Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
MENTRE LA CASTA AUTOCELEBRA CONGRESSI FARSA E PARLA SOLO DI POSTI IN LISTA PER LE ELEZIONI, L’AVANGUARDIA FUTURISTA GENOVESE FA CIRCOLARE PROPOSTE E IDEE A SESTRI, BOLZANETO E ALTRI QUARTIERI POPOLARI… SECONDO VOLANTINAGGIO IN UN MESE, VIDEO SU YOU-TUBE… E A BREVE UN’ALTRA SORPRESA
Basta scorrere le cronache politiche dei quotidiani locali per rilevare che da mesi non leggiamo altro che notizie relative ai candidati sindaci delle primarie del centro-sinistra genovese, con tutti i personalismi che ne derivano, o con chi si schiereranno i centristi e i leghisti genovesi, o se il Pdl troverà alla fine un kamikaze da candidare a sindaco.
Nel frattempo in Liguria si estende la cappa della ‘ndrangheta, cresce la disoccupazione, aumentano i fallimenti, il terziario è al collasso, i giovani sono senza futuro, ma di questi temi, alle lobbie partitocratiche evidentemente non frega una mazza.
Molti partiti celebrano congressi farsa che non fanno altro che ratificare decisioni prese nei palazzi romani, con relativi visi terrei o, se inquadrati dalle telecamere, sorrisi tirati di circostanza.
A tutti preme solo una cosa: farsi eleggere o ri-eleggere alle prossime comunali genovesi e posizionarsi in vista delle politiche.
Impazza la casta degli illusionisti e dei saltimbanco attenti alle clientele più che ai cittadini, fioccano promesse, sgomitano giovani già vecchi dentro, aspiranti chierichetti per la celebrazione della funzione del potere, spacciato come passaggio generazionale.
I loro contenuti sono analoghi alla temperatura esterna di questi giorni: zero con tendenza al ribasso.
Con effetti comici e tragici al tempo stesso: più la gente si allontana dai partiti, più questi fanno figurare un aumento degli iscritti tra le proprie fila.
Salvo poi schierare appena 50 povere anime a un congresso, dopo aver denunciato 2.000 iscritti.
Partiti che siedono al “tavolo della trattativa” (leggi spartizione delle poltrone) anche se sono oggetto da mesi delle disperate ricerche della Sciarelli.
“Chi li ha visti?” . Nessuno.
Cosa hanno fatto? Nulla.
Quanti manifesti hanno affisso? Zero.
Dove è stata selezionata la loro classe dirigente? A Voltri? Ad Albaro? A Nervi? A Pontedecimo?
No, più facile ad Aversa.
E di fronte a questo turbinio di compravendite e liquidazioni, di sedi che aprono e chiudono, di negozi che praticano sconti, di candidati che arrivano dal cielo e spendono decine di migliaia di euro, di truppe cammellate a sostegno del nulla politico, la scelta di “Liguria Futurista” è stata quella di ripartire dai problemi reali dei cittadini, alternando denunce e proposte, riportando ai valori, ai principi e alle regole del vivere civile.
Non politica come mera amministrazione condominiale, ma provare a disegnare i tratti di una politica diversa, di una città del futuro, di una societa che abbia radici, anima, passione.
Ritornare alla politica come servizio, al dibattito delle idee, a far circolare tesi, proposte, idee, sogni da realizzare.
Credere in un progetto, studiare, documentarsi, propagandarlo attraverso la militanza politica.
Non tra le lobbie e i salotti buoni della città , ma tra il 50% delle popolazione che si asterrà dall’andare a votare, che è stanca dei riti mediatici, delle parole vuote, delle promesse mai mantenute, dei bugiardi cronici, dei collusi.
Diffondendo volantini nei quartieri popolari della città , tra i giovani cui questa società ha tolto il diritto al futuro e rivolgendosi anche a un ceto medio sempre più impoverito.
Genova non ha bisogno dei sepolcri imbiancati della casta, ma di energie nuove, di passione politica e ideale, di un vento futurista che spazzi via le incrostazioni del passato, insieme a cacciatori di poltrone e riciclati.
Ricordiamo che chi volesse collaborare alla distribuzione del volantino può mettersi in contatto per ritirare delle copie ai numeri 334-3308075 e 346-0546850.
Chi, in altre città , volesse riprodurlo in proprio, può farlo richiedendoci autorizzazione
Contro la staticità della vecchia politica, “Liguria Futurista” è in movimento.
Liberi di pensare, liberi di agire.
Liguria Futurista
Ufficio di Presidenza
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
CON UN COMMA SEMINASCOSTO NELLA FINANZIARIA, HANNO STABILITO CHE LE LORO INDENNITA’ NON POSSONO ESSERE INFERIORI NE’ SUPERIORI A QUELLE DEI PARLAMENTARI…COSI’ EVITANO IL TAGLIO
La furbata è inserita in poche righe di un comma della finanziaria della Regione Campania, fresca di stampa e pubblicazione.
Il comma è scritto in maniera da risultare incomprensibile a una prima, sommaria lettura.
Poi approfondisci, ti documenti e scopri che grazie a quelle poche e criptiche righe i consiglieri regionali della Campania sono riusciti ad approvare una norma che ‘blinda’ le loro retribuzioni.
Che fino a ieri erano sostanzialmente ancorate a quelle dei deputati e senatori. Ma che oggi non possono diminuire, nemmeno nel caso, al momento non infondato, che i parlamentari si convincano a dare una sforbiciata alle proprie indennità .
Se ciò avverrà , questo non avrà conseguenze sui cedolini dei consiglieri campani.
Che resteranno intatti.
Per capire il trucco, bisogna riavvolgere il nastro a undici mesi or sono, quando diventa legge la precedente finanziaria campana.
Che al comma 15 dell’articolo 1, “ai fini del contenimento della spesa della Regione per organi istituzionali”, stabilisce che “l’importo complessivo del trattamento indennitario del consigliere regionale non può eccedere l’indennità massima spettante ai membri del Parlamento, come determinata ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261 (Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento)”.
Che è pari a 11.704 euro mensili, cifra alla quale i consiglieri campani si avvicinano moltissimo.
La nuova finanziaria regionale, approvata il 30 dicembre scorso e pubblicata sul bollettino ufficiale della Campania il 28 gennaio, aggiunge però le seguenti paroline: “nè essere inferiore a quello del 31 dicembre 2011″.
E cosa significa?
Significa che gli stipendi dei consiglieri campani non potranno diminuire rispetto ai trattamenti in vigore per loro fino a un mese e mezzo fa.
E un eventuale taglio delle retribuzioni dei parlamentari, messo in agenda dal governo Monti, non inficerà quelle riservate ai politici della regione governata dal Pdl Stefano Caldoro.
Viene da chiedersi: che bisogno c’era di fare una legge regionale per bloccarsi lo stipendio?
In un periodo di vacche magrissime, di fronte alle pressanti richieste del governo di tagliare i costi della politica e della casta, la Regione Campania potrà sempre opporre l’autonomia garantitagli dalla Costituzione.
Peraltro sancita da una sentenza della Consulta, che nel maggio 2007 annullò il taglio del 10 per cento delle indennità di tutti gli amministratori locali deciso con la finanziaria Berlusconi del dicembre 2005.
Una sentenza fondata sul principio che le regioni decidono da sole e senza interferenze quanto e come pagare i loro amministratori.
Vincenzo Iurillo
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
PALAZZO CHIGI SI SCHIERA CON GABRIELLI: “PIENA FIDUCIA NEL CAPO DELLA PROTEZIONE CIVILE, NON E’ STATO LUI A SBAGLIARE”… I 250 SPAZZANEVE SONO RISULTATI VIRTUALI, IL SALE E’ STATO GETTATO IN STRADA QUANDO PIOVEVA: QUANDO E’ CADUTA LA NEVE ERA FINITO
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ora è solo.
Il tentativo di rovesciare il tavolo trascinando la Protezione Civile prima in una rissa da taverna, quindi di intimidirla con la minaccia di investire il Parlamento di una riforma che trasferisca le sue competenze al ministero dell’Interno, si rivela per quello che è.
Un ultimo gesto di disperazione utile a confondere le responsabilità del sindaco.
Le responsabilità nell’abbandono della città al suo destino e alla neve che l’ha spenta per quarantotto ore, ma un gesto così maldestro che si trasforma nella sua seconda Caporetto. Politica, stavolta.
Quando ormai è sera e l’affannosa chiamata a raccolta del centro-destra si risolve in modesti quanto isolati attestati di solidarietà (Alfano non va oltre un “tweet”, Gasparri e Cicchitto usano parole di maniera), a Palazzo Chigi segnalano infatti che il Governo ha deciso di difendere il capo della Protezione Civile e la correttezza delle sue mosse.
“Il comune di Roma – spiegano gli uomini del Premier – nulla ci ha chiesto e dunque non è stato previsto, nè è previsto in agenda alcun intervento. Se Alemanno dovesse cambiare idea, il Governo interverrà . Fermo restando che un’eventuale dichiarazione di emergenza deve essere chiesta dalla Regione e dalla sua governatrice, Renata Polverini, che, al momento, non lo ha fatto. Per altro, la situazione sembra in miglioramento”.
Insomma, il Governo ha sin qui fatto a Roma solo quello che il sindaco, nella disperazione di venerdì notte, e a disastro ormai compiuto, ha chiesto direttamente al Prefetto: far uscire uomini e mezzi dell’esercito dalle caserme.
Parole inequivocabili quelle del Governo, quanto il corollario che le accompagna.
“In quanto è accaduto a Roma – proseguono a Palazzo Chigi – non c’è nessuna responsabilità specifica di Franco Gabrielli. Il capo della Protezione civile aveva avvertito diversi giorni fa, anche la Presidenza del Consiglio, dell’arrivo della neve. Per il Governo, non cambia la fiducia in Gabrielli. Forse c’è il tentativo del Comune di scaricare l’intera colpa su di lui. Ma per quanto ci riguarda non può cambiare la nostra considerazione nei suoi confronti”.
Alemanno porta dunque per intero la responsabilità civica e politica di quanto accaduto.
E del resto, i dettagli che si aggiungono al quadro di cosa non ha funzionato tra venerdì e sabato scorsi, confermano come “il piano neve” del sindaco si sia malinconicamente e goffamente sfarinato proprio come una palla di neve.
E per giunta prima ancora di cominciare.
Si scopre ora infatti che, per ragioni diverse, le due armi pianificate contro la “nevicata epocale” – spazzaneve e sale – erano di carta e sulla carta sono rimaste.
È accaduto infatti che dei “250 mezzi spazzaneve” magnificati dal sindaco in questi giorni, non si è avuta che qualche sporadica traccia, per altro registrata dai testimoni oculari come una Chimera da ricordare nel nulla.
A metterli a disposizione avrebbero dovuto essere le ditte private che curano la manutenzione stradale delle grandi assi viarie e della viabilità ordinaria.
Parliamo di mezzi raccogliticci – camion normalmente destinati al trasporto ghiaia sul cui muso vengono montate “lame”, nonchè inutili “pale meccaniche” – che per altro, nessuno nello staff del sindaco, ancora oggi, sa dire se e soprattutto in che numero siano usciti in strada.
Racconta un alto dirigente del Comune: “Ciascuno dei diciannove municipi doveva controllare che le ditte della manutenzione stradale mettessero a disposizione quei mezzi. Ma la verità è che, venerdì mattina, quando è cominciato a nevicare molte ditte sono risultate irreperibili, altre hanno fornito meno mezzi di quelli previsti e anche quelli, il più delle volte, sono rimasti bloccati nella gigantesca morsa di traffico che stringeva la città , bloccando il Grande Raccordo e le consolari. Insomma, i pochi che sono partiti non sono riusciti a fare il lavoro che dovevano”.
Di fatto – come spiega a “Repubblica” Tommaso Profeta, responsabile per la sicurezza del Comune, gli unici “mezzi” che si ha certezza siano entrati in funzione sono stati quelli dell’Ama (l’Azienda addetta alla raccolta dei rifiuti) e del Servizio Giardini, impiegati per liberare le aree circostanti ospedali, farmacie, scuole, ingressi delle metropolitane.
E anche qui, parliamo non di “spazzaneve”, ma delle “spazzolatrici” adibite alla normale pulizia stradale da foglie e cartacce.
Quei baracchini che normalmente si vedono trotterellare sull’asfalto e che con 10 centimetri di neve a terra diventano semplicemente inutili.
Esemplare anche ciò che è stato dell’operazione “salatura” delle strade.
L’altra gamba su cui avrebbe dovuto marciare l’autarchica resistenza di Alemanno contro la “furia epocale” degli elementi.
Nel dicembre scorso, il Comune aveva acquistato 250 tonnellate di sale.
All’inizio della scorsa settimana ne sono state distribuite una tonnellata e mezza per ciascuno dei diciannove municipi.
Bene, quel sale è inutilmente finito tra la notte di mercoledì e la sera di giovedì. Inutilmente, perchè giovedì, a Roma, pioveva.
E perchè – come tutti sanno – l’acqua scioglie il sale rendendolo inefficace contro il gelo.
Sarebbe stato necessario “salare” nuovamente, ogni 6 ore, per tutta la giornata di venerdì.
Ma, appunto, mezzi per farlo non ce n’erano. E soprattutto il sale era finito.
Carlo Bonini e Giovanna Vitale
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
AL VERTICE DI GM CHIAPPORI HA CHIAMATO DOMENICO SURACE, IL CUI NOME COMPARE NEL DOSSIER CONSEGNATO IL 21 OTTOBRE ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA…. LO AVRA’ SCELTO A SUA INSAPUTA, COME SCAJOLA CON LA CASA VICINA AL COLOSSEO?
Il ponente ligure sta ancora cercando di metabolizzare il clamoroso scioglimento del Comune di Ventimiglia per infiltrazioni e condizionamento da parte della criminalità organizzata, e già scoppia un nuovo caso legato ai rapporti tra ‘ndrangheta e politica.
Accade a Diano Marina, uno dei centri turistici più importanti dell’intera Liguria e della provincia di Imperia in particolare, feudo storico del partito di Bossi.
Il 31 gennaio, il sindaco leghista Giacomo Chiappori, che è anche deputato nonchè vicepresidente della Commissione Difesa, ha nominato il nuovo amministratore unico della Gestioni Municipali spa, una società strategica per la “città degli aranci” visto che deve gestire il porto e alcune spiagge del litorale.
La scelta di Chiappori è caduta su Domenico Surace, 41 anni, nato a Seminara in provincia di Reggio Calabria, in passato titolare di ristoranti e stabilimenti e volto molto noto del comprensorio anche per la sua ultradecennale militanza politica, da Forza Italia ad An passando per liste civiche e un incarico di assessore con la precedente giunta.
Ma il nome di Domenico Surace compare anche nel voluminoso dossier che il prefetto di Imperia Fiamma Spena invia il 10 ottobre del 2011 al prefetto di Genova che a sua volta lo consegna a Beppe Pisanu il 21 ottobre, giorno in cui la commissione antimafia che il senatore presiede arriva a Genova in missione.
A pagina 23 del primo faldone compare il disegno della provincia con una serie di rettangoli che contengono i nomi delle famiglie considerate referenti delle cosche.
Per la precisione ecco quanto scrive il prefetto: “La mappa desunta dal rapporto informativo del comando provinciale dei carabinieri di Imperia consente una visione d’insieme della presenza di soggetti riconducibili ad organizzazioni di stampo mafioso nel territorio provinciale e coincide nel suo complesso con la distinzione per comprensori delineata nel corso della relazione”.
Per Diano Marina vengono elencati tre nomi: famiglia De Marte (zona di provenienza Seminara); famiglia Papalia (Seminara); Surace Domenico (Seminara).
Al momento nei confronti di Surace non risultano indagini e neppure che sia pregiudicato.
Ciò detto resta il fatto che la sua nomina sta già creando qualche imbarazzo all’interno del mondo politico del ponente, se non altro per ragioni di opportunità e prudenza.
Ci si interroga poi sul fatto che nessun membro della Commissione antimafia abbia avvisato il “collega” Chiappori.
Specie i deputati Carolina Lussana e Luca Rodolfo Paolini che con il sindaco di Diano condividono gli stessi banchi.
Sicuramente avranno letto la relazione ma nessuno ha pensato di informare Chiappori che nel suo comune erano stati individuati ben tre gruppi di presunti soggetti legati alla criminalità organizzata.
Oppure il sindaco fedelissimo del “senatur” sapeva ma ha ritenuto che la questione non rappresentasse un ostacolo.
Ipotesi quest’ultima che sembrerebbe in contrasto con i principi giustizialisti di Chiappori, che ebbe un momento di, seppur breve, notorietà nazionale quando fu il primo firmatario di una proposta di legge per al castrazione chimica dei pedofili.
Va aggiunto che il ricambio al vertice della G. M. è stato oggetto di una forte polemica e l’ex presidente Francesco Zunino ha già annunciato che chiederà il rispetto del contratto e il pagamento del suo stipendio fino al 2013.
Inoltre, nel 2005, quando era assessore della giunta Pdl di Angelo Basso, Surace si dimise dall’incarico e abbandonò la maggioranza sempre per dissidi riguardanti la gestione di G. M.
Marco Preve
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO DEL CARROCCIO GIANLUCA PINI VANTA UNA STORIA DI UNA TRUFFA AVVENUTA A “SUA INSAPUTA”… VICENDE DI CONTABILITA’ SPARITE, DI QUESTORI FATTI TRASFERIRE E DI 200.000 EURO DOVUTO AL FISCO
Anche l’onorevole leghista Gianluca Pini, autore dell’emendamento approvato giovedì dalla Camera sulla responsabilità civile dei giudici come da copione vanta una storia di una truffa avvenuta a “sua insaputa”.
Quando la Guardia di Finanza scopre che la società Scyltian dicasi “cartiera” ha tra i vari clienti anche la sua ditta, la Nikenny, per impedire ogni verifica, ricorre all’alibi del furto della contabilità aziendale (per la legge è reato solo l’uso della fattura falsa).
Così in mancanza di accertamenti ne esce “illeso” penalmente.
Paga solo 196,467 mila euro più 23,92 mila euro di interessi sui 679 mila euro contestatigli dall’Agenzia delle Entrate.
Pini è un imprenditore “flessibile” passa dall’import-export di elettronica di consumo – la Nikenny chiusa nel 2005 – alla Nikenny Corporation srl messa in liquidazione nel 2011 di cui Pini è procuratore institore con una vasta gamma di poteri.
Ma ad essere accusata dalla Procura della Repubblica di Forlì di aver “utilizzato ed emesso al fine di evadere le imposte sui redditi e o sul valore aggiunto fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2004 per complessivi euro un milione 419,044 mila emesse dalla Tech line srl e nell’anno 2003 per fatture emesse dalla Full service srl per euro 627,00 mila nonchè l’emissione di fatture alla “Full service” srl per euro 217,243,61” è l’Amministratore, Alessia Ferrari,ex dipendente della Nichenny di Pini, società che era tra i clienti della “cartiera”.
Al momento della liquidazione è anche emerso che non erano state pagate multe per 4 mila e trecento euro.
L’auto, ancora oggi usata dall’onorevole leghista, una Bmw X6 nera, è una di quelle intestate alla società .
A seguire nasce la Gold Choice srl, import-export di caffè, amministratrice la sua compagna Paola Ragazzini, infermiera all’ospedale di Lugo in aspettativa da quando è diventata suo “portaborse” ed infine germoglia la Grado Golf and Resort srl, con sede a Roma in via Frattina.
Società che nasce esclusivamente per la realizzazione di un Resort sui terreni di proprietà di Zamparini della Palermo Calcio.
Operazione da 150 milioni di euro. Ad occuparsi di trovare investitori è il professionista Roberto Zullo: nomi protetti dallo schermo di una società inglese Reset Ltd.
Ma l’operazione salta e la società resta inattiva.
Pini fa eleggere consigliere comunale Francesco Aprigliano, poliziotto di Rossano Calabro in servizio a Forlì.
E quando questo viene sottoposto a provvedimento disciplinare dal questore Calogero Germanà perchè svolgeva l’attività di immobiliarista e imprenditore, Pini presenta un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Maroni, suo uomo di riferimento nella Lega, per chiedere l’immediato trasferimento di Germanà .
Germanà , vale la pena ricordarlo , è l’investigatore miracolosamente scampato, dopo due mesi dalla strage di Via D’Amelio in cui venne ucciso Paolo Borselino di cui era stretto collaboratore, all’agguato sul lungomare di Mazzara del Vallo.
A sparargli con fucili a pallettoni e kalashnikov il gotha di Cosa Nostra: Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.
Un eroe vivente, seppure sia stato nominato questore dopo 12 anni.
Pini prendendo a pretesto una denuncia, archiviata per infondatezza , nei confronti del questore da parte del sindacato Siulp in merito a presunte disparità di trattamento degli straordinari scrive: “Mi chiedo se il Ministro intenda provvedere celermente con un provvedimento di turnazione nei confronti del questore evitando altresì che la nuova sede non sia vicina a quella attuale”.
Ritenendo Ravenna, sede vacante, troppo vicina a Forlì per un questore, ritenuto così “scomodo” chissà perchè. Germanà , simbolo della lotta alla mafia, viene inviato a Piacenza dall’ex Ministro che ama rivendicare i meriti della cattura dei latitanti.
Forse per questo Pini non potendo far trasferire i magistrati scomodi ha pensato ad una norma per punirli minandone l’indipendenza?
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
SEMPRE PIU’ INFLUENTE LA MOGLIE DEL SINDACO LEGHISTA DI VERONA, DIRIGENTE OMBRA DELLA SANITA’ VENETA E FAN DI ALFANO…NON MANCA MAI A FESTE, CENE E INCONTRI, AMA TANTO VESTIRSI DA CUBISTA QUANTO DISSENTIRE DAL MARITO… E MOSTRA IL DITO MEDIO ALLA CURVA DEL VERONA
Ormai si è capito, Flavio Tosi correrà da solo alle amministrative di Verona: senza il Pdl e senza la moglie.
“Non gli darei il mio voto”, ha dichiarato giuliva la bionda signora Tosi durante la trasmissione dei perfidi Lauro e Sabelli Fioretti, in diretta su Raidue a Un giorno da pecora.
“Voterei il candidato del Pdl” affonda Stefania, che somiglia a Paris Hilton ma veste come Lady Gaga.
In studio c’è il marito, basito e imbarazzato, che balbetta solo un: “devastante”.
Per fortuna la vistosa Hillary de noialtri ha la residenza a Vicenza (“per motivi fiscali” le scappa sempre via radio) altrimenti avrebbe votato per lo sfidante del marito.
Del resto Stefania Villanova in Tosi, vestale della minigonna inguinale con stivaloni neri anni 60 non è nuova a queste uscite.
Anzi, per dirla tutta, ama quasi quanto vestirsi da cubista il dissentire dal marito a mezzo stampa.
Come quella volta che è andata a Cortina, giacca verde con macrobottoni dorati, vestitino fazzoletto e tacco 12, e si è spellata le mani in prima fila ad applaudire Angelino Alfano, mentre il marito era a Venezia con Bossi e Maroni a mangiare porchetta alla festa dei popoli padani.
Un consigliere regionale pidiellino racconta che quella volta, a Cortina, erano tutti seduti attorno al tavolo per la cena.
A Stefania (descrizione della mise non pervenuta) squilla il cellulare: è Flavio.
“Sapessi come è stato bravo Angelino, è bravissimo” starnazza lei tra l’imbarazzo dei commensali.
“Non si sapeva come farla stare zitta, eravamo tutti a disagio perchè il marito è la punta di diamante della Lega” ci sguazza feroce il consigliere.
Allo stadio invece si dice che l’abbiano dovuta portare via dalla porta secondaria, quella volta che ha esultato per un gol del Vicenza mostrando il dito medio rivolta alla curva dell’Hellas Verona, squadra del cuore del marito (che tra l’altro ne amministra la città ).
Uscite curiose, a volte fuori posto.
Ma guai a sottovalutare la first lady scaligera, che nel lavoro è una professionista coi fiocchi. Dopo anni come impiegata in Regione, il posto dove ha conosciuto il consorte (allora assessore alla Sanità ), stipendio 25mila euro annui, quando lui è diventato sindaco di Verona nel 2007 lei è stata promossa capo della segreteria dell’assessorato, stipendio 70mila euro. Lui dice che è per i suoi meriti, anche perchè per questo incarico di fiducia non serve concorso nè laurea (che non ha), Stefania è stata promossa da un assessore alla Sanità leghista veronese (Francesca Martini) e tuttora quel posto lo ricopre un assessore leghista veronese (Luca Coletto).
L’opposizione accusa spesso lady Tosi di tenere le fila per conto del marito, che tuttora nell’area del Veronese, ma anche dell’intero Veneto , ha voce in capitolo nella programmazione sanitaria.
O forse ce l’ha la signora Tosi, considerata da direttori sanitari, medici e politici la vera referente del settore?
“Se devo discutere di un progetto di legge che riguarda la sanità parlo con lei” ammette un senatore leghista.
“Non manca mai a cene, feste e incontri con medici, direttori e associazioni di volontariato” dice un direttore sanitario del Veneziano.
Anche in Regione, è famosa per essere una che non manca mai. Ambiziosa, gran lavoratrice, tecnicamente preparata, la lady veronese che si presenta in Giunta con vestitini neri minuscoli, calze trasparenti e stivaloni sembra una che detta le coordinate al marito, piuttosto che riceverle da lui.
Del resto, aldilà delle capacità professionali (“per la Sanità decide più lei che l’assessore” dicono quelli dell’opposizione) la signora la stoffa che manca nei vestiti ce la mette per presentarsi come vero soggetto politico, talento pubblico che sfoggia alle serate il suo fiore all’occhiello: Flavio Tosi.
Per il 42esimo compleanno Stefania ha organizzato una seratona-vip con raccolta fondi per l’alluvione in Veneto.
Non regali ma soldi per i paesi alluvionati, più politica di così…Fasciata in un mini abito rosa shocking si è presentata abbracciata al marito e a Povia a favore di telecamere.
Alla festa sono arrivati tronisti, imprenditori, vip più o meno famosi, 40mila euro raccolti sulla voce di Povia che canta: Luca era gay. La first lady li consegna al governatore Zaia, si fa fotografare raggiante: e il marito sta a guardare.
Erminia della Frattina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
A GENOVA DAL 2006 AL 2009, AVEVA FONDATO UN’ASSOCIAZIONE CON SOCI IN ODORE DI MAFIA… E NON SI ERA ACCORTO CHE UN BENE CONFISCATO ERA STATO RIOCCUPATO DA UOMINI DI COSA NOSTRA
“Prevenzione e grande attenzione agli appalti nel settore dei rifiuti”. Con queste parole il 10 gennaio scorso Pasquale Gioffrè, classe ’54, calabrese di Seminara, fa il suo esordio sulla poltrona di Prefetto di Lodi. Incarico di prestigio.
E ruolo delicato visto che l’area, una delle più ricche della Lombardia, da tempo è nel mirino della criminalità organizzata.
Affari mafiosi che cuciono assieme gli interessi di ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra.
Insomma, il lavoro non mancherà .
E Gioffrè ci mette la faccia: “La sicurezza non è una preoccupazione”. Parole che forse hanno lo scopo di rassicurare, ma in realtà un po’ inquietano. Soprattutto dopo avere spulciato tra le sue esperienze precedenti.
Andando a ritroso: ultima tappa Lodi, prima vicario a Bologna e ancora indietro una lunga esperienza a Genova.
Ed è proprio all’ombra della Lanterna che Gioffrè macina diversi inciampi.
In Liguria ci arriva alla fine del 2006 e saluta nel 2009 con la fama “dell’ex vice prefetto che non vedeva la mafia”.
Tre anni e qualche ombra, dunque.
A partire dal pasticciaccio di vico Mele, centro storico della città , ma soprattutto centrale operativa del gelese Rosario Caci, rappresentante del clan Madonia in Riviera.
L’uomo di Cosa nostra da anni abita in vico Mele 4/1a.
Nel 2005, però, l’appartamento (due camere, cucina e servizi) su ordine della Dia di Caltanissetta viene sequestrato e poi confiscato.
Confisca che diventa definitiva nello stesso anno.
Che succede a questo punto?
La casa viene assegnata all’Agenzia del Demanio, e passa sotto il controllo della Prefettura, di cui, all’epoca, fa parte lo stesso Gioffrè che ha la delega alla sicurezza e ai beni sequestrati.
Per due anni, però, non succede quasi nulla. Sul portone i sigilli ingialliscono.
Nel frattempo la moglie di Caci scrive alla presidenza della Repubblica per bloccare la confisca. Atto solo formale che di per sè non ha il potere di frenare l’iter avviato nel 2005.
Eppure due anni dopo, l’appartamento è ancora vuoto. E tale resterà fino all’ottobre 2007, quando ci si accorge che la famiglia Caci lo ha rioccupato.
La notizia viene pubblicizzata sui quotidiani locali.
L’associazione Casa della legalità denuncia tutto. Scoppia lo scandalo.
Che si trascina fino al 2008, quando lo stesso Caci lascia la casa per migrare in una camera d’albergo pagata dallo stesso comune.
Uno scandalo nello scandalo che all’amministrazione costerà oltre 20mila euro e che finisce nel 2009, anno in cui il referente dei clan tornerà di nuovo in carcere. In tutto questo il ruolo di Pasquale Gioffrè viene messo sotto accusa: “Da oltre cinque anni — scrive in una denuncia l’associazione Casa della legalità — segue per conto della Prefettura la questione di Vico Mele”.
Di più: l’esposto rileva come la presenza di Caci nella zona di Vico Mele veniva denunciata dai cittadini alla Prefettura.
“Gioffrè — si legge — replicava che non è assolutamente vero”.
Insomma la vicenda sembra consumarsi tutta all’insaputa dello stesso Gioffrè.
Non solo: il neo-prefetto di Lodi nel gennaio 2007 ricopre anche l’incarico di commissario nel comune di Arenzano sciolto nel novembre 2006.
La giunta, infatti, si spacca su una variante del piano regolatore fortemente voluta dal sindaco di centrosinistra Luigi Gambino.
La vicenda avrà anche risvolti giudiziari. Nel frattempo Gioffrè si siede sulla poltrona dell’ex primo cittadino. E mentre lui governa, la Guardia di finanza indaga su quel cambiamento di Pgt.
E’ in questo momento che nella rete delle intercettazioni finisce la voce di Gambino (non indagato) al telefono con Gino Mamone, imprenditore calabrese in odore di mafia.
Nel 2002, infatti, una nota della Dia tratteggia i suoi collegamenti con la ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Mammoliti di Oppido Mamertina.
Il 30 gennaio 2007 Mamone chiama l’ex sindaco che in quel frangente è un semplice cittadino senza incarichi pubblici.
Nonostante questo, Gambino promette all’imprenditore di intervenire a suo favore su un funzionario comunale per la questione dell’ex area Stoppani alla cui acquisizione è interessata la Eco.Ge srl dello stesso Mamone.
“Gambino — dice l’imprenditore — noi abbiamo mandato un fax al commissario di Arenzano (…) per fare già un’infarinatura”. In programma c’è una riunione al comune di Cogoleto.
Mamone vorrebbe che partecipasse anche un rappresentante di Arenzano. Gambino ne parla direttamente con “Lazzarini, quello dell’Ambiente” perchè, spiega l’ex primo cittadino, “lui (Mamone, ndr) vorrebbe che ci fossi anche tu”.
Quindi rassicura l’imprenditore: “Io gli ho detto apertura massima”. Come sempre il tutto avviene all’insaputa del commissario Gioffrè.
Nella primavera 2007 Gambino vince di nuovo le elezioni.
Un anno dopo, il 3 giugno 2008, interrogato dall’opposizione, risponde in aula: “La telefonata intercettata riguarda il periodo in cui Gambino non aveva alcuna carica pubblica e con quella chiamata veniva richiesto un suo interessamento come cittadino presso le istituzioni competenti”.
Nel frattempo lo stesso Gambino fino al 2010 si tiene in giunta l’assessore Cinzia Damonte che nello stesso anno corre per le regionali tra le file dell’Idv e in parte ottiene (senza finire indagata) il supporto elettorale di Onofrio Garcea, uno dei capi della ‘ndrangheta genovese.
E l’ombra della mafia calabrese emerge anche dall’elenco dei soci dell’associazione Città del sole tra i cui fondatori compare lo stesso Gioffrè. “Ma io vi presi parte — ha detto poco tempo fa lo stesso prefetto — solo per la presentazione di alcuni libri”. Lo statuto, invece, racconta altro.
L’associazione viene fondata il 28 ottobre 2005 in vico Salvaghi 36 a Genova.
E tra i soci fondatori, oltre a Gioffrè, compare Francescantonio Anastasio, figlio di Pietro morto nel 2010 e il cui nome, pur non indagato, compare nell’indagine Maglio del 2011 per i suoi “rapporti di ‘ndrangheta” con Domenico Gangemi capo della mafia calabrese in Liguria.
Non è finita.
Sulla poltrona di presidente dell’associazione siede, infatti, Salvatore Cosma, anche lui calabrese, ma da tempo protagonista della scena politica ligure.
Personaggio trasversale, negli anni ha cambiato otto volte formazione politica.
Il suo nome — pur non iscritto nel registro degli indagati — compare nelle informative della Finanza che indaga sui rapporti tra mafia e politica.
Annotano i militari: “Le indagini tecniche hanno consentito di accertare che Salvatore Cosma fosse effettivamente in contatto con esponenti della malavita”.
Si fanno i nomi di Gino Mamone e Onofrio Garcea.
L’elenco dell’associazione è lungo.
E dalla lista compare addirittura quel Giuseppe Profiti, già condannato in appello per tubativa d’asta, già presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma e spinto dal Vaticano nel cda dell’ospedale San Raffaele finito in bancarotta dopo la lunga gestione di don Luigi Verzè.
Insomma, nella carriera di Gioffrè molto è accaduto a sua insaputa.
Nulla di penalmente rilevante.
Eppure su questi episodi Giuseppe Lumia, senatore del Pd e membro della commissione parlamentare antimafia, ha annunciato un’interrogazione per valutare il caso.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 6th, 2012 Riccardo Fucile
IL POPOLO DEI SENZA TETTO CACCIATI ANCHE DALLA STAZIONE, C’E’ CHI LA LINEA GIALLA DEL RISCHIO SOPRAVVIVENZA L’HA OLTREPASSATO DA TEMPO… LE ISITITUZIONI FANNO FINTA DI NULLA, IL VOLONTARIATO NO
Stazione Termini, nelle notti del grande gelo.
L’altoparlante annuncia treni soppressi, ritardi di ore, la Stazione Tiburtina chiusa. Nevica e l’Italia perde la faccia e la testa.
Si blocca, anche quella magnifica, modernissima, pubblicizzata e costosa ad Alta Velocità .
La voce metallica dell’altoparlante non chiede scusa per i ritardi, non fornisce spiegazioni su quali treni prendere, ma ripete, ad intervalli regolari e ossessivi, che è severamente vietato attraversare la linea gialla.
E invece, ti guardi intorno e vedi che nella notte del grande freddo romano, e della neve che presto diventerà ghiaccio e freddo da spaccarti le ossa, c’è chi quella linea gialla l’ha oltre passata da tempo.
E’ una umanità infreddolita e dolente.
Avvolta in coperte sudice, rannicchiata nei cartoni sui marciapiedi di via Marsala e via Giolitti. Piegata dalla solitudine.
Sotterranei della stazione. La casa di Nicola è una sedia a rotelle traballante che trasporta lui e le povere cose che ha.
Chiede di abbassare la telecamera come tutti gli abitanti del grand Hotel Termini.
“Non voglio che mi vedano i miei figli”. E’ romeno di Brasov, venuto in Italia dieci anni fa a cercare la fortuna.
“Poi la malattia, lo zucchero nel sangue, diabete e cancrena”, ci dice indicando il piede che gli manca, “mi ha distrutto. Ho perso il lavoro nel cantiere, la casa, non vedo la mia famiglia da due anni”.
All’una la stazione chiuderà , polizia ferroviaria e guardie private cacceranno tutti.
E Nicola? “Lo aiuteranno gli altri disgraziati come lui a salire con la sua carrozzella e dormirà all’aperto”, ci racconta un addetto alle pulizie.
“Ogni notte vedo aumentare le persone che cercano un rifugio nella stazione, ci sono i barboni che io chiamo storici e quelli nuovi. Li riconosci subito, all’inizio sono impacciati, abbassano gli occhi, cercano di tenere in ordine i vestiti che hanno addosso. Poi si riducono come gli altri. Ascolto i loro racconti, sono padri di famiglia che hanno perso il lavoro, uomini separati, gente sfortunata”.
Quello dei senza fissa dimora è un popolo.
“Settemila persone a Roma”, ci dice Roberta Molina, della Caritas.
“La cosa più drammatica è che spesso incontriamo per strada interi nuclei familiari. Nei giorni passati abbiamo dato ricovero in una casa famiglia ad una donna con cinque figli. Basta poco per finire in strada, un fallimento, una separazione, la perdita del lavoro”.
Settemila uomini e donne che come tetto hanno il cielo freddo della notte o la volta di una stazione.
Sono i nuovi poveri, gente che a Roma si divide anche i pezzi di strada.
A via Marsala gli immigrati di colore, in via Giolitti, l’altro lato della Stazione Termini, tutti gli altri.
Due ragazze scaricano dalla macchina un materasso. “Non siamo volontarie, vogliamo solo dare un aiuto”. Lo regalano ad un egiziano accucciato a terra sopra i cartoni che lo difendono dalla neve che è già ghiaccio.
Di fronte l’insegna luminosa di un hotel, a pochi passi dai suoi piedi nudi un topo enorme che cerca la strada verso la fogna. “Sono un richiedente asilo. Guarda le mie scarpe, sono pulite, non sono un barbone”.
Via Marsala, ore tre del mattino. Ci colpisce una figura che avevamo visto due ore prima.
E’ una donna di colore, è in piedi avvolta in una coperta. Sta così da ore.
Ai volontari che l’avvicinano e le porgono un a tazza di the bollente e un panino, riesce a dire solo una frase: “Ho paura di stare qui”.
Qui è questo pezzo di Bronx capitolino popolato di strani animali metropolitani che diventano padroni della notte e un locale, un bar con luci sfavillanti, i buttafuori di colore che sembrano usciti da un vecchio film di Martin Scorsese e l’alcol venduto a fiumi per tutta la notte.
“Sì, la notte è anche questo a Roma — ci dice Roberta Molina — come Caritas, grazie alle parrocchie e ai nostri ostelli, riusciamo a dare ricovero a 500 persone, ma non basta. Mi irrito quando sento parlare di emergenza freddo, l’inverno viene ogni anno, è prevedibile, ma nessuno fa quello che si dovrebbe per questa gente”.
Stazione Ostiense, le porte a vetri sono illuminate dalle luci di un cartellone pubblicitario. “Quest’inverno i più fortunati se la vedranno nera”, c’è scritto proprio così e pubblicizza una macchina.
Dentro la stazione decine di persone dormono a terra. Due ragazzi ci vedono e scappano. Sono afghani e raggiungono i loro compagni riparati in tende e ricoveri di plastica e cartone, poco più avanti, al terminal costruito per i Mondiali 90.
“Anche questa —ci racconta Dina Giuseppetti del Cies, una ong che si occupa di immigrati e rifugiati — è una emergenza. Ci sono minori non accompagnati, ragazzi fuggiti dall’Iraq, dall’Afghanistan, che raggiunti i 18 anni finiscono per strada o in centri di accoglienza con adulti senza fissa dimora. Un dramma”.
Anche ad Ostiense l’altoparlante gracchia per tutta la notte. Treni soppressi, ritardi e la linea gialla.
Due clochard sono morti. Una donna ucraina di 48 anni l’hanno trovata in una baracca di Ostia. Non c’era riscaldamento.
Un altro, un tedesco, vicino Perugia. Un altro ancora lo hanno salvato a stento a Piacenza. Era assiderato.
Tutti e tre avevano oltrepassato la loro linea gialla.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia, povertà | Commenta »