Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
LE LETTERE DI FUOCO TRA BERTONE E TETTAMANZI…. IL SEGREATRIO DI STATO VOLEVA IL CONTROLLO DELL’ISTITUTO TONIOLO
Le lettere che il Fatto ha pubblicato in esclusiva descrivono una situazione inedita al vertice della Chiesa.
Il braccio destro del Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, si arroga il diritto di parlare a nome di Benedetto XVI e, forte di questo mandato, nel marzo del 2011 arriva a licenziare su due piedi il presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, un cardinale autorevole come Dionigi Tettamanzi, allora arcivescovo di Milano e accreditato dalla stampa nel 2005 come un possibile successore di Giovanni Paolo II.
Per tutta risposta Tettamanzi scrive a Benedetto XVI per chiedergli di sconfessare Bertone annullando la sua decisione.
E, colpo di scena, la sconfessione di fatto si realizza.
Nonostante il rinnovo dei vertici del Toniolo fosse stato già comunicato ufficialmente al successore in pectore, Giovanni Maria Flick, un anno fa.
La vicenda era stata già narrata a grandi linee nella primavera scorsa, ma nessuno aveva mai letto le lettere dei due cardinali.
L’oggetto della lettera di “licenziamento” per Tettamanzi non era il posto di arcivescovo di Milano, che nel giugno 2011 sarà poi assegnato ad Angelo Scola, ma la presidenza dell’Istituto Toniolo, uno dei maggiori centri di potere in Vaticano, che controlla il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e l’Università Cattolica con gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma e Campobasso, oltre alla casa editrice Vita e pensiero e numerosi beni immobili in tutta Italia più altre proprietà intestate a società commerciali.
Il Toniolo è sempre stato uno snodo dei rapporti tra politica e Chiesa, dai tempi in cui il suo consiglio includeva Oscar Luigi Scalfaro ed era presieduto dall’ex presidente del Consiglio Emilio Colombo.
Nel 2003 Dionigi Tettamanzi, da poco nominato arcivescovo di Milano, fu spedito da Giovanni Paolo II a presiedere l’istituto proprio per togliere dall’imbarazzo il Vaticano dopo il coinvolgimento di Colombo, come consumatore, in un’inchiesta sullo spaccio di cocaina a Roma.
Quando nel marzo 2011 Bertone intima brutalmente a Tettamanzi di levare le tende entro due settimane, nemmeno fosse la sua colf, il cardinale ha già i nervi tesi perchè si sente nel mirino di una campagna diffamatoria partita con una serie di lettere velenose sui giornali che gli imputano la presunta mala-gestio familistica del direttore amministrativo della Cattolica, Antonio Cicchetti.
E proprio nella lotta per il controllo del Toniolo molti iscrivono anche la pubblicazione, sempre nel 2010, della velina falsa e calunniosa contro l’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo, consigliere del Toniolo vicino al presidente della Cei Angelo Bagnasco e al suo predecessore Camillo Ruini.
Quando Tettamanzi, il 26 marzo del 2011, legge il fax con la lettera di licenziamento nella quale Bertone gli intima di lasciare il posto al professor Flick e di non fare nomine prima dell’arrivo del successore, l’arcivescovo reagisce come una belva ferita.
Tettamanzi scrive al Papa una lettera nella quale sostanzialmente insinua che Bertone non avesse l’investitura papale, da lui millantata, per cacciarlo e chiede a “Sua Santità ” di essere confermato.
Detto fatto. Il Papa, dopo avere ricevuto Bertone il 31 marzo e Tettamanzi il 30 aprile, lascia quest’ultimo al suo posto (e lì si trova tuttora a distanza di quasi un anno).
L’aperta sconfessione di Bertone non viene accolta bene dal segretario di Stato che da allora medita la rivincita.
Il primo scricchiolio dopo il braccio di ferro si è avvertito quando nel consiglio del Toniolo è entrato il cardinale Angelo Scola.
Probabilmente Bertone ha pensato di dare scacco matto a Tettamanzi mettendo in campo un uomo stimato dal Papa ma che non è considerato un suo fedelissimo.
Il cardinale ciellino Angelo Scola però non è certo paragonabile al laico ed ex ministro prodiano Flick.
La sostituzione del progressista Tettamanzi con un arcivescovo vicino alle posizioni del Pdl (anche se recentemente ha preso le distanze dai seguaci lombardi di don Giussani) sarebbe una piccola rivoluzione negli equilibri del potere Vaticano e sarebbe vista come una presa da parte dei conservatori di un feudo dei moderati non berlusconiani.
Per questo, nonostante risalgano a quasi un anno fa, le lettere che pubblichiamo conservano una grande attualità .
Il fax del segretario di Stato del 26 marzo 2011 e la missiva di Tettamanzi al Papa del 28 marzo sono la prova migliore della situazione anomala in cui versa oggi il vertice della Chiesa.
Il segretario di Stato si arroga sempre più spesso i poteri del Santo Padre e agisce con lo stile di un capo azienda.
Dall’altro lato i cardinali più autorevoli, come Tettamanzi, e i monsignori più orgogliosi, come Carlo Maria Viganò, si ribellano ai diktat di Bertone.
E il risultato è un governo schizofrenico che oscilla tra autarchia e anarchia.
Mentre Benedetto XVI si isola negli studi e nella scrittura dei libri, alle sue spalle si svolge una lotta di potere senza esclusione di colpi che danneggia l’autorità morale della Chiesa dentro e fuori le mura leonine.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Il carteggio riservato
BERTONE A TETTAMANZI
Signor Cardinale,
circa otto anni or sono Ella, accogliendo con encomiabile zelo e generosa disponibilità la richiesta che Le veniva fatta, accettò per un biennio la nomina a Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.(…).
Di fatto, l’impegno di Vostra Eminenza a servizio dell’Istituto Toniolo si è protratto ben oltre il tempo originariamente previsto, e questo ovviamente a prezzo di ben immaginabili sacrifici (…)
Ora, essendo scaduti alcuni Membri dei Comitato Permanente, il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico.
Adempiendo pertanto a tale Superiore intenzione, sono a chiederLe di fissare l’adunanza del Comitato Permanente entro il giorno 10 del prossimo mese di aprile.
In tale circostanza. (…) Contestualmente indicherà il Prof. Giovanni Maria Flick, previa cooptazione nel Comitato Permanente, quale Suo successore alla Presidenza.
Il Santo Padre dispone inoltre, che fino all’insediamento del nuovo Presidente, non si proceda all’adozione dì alcun provvedimento o decisione riguardanti nomine o incarichi o attività gestionali dell’Istituto Toniolo.
Sarà poi compito del Prof. Flick proporre la cooptazione dei membri mancanti nell’Istituto Toniolo, indicando in particolare il prossimo Arcivescovo pro tempore di Milano e un Prelato suggerito dalla Santa Sede.
In previsione dell’avvicendamento indicato, questa Segreteria di Stato ha già informato il Prof. Flick, ottenendone il consenso.
Non c’è bisogno che mi soffermi ad illustrare le caratteristiche etiche e professionali che raccomandano questa illustre Personalità , ex allievo dell’Università Cattolica del Sacro. Cuore, oggi nelle migliori condizioni per assumere la nuova responsabilità in quanto libero da altri incarichi. (…)
TETTAMANZI AL PAPA
Beatissimo Padre, sabato 26 marzo mattina per fax è arrivata alla mia attenzione, in qualità di Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, una lettera “riservata – personale” del Segretario di Stato, che mi induce (…) a sottoporre direttamente alla Sua persona alcune spiacevoli considerazioni.
La lettera in oggetto prende le mosse dalla mia nomina a Presidente dell’Istituto nel 2003, pochi mesi dopo il mio ingresso a Milano, sostituendo il Sen. Emilio Colombo, dimissionario non tanto a causa di modifiche statutarie, come affermato nello scritto, ma per più consistenti ragioni legate alla sua condotta personale e pubblica (…)
L’accenno a un originario ”biennio” di carica, anch’esso senza alcun riscontro, e a un tempo di governo prolungato è l’unico motivo che viene addotto per procedere immediatamente nella coazione al mio dimissionamento (…)
Annoto a margine che il candidato (Giovanni Maria Flick Ndr), sul cui profilo gravano non poche perplessità , sorprendentemente è già stato avvisato della cosa da parte della Segreteria di Stato.
Tutte queste sanzioni (…) sono direttamente ricondotte all’esplicito volere di Vostra Santità , cui lo scritto fa continuamente riferimento.
Ben conoscendo la mitezza di carattere e delicatezza di tratto di Vostra Santità e avendo serena coscienza di avere sempre agito per il bene dell’Istituto e della Santa Chiesa, con trasparenza e responsabilità e senza avere nulla da rimproverarmi, sorgono in me motivi di profonda perplessità rispetto all’ultima missiva ricevuta e a quanto viene attribuito direttamente alla Sua persona (…)
Nell’ultimo anno l’Istituto Toniolo è stato oggetto di attacchi calunniosi, anche mediatici, a causa di presunte e non dimostrate inefficienze amministrative e gestionali, apostrofate con l’espressione di mala gestio. Nulla di tutto questo! (…) (…)
Ma lascio a Lei di confermarmi con una Sua parola autentica.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
STAMPELLE PER ANNI DEI SIGNORI DELLA P2, I LEGHISTI HANNO BEN DIRITTO A UNA LOGGIA TUTTA PER LORO… LA “SUPREMA MILITIA EQUITUM CHRISTI GRAN PRIORIATO SANTI APOSTOLI”
L’informazione della provincia è meno leale dell’informazione nazionale: quell’imbarazzo dell’incontrarsi per strada e i poteri soffocanti di chi controlla giornali e Tv.
Brescia, per esempio, travolta da una baraonda che inguaia il Carroccio: Tempo Moderno on line, radice socialista, rompe la riservatezza che accompagna il rapporto d’affetti tra la Lega e l’establishment di una città devota.
Racconta della loggia segreta (e un po’ carnevalesca) del Bossi ormai spaventapasseri dei berluscones, il correre da solo che spaventa il Cavaliere.
E Belpietro, corsaro al servizio di Arcore, prova a tamponare distribuendo l’elenco degli affiliati sorpresi nell’oscurità : Rolfi vicesindaco, Monica Rizzi, baby sitter politica del Trota, promossa per meriti speciali assessore della Regione Lombardia o Attilio Visconti ex viceprefetto oggi prefetto a Pesaro, un passato nei servizi segreti. Fra i numerari della “Suprema Militia Equitum Christi Gran Priorato Santi Apostoli”, Bruno Caparini, ombra del leader, è “Gran Baylò” (?) dei Cavalieri raccolti nelle cinque logge nord di un’associazione “benefica” che alle opere buone dedica qualche spicciolo.
E poi massoni col cappuccio della Gran Loggia Regolare, non solo bresciani, ma riuniti chissà perchè attorno all’Arezzo di Licio Gelli dove i Santi Apostoli conservano i sacri elenchi dei quali è proibito mormorare.
Indiscrezioni punite con l’espulsione.
Se Arezzo resta la capitale virtuale, il cuore batte a Bergamo, Monza, Como, soprattutto Brescia.
Comanderia nella chiesa di San Gottardo, assistente spirituale don Arnaldo della Val Camonica: Cavalieri in preghiera decidono raccomandazioni e appalti.
La folla dei Novizi coltiva il sogno dell’avvolgersi nel mantello bianco segnato dalla croce dei Templari.
Ne ammirano l’eleganza durante il Gran Capitolo della Luce, trascrizione massonica della presentazione di Gesù al tempio.
Non si sa se ridere o impaurirsi, ma Bossi e Maroni vanno capiti.
Stampelle per anni dei signori P2, hanno pur diritto alla dignità di una loggia tutta per loro.
Sfogliare i giornali della città è una sorpresa: nessuno se ne è accorto.
Nemmeno Il Giornale di Brescia che “raggiunge 387 mila lettori”. Silenzio delle sue Teletutto, Telenord Numerica, Radio 17, Brescia on line.
Anche la concorrenza di Brescia Oggi trascura lo scandalo di una città dove il blasone delle grandi famiglie resta “l’aver accesso a Sua Santità ”.
Il Giornale di Brescia è proprietà della Chiesa, proprietà un tempo locale forse oggi scivolata a Roma.
Lo racconta una ricerca per l’Università di Parma di Massimo Guadrini; lo scrive il professore della Cattolica Maurizio Lovati nel libro “Giacinto Tredici, vescovo di Brescia in anni difficili”.
Tra il ’49 e il 1950 compra le azioni del Giornale: Folonari se ne libera quasi gratis in cambio di un titolo nobiliare, l’ultimo concesso dal Vaticano. E il vescovo prega Giovanni Battista Montini, allora segreteria di Stato, di conservare il segreto per evitare che i Beretta delle armi in concorrenza ai fabbricanti di vino aprisse un altro quotidiano.
Segreto custodito fino al libro di Lovati pizzicato con malevolenza dal Giornale governato dal notaio Comatini, presidente della Fondazione Paolo VI: è lui ad accogliere le visite di papa Ratzinger.
Il grande foglio racconta la Lega con doveroso riguardo e qualche entusiasmo insolito in un quotidiano prudente “costretto” a tener conto del Bossi signore delle vallate dove un tempo la Dc vegliava ogni potere.
Le parrocchie continuano a essere filtro di chi chiede e spera; la diocesi si adatta alla nuova realtà .
E il Giornale annuncia con l’allegria di una gita degli ultras i 18 pullman del Carroccio in partenza per la protesta di Milano contro il governo.
Insomma, la scoperta della loggia templare è una tempesta da valutare con calma. Prima o poi se ne parlerà , ma con dovuta prudenza.
Maurizio Chierici
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
E’ DERBY ALL’ULTIMO COMIZIO, MARONI SEMBRA AVERE PIU’ APPEAL E RIEMPIE LE SALE PIU’ DI QUANDO SUONAVA IL SAX… IL SENATUR ARRANCA TRA POSTI VUOTI E MALUMORI CERCHISTI… MA C’E’ CHI DICE CHE MARONI NOLEGGI PULMANN DI TRUPPE CAMMELLATE
Maroni batte Bossi. Almeno sul palco.
Un tempo, i comizi del Senatur erano oggetto imperdibile. Posti in piedi, autografi. Slogan.
Oggi il vecchio leone sembra ruggire meno forte. C’è un delfino di nome Bobo che può vantare un appeal più fresco. Basta prendere come esempio il comizio dell’altra sera a Sassuolo.
Sul palco c’è l’Umberto, come lo chiamano confidenzialmente quelli del cerchio magico.
La platea supera a mala pena le 150 persone. Tanto che Bossi fa un comizio dove dice l’essenziale.
Giusto che Berlusconi gode dell’assoluzione (in realtà si riferiva alla prescrizione per il caso Mills, ndr) solo perchè il governo ha bisogno dei suoi voti.
Applausi, certo. Ma pochi.
Basta confrontare con quello che è accaduto una settimana prima a Parma: in questo caso il numero dei presenti è superiore e di molto ai 300. Molti sono in piedi.
Maligni dicono che Maroni si porti dietro i suoi fan con pullman da lui (o dalla Lega?) pagati. Ma sicuramente è un altro comizio, con un’altra platea.
Che la lotta tra i due sia aperta da mesi non è un mistero.
E se il termometro sono le presenze ai comizi, un vincitore c’è già e non si chiama Bossi.
La foto è proprio quella che pubblichiamo in quest’articolo.
Parma: lunedì 20 febbraio alle 21, nell’auditorium della Camera di commercio l’ex ministro dell’interno, Roberto Maroni, davanti a una sala colma (più di 280 i posti disponibili) presenta il candidato sindaco per le prossime amministrative.
Forse dell’ordine schierate all’esterno e tanti militanti non trovano sedie libere.
Sassuolo: domenica 26 febbraio, stessa ora.
Il senatur scende dall’auto coi vetri oscurati. Oltre il muro di giornalisti, telecamere e fotografi trova tante seggiole vuote.
Un cartello all’ingresso dell’aula magna dell’istituto scolastico Volta dove si tiene il comizio recita: capienza massima 250 persone.
Forse il discorso di un qualunque politico locale avrebbe riempito di più quella sala e magari ci sarebbero state, come ieri sera, due o tre utilitarie della polizia.
Quali problemi di ordine pubblico ci possono essere a un comizio di Bossi?
Maroni è da giorni impegnato in un tour per il nord e dovunque vada riempie teatri.
A Vigonza, provincia di Padova, venerdì sera il gestore della sala dove Bobo doveva parlare ha dovuto chiamare i carabinieri per bloccare gli accessi: in sala c’erano 250 persone in più rispetto alle 380 ospitabili.
Stasera a Milano ci sarà una cena organizzata dalla segreteria provinciale del Carroccio con già 500 adesioni.
Nei giorni scorsi in un meeting leghista a Bergamo con Bossi e Roberto Calderoli lo stesso senatur avrebbe mal digerito le ovazioni tributate a Bobo.
Una cosa simile era successa a Milano un mese fa, in piazza.
L’ex titolare degli Interni, sotto gli occhi di ‘re Umberto’ si era rifiutato di stringere la mano a due esponenti del cerchio magico bossiano, Rosi Mauro e Roberto Reguzzoni, mentre il popolo in piazza Duomo gridava “Maroni, Maroni”.
Ma ieri a Sassuolo erano anche le assenze alla visita di Bossi a far più rumore.
Da Bologna, poche decine di chilometri di distanza, c’era solo la consigliera comunale Lucia Borgonzoni (che, va detto, era presente anche a Parma), mancavano invece le altre due.
Dei consiglieri regionali assenti due su quattro. Mancavano Roberto Corradi e Manes Bernardini, ex candidato sindaco a Bologna per il centrodestra e maroniano doc, che lunedì non aveva esitato a farsi il viaggio dal capoluogo fino a Parma per seguire Bobo in prima fila.
Non è bastata insomma la direttiva di metà gennaio (subito ritirata) con cui il segretario della Lega lombarda, col placet del segretario federale Bossi, vietò l’organizzazione di comizi del partito in cui parlasse il solo Maroni.
“Mi viene da vomitare — scrisse allora l’ex ministro dell’Interno — c’è chi mi vuole cacciare dalla Lega, ma io non mollo”.
E infatti, almeno a vedere la situazione da questa sponda del “dio Po”, Bobo sta conquistando il partito. Conosce la macchina dello Stato (quello italiano e non solo quello padano), cita tutte le sue conquiste da ministro.
Soprattutto non c’è comizio in cui non tessa le lodi dell’amico Umberto. “Mia moglie mi dice sempre che io sono sposato prima con Bossi”, ha ripetuto scherzosamente anche a Parma.
Poi dice che le divisioni ai vertici del partito sono “invenzioni dei giornalisti”.
Il vecchio leader, anche ieri sera, la parola Maroni non l’ha pronunciata nemmeno una volta e, allo stesso modo, non ha fatto alcun cenno alle divisioni interne al partito.
Dopo il Va pensiero di rito ha parlato per qualche minuto di governo e dell’ex alleato Berlusconi, tanto per dare due notizie ai giornalisti in sala.
Ma dietro il muro delle tv, quelle sedie vuote erano davvero tante.
Il cuore leghista batte da un’altra parte.
David Marceddu
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
UTILIZZATI OLTRE 250.000 PROFESSIONISTI, PER LA CORTE DEI CONTI SI TRATTA DI”COSTI SPROPORZIONATI E INUTILI”…”INCARICHI SPESSO ASSEGNATI IN ASSENZA DI ADEGUATI REQUISITI PROFESSIONALI”…IN 4 ANNI LA SPESA E’ SALITA DI 400 MILIONI
La marcia dei consulenti non conosce soste, sospinta da interessi clientelari e fondi pubblici a go go: ammonta a quasi un miliardo 800 milioni la spesa annua per gli incarichi affidati da sindaci, presidenti di Province e Regione, manager di aziende sanitarie, rettori di atenei più o meno illustri.
Quello del ricorso al tecnico esterno è un fenomeno che riguarda circa 250 mila professionisti nel foglio paga delle pubbliche amministrazioni italiane e che è in costante crescita.
Basti raffrontare il dato della spesa – fornito dal ministero dell’Innovazione e aggiornato al 2010 – con quello fatto registrare quattro anni prima: oltre 400 milioni euro in meno.
Accanto ad incarichi necessari, fa rilevare la Corte dei Conti, ce ne sono tanti assegnati “in assenza di requisiti professionali adeguati o senza previa verifica dell’esistenza di professionalità interne”.
È un male endemico, rileva il magistrato siciliano Luciano Pagliaro, avendo bene in mente come l’amministrazione regionale dell’Isola segni un record poco edificante: con 13 incarichi al mese la giunta Lombardo non teme confronti.
Anche se nel più ricco Centro-Nord il valore dei contratti firmati, e di conseguenza la spesa pubblica, è superiore: Lombardia al primo posto, nel 2010, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Lazio e Piemonte.
Da Milano a Palermo, da Genova a Castellammare di Stabia, è una rassegna di sprechi: dai velisti e dai suonatori di piano bar chiamati ad occuparsi della ricostruzione dopo l’alluvione del Messinese ai tecnici precettati dopo il sisma in Basilicata che dal 2002 al 2008 hanno esaminato cinque pratiche (5!) ogni anno.
Dalle due relazioni fatte col copia incolla che sono valse a un professionista ligure un doppio compenso ai dipendenti del ministero delle Politiche agricole nominati pure consulenti di una partecipata.
Una malapianta difficile da estirpare.
Se è vero che, a fronte dei quasi due miliardi di spesa, le condanne per consulenze illecite si sono limitate ad accertare un danno erariale di tre milioni.
Emilia Romagna
Ventidue milioni di danno erariale e il dipendente diventa consulente
Il sito del ministero della Funzione pubblica pone l’Emilia Romagna ai vertici della classifica
Di recente la Guardia di finanza ha elencato una casistica di furbetti e doppiolavoristi in nero che hanno provocato un danno erariale superiore ai 22 milioni.
Un docente dell’Alma Mater di Bologna, all’insaputa di università e fisco, faceva l’ad in una spa del settore ingegneristico.
E in una decina di anni avrebbe messo in tasca 386mila euro extra. Il funzionario di un’agenzia fiscale ha incassato 8.500 euro di consulenza da un’azienda di servizi.
Un altro dipendente pubblico pare sia riuscito nella incredibile impresa di diventare consulente dello stesso ente da cui riceve lo stipendio.
Liguria
La giunta ha pagato due volte per avere lo stesso progetto
Doppio compenso per relazioni-fotocopia. È il caso paradossale giunto a conclusione, almeno sul piano giudiziario, nel 2011 in Liguria.
Una sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha condannato un ex assessore regionale, Giovanni Battista Pittaluga, e il dirigente Giuseppe Profiti, al pagamento di 30 mila euro, in quanto responsabili di una spesa gonfiata sostenuta dalla Regione.
La giunta affidò nel 2001 al professor Giovanni Valotti l’incarico di un progetto di sviluppo della organizzazione dell’ente: il lavoro si concluse due anni dopo con una relazione, e costò 72.500 euro.
Nel 2007 nuova consulenza, allo stesso professionista, “sullo stesso oggetto”. Incarico ingiustificato, osserva la Corte. “E ciò è dimostrato dalla pressochè totale identità del testo delle due relazioni”. Un caso ben remunerato di “copia e incolla”.
Lombardia
Il consulente telefonico e il segretario promosso direttore
Nel j’accuse della procura contabile meneghina una parte significativa riguarda incarichi e consulenze assegnati in modi illegittimi.
I magistrati elencano una sfilza di esempi: la promozione del segretario comunale a direttore generale, la figura apicale della burocrazia, in un Comune con soli tre dipendenti.
O ancora la consulenza affidata “in modo del tutto generico”: “espletava le sue funzioni al telefono”. Storie che seguono le condanne piovute sull’ex sindaco Moratti per lo spoils system che aveva premiato manager esterni sprovvisti di titoli e per i compensi a sei componenti dell’ufficio stampa.
Anche da ministro, nel 2001, la Moratti aveva assegnato una consulenza ritenuta impropria dalla Corte: quella a Ernst&Young, costata 180 mila euro.
Sicilia
13 contratti al mese, per l’alluvione: reclutati pianisti, velisti e sciatori
L’ultimo caso è quello del presidente della Provincia di Palermo, Giovanni Avanti, citato a giudizio dalla procura contabile per la spesa spropositata sostenuta per tenere in piedi, dal 2008 a oggi, il suo ufficio di segreteria “imbottito” di esterni: la Corte dei Conti gli contesta un maxi danno erariale, pari a un milione di euro.
Ma è la Regione a far registrare un boom di consulenze: nel 2011 la giunta Lombardo ha viaggiato alla media di 13 contratti al mese, per uscite complessive superiori a un milione e mezzo di euro.
Fra i capitoli di spesa più sostanziosi, la ricostruzione delle zone alluvionate del messinese.
Con i suoi poteri commissariali il governatore ha affidato 15 incarichi (400 mila euro la spesa) che hanno premiato, si legge dai curricula, appassionati di vela e sci alpino, pianisti di piano bar e organisti su richiesta per matrimoni.
Campania
Castellammare, il record della Asl: 23 milioni per parcelle di avvocati
La stangata più recente risale a gennaio: la Corte dei conti campana ha fatto pervenire ai vertici dell’ex Asl 5 di Castellammare di Stabia un “invito a dedurre” (l’equivalente dell’avviso di garanzia) per le spese legali sostenute sino al 2008.
L’accusa rivolta ai dirigenti è quella di essersi rivolti allegramente ad avvocati esterni all’ente, fino ad accumulare parcelle (interessi compresi) per 23 milioni di euro.
Sono 75 le istruttorie aperte su incarichi e consulenze affidati da enti campani. “In svariati casi si registra una completa inutilità della spesa”, dice il procuratore Tommaso Cottone) che cita alcuni esempi (il Comune di Capri deve rispondere di un danno pari a 240 mila euro) ma segnala che il fenomeno è assai diffuso anche in settori diversi dagli enti locali. Il Cira (centro ricerca aerospaziale) deve rispondere di un danno pari a 106 mila euro.
Lazio
Le spese Rai a difesa di Meocci, condannati i dirigenti aziendali
Il presidente della sezione giurisdizionale della Corte, Salvatore Nottola, mette in evidenza tre sentenze di condanna del 2011.
La principale riguarda il danno finanziario procurato alla Rai dopo l’illegittima nomina dell’ex direttore generale, Alfredo Meocci, sanzionata dall’Agcom.
Alcuni dirigenti, fra i quali il capo dell’ufficio legale Rubens Esposito, sono stati condannati a rifondere le spese “sostenute dalla società pubblica per l’acquisizione di pareri favorevoli a tale nomina nonostante la palese illegittimità “.
È stato condannato al pagamento di 100 mila euro l’ad di una società partecipata dallo Stato, Fabrizio Mottironi, che aveva affidato consulenze a professionisti nel frattempo anche assunti con contratti di collaborazione nello staff del ministro delle politiche agricole: insomma, gli “esperti” erano pagati due volte.
Basilicata
Qui il primato delle “condanne”: 125 mila euro per 5 pratiche in 7 anni
La Basilicata è, a sorpresa, la regione che ha registrato il maggior numero di condanne, nel 2011, per il ricorso a consulenze illecite: cinque.
Anche il terremoto del 1998 ha contributo a gonfiare il fenomeno. Ha visto il traguardo l’iter di un’inchiesta che ha condannato la giunta di Lauria, in provincia di Potenza, al pagamento delle spese sostenute (125mila euro) per l’assunzione di un gruppo di tecnici “esterni” incaricati di vagliare le pratiche di risarcimento danni.
La Corte ha sottolineato che in sette anni (2002/2008) sono state definite soltanto 172 pratiche: circa 5 pratiche all’anno per ciascun tecnico convenzionato. Insomma, per dirla con le parole dei giudici, non proprio “una gestione efficace ed economica”.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
I PARTITI: PD 28%, IDV 6,5%, SEL 4,5% PS 1%, LISTA CIVICA CENTROSINISTRA 4%…. PDL 17,5%, LA DESTRA 2%, LISTA CIVICA CENTRODESTRA 7%… UDC 5%, FLI 1,5% API 0,5%, LISTA CIVICA CENTRO 1,5%
E’ il primo sondaggio che esce sulle intenzioni di voto dei genovesi per l’elezione del nuovo sindaco della città che si terrà il 6 maggio.
Curato da Swg per conto dell’associazione Italia Futura, si riferisce al periodo di poco precedente alla designazione dei candidati dei rispettivi schieramenti e pertanto evidenzia solo la tendenza di voto verso i partiti di riferimento.
Partiamo dallo schieramento di centrosinistra.
Il Pd aveva alle comunali del 2007 il 34,4%, è sceso alle regionali del 2010 al 31,7%, ora cade al 28%.
L’Idv dal 3,6% era salito alle regionali al 10,5%, ora scende al 6,5%.
Sel aveva due anni fa il 2,8%, sale al 4,5%.
Poi abbiamo il Partito Socialista all’1% e lista civica al 4%.
Passiamo al centrodestra.
Il Pdl alle comunali del 2007 raccolse il 28,9% di consensi, scesi al 21,% alle regionali e al 17,5% attuale.
La Lega Nord dal 3,6% del 2007 all’8,5% del 2010, fino al 10,5% attuale.
La Destra dallo 0,6% salirebbe al 2%.
Eccoci al Terzo Polo.
L’Udc passa dal 3,2% del 2007 al 3,3% delle Regionali fino al 5% attuale.
Futuro e LIbertà è accreditata dell’1,5%, meno della metà di quanto raccoglie a livello nazionale.
La gestione Nan e soci e l’assoluta inesistenza di iniziativa politica ( i genovesi attendono da oltre un anno e mezzo di vedere il simbolo di Fli su un, dicasi uno, manifesto sui muri della città ) ne hanno fatto un partito semi-clandestino con l’avallo dei vertici romani che hanno pesanti responsabilità al riguardo.
L’Api a Genova raccoglie lo 0,5% ma non pare intenzionato, fino ad oggi, a mischiarsi col Terzo polo.
Una eventuale lista civica di centro è data all’1,5%.
Al di fuori di queste tre coalizioni, il Movimento 5 Stelle, nella patria di Grillo fa il pieno: è dato al 7%.
La federazione della Sinistra scende dall’8,5% del 2007 e dal 3,9% del 2010, all’attuale 2,5%.
Si dovrebbe essere definita poche ore fa la griglia dei candidati: Doria per il centrosinistra, il manager milanese Vinacci ( che a Genova non conosce nessuno) per il Pdl, Musso per Udc, Fli e lista civica.
Al primo turno difficile che passi qualcuno, probabile che si vada al ballottaggio. Doria dovrebbe sfiorare, salvo miracoli, il 46%. ma la vera lotta sarà chi, tra Vinacci e Musso, arriverà secondo e quindi al ballotttaggio.
Si fronteggeranno il candidato del Pdl che può contare sul 17,5% dei consensi di base del suo partito e quello del Terzo Polo che parte da un 8,5%, ma il voto disgiunto potrebbe riservare parecchie sorprese.
Ricordiamo che Musso presenterà una unica lista civica con dentro anche rappresentanti di Udc e Fli: il senatore ex Pdl conta sul fatto di essere partito con largo anticipo rispetto ai suoi avversari, di essere più noto e soprattutto sullo sfascio del locale Pdl che, dopo aver ricevuto dieci no all’offerta di candidatura da parte di esponenti della società civile genovese, ha dovuto ripiegare su un “papa nero” che vive da anni a Milano.
A svantaggio di Musso invece il fatto di apparire troppo tecnico e poco sociale, di sembrare già “vecchio” (in quanto al secondo tentativo di scalata alla carica di sindaco) e di non godere di grandi simpatie per il suo abbandono del Pdl e le sue costanti “oscillazioni”.
Oltre a possibili brutti scherzi da parte dell’Udc nel voto disgiunto.
Non giova al Pdl infine che la Lega corra da sola con il “badante” Rixi (mister simpatia) che punta al 10% più che altro per aumentare il suo peso politico interno al Carroccio.
Semprechè il suo “amico tesoriere” Belsito sganci i quattrini per una campagna elettorale consona al lignaggio del “giovane vecchio” Rixi.
Se poi Doria passasse al primo turno a causa della divisione nel campo “nemico” e al relativo assenteismo dell’elettorato di riferimento, al centrodestra genovese non resterebbe che il suicidio di massa.
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
ACCADE A BRESCIA: PERSONALE RIDOTTO PER I TAGLI, UN DETENUTO SE NE VA INDISTURBATO… PREVISTI 300 AGENTI, CE NE SONO SOLO 180 E IN SERVIZIO ERANO APPENA IN 12
Quanti agenti erano in servizio ieri mattina lungo il muro di cinta del carcere di Brescia quando un detenuto è scappato?
«A noi risulta nessuno» dichiara Roberto Santini, del sindacato autonomo degli agenti. Possibile?
«Sì, anche a noi risulta così: zero agenti» conferma Luigi Pagano, responsabile degli istituti di pena dell’intera Lombardia.
L’evasione di Fatmir Gashi, rapinatore kosovaro che ieri mattina se n’è andato insalutato ospite dal carcere di Canton Mombello, non passerà alla storia come la più spettacolare.
Sono bastati tempismo, agilità e l’incredibile circostanza verificatasi nel vecchio fortino al centro della città : causa penuria di personale, conseguenza di tagli e blocco del turn over, nessuno stava facendo la guardia lungo il perimetro del carcere.
E Gashi non ci ha pensato due volte prima di saltare il muro mentre due suoi compagni sono stati ripresi poco prima che tagliassero pure loro la corda.
I numeri prima di tutto spiegano come è potuto accadere che un detenuto sia scappato con tanta facilità . «Canton Mombello potrebbe ospitare 250 persone – dice Santini, dirigente del Sinappi – e invece là dentro ce ne sono 520; la pianta organica prevede 300 agenti, se ne contano appena 180 e ieri mattina al momento dell’evasione l’intera struttura era affidata ad appena 12 uomini in divisa».
Ieri anche una concatenarsi di circostanze ha spianato la strada a Fatmir Gashi.
Il kosovaro era considerato uno tranquillo; era dentro per delle rapine compiute in provincia di Brescia, il suo «fine pena» era fissato nel 2016.
Era stato assegnato alla pattuglia dei «lavoranti» ed era in servizio alle cucine di Canton Mombello.
Alle 10 in punto il detenuto è uscito in cortile spingendo un carrello con i bidoni dell’immondizia. Li doveva svuotare e, regolamento alla mano, questa operazione richiedeva la presenza di un agente, invece Gashi era solo; o meglio: era in compagnia di due compagni di cella che poco più tardi sono stati trovati nascosti proprio dentro i bidoni.
Il kosovaro ha approfittato di un mucchio di mattoni e calcinacci appoggiati contro il muro, ha iniziato la scalata aiutato anche da un lampione e addio.
Nessun agente era nelle torrette anche perchè ieri c’erano da piantonare tre detenuti in ospedale e 7 uomini sono stati «sacrificati» a quel servizio.
Tanto il sistema di videosorveglianza avrebbe provveduto a vigiliare. «Macchè, anche quello risulta solo parzialmente in uso: ormai non ci sono più soldi nè qui nè nel resto d’Italia» denuncia Santini.
A Brescia si precipita Pagano, prende atto della situazione avvia un’inchiesta interna mentre iniziano le ricerche in tutta Brescia.
Ma di Gashi nessuna traccia.
Claudio Del Frate
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
NON SI APPLICHERA’ LA DIRETTIVA EUROPEA BOLKESTEIN E TUTTO RIMARRA’ COME PRIMA… LA CORTE DEI CONTI: “IL DEMANIO MARITTIMO E’ UNA REALTA’ FUORI CONTROLLO”
“Sulle aste vedremo, intanto prepariamo la nuova legge. Ma preparatevi a pagare di più sui canoni”.
Questo il messaggio con cui i ministri Piero Gnudi (Turismo) ed Enzo Moavero (Affari Europei) si sono congedati tre giorni fa dai rappresentanti dei bagnini italiani, accorsi in massa a Roma per tornare a parlare di concessioni demaniali.
Dopo mesi di delusioni e di illusioni, tutto sommato quella di giovedì è stata una giornata positiva per la categoria.
Con una premessa: quello che non si può fare è aggirare la Bolkestein o uscirne.
Il Governo dell’europeista Mario Monti potrà anche sbracciarsi per spiegare a Bruxelles la “peculiarità ” delle imprese balneari italiane e stabilire in armonia la durata delle future assegnazioni, ma la deroga ad hoc che tuttora, a parole, sognano diverse associazioni e i loro avvocati (soprattutto Fiba-Confesercenti, Sib-Confcommercio, Assobalneari-Confindustria e Cna-balneatori) rimane una fantasticheria.
Tutto sommato però, al dipartimento Affari Regionali e Turismo in via della Stamperia, Gnudi e Moavero ai ‘signori delle spiagge’ hanno dato buone notizie.
Se il primo annunciava pochi giorni fa un regolamento sulle aste nel giro di 6-8 mesi, ora si è scelta la strada del dialogo forti di qualche risultato concreto.
Anzitutto, con l’approvazione della legge comunitaria 2010 lo scorso dicembre, oggi si è definitivamente chiusa la procedura d’infrazione che era stata avviata dall’Ue nei confronti dell’Italia, accusata finora, sulla base della direttiva Bolkestein, di aver rinnovato automaticamente sempre agli stessi affidatari i 4.042 chilometri di coste italiane.
Se la procedura non si fosse risolta, gli arenili sarebbero stati messi all’asta da subito senza aspettare la proroga già ottenuta fino al 2015.
La seconda buona ‘notizia’ è che il Governo conferma che di qui a 12 mesi o poco più, come previsto nella stessa comunitaria 2010, verrà varato un nuovo decreto salva-spiagge.
L’intenzione, al momento, sarebbe quella di rilasciare nuove concessioni da quattro a vent’anni, in accordo con Regioni e associazioni. Gnudi e Moavero sanno, e lo hanno detto ai rappresentanti dei balneari, che l’attuale fase di incertezza penalizza gli operatori e l’intero settore, tanto che nessuno investe più (restano in ansia i circa 30 mila operatori balneari del Paese il 60% abbia, in media, acceso mutui fino al 2025). Dunque, la mano è tesa.
In tutto questo c’è un però.
“Bisogna contemperare i legittimi interessi degli operatori con il rispetto della direttiva e dei trattati comunitari e le esigenze dell’erario”, hanno precisato Gnudi e Moavero.
Ecco, le esigenze dell’erario.
Dato che i canoni che lo Stato chiede ai concessionari restano ridicoli, quello che il Governo chiede ai bagnini è di pagare di più. “Auspichiamo che i canoni continuino ad essere fissati da una legge dello Stato, quale conditio sine qua non per costruire una disciplina delle concessioni basata su principi di equità ”, ha già mandato a dire il presidente di Oasi-Confartigianato Giorgio Mussoni, gran capo dei bagnini romagnoli da Bellaria a Cattolica.
La questione dei canoni si trascina da anni.
Si calcola che diverse centinaia di milioni di euro potrebbero entrare ogni anno nelle casse pubbliche solo se si applicassero meglio le norme che già esistono.
Da decenni si regalano per pochi spiccioli (97 milioni di euro nel 2009) beni che fruttano ogni anno qualcosa come due miliardi di fatturato, più, si stima, un terzo miliardo in nero.
Nel 2003 il Governo rivalutò i canoni del 300%. I bagnini si rivoltarono.
Dopo che per quattro anni nessuno aveva pagato, la Finanziaria del 2007 eliminò il rincaro imponendo alle Regioni di rivedere al rialzo le categorie di “valenza turistica” (abolendo la classe C e ricollocando gli arenili pregiati in classe A, con quasi il raddoppio del canone).
Peccato che nessuno abbia mosso un dito (alle Regioni va solo il 10% dei canoni, del resto) e che tuttora quasi tutte le spiagge italiane rientrino nella classe B.
L’agenzia del Demanio aveva ipotizzato il profilarsi di danni erariali, ma niente.
A Rimini la sola spiaggia in classe A è quella di fronte al Grand Hotel felliniano.
Una legge del 2006 ha introdotto poi le cosiddette pertinenze, le concessioni pesanti (piscine, discoteche, cinema) che hanno fatto schizzare i canoni a quote quasi di mercato, ma i continui ricorsi al Tar delle aziende stanno ingrovigliando la questione e acuendo le differenziazioni, già enormi, da regione a regione.
Risultato: a Rimini e provincia, ad esempio, all’anno 10 mila metri quadri di spiaggia costano otto mila euro di affitto, un chiosco di 100 metri quadri vale 500 euro.
Il punto è che il Governo già oggi potrebbe recuperare denaro dalle concessioni: l’articolo 47 del codice della navigazione prevede la decadenza del titolo quando il titolare non paga il canone.
Attualmente lo Stato incassa solo un terzo del totale: i 2/3 dei bagnini, essendo morosi, sono titolari di fatto di concessioni decadute, quindi riassegnabili con bando pubblico.
Alla fine, resta attuale la denuncia di un paio d’anni fa della Corte dei Conti: “Non è possibile stabilire quanto lo Stato incassa dalle concessioni, il demanio marittimo è una realtà fiscalmente fuori controllo, prevale ormai una sorta di asserita impotenza a modificare la situazione”.
La sfida dei tecnici di Monti è tutta qui.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DI TORINO APRIPISTA A TANTE ALTRE… STORIE DI DISCARICHE, ACCIAIERIE E IMPIANTI CHIMICI CHE HANNO DANNEGGIATO TERITORIO E SALUTE DELLA GENTE….OLTRE 5 MILIONI DI PERSONE INTERESSATE
“Quando moriva qualcuno, in una fabbrica in cui tutti sapevano che prima o poi sarebbe successo, negli anni Ottanta veniva condannato l’addetto alla sicurezza. Negli anni Novanta le sentenze sono arrivate a punire il direttore dello stabilimento. Ora tocca ai top manager e ai proprietari”.
Rino Pavanello, da 25 anni segretario dell’associazione Ambiente e lavoro, riassume così il percorso che ha portato alla sentenza contro l’Eternit per disastro colposo.
La notizia ha fatto il giro dei giornali di tutto il mondo e ora sembra destinata a rilanciare centinaia di vertenze sull’impatto sanitario dei vecchi colossi della chimica, delle acciaierie monstre, delle grandi discariche abusive.
Stabilito il principio delle responsabilità legate non a un incidente catastrofico tipo Seveso ma a uno stillicidio di veleni somministrati quotidianamente per anni, le industrie a rischio sanzione si moltiplicano.
I dossier sulla minaccia chimica messi a punto dalla Legambiente e dal Wwf mostrano un panorama costellato di richieste di risarcimento.
Sul banco degli accusati ci sono soprattutto i grandi poli dell’industria pesante che hanno devastato il territorio negli anni del boom economico. E i giudici ascoltano con attenzione.
“Il salto che si è determinato con la sentenza del tribunale di Torino, anche se siamo ancora al primo grado di giudizio, è netto”, osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente.
“Nel caso dei grandi incidenti del passato, da Seveso a Bhopal, si è trattato di un episodio, sia pure gravissimo: e il giudizio della magistratura ha riguardato quelle specifiche responsabilità .
Ma le conclusioni del processo Eternit ribaltano questo punto di vista e spostano l’attenzione sulle responsabilità per la routine quotidiana, quando questa routine comporta un rischio inaccettabile per chi vive dentro le fabbriche, per chi abita vicino agli impianti a rischio e, molto spesso, anche per milioni di altre persone che possono venire in contatto con oggetti pericolosi”.
Dunque si passa da una valutazione sulla pericolosità legata a un incidente alle considerazioni sugli effetti di lungo periodo prodotti da merci dannose o da situazioni ambientali pericolose.
E Patrizia Fantilli, responsabile dell’ufficio legale del Wwf, ricorda che, a questo punto, il discorso della richiesta di risarcimenti si allarga ad altre situazioni critiche.
Ad esempio al poligono di Quirra, in Sardegna, dove sono stati interrati rifiuti militari (bombe, parti di missile, batterie, pneumatici) contenenti sostanze tossiche tra cui amianto e uranio.
O alla discarica di Bussi (Pescara), considerata una delle più inquinanti d’Europa: dagli anni Sessanta ai Novanta qui sono state smaltite abusivamente grandi quantità di sostanze chimiche che hanno contaminato per oltre 25 anni le falde idriche che arrivano ai pozzi utilizzati da 400 mila persone.
Una situazione complessiva che lascia una traccia pesante anche dal punto di vista epidemiologico.
Secondo lo studio Sentieri, coordinato dall’Istituto superiore di Sanità , che analizza i punti in cui il rischio chimico è più alto, ci troviamo di fronte a un quadro decisamente allarmante.
La mortalità per cause ambientali in questi siti è in media del 14% superiore alla norma.
Il record è nelle sei località inquinate dall’amianto, dove i casi di tumori della pleura sono stati quattro volte superiori alla norma nel periodo 1995-2002.
Le vittime in eccesso, uccise dall’inquinamento, sarebbero circa 10 mila su una popolazione interessata di 5,5 milioni di persone.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 28th, 2012 Riccardo Fucile
APRIRA’ NEI BALCANI, NONOSTANTE NON CI SIA CRISI, SOLO PER ACCAPARRARSI I CONTRIBUTI PUBBLICI
Chiudere baracca per andare in Serbia anche se le cose non vanno affatto male, lasciare a casa quasi trecento lavoratori beneficiando degli ammortizzatori sociali, migliorare i conti e promettere un fantomatico investitore che riassorbirà tutta la manodopera.
Nerino Grassi, padre-padrone della Golden Lady, sembra quasi un Marchionne al cubo.
L’ad Fiat, infatti, promette anche lui investimenti risolutori, ma dalla sua, almeno, ha la crisi evidente del settore auto.
Le calze Omsa, invece, funzionavano e funzionano eccome.
Eppure il padrone del vapore ha deciso (era il gennaio 2010) di chiudere lo stabilimento di Faenza ed emigrare nei Balcani, dove per ogni operaio assunto (pagato 250-300 euro al mese) riceve migliaia di euro di contributi pubblici.
Niente e nessuno ha saputo impedirglielo.
La battaglia delle lavoratrici Omsa, simbolo anche mediatico della crisi italiana, non è finita, anzi. Il licenziamento collettivo di 239 persone annunciato dall’azienda il 27 dicembre — nonostante l’impegno precedentemente assunto al ministero del Lavoro per “trovare un’occupazione a tutti il lavoratori dello stabilimento Omsa e ad assegnare incentivi economici a chi non si oppone alla messa in mobilità ” — è stato ritirato.
La cassa integrazione straordinaria a 750 euro al mese, che sarebbe scaduta il 14 marzo, è stata trasformata in cassa in deroga (non più anticipata dall’azienda ma a carico dell’Inps) e prorogata fino a settembre: “Alcuni media — racconta Samuela Meci della Filtcem di Ravenna — hanno salutato quest’ultima intesa al ministero con entusiasmo. Ma non c’è nulla di cui rallegrarsi. La lotta delle lavoratrici Omsa, che dura da due anni, non è stata fatta per ottenere altra cassa e finirà solo quando sarà garantito un lavoro vero. Lavoro che c’era e che una proprietà arrogante ha deciso di portare via”.
Oggi alla Omsa è rimasta una piccola produzione, frutto di uno dei tanti tavoli al ministero che si sono succeduti in questi due anni, che impegna non più di trenta lavoratori (quasi esclusivamente donne) per quattro ore al giorno.
All’orizzonte, da mesi, c’è un’ancora misterioso imprenditore del settore mobili che avrebbe garantito un piano industriale per convertire lo stabilimento di Faenza e assorbire, da subito, 140 lavoratori.
Una trattativa condotta dalla proprietà e dagli enti locali cui è stata data notizia ai sindacati soltanto successivamente e in via informale; ma nè l’imprenditore nè il piano sono ancora stati svelati: “Non c’è nessun accordo firmato — prosegue Samuela Meci — troppe cose sono in sospeso. In questi due anni abbiamo imparato a non dare mai niente per scontato, perchè è già capitato che la soluzione che sembrava a portata di mano svanisse in un secondo” . Grassi si difende: “Non siamo brutti e cattivi — ha detto qualche settimana fa alla Gazzetta di Mantova — crede che sia stato facile per noi? Licenziare è doloroso, ma ho dovuto farlo per evitare il declino del gruppo. I consumi sono in calo e abbiamo dovuto cercare nuovi mercati all’est”.
Difficoltà a cui nessuno sembra credere: “L’azienda racconta bugie — sostiene Meci — non c’era e non c’è nessuna crisi. In più, da quando ha delocalizzato, sfruttando ammortizzatori sociali a cui in teoria non avrebbe avuto diritto, l’azienda ha consolidato il fatturato e diminuito i debiti. È ovvio che, dato il costo del lavoro e i contributi pubblici, con la Serbia non c’è partita. Ma il punto è proprio questo: in Italia non esiste una politica industriale che impedisca al Grassi di turno di fare quello che gli pare”.
C’è qualcosa, però, che in questo caso fa paura. Si chiama boicottaggio e nel caso Omsa, a giudicare dalle strategie comunicative dell’azienda, sembra funzionare.
Sono in tanti (su social network sono migliaia), sono determinati e non comprano più calze Omsa.
Non è dato sapere quanto il boicottaggio abbia fino ad ora inciso sul fatturato, ma il fatto che dalle pubblicità Golden Lady sia scomparso il logo Omsa è un buon indizio d’irrequietezza. Poco male, il gruppo facebook “boicotta Omsa” è diventato “Mai più Golden Lady e Omsa”.
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: 100 giorni, economia | Commenta »