Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
A MODENA SONO EMERSE INFILTRAZIONI MAFIOSE NEL PARTITO DI BERLUSCONI…ISABELLA BERTOLINI CHE AVEVA DENUNCIATO LA VICENDA VIENE FATTA FUORI E AL SUO POSTO ARRIVA L’UOMO CON LE CARTE IN REGOLE PER PARLARE DI ETICA
Il tanto invocato intervento di Alfano alla fine è arrivato e ha tutta l’aria di un terremoto in casa Pdl.
Dopo le denunce della deputata Isabella Bertolini, che han gettato l’ombra della camorra sul tesseramento del Pdl modenese, l’ex guardasigilli ha deciso di nominare Denis Verdini commissario del coordinamento provinciale di Modena.
Uno smacco per la deputata modenese, che paga con qualche mese di ritardo il tardimento a Berlusconi: fu lei, infatti a pronunciare quel “Silvio fatti da arte” e a guidare i malpancisti che contribuirono alla caduta del governo Berlusconi.
Il commissariamento e l’incarico a Verdini sono stato decisi in accordo con l’avversario numero uno della Bartolini il senatore Carlo Giovanardi.
“Dopo aver parlato con il segretario nazionale del Pdl Angelino Alfano, abbiamo convenuto che la cosa piu’ opportuna per Modena, per troncare finalmente ogni polverone e speculazione sul tesseramento al Pdl, sia la nomina di un commissario — ha spiegato Giovanardi — che sia in grado rapidamente di fare e garantire la celebrazione del congresso il prima possibile”.
A pesare sul congresso dei pidiellini modenesi (inizialmente l’appuntamento era previsto per il 25 febbraio, ma ora è in attesa di conferma), il rischio di un’inchiesta della magistratura sull’esplosione di tessere.
Il boom infatti non ha insospettito solo una parte del partito, ma anche il procuratore aggiunto di Modena Lucia Musti, che senza, mezzi termini, l’ha definito “allarmante”, mettendo così in guardia rispetto ai rischi d’infiltrazioni mafiose.
“Sicuramente — ha dichiarato appena una settimana fa il magistrato — anche qui il tesseramento può essere un veicolo di infiltrazione. La volontà di garantirsi amici nelle amministrazioni per ottenere favori utili all’organizzazione è un aspetto che emerge in tutto il Paese, non solo al Sud”.
Nei giorni scorsi si sono moltiplicati gli appelli di importanti esponenti di partito che si sono rivolti al segretario Alfano, perchè trovasse una soluzione all’inghippo. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello dell’ex ministro Franco Frattini, che ha detto di non voler sedere “accanto a un affiliato alla camorra”.
Detto fatto. Il plurindagato Verdini farà luce sulle anomalie nel tesseramento, vigilando sulla legalità .
Al commissario spetta anche il non facile compito di sopire gli animi all’interno del partito.
A ridosso dei congressi provinciali, che nelle prossime settimane si svolgeranno in molte città d’Italia, il Pdl appare lacerato da sospetti, fratture e guerre di correnti. Senza esclusione di colpi bassi.
A Modena lo scontro è tra l’area dei Popolari liberali di Giovanardi, che ha candidato il consigliere regionale, (ex An) Enrico Aimi, e quella della Bertolini, che invece ha schierato Claudia Severi. Il ruolo del terzo incomodo spetta invece al consigliere comunale Michele Barcaiuolo.
Ma chi è l’uomo che dovrebbe salvare il Pdl a Modena, ma non solo?
Si chiama Denis Verdini, banchiere e politico di lungo corso, fra i forzisti considerati fedelissimi di Silvio Berlusconi. Artefice della fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale nel Pdl, è rimasto in sella nonostante gli scandali che lo hanno coinvolto, come quello del Credito cooperativo fiorentino e della cosiddetta ‘P3′.
Originario di Fivizzano, ai tempi in cui Bondi era sindaco comunista, militava nelle fila del Partito Repubblicano.
Con la vittoria di Berlusconi è saltato sul carro di Forza Italia per non scendervi più. Economista uscito dall’università Luiss di Roma, considera il conflitto d’interesse un non-problema.
Editore del Giornale della Toscana e socio al 15% della società editrice de Il Foglio, nel 1997 sostenne Giuliano Ferrara nella campagna elettorale del Mugello che portò all’elezione dell’ex Pm Antonio Di Pietro.
Per anni presidente e consigliere del Cda del Credito Cooperativo fiorentino, si è dimesso solo nel luglio 2010 a causa dell’inchiesta sulla cricca che lo vede indagato per corruzione e violazione della legge Anselmi sulle società segrete.
Mentre l’istituto cooperativo veniva commissariato, la Banca d’Italia contestò a Verdini un conflitto d’interessi da 60 milioni di euro.
La Procura di Firenze accusa il forzista toscano e Marcello Dell’Utri, i vertici della Btp di Riccarco Fusi e l’intero cda del Credito cooperativo fiorentino di finanziamenti e crediti milionari concessi senza le garanzie.
Ma i guai per il berlusconiano d’acciaio non sono finiti: oltre all’iscrizione sul registro degli indagati per concorso in corruzione circa gli appalti del G8 alla Maddalena, in primavera è coinvolto nell’inchiesta romana sulla cosiddetta P3 che porta all’arresto del faccendiere piduista Flavio Carboni e vede indagato il governatore Pdl della Sardegna Ugo Cappellacci per appalti nel settore eolico.
Fra l’altro nel settembre 2009 a casa di Verdini si sarebbe svolto un incontro con Carboni, Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori Arcibaldo Miller e Raffaele Lombardi.
Una loggia che secondo i Pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli avrebbe esercitato pressioni per indurre la Corte costituzionale ad approvare il Lodo Schifani sull’immunità delle alte cariche dello Stato poi bocciato per palese incostituzionalità : la loggia segreta si sarebbe data da fare “per realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d’ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata, creando allo scopo una fitta rete di conoscenze nel mondo della magistratura, in quello politico e in quello imprenditoriale”.
Giulia Zaccariello e Stefano Santachiara
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
LA MERKEL COSTRETTA AD ANNULLARE LA VISITA IN ITALIA : “IL NOSTRO STATO DI DIRITTO PREVEDE CHE TUTTI I CITTADINI SIANO UGUALI DAVANTI ALLA LEGGE”… BEATI LORO
Il presidente tedesco Christian Wulff, 52 anni, si è dimesso.
Lo ha annunciato lo stesso presidente nel corso di una dichiarazione dalla sede della presidenza, il castello di Bellevue a Berlino: “Ho fatto degli errori, ma sono stato sempre in buona fede – ha detto Wulff -. C’è bisogno di un presidente che possa dedicarsi completamente alle sfide europee e abbia fiducia ampia dei cittadini. Gli sviluppi di questa settimana hanno dimostrato che questa fiducia non c’è più e quindi non c’è altra possibilità che abbandonare questa carica: oggi perciò mi dimetto”, ha aggiunto.
Annullata la visita del cancelliere tedesco, Angela Merkel, in programma oggi a Roma.
La Merkel avrebbe dovuto incontrare alle 12 a Palazzo Chigi il premier Mario Monti e a seguire si sarebbe recata al Quirinale per una colazione di lavoro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“Ho ascoltato le dimissioni di Wulff con molto rammarico”. Così il cancelliere tedesco in conferenza stampa ha commentato la decisione del presidente al quale ha rivolto un ringraziamento.
“Lui si è dedicato con dedizione e grande impulso alla Germania, ha rappresentato sempre degnamente questo Paese, anche all’estero”, ha aggiunto la Merkel, ma ora “il presidente riteneva di non potere servire più il popolo”.
Il cancelliere ha, poi, annunciato: “I partiti si riuniranno per trovare un accordo per un successore. Vogliamo condurre i colloqui in maniera veloce. I partiti che governano la Repubblica federale, la Cdu e la Fdp dopo consultazioni assieme ai socialdemocratici ai Verdi/Bundnis cercheranno di trovare un candidato comune per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica federale tedesca”.
Poi ha concluso: “Il nostro stato di diritto prevede che siamo tutti uguali davanti alla legge”. “Credo di essermi comportato in maniera retta senza commettere illeciti e questo verrà dimostrato – ha detto Wulff -. Sono convinto che il mio recarmi alla Procura di Hannover mi scagionerà in tutti i modi”.
Poi ha aggiunto: “Lascio la strada libera al mio successore. Il presidente del parlamento insieme al capo di governo sceglieranno il prossimo successore. Giovedi ne parleranno”, ha detto ancora Wulff.
Il presidente della Camera Bassa Horst Seehofer (CSU), assume l’incarico di presidente di transizione della Repubblica federale tedesca.
Ieri, la Procura di Hannover, nel nord della Germania, ha annunciato di aver chiesto l’annullamento dell’immunità per il presidente della Repubblica, accusato da due mesi di illeciti.
Il presidente della Repubblica tedesca gode della stessa immunità dei parlamentari: possono essere perseguiti penalmente solo se il Bundestag concede l’autorizzazione.
E il parlamento dovrà riunirsi in seduta plenaria per decidere del caso.
Nelle ultime ore c’è stata una drammatica accelerazione della crisi al vertice dello Stato tedesco. Mercoledì sera la procura di Hannover ha aperto un’inchiesta nei confronti del presidente per interesse privato in atti di ufficio: su di lui pesa l’accusa di avere ottenuto un prestito di 500mila euro da un imprenditore amico, con un tasso di favore del 4%, quando era governatore del Land della Bassa Sassonia.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la notizia di tre pernottamenti in un albergo dell’isola di Sylte di 258 euro l’uno, pagati sempre da un imprenditore a lui vicino e che Wulff dice di aver rimborsato in contanti.
Anche la giovane moglie di Wulff, la bella Bettina, 38 anni, è finita nel calderone mediatico per dei vestiti di grandi firme (tedesche) ricevuti in omaggio.
Il presidente tedesco ha tentato di riacquistare un po’ di credibilità e allontanarsi dai quotidiani attacchi della stampa tedesca (in prima linea la Bild) con un viaggio in Italia di tre giorni, dal 13 al 15 febbraio, ma non è bastato.
Oltre ai partiti dell’opposizione anche nei settori della maggioranza di governo è venuto meno il sostegno politico al capo dello Stato, a partire dal partito liberale, che ha già preso chiaramente le distanze. ”Per rispetto alla massima carica che ricopre, Wulff deve adesso trarre le conseguenze”, aveva dichiarato Heiner Garg, vicepresidente del land dello Schleswig-Holstein. Un alto esponente della Csu bavarese, partito fratello di quello di Angela Merkel, aveva dichiarato che è ”inimmaginabile un presidente che si rechi in Procura”.
La Merkel ha telefonato al premier italiano Mario Monti per annunciare di dover rinviare la visita.
Si è trattato di una telefonata cordiale, durante la quale la Merkel ha assicurato di voler venire in Italia al più presto.
Come spiegano fonti del governo italiano i due capi di governo si risentiranno anche in giornata. Stamani anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto una telefonata dalla Merkel.
“La Cancelliera Merkel e il Presidente Monti si terranno in stretto contatto durante il fine settimana, in vista dell’Eurogruppo di lunedì”, ha fatto poi sapere Palazzo Chigi.
A fine mattinata su iniziativa di Monti, c’è stata una conversazione telefonica a tre, con la cancelliera Merkel e il primo ministro greco Lucas Papademos: “Al termine di questo colloquio, dettagliato e condotto con spirito costruttivo – si legge nel comunicato – i tre partecipanti si sono dichiarati fiduciosi che lunedì all’Eurogruppo potrà essere raggiunto l’accordo sulla Grecia”.
È la seconda volta in poco meno di un mese che un incontro tra Mario Monti e Angela Merkel a Roma viene annullato. Il 20 gennaio scorso infatti avrebbe dovuto tenersi nella Capitale un vertice tra il premier italiano, la cancelliera tedesca e il presidente francese Nicolas Sarkozy, ma venne rinviato per improvvisi impegni di quest’ultimo legati alla politica transalpina.
Stavolta a fare slittare il vertice Merkel-Monti sono questioni interne alla Germania, con la crisi istituzionale legata all’inchiesta sul presidente Christian Wulff che potrebbe portare già oggi alle sue dimissioni.
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LE FOTO CHOC ALL’OSPEDALE SAN CAMILLO, CON I PAZIENTI CURATI SUL PAVIMENTO, GLI OSPEDALI DELLA CAPITALE SONO NEL MIRINO DELLA MAGISTRATURA… E’ IL FRUTTO DEI CONTINUI TAGLI ALLA SANITA’
Solo posti in piedi nei Pronto soccorso romani presi d’assalto. Anche le sedie e le poltrone sono occupate da malati che aspettano.
Le barelle sono esaurite. Tutte.
Comprese quelle delle ambulanze sulle quali sono arrivati i pazienti.
E, con la dotazione di bordo “sequestrata” dai malati, i mezzi del 118 sono costretti a soste anche di 18 ore davanti agli ospedali (il fermo-ambulanze nel 2011 ha superato le 200mila ore che, tradotte in euro, fanno 5 milioni di produttività sprecata con gli equipaggi fermi).
Di letti neanche l’ombra prima di un’attesa, fino a sei giorni, nei corridoi della prima linea.
E la Procura ha aperto un’inchiesta, complici le fotografie scattate nel Pronto soccorso del San Camillo a due pazienti (una in arresto cardiaco, un altro con un sospetto infarto) sottoposti in condizioni estreme – su un materasso in terra – alle prime cure salvavita.
“Di fronte a una vita a rischio e senza letti nè barelle disponibili – spiega il direttore dell’ospedale, Aldo Morrone – un materasso è meglio che niente: è stato fatto quanto si doveva in una situazione di collasso”.
A trasformare i reparti dell’Emergenza in un imbuto semichiuso è stato il taglio di 10mila posti letto in poco più di un decennio.
Così mentre la popolazione del Lazio è cresciuta (invecchiando) da 5 milioni e 100mila abitanti nel 2000 a 5milioni e 750mila di oggi, le strozzature degli ospedali hanno amplificato i disagi.
“Ogni giorno – spiega Massimo Magnanti del Sindacato professionisti dell’Emergenza (Spes) – in più di 300 stazionano sulle barelle aspettando che si liberi un letto in reparto, quale che sia”.
Perciò anche le Chirurgie si trasformano in divisioni di degenza medica con il blocco conseguente delle sale operatorie.
Una telefonata a casa dei pazienti in attesa di essere operati e si cancellano gli interventi programmati.
Accade dal San Giovanni al Pertini, dal policlinico Tor Vergata al Sant’Andrea; nei quadranti dove il rapporto tra letti e popolazione è di 6,6 ogni mille abitanti (aree a nord) a quelli dove ci sono 2,2 letti per mille residenti (sud est).
E con il taglio dei posti ospedalieri, complici il debito (10 miliardi) e il deficit (sul miliardo quello del 2011), la sanità laziale (commissariata dal governo con la governatrice Renata Polverini) non ha realizzato, come promesso, i poliambulatori di quartiere, le residenze assistite per gli anziani (Rsa), i centri di lungodegenza.
Così, le corsie pubbliche si riempiono di malati cronici (il 20% delle degenze) che potrebbero essere assistiti fuori dall’ospedale dove un giorno di degenza costa dieci volte di più (mille e 200 euro) che in una Rsa.
Il cui fabbisogno è stimato dalla Regione in 7mila posti letto.
La promessa di attivarne almeno tremila è vecchia di un anno.
Ma niente è stato fatto.
Carlo Picozza
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
MARINE LE PEN HA UN MESE DI TEMPO PER RACCOGLIERE 500 FIRME DI SINDACI PER POTER CORRERE PER L’ELISEO… SE NON CI RIUSCISSE LIBEREREBBE I VOTI DEL FRONT NATIONAL, ACCREDITATO OGGI DEL 20%, CHE POTREBBERO PERMETTERE LA RIMONTA DI SARKOZY
Una delle ultime speranze per Sarkozy, in vista delle prossime presidenziali?
Che Marine Le Pen non possa accedere al primo turno, il 22 aprile, a causa di un cavillo burocratico: la necessità di raccogliere le firme di almeno 500 sindaci, come stabilito dalla Costituzione francese.
La leader dell’estrema destra si trova in serie difficoltà su questo fronte.
Il Presidente, dato dai sondaggi a forte distanza dal candidato socialista Franà§ois Hollande, sta puntando comunque sul recupero dei consensi a destra.
Anche mediante ambigue dichiarazioni, prossime al razzismo, del solito Claude Guèant, ministro degli Interni, anima conservatrice del suo partito, l’Ump.
A poco più di un mese dal limite fissato per la raccolta delle firme dei sindaci, la Le Pen sarebbe appena a quota 360.
La possibilità che la candidata del Front National (Fn), a causa dell’ostracismo degli altri partiti, dicono i suoi sostenitori, non possa raggiungere la soglia prevista, è più che concreta.
Secondo Dominique de Villepin, candidato minore della destra (già premier ai tempi di Jacques Chirac), l’esclusione della Le Pen rappresenterebbe per la Francia il «rifiuto della democrazia», mentre per il sarkozysta Franà§ois Baroin, attuale ministro dell’Economia, «esiste una legge, che lei si arrangi».
Sta di fatto che già si cominiciano a fare i calcoli: dove andrebbero a finire i voti riconosciuti dai sondaggi alla Le Pen?
Non si tratta di poca cosa: da mesi sfiora il 20% al primo turno, con la possibilità addirittura di scavalcare Sarkozy e andare al secondo contro Hollande.
L’ultima indagine, realizzata da Ipsos, indicava che il 35% dei potenziali elettori della Le Pen diserterebbe le urne.
Ma il 23% ripiegherebbe su Sarkozy, così da portarlo dal 25 al 28,5%, più vicino a Hollande (33,5%), che approfitterebbe solo marginalmente della scomparsa della candidata dell’estrema destra dalla corsa.
Pochi giorni prima un altro sondaggio, di Ifop, piazzava nell’eventualità addirittura al primo posto a pari merito l’attuale presidente e Hollande con il 33%.
Intanto Sarkozy, che qualche anno fa si presentava come l’espressione moderna della destra europea, con una politica dalle sottolineate aperture alle esigenze tradizionalmente di sinistra, sta puntando proprio al recupero dei consensi sul fronte a destra del suo bacino di elettori.
Come?
Utilizzando la «carta Guèant», il suo ministro degli Interni, già noto per altre dichiarazioni shock. «Contrariamente a quello che sostiene l’ideologia relativistica della sinistra, non tutte le civiltà si equivalgono — ha detto sabato scorso -: quelle che difendono l’eguaglianza, la libertà e la fraternità ci sembrano superiori a quelle che accettano la tirannia, l’inferiorità delle donne e l’odio sociale ed etnico».
In tanti hanno visto nelle sue parole un riferimento ai musulmani.
Insomma, un puro discorso lepenista…
Martedi’ Guèant ha negato di aver pensato all’islam pronunciando il discorso. Ma tutto resta molto ambiguo, come l’accenno alla polemica di Sarkozy. Che ha definito «di buon senso» il ragionamento del ministro.
Sembra, comunque, che ormai la parola d’ordine del Presidente ai suoi aficionados sia: calmare le acque.
E intervenire con toni più tolleranti, in quel gioco tipico di Sarkozy (un colpo al cerchio e uno alla botte), che permetta di captare il maggior numero di consensi possibile nell’ampio bacino che va dal centro all’estrema destra.
E’ anche quello che, partendo da posizioni più estremistiche, sta facendo Marine Le Pen, che si ritrova con sostegni assai eterogenei, numerosi pure tra i giovani: una novità per il Front National.
Non ha le 500 firme dei sindaci, ma può contare su oltre 33mila fan su Facebook.
E il suo partito è quello che in Francia ne ha di più sulla rete sociale: quasi 51mila contro i 34.400 del Partito socialista.
E appena 22mila per l’Ump, la formazione di Sarkozy.
Leonardo Martinelli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
L’UDC NAZIONALE “CONVINCE” QUELLO GENOVESE AD APPOGGIARE MUSSO, MA IL SEGRETARIO REGIONALE LIGURE HA LA VOLPE SOTTO L’ASCELLA
La notizia di oggi è che l’Udc appoggerà la candidatura a sindaco di Enrico Musso, non con il proprio simbolo ma, seguendo le orme di Futuro e Libertà , inserendo propri candidati in una unica lista civica promossa dal medesimo aspirante primo cittadino.
Mentre la mossa di Fli era dettata dallo scopo di non farsi contare, quella del segretario Udc locale Monteleone è ben più abile, anche se sfuggita a molti osservatori.
Ricordiamo alcuni dati:
Nelle precedenti comunali Musso (candidato da tutto il centrodestra) raccolse il 45,9% (la Vincenzi il 51,2%): l’Udc contribuì con un modesto 3,2%, più o meno confermato alle regionali dell’anno scorso.
La lista civica di Biasotti (che appoggiava Musso) raccolse allora il 7,3%, più o meno la quotazione data dai sondaggi a quella attuale di Musso, destino delle liste civiche di centrodestra in città .
Il contributo di Fli e Api insieme è attualmente dato intorno al 2%.
Morale: il Terzo polo dovrebbe attestarsi in una forbice tra il 12 e il 13%, mentre il voto disgiunto potrebbe premiare personalmente Musso di un ulteriore 3%-4%.
Se fosse confermato il suddetto dato di lista il Terzo Polo potrebbe al massimo dividersi 5-6 consiglieri che diventano di fatto 4-5, visto che uno è il candidato sindaco Musso.
Monteleone punterà secco su almeno due candidati e riuscirà a farli eleggere sfruttando la lista civica, mentre se si fosse presentato da solo ne avrebbe raccolto uno solo, vista la sua percentuale.
Non solo: alla sua base che vedeva meglio un’alleanza con Doria potrà dire di usare pure il voto disgiunto per il sindaco, indicando il candidato della sinistra.
Questa operazione penalizzerà i candidati civici di Musso che da tempo hanno lavorato al suo progetto.
E se Doria fosse eletto al primo turno, nulla impedirà in futuro ai due eletti Udc di riposizionarsi, come in Regione, con la sinistra.
Se invece ci fossero stati i simboli Udc (e Fli) il gioco del voto disgiunto sarebbe diventato più scoperto e la somma dei voti di partito una cartina al tornasole dei rispettivi pesi all’interno della coalizione.
Se il gioco dell’Udc ha perlomeno una sua resa, ci chiediamo quale interesse abbia mosso la segreteria regionale di Fli ad avallare tutto questo.
Forse quello, dopo aver distrutto il partito a Genova, di voler anche azzoppare i propri candidati per porsi, come Nerone, come unico referente di un partito senza più iscritti e consiglieri comunali?
In questo caso però, invece che bruciare, Roma dorme.
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di Presidenza
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IN UN MONDO INCENTRATO SULL’OCCUPAZIONE STABILE, IL WELFARE LO FA LA FAMIGLIA
I benefici del posto fisso (per chi lo ha) sono ovvi.
La domanda rilevante è: quanto costa la garanzia del posto fisso al singolo e alla collettività ?
Un fatto spesso ignorato è che questo costo non è nullo anche per chi il posto fisso già ce l’ha.
A parità di altre condizioni, per godere della protezione offerta dall’articolo 18 il lavoratore riceve una retribuzione inferiore a quella che otterrebbe se rinunciasse alla tutela contro il licenziamento.
L’imprenditore, infatti, privato della possibilità di licenziare qualora il posto diventasse in futuro improduttivo, sopporta un costo potenziale aggiuntivo, oltre alla retribuzione.
Se è disposto a pagare il lavoratore 100 mantenendo il diritto di licenziarlo, vorrà pagare solo, diciamo, 90 per assumerlo senza possibilità di licenziamento.
La differenza è una sorta di premio di assicurazione che il lavoratore paga al datore di lavoro per correre meno rischi.
Un contratto di lavoro con salario fisso e sicurezza del posto è in qualche misura anche un contratto assicurativo.
Ovviamente più i rischi economici per l’impresa salgono, più l’impresa vorrà far pagare ad alto prezzo questa assicurazione e più basso sarà il salario di un lavoratore con il posto fisso.
In periodi turbolenti come questo, quindi, il posto fisso costa molto al lavoratore, perchè offrire assicurazione costa di più alle imprese.
Ma allora perchè in Italia sembra che i lavoratori precari abbiano non solo un posto insicuro ma anche una retribuzione inferiore?
Perchè i lavoratori protetti, ossia i dipendenti pubblici e quelli nelle aziende sopra i 15 dipendenti, sono difesi dai sindacati mentre i giovani precari no.
A loro sono lasciate le briciole in una specie di sala d’attesa in cui il giovane invecchia aspettando che qualche lavoratore protetto vada in pensione e liberi il posto sicuro. Per farsi un’idea dell’entità del premio assicurativo che grava sul lavoratore con posto fisso basta pensare al diverso costo orario, al netto di tasse e ammortamento attrezzi, del lavoro di un idraulico dipendente a tempo indeterminato e del lavoro dello stesso idraulico quando lo consultiamo in veste di artigiano.
Più in generale, per un lavoratore metalmeccanico, la stima di Piero Cipollone e Anita Guelfi (Banca d’Italia, Temi di discussione 583/2006) è compresa tra il 5 e l’11 per cento.
Tuttavia, se il costo fosse solo questo non ci sarebbero problemi: ognuno deve essere libero di stipulare il contratto che vuole, sopportandone le conseguenze.
E infatti un’indagine recente di Renato Mannheimer dimostra che l’84% dei giovani italiani sarebbero disposti a guadagnare di meno pur di avere un posto fisso. Nell’attuale situazione di apartheid invalicabile che divide i lavoratori super protetti dai “paria” privi di qualsiasi tutela o welfare statale, chi potrebbe dare loro torto?
La soluzione che propone il sindacato è semplice: diamo a tutti il posto fisso.
Ma è un’utopia pensare che si possa mantenere costantemente un’occupazione sicura ed elevata per l’intera forza lavoro in questo modo.
Il tentativo (vano) di garantire il posto fisso a tutti ha invece dei costi considerevoli per la collettività (oltre a quelli individuali) di cui pochi nel dibattito italiano sembrano voler tener conto.
Un mondo incentrato sul posto fisso è un mondo in cui il welfare lo fa la famiglia, con le risorse guadagnate dal padre (tipicamente unico a godere della sicurezza) e distribuite ai familiari dalla madre che spesso lavora in casa, con nonni e figli adulti che vivono insieme e si assistono gli uni con gli altri.
Un mondo in cui lo Stato non offre assicurazione sociale se non con le pensioni e con la certezza, appunto, del posto fisso per un membro della famiglia. Il tutto richiede una legislazione del lavoro che ingessa il mercato, impedisce l’allocazione ottimale dei lavoratori nelle imprese e mantiene un esercito di giovani precari.
È un mondo che attrae trasversalmente molti italiani e che ha una sua coerenza, fondata sull’avversione al rischio, e il rifiuto del cambiamento anche quando tutto cambia intorno a noi.
Gli italiani vogliono sicurezza e votano chi promette sicurezza (tipicamente senza evidenziarne i costi).
Sia ben chiaro: la famiglia italiana ha dei benefici enormi di cui dobbiamo andare orgogliosi.
Ma se deve sostituire un welfare pubblico che non funziona, le conseguenze non sono tutte desiderabili.
Un sistema di welfare basato sulla famiglia riduce la mobilità geografica e sociale e ostacola la meritocrazia e la concorrenza fra persone e imprese.
Per poter godere del welfare familiare, che aiuta anche a trovare un impiego grazie ai contatti dei genitori più che alle reali capacità , i giovani promettenti frequentano università mediocri sotto casa o non si allontanano per trovare un posto di lavoro migliore e più adatto alle loro caratteristiche.
La conseguenza è una minore produttività che si traduce in salari e profitti più bassi anche perchè le imprese possono imporre condizioni retributive peggiori non dovendo temere che i lavoratori si spostino altrove se trattati male.
Il vecchio governo ci aveva promesso che questa struttura sociale ci avrebbe fatto superare la crisi meglio di altri Paesi. Non è stato così.
Ma il problema vero è che sono gli italiani a volere questa struttura sociale perchè non ne hanno ancora compreso i costi. Il differenziale di gravità della crisi italiana, rispetto a quella di altri Paesi, non è colpa della finanza pericolosa che ha colpito tutti i Paesi. Dei costi aggiuntivi siamo responsabili noi.
La discussione sul posto fisso e su un sistema di welfare impostato sulla famiglia, quindi, va ben al di là di una riforma del diritto del lavoro.
Tocca al cuore la mentalità e l’organizzazione sociale degli italiani. La soluzione più facile è continuare a non affrontare il problema.
Oggi, perlomeno, ci si sta provando.
Alberto Alesina e Andrea Ichino
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
CLAMOROSO AUTOGOL DEL CENTRODESTRA BOLOGNESE CHE NON SA INTERPRETARE NEPPURE LA VOLONTA’ DELLA PROPRIA BASE… LA STESSA SORTE TOCCA ALL’ASCOM
Un autogol. Un cortocircuito. Un testacoda inaspettato. Il Pdl bolognese inciampa, ma lo sgambetto se lo è fatto da solo.
Accade a Bologna, dove i berlusconiani commissionano all’Istituto Piepoli un sondaggio per dimostrare che i bolognesi non vogliono la pedonalizzazione del centro storico che la giunta di centrosinistra, guidata da Virginio Merola, sta cercando di realizzare.
Il risultato sconfessa però clamorosamente le attese: l’81% dei bolognesi si dichiara a favore del centro pedonale.
Gli stessi elettori di centrodestra voltano le spalle al loro partito: il 61% promuove lo stop alle auto.
Un esito che imbarazza e che vanifica decenni di battaglie del Pdl bolognese, impegnato da sempre a contrastare qualsiasi ipotesi di pedonalizzazione del centro, rea di penalizzare il commercio.
Ma non basta ancora.
Anche le associazioni dei commercianti, Ascom in testa, cadono nello stesso tranello. Pure lei tradizionalmente contraria a qualsiasi divieto che impedisca alle auto di entrare in centro e che rischi così di “desertificare” la città , l’associazione che ha sede nella centralissima Strada Maggiore decide di fare un sondaggio tra i propri associati.
Sorpresa numero due: il 75% dei bottegai dice un sì convinto al centro pedonale.
L’imbarazzo non potrebbe essere più grande.
Difficile trovare le parole per spiegare una sconfessione pubblica di posizioni decennali.
Solo poche settimane fa, in una riunione della commissione Mobilità in Comune, i rappresentant
del Pdl parlavano del piano di pedonalizzazione come di un “tentativo per ammazzare il commercio e il centro storico”.
Il senatore Pdl Giampaolo Bettamio, reo di avere commissionato all’Istituto Piepoli il sondaggio tra i bolognesi, prova a spiegare l’inspiegabile: “Le domande erano poste male”.
L’ex vicepresidente del consiglio comunale Paolo Foschini, candidato in pectore al coordinamento cittadino nel congresso Pdl che si svolgerà il 19 febbraio, si ritrova all’improvviso spuntata una delle principali armi dell’opposizione sotto le Torri: la difesa dei diritti degli automobilisti contro qualsiasi “divieto” di stampo ambientalista.
In imbarazzo anche il presidente dell’Ascom Enrico Postacchini, che nel dicembre scorso era arrivato a spegnere le luminarie di Natale per protesta contro i “T-Days”, i weekend a piedi realizzati dalla giunta, e che aveva minacciato lo sciopero proprio brandendo il sondaggio sui suoi 4mila iscritti i cui risultati sono arrivati oggi.
“Se i nostri associati ce lo chiedono, siamo pronti a incrociare le braccia contro il piano di pedonalità “, tuonava Postacchini.
Gli associati, al 75%, gli chiedono invece un centro dove si possa girare a piedi.
La giunta sta a guardare, tanto soddisfatta da non dover nemmeno infierire.
“E’ la dimostrazione che avevamo ragione – dice il giovanissimo assessore alla Mobilità Andrea Colombo, 27 anni -: vuol dire che andremo avanti con più spinta verso la pedonalizzazione. Ad aprile, dopo la discussione con la città , saremo pronti”.
Silvia Bignami
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL TAVOLO TRA IL MINISTRO E LE PARTI SOCIALI: APPLICARE LA FORMULA MALUS-BONUS AI CONTRATTI PRECARI…CONFINDUSTRIA: MENO FLESSIBILITA’ IN ENTRATA MA PIU’ SUI LICENZIAMENTI
Contratti a termine con la formula originale del malus-bonus.
Costeranno di più all’azienda ma una volta trasformati in contratti a tempo indeterminato l’aggravio sarà del tutto restituito. E diventerà un incentivo alla stabilizzazione. Esclusi, per ovvie ragioni, i tipici contratti a tempo, quelli per i lavori stagionali o per le sostituzioni.
È la proposta che ha presentato il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, alle parti sociali al tavolo di Palazzo Chigi.
Una carta contro gli abusi, a favore della “flessibilità buona”, come la chiama il ministro, e giocata all’inizio del negoziato per spegnere qualsiasi possibile principio di incendio.
Una mossa che è piaciuta ai sindacati (“dopo tre anni bui – ha detto per esempio il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso – questo governo dice che la precarietà va combattuta”) ma che ha spiazzato la Confindustria.
Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, subito dopo l’incontro plenario, ha chiesto, insieme agli altri rappresentanti delle imprese, di poter parlare alla Fornero.
“Noi – ha sostanzialmente detto il leader di Viale dell’Astronomia – siamo pronti a ragionare su tutte queste questioni. Però manca un pezzo: quello della flessibilità in uscita. La nostra risposta, dunque, arriverà solo quando sul tavolo ci sarà l’una e l’altra”.
Perchè questo è lo scambio destinato ad andare in scena: meno flessibilità in entrata in cambio di più flessibilità in uscita.
Insomma, meno precarietà per i giovani e ritocchi (si vedrà quali) all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
E per come ha impostato il negoziato il governo (“di articolo 18 si parlerà alla fine”, ha detto la Fornero), l’obiettivo dei sindacati è quello di incassare il più possibile prima per poter cedere il meno possibile dopo.
Una trattativa complessa dalla quale però nessuno ha intenzione di tirarsi fuori. E anche questa è una novità dopo anni di intese separate e poco efficaci.
C’è ormai un abuso dei contratti a termine.
Nel quinquennio 2005-2010, secondo un’indagine dell’Istat pubblicata un paio di settimane fa, il 71,5 per cento delle assunzioni è avvenuto con un contratto a tempo determinato.
È del tutto evidente che una quota non marginale di queste assunzioni non sia legata a esigenze produttive, a picchi stagionali, o a un’impennata improvvisa della domanda di mercato.
Si tratta di abusi, piuttosto.
Si ricorre ai contratti a termine, con rinnovi al limite della legge o aggirando la legge, perchè comunque il rapporto di lavoro ha una data di conclusione certa.
Da qui la proposta Fornero. Che intende aggravare il peso dei contributi sui contratti a tempo determinato, così da recuperare le risorse per pagare loro il sostegno al reddito nei momenti di disoccupazione.
Ma una volta che il contratto a termine verrà trasformato in un’assunzione senza scadenza i maggiori contributi saranno restituiti attraverso una forma di sgravio.
Malus-bonus, appunto.
Ma l’operazione Fornero contro la precarietà non si ferma ai contratti a tempo. Il ministro è stata tentata di intervenire con “l’accetta” (ha proprio detto così) nei confronti della false partite Iva e dei falsi associati in partecipazione.
Sono almeno 800 mila, secondo alcune stime, dietro i quali non ci sono professionisti autonomi, bensì veri e propri lavoratori subordinati con tutti i vincoli (dall’orario a un rapporto gerarchico) che questo prevede.
Qui, anche se il ministro non ha ancora precisato come, l’intervento sarà robusto in particolare a favore di coloro che sono mono-committenti, cercando di non penalizzare i giovani al primo rapporto di lavoro.
Il “job on call” (il lavoro a chiamata) è destinato, tanto più che non ha avuto successo, ad essere relegato a un ruolo marginalissimo, previsto solo in alcuni casi. Saranno riportati alle origini, e quindi ridotti alla stagionalità e all’occasionalità , i lavori che potranno essere retribuiti con i voucher.
Ci saranno più paletti anche per il part time.
La crisi ha costretto molti lavoratori (soprattutto donne) ad accettare di passare dal tempo pieno a quello parziale.
Che, invece, deve tornare volontario.
La Fornero punta a incentivare i controlli per scoprire il lavoro sommerso ma anche gli abusi di lavoro precario. È questa è davvero una svolta.
Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 17th, 2012 Riccardo Fucile
A MONZA FINISCE LA STORIA MAI INIZIATA DEI PATACCARI PADAGNI: DISMESSE LE UTENZE E RICONSEGNATI GLI IMMOBILI… IL GOVERNO NON FARA’ RICORSO CONTRO IL TRIBUNALE CHE AVEVA GIA’ BOCCIATO LE DELEGAZIONI DISTACCATE VOLUTE DA CALDEROLI
Il ministro Piero Giarda parla alla Camera rispondendo a un’interrogazione dell’Idv ha messo la parola fine alla vicenda delle sedi distaccate dei ministeri della Semplificazione e delle Riforme nella Reggia di Monza.
Inaugurati in pompa magna, con grande spolvero di ministri leghisti e Pdl, gli “uffici” distaccati sono stati oggetto di polemiche e indagini per una vicenda che, non fosse per i costi, si è rivelata una farsa.
“Entrambe sono state chiuse con la nascita del governo Monti”, ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, aggiungendo che “la presidenza del Consiglio è stata condannata il 9 novembre per comportamento antisindacale per l’apertura di queste sedi e lo scorso 9 febbraio sempre Palazzo Chigi ha rinunciato ad opporsi a questo decreto del Tribunale di Roma”. Il motivo, ha spiega Giarda è che “nel frattempo è cessata l’operatività delle sedi”.
Giarda ha spiegato che il governo considera “cessata la ritenuta condotta antisindacale” in quanto “le sedi sono di fatto non più operative dal momento dell’insediamento del governo Monti”.
Giarda ha detto che sono state dismesse le utenze, sono stati ritirati i beni immobili che erano stati messi a disposizione e l’immobile è rientrato nella “piena disponibilità ” del proprietario.
Il ministro ha anche osservato che “nessuna unità di ruolo di comando o comandata ha mai preso servizio presso le sedi distaccate dei dicasteri”.
Quindi Palazzo Chigi ha dato esecuzione alla sentenza del Tribunale dopo aver sentito le organizzazioni sindacali anche perchè la sentenza non aveva disposto la chiusura delle sedi, ma aveva solo rilevato il comportamento non corretto rispetto alle rappresentanze dei lavoratori da parte della presidenza del Consiglio.
Polemica la reazione del coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, l’ex ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli: “la chiusura delle sedi ministeriali di Monza è l’ultima goccia che il popolo del Nord ha dovuto subire: d’ora in poi sarà guerra senza quartiere”.
Le solite sparate per i gonzi.
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