovate copie di richieste di trasferimento dello stesso Federico alla Dia e al Sisde: “Gli cambiavo assegni è vero” sostenne Belsito.
Che coltivava anche amicizie di alto livello con le Fiamme Gialle e lo ammette in un interrogatorio: “il maresciallo Capone mi segnalava potenziali clienti, in virtù della sua professione e io lo aiutai a ottenere un mutuo da 90 milioni, gli prestai una Golf, gli facevo qualche piccolo regalo. Una volta gli diedi 40 milioni per due assegni che la banca non gli voleva cambiare”.
Nella storia segreta di Belsito c’è anche l’antipasto delle sue future predilezioni esotiche ( stileTanzania).
Davanti ai giudici giustificò la creazione di una società , la Saint George, al solo scopo di acquistare una villetta per la principessa del Marocco. Le ambizioni rimasero però solo virtuali: la Saint George non fece mai nulla di operativo e non aprì neanche conti correnti”
( 2 continua)
Matteo Indice e Giovanni Mari
(da il Secolo XIX)
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