Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
IL GERMANIA CHI VIOLA LE NORME RISCHIA FINO A 5 ANNI DI DETENZIONE, IN FRANCIA E’ PREVISTA LA REVOCA DEL DIRITTO AI SOLDI, IN GRAN BRETAGNA C’E’ L’OBBLIGO DEI RENDICONTI, IN SPAGNA IL CONTROLLO E’ AFFIDATO ALLA CORTE DEI CONTI
In Italia i partiti possono riscuotere rimborsi elettorali gonfiati rispetto alle spese effettivamente sostenute, certi di un sistema di controlli inefficace.
Lo scandalo che ha travolto Luigi Lusi, già tesoriere della Margherita e oggi senatore del Pd, ha acceso i riflettori sull’opacità delle nostre formazioni politiche, visto che è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di aver sottratto alle casse del partito 13 milioni di euro e di averli ‘girati’ indebitamente sui suoi conti.
Ma se in Italia il sistema di verifica dei rendiconti è di fatto inadeguato, in Europa i partiti sono tenuti alla trasparenza di finanziamenti e patrimoni.
E chi occulta o sbaglia, paga.
FRANCIA
I partiti in Francia che incassano contributi annuali e rimborsi elettorali, per ottenere i fondi devono raggiungere l’1% dei voti presentandosi in almeno 50 circoscrizioni.
Il sussidio annuale è soggetto a un tetto massimo di 80 milioni di euro e il limite della spesa è fissato a 38mila euro per candidato, a differenza dei 52mila in Italia.
Anche il rimborso si suddivide in effettivo, che compensa le spese elettorali per i candidati che hanno superato il 5% dei voti e avviene dopo il deposito dei conti delle campagne, e forfettario, che in nessun caso può superare le spese effettive.
Obbligatoria la contabilità che riguarda sia il rendiconto del partito, che quelli degli enti e delle società partecipate, da sottoporre a due revisori dei conti e in seguito depositati presso la “Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques”.
In caso di violazione della legge, il partito può perdere il diritto al finanziamento per l’esercizio successivo e sono previsti sanzioni, sia elettorali che penali e pecuniarie, per i candidati.
Se infatti la Commissione accerta il superamento dei limiti di spesa, sarà lo stesso politico a compensare la differenza con la somma rimborsabile per legge.
“La Francia — spiega Paolo Bracalini, autore di ‘Partiti S.p.a’ — punisce per davvero chi sgarra. Dal 2003 a oggi infatti i partiti hanno preso solo 73,7 milioni di finanziamenti pubblici sugli 80 disponibili”.
E i restanti 7?
“Non sono stati assegnati per mancata applicazione della normativa sulle quote rosa. Che esiste anche in Italia, sebbene in pochi la rispettino”.
GERMANIA
Controlli ferrei anche in Germania, dove i partiti si finanziano con i rimborsi elettorali e le somme elargite dalle fondazioni di partito, su cui lo Stato impone l’obbligo di rendicontazione.
Il tetto massimo del sussidio statale è fissato a 133 milioni di euro e i rimborsi elettorali corrispondono a 0,85 euro per ogni voto valido, che scende a 0,70 dopo i 4 milioni, e 0,38 per ogni euro ricevuto tramite donazioni e quote degli iscritti.
Anche le Fondazioni dei partiti ricevono finanziamenti globali e a progetto, rispettivamente 95 e 233 milioni nel 2011.
L’attuale legge elettorale tedesca (Gesetz à¼ber die politischen Parteien — Parteiengesetz) del 31 gennaio 1994 è stata formulata in seguito al rilevamento di incostituzionalità sul quale è intervenuto il Tribunale.
Dal 1966 infatti ai partiti potevano finanziarsi solo tramite rimborsi elettorali, norma che aveva portato a un aumento incontrollabile dei costi della politica. Il Tribunale dunque sanzionò il contributo pubblico perchè ormai trasformato di fatto in finanziamento in via continuativa, oltre alle importanti deduzioni fiscali sulle donazioni ai partiti e alla ripartizione dei contributi a prescindere dal seguito elettorale.
Oggi per avere accesso ai contributi è necessario ottenere come lista almeno lo 0,5% dei voti validi per le elezioni europee e del Bundestag, o l’1% per le elezioni dei Parlamenti dei Là¤nder.
Il rendiconto deve essere esaminato da un revisore dei conti o da una società di revisione e dal 2004 lo Stato reso obbligatori la doppia contabilità e l’adeguamento del limite assoluto del finanziamento pubblico dei partiti. Inoltre chi viola la normativa, revisori inclusi, rischia la detenzione fino a tre anni, o cinque se l’errore è stato commesso dietro compenso per favorire o danneggiare un terzo soggetto.
Una regolamentazione dettagliata e restrittiva riguarda anche le donazioni che, ad esempio, non possono provenire dall’estero o, se anonime, superare i mille euro.
Nel caso poi in cui non venissero rendicontate, il partito perde il diritto ai contributi pubblici per una somma pari al doppio della somma ottenuta in modo illegittimo.
GRAN BRETAGNA
Controlli severi anche nel Regno Unito, dove il finanziamento statale interessa soltanto i partiti di opposizione, ‘svantaggiati’ poichè non al governo. Rivestono invece un ruolo importante i sussidi privati che possono essere erogati da persone fisiche e imprese e sono resi pubblici attraverso un registro controllato dalla ‘Electoral Commission’, un organismo indipendente di vigilanza, e che per la campagna elettorale del 2010 ammontavano a 26,3 milioni di sterline (contro il 7,8 elargito dallo Stato).
L’attuale normativa inoltre, oltre a rendere pubblici tutti i finanziamenti sul registro pubblico disposto dalla Electoral Commission, impone obblighi vincolanti sul controllo e la trasparenza dei rendiconti dei candidati, tenuti a designare un agente elettorale responsabile di depositare il rendiconto finanziario alla Commissione entro 35 giorni dalla proclamazione del risultato.
SPAGNA
Obblighi contabili anche per i partiti spagnoli, che ricevono finanziamenti pubblici ordinari per la loro attività , rimborsi elettorali e contributi elargiti dalle Comunità Autonome.
Un partito ha diritto al sussidio statale se ha almeno un eletto in Parlamento e la somma è ripartita per 2/3 in base ai voti ottenuti, e 1/3 sulla base dei seggi vinti per un totale di 86,5 milioni nel 2011.
Per quanto riguarda invece i rimborsi elettorali sono suddivisi in base al numero di seggi vinti e ai voti conquistati, e l’anno scorso ammontavano a 44,5 milioni di euro.
Molto severa anche la disciplina sul controllo della gestione: le formazioni politiche devono infatti tenere registri contabili dettagliati sulla situazione finanziaria e patrimoniale sui quali si pronuncia la Corte dei Conti, che può irrogare sanzioni pecuniarie nel caso di donazioni ‘fuori legge’, “comminando una multa — aggiunge Bracalini — fino a un importo pari al doppio del contributo ricevuto illegalmente, che sarà dedotta dal successivo conferimento della sovvenzione annuale al partito”.
E nel caso in cui un partito “non presenti, senza giustificazioni, i conti corrispondenti all’ultimo esercizio annuale o se essi siano incompleti, la Corte può proporre che al partito stesso non siano assegnati i contributi annuali a cui esso avrebbe diritto”.
Insomma, in Europa la politica che sbaglia, paga. Ma in Italia no.
E’ davvero così?
“Sì — osserva Lorenzo Cuocolo, professore di Diritto pubblico comparato presso l’Università Bocconi-, anche perchè i partiti in Italia sono soggetti di carattere privato, in buona parte liberi di gestire i denari che ricevono. La Corte dei Conti, come accade in altri paesi, sarebbe l’organo più idoneo per garantire la trasparenza dei patrimoni”.
Inoltre, aggiunge, “la nostra legge è il frutto di una serie di imprecisioni e inganni che iniziano con il referendum del 1993, tradito dalla reintroduzione dei contributi sotto forma di rimborsi elettorali”.
Una situazione che si aggravata negli anni “visto che oggi questi contributi non sono più dati sulla base di giustificativi ma su base forfettaria e i partiti ricevono l’erogazione anche in caso di scioglimento anticipato, cumulando così tesoretti molto consistenti”.
Come i 13 milioni per i quali è indagato l’ex tesoriere della Margherita.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
IN UN LIBRO DI PAOLO BRACALINI TUTTE LE CIFRE DELLE HOOLDING IN CUI PASSANO 500 MILIONI DI EURO PER OGNI LEGISLATURA IN PARLAMENTO, 230 MILIONI PER LE EUROPEE E 200 PER LE REGIONALI…OLTRE A 70 MILIONI DI EURO L’ANNO AI GRUPPI PARLAMENTARI
In Gran Bretagna, i partiti che ricevono finanziamenti pubblici (10 milioni di sterline nel 2010, pari 12 milioni di euro più o meno) sono solo quelli di opposizione, svantaggiati nel raggranellare sostegno economico da lobby e gruppi industriali.
In Germania invece non c’è privacy che tenga per le fondazioni: i “think tank” teutonici sono tenuti alla massima trasparenza.
Invece in Italia — il Paese in cui in un paio d’anni, secondo la Corte dei Conti e la Guardia di finanza, la corruzione è aumentata del 229% — i “pensatoi” della politica, a destra come a sinistra, non sono “obbligati a tenere una contabilità ufficiale delle erogazioni”.
Sono due aspetti che emergono dal libro “Partiti Spa” (Ponte alle Grazie, 2012) del giornalista Paolo Bracalini.
I rimborsi elettorali sono l’argomento del volume e tante le cifre riportate per raccontare di holding di fatto dalle cui mani passano “500 milioni di euro […] per ogni legislatura, tra Camera e Senato, 200 milioni per le elezioni regionali, 230 per le europee. Solo di rimborsi elettorali, dal 1994 ad oggi, siamo a oltre 2,7 miliardi di euro, ai quali vanno […] aggiunti i 70 milioni di euro annui destinati ai gruppi parlamentari e gli altri milioni investiti per i giornali di partito (senza parlare delle donazioni dei privati, 80 milioni di euro l’anno in media)”.
Denaro che riguarda i grandi partiti, ma anche i piccoli, come il Partito dei Pensionati (885 mila euro di rimborso), i Verdi-Verdi (contro cui il partito dei Verdi “vero” si scagliò via Tar, 300 mila), l’Alleanza di Centro di Pionati più la rediviva, per quanto assai lontana dal suo passato di balena bianca, Democrazia Cristiana (550 mila).
E denaro che non basterebbe mai, dato che i bilanci delle formazioni politiche virano sempre al rosso (Pdl meno 6 milioni di euro e Pd addirittura meno 42 milioni).
Il risultato del referendum del 1993, che sancì l’abrogazione del contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici (82 miliardi di lire all’anno a partire dal 1974, con la cosiddetta legge Piccoli, da Flaminio, allora capogruppo Dc che ne fu relatore), è diventato subito carta straccia e qualche numero lo testimonierebbe.
Scrive infatti l’autore che dal 1994, quando venne introdotta la legge sul rimborso elettorale, a oggi l’ammontare del denaro erogato sotto questa voce ha raggiunto quota 2 miliardi e 700 milioni di euro, 600 dei quali dal 2008 sono andati solo per Pdl e Pd.
E si tratta di un importo al netto delle elezioni “minori”, come quelle supplettive o delle regioni a statuto speciale.
Cifra che, specifica Paolo Bracalini facendo notare che dal 2006 l’erogazione avviene sulla base di tutti gli anni di legislatura anche se questa non giunge a scadenza, “non tiene conto degli stipendi dei parlamentari, consiglieri di regioni, province e comuni, dei loro vitalizi, dei loro ‘assegni di reinserimento’, dei loro benefit, delle spese di affitto sostenute da Camera e Senato per ospitarli, dei milioni per l’editoria di partito, dei costi delle auto blu e di quant’altro va sotto il nome di ‘costi della politica’. Noi ci limitiamo esclusivamente a considerare i soldi erogati direttamente ai partiti, denaro liquido”.
Una nota da rilevare è che, in 13 anni di modifiche alle norme, il rimborso per elettore è passato da 1.600 lire a 5 euro e dunque, se nel 1994 le politiche erano costate solo per questa voce 47 milioni di euro, nel 2008 l’importo ha superato la soglia dei 500.
I paradossi delle norme che compongono la voce rimborso elettorale proseguono.
Intanto, per riceverlo, occorre superare per esempio la quota dell’1% dei suffragi alla Camera (per il Senato la ripartizione è su base regionale), molto inferiore rispetto a quella per entrare nei palazzi della politica, e la percentuale di rimborso non si calcola sul numero effettivo dei votanti, ma sul numero di cittadini iscritti nelle sezioni elettorali.
C’è poi il tasto, anche in questo caso dolente, della corrispondenza tra le spese effettivamente sostenute per la campagna elettorale e l’importo del rimborso.
Scrive in proposito l’autore citando ancora la Corte dei Conti: “Dei 2.253.612.233 euro (la somma è arrotondata per difetto però…) di rimborsi elettorali, i partiti hanno in realtà speso, per le campagne elettorali dal 1994 al 2008, circa un quarto. Ma la differenza si è accentuata con l’aumentare degli importi del rimborso. Le ultime elezioni, quelle 2008, sono costate ai partiti 110 milioni di euro di campagne elettorali, ma allo Stato sono costate cinque volte di più in rimborsi”.
Non meglio va il capitolo controlli, con le verifiche che dovrebbero essere condotte, oltre che dalla Corte dei Conti, anche dal collegio dei revisori nominato dall’ufficio di presidenza della Camera.
Da un lato la legge limita i riscontri al “rispetto formale degli obblighi informativi […] ed alla verifica della completezza del contenuto dei documenti”.
Dall’altro il collegio sottolinea la “mancata attribuzione di specifici poteri istruttori”.
Bracalini ne intervista uno dei 5 professionisti che dovrebbero controllare.
Non ne rivela l’identità (per quanto il pool sia composto dal commercialista Salvatore Cottone, dai professori Tommaso Di Tanno, Duilio Lutazi e Francesco Perrini, e dal commercialista e revisore contabile Maurizio Lauri), ma gli chiede quali sono i criteri con cui i professionisti vengono scelti dal parlamento.
“Manuale Cencelli al cento per cento”, risponde l’intervistato alludendo alla mai tramontata pratica da Prima Repubblica di spartizioni delle poltrone sulla base della forza di partiti e correnti.
Questo fiume di denaro può poi avere qualche impiego ulteriore.
Come risanare almeno in parte le casse asciutte dei partiti. Impiego a cui è ricorsa — più clamorosamente di altri, ma non l’unica — Forza Italia “vendendo” nell’aprile 2007 i suoi rimborsi di 105 milioni di euro a Intesa Sanpaolo, quella del ministro Corrado Passera e del vice alle infrastrutture Mario Ciaccia, la stessa che vede il “suo” Banco di Napoli gestire i conti correnti dei deputati e i movimenti di Montecitorio.
Forza Italia ha così trovato nuova linfa per la campagna in vista delle politiche del 2008 e ha ripetuto il meccanismo, quando il partito è andato a caccia di un finanziamento analogo con l’arrivo del Popolo della Libertà e con l’idea di cartolizzare i rimborsi fino al 2012.
Quello descritto da Bracalini, in sostanza, è un mondo fatto da una casta che quando il partito non ce l’ha se lo inventa e qualche volta riesce pure a farsi rimborsare a fronte di nessun rappresentante eletto.
Un mondo di debiti e morosi, di assi strategiche tra finanza e politica che passano dai consigli d’amministrazione degli istituti di credito e delle immobiliari che affittano ai partiti, di feste-eventi e marchi da registrar per sfruttamento commerciale in gadget e affini.
“Se almeno servisse, tutto questo finanziamento pubblico, a rendere marginale il ricorso a quello illecito”, scrive l’autore. “Invece no […]. Il ‘valore’ di mazzette e falsi appalti? Cinquanta-sessanta miliardi di euro, l’anno.
‘Una vera e propria tassa immorale e occulta’ […] l’ha definita Furio Pasqualucci, procuratore generale della Corte dei Conti”.
Antonella Beccaria
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO IPR, NONOSTANTE LE PROTESTE PER LE LIBERALIZZAZIONI, I CONSENSI NEL PREMIER PASSANO DAL 52% AL 57%…TRA I MINISTRI IN TESTA LA CANCELLIERI
Con negli occhi le immagini delle proteste dei tassisti, camionisti, avvocati, farmacisti e affini, la lettura del sondaggio di Ipr Marketing consegna una diversa fotografia della realtà .
Ovvero che la fiducia nel governo guidato da Mario Monti è in crescita. E non di poco.
Dal 7 gennaio a oggi sono 5 i punti guadagnati dal premier. Un balzo in avanti nonostante le dure proteste che hanno accolto il pacchetto delle liberalizzazioni. Mario Monti, insomma, va avanti.
E lo fa, stando al sondaggio, in un clima di fiducia che, vista la durezza delle misure messe in campo, quasi sorprende.
I dati, però, sono chiari.
Dal giorno dell’affidamento dell’incarico (era il 16/11/ 2011) a oggi la fiducia in Monti è salita di 2 punti percentuali.
In calo, certo, rispetto a quell’inizio di dicembre scorso in cui fece segnare un 62% restato picco mai più raggiunto.
Ma era prima della manovra e questo può bastare a spiegare il calo, di 10 punti, registrato il 7 gennaio di quest’anno. Poi, però, qualcosa è cambiato.
Nonostante i contraccolpi delle liberalizzazioni, dal 7 gennaio a oggi la fiducia in Monti è tornata a salire di 5 punti, toccando quota 57%.
Il tutto in soli 20 giorni. Specularmente è calata la percentuale dei poco convinti delle mosse del premier (adesso attestati al 34%).
Stabile, invece, il gradimento del governo nel suo complesso. Il 12 dicembre scorso era al 54%, oggi è al 55% (contro un 35% di sfiduciati).
Altro aspetto significativo sono le ricadute sui partiti che sostengono il governo. Tenuto in piedi da una maggioranza “anomala”, Terzo Polo, Pdl e Pd, l’ex presidente della commissione europea, non si nasconde le difficoltà legate alla tenuta delle formazioni politiche schierate al suo fianco.
Se si esclude il Terzo polo, imbarazzi e tensioni sono visibili in parte nel Pd ma soprattutto nel Pdl.
E proprio dal partito del Cavaliere si sono levate voci che chiedono di staccare la spina all’esecutivo e andare al voto. Non a caso, scorrendo la tabella, solo il 30% degli elettori del Pdl dicono di avere fiducia in Monti.
Una percentuale di poco superiore al 28% del carroccio. Con una differenza significativa: la lega è all’opposizione, il Pdl sostiene il governo.
Ben più convinto il sostegno di Terzo Polo e Pd.
L’85% degli elettori dei centristi dichiara di avere fiducia nel premier, così come il 78% dei sostenitori democratici.
L’Idv, invece, resta nel guado. Nonostante Di Pietro abbia negato il sostegno al governo, il 60% degli elettori dell’Idv dichiarano di avere fiducia in questo esecutivo. E anche tra chi si dice indeciso nella preferenza elettorale, la percentuale di chi dice di appreazzare la compagine governativa è alta: ben il 53%.
Infine i ministri.
Il primo dato è che, per la maggior parte, sono poco noti.
Per questo il sondaggio prende in esame solo quelli che superano un livello di conoscenza del 25%.
In vetta si piazza il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri che, seppur in calo di due punti (rispetto al 12 dicembre scorso), raggiunge il 53%.
Cresce, invece, la fiducia nel ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi (dal 48% al 51%).
Nel piano della difficile trattativa sulla riforma del mercato del lavoro, crolla il gradimento di Elsa Fornero. Lei, il ministro che pianse al momento della presentazione delle misure economiche varate dall’esecutivo, registra una brusca discesa: dal 58 al 50%.
Chi invece sale è Corrado Passera alla testa dello Sviluppo economico. Proprio lui che, almeno stando alle indiscrezioni, viene dato come tutt’altro che in sintonia con Elsa Fornero. Bene, Passera passa dal 46% al 50%.
In calo il Guardasigilli Paola Severino (dal 48% al 46%) e il ministro per i Rappori con il Parlamento Piero Giarda (dal 54% al 50%).
Stazionari, al 37%, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini e al 45% quello dell’Istruzione Francesco Profumo.
Tutti gli altri, per avere un voto, dovranno attendere.
Che più gente li conosca.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
SALVARE IL QUARTIERE A NORD DI NAPOLI STRETTO TRA CAMORRA E DROGA: NASCE OCCUPYSCAMPIA
Salvare Scampia. Con un tweet. E un obiettivo: “Occupyscampia”.
Richiamando giovani e tende, meglio se fisicamente, nel droga shop più vasto del Mediterraneo, nella catena di montaggio delle quindici piazze di spaccio.
“Ma vogliamo gente vera, non passerella”, avvertono gli indignati.
Da un sasso lanciato on line dalla deputata Pd Pina Picierno, è scattata la mobilitazione sui social network per contrapporre il rumore della vita ai regolamenti di conti ripresi tra il clan degli “scissionisti” e una fazione di vecchi killer legati ai Di Lauro (8 morti in sei mesi).
La paura spinge le famiglie a chiudersi in casa, c’è chi ha colto indiscrezioni su un “coprifuoco” che sarebbe stato imposto dalla camorra.
Notizia smentita ufficialmente sia dalle forze dell’ordine, sia dal procuratore aggiunto antimafia di Napoli, Alessandro Pennasilico, secondo cui “non si registra alcun riscontro su tali notizie. Si tratta di una circostanza infondata in base a tutti i rilievi in corso sul territorio”.
Che ci sia o meno il coprifuoco, gennaio è stato un mese di angoscia per chi vive a ridosso dei “signori” dello spaccio, tra le Vele o al lotto P.
Per gli abitanti di Scampia, c’era il rischio di una nuova faida. Per gli inquirenti, invece, “si è trattato solo di un assestamento”.
E’ al nuovo clima di violenza e prevaricazione che ha cercato di dar voce la deputata Picierno con quel Twitter che fa il verso a Zuccotti Park, – Occupyscampia – poi seguito da centinaia di indignati al giorno.
Un tam-tam che registra un twitter al minuto.
E se il marchio Scampia da sempre fa discutere, Occupyscampia suscita mobilitazione, passione e anche dissenso.
Il giornalista Sandro Ruotolo scrive: “La liberazione di Scampia può partire solo da Scampia”.
E Lorenzo Tag risponde: “Infatti! Se ne hanno voglia che lo facciano loro! Sarebbe la prima volta che gli italiani rinunciano alle deleghe…”.
Elladbs è di tutt’altro avviso: “Spero che #occupyscampia qualunque cosa voglia dire vada in porto. Abbiamo bisogno di sperare”.
Scrive Francesco Gentile: “Se occupiamo Scampia da “stranieri” per poi tornarcene a casa, non serve a nulla. Parli il territorio e ci dica cosa serve”.
Cifella avverte: “Questa cosa di Occupyscampia mi eccita”. Salvio Sapio li sveglia: “Va be, Scampia va di moda quindi presidiamo Scampia. Melito non fa notizia e poco importa se è un marciapiede più in là “. (Melito è il territorio attaccato alla periferia di Scampia, ma fa comune a sè ed è travolto dalle lotte).
Salvatore Sanna lancia: “Okay per occupyscampia ma occuparla qui su Twitter non serve a molto. Bisogna andare dint’ a Scampia, guagliu'”.
E Ciro Pellegrino risponde: “Per me si può fare pure domani, ho anche pensato a dove mettere le tende”.
E Devandrea sostiene da lontano. “Coraggiosi i ragazzi di occupyscampia. Supporto e ammirazione da un campano emigrato”.
Ma Orsatti63, a chi chiede in cosa si concretizzerà questa mobilitazione, risponde: “Guarda, non penso che sarà un corteo. Quello che si tenterà è occupyscampia vera. Niente passerelle. Gente”.
E per Emensileonline: “L’hashtag del giorno, per noi, è #occupyscampia”.
Eppure, sono tante le voci di Scampia che non vogliono essere rappresentante come “colonia criminale e basta”.
Che non vogliono commentare “il coprifuoco perchè sono fenomeni mediatici che non servono a Scampia”.
Da Gianni Maddaloni, maestro di judo e soprattutto padre del campione olimipico Pino che lì guida una palestra al preside dell’Istituto modello “Ferraris”, dagli operatori sociali delle sessanta associazioni che interagiscono con il territorio ai religiosi come il gesuita Fabrizio Valletti e il parroco Vittorio Siciliani, hanno sempre la stessa parola: “Scampia ha bisogno di fatti, e di esempi positivi”.
Conchita Sannino
(da “la Repubblica“)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
AL CENTRO DI UN BUSINESS CHE INTRECCIA CONSULENZE PAGATE A PESO D’ORO E INVESTIMENTI SUL MATTONE
Naviga nell’oro la Ttt di Luigi Lusi.
Una piccola srl con soli 50 mila euro di capitale sociale viene letteralmente sommersa di denaro.
In tre anni, tra il 2008 e il 2010, la Ttt incassa oltre 11 milioni di euro. I soldi, come ha confessato lo stesso senatore Lusi, arrivano dai conti della Margherita, che apparentemente paga laute consulenze.
Ma alla Ttt queste prestazioni non costano quasi niente.
Nel 2010, a fronte di ricavi per 4 milioni 765 mila euro, i costi della produzione non superano i 188 mila euro, dei quali meno di 40 mila euro sono i costi del personale. Rimane un utile di 4,5 milioni, su cui la Ttt paga tasse per quasi un milione e mezzo.
Ma per capire meglio la vicenda, tutt’altro che chiarita nonostante le ammissioni del tesoriere dell’ex partito di Francesco Rutelli, conviene andare a vedere dove va a finire quel fiume di euro dopo aver transitato nella Ttt.
E allora si scopre che nell’ottobre del 2008 ben 2,2 milioni sono andati a un manager che si chiama Giuseppe L’Abbate.
E’ lui a vendere a Ttt, e cioè a Lusi, un appartamento di prestigio nel cuore di Roma, in via di Monserrato.
L’Abbate non è un venditore qualsiasi. Il suo nome è ben conosciuto ai vertici della Margherita, visto che siede nel consiglio di amministrazione della società che pubblica Europa, il quotidiano del partito.
Insomma, L’Abbate, classe 1968, non può non conoscere Lusi, che di quella stessa società è consigliere e membro del comitato esecutivo.
Quindi, stando alle carte, sembra quasi un affare in famiglia.
Un uomo targato Margherita vende e un uomo targato Margherita compra.
E l’affare vale oltre 2 milioni di euro.
L’Abbate nega. “Certo, conosco il senatore Lusi — dichiara il manager — ma non sapevo che dietro la società Ttt ci fosse proprio lui”.
Insomma, par di capire, sarebbe tutta una coincidenza.
Lusi, che prende in affitto la casa dalla Ttt (canone 2.500 euro al mese) va a vivere nella casa che gli ha venduto
L’Abbate, il collega nel consiglio di amministrazione di Europa. L’Abbate però dichiara di non saperne niente. Singolare.
Certo è che la piccola Ttt continua a spendere alla grande.
Sempre nel 2008, per dire, compra dall’imprenditore Cristiano Berloco una grande villa a Genzano, località dei Castelli romani.
Prezzo: 2 milioni di euro.
Berloco vende la società Immobiliare Paradiso, a cui è intestata la grande casa in campagna.
Una casa che, a quanto pare, ha bisogno di importanti lavori di ristrutturazione.
Nel solo 2010 la Ttt trasferisce alla sua controllata Immobiliare Paradiso oltre un milione di euro, che vengono in buona parte impiegati per mettere a nuovo il palazzo. Già che c’è Lusi trasferisce a Genzano, a poca distanza dalla casa appena acquistata, una sede distaccata del suo studio legale di via Giambattista Vico a Roma.
Ma l’ex tesoriere della Margherita, avvocato cassazionista, come si definisce nel suo sito, si era lanciato anche oltrefrontiera.
Addirittura a Toronto, in Canada, dove aveva aperto un ufficio.
E guarda caso, l’indirizzo della sede canadese dello studio Lusi risulta identico a quello della Luigia Ltd.
Cioè la società canadese a cui fa capo il controllo della Ttt.
Tirando le somme, tra affari immobiliari e altre spese, la società del senatore rutelliano ha investito in tre anni non più di 6 milioni di euro.
E il resto? Che fine hanno fatto gli altri cinque milioni sottratti ai conti della Margherita e finiti nelle casse della Ttt?
Semplice, Lusi li aveva messi a bilancio come profitti.
E ci aveva pure pagato le tasse. Oltre 3 milioni di euro di imposte, secondo quanto risulta dai bilanci, versate all’erario tra il 2008 e il 2010, lasciando utili complessivi al netto delle tasse nei tre anni di oltre 6 milioni.
Ma chi è l’amministratore unico della Ttt? Si chiama Paolo Piva e Francesco Rutelli sicuramente lo conosce bene.
Infatti il 25 settembre 2000, quando la Corte dei conti lo condannò, come sindaco di Roma, a rifondere l’erario del costo ingiustificato di una consulenza da 134 milioni di lire affidata a Luigi Lusi (perchè non possedeva “i requisiti di elevata professionalità richiesti”), nella stessa sentenza c’era analoga condanna per analoga ingiustificata consulenza data a Piva.
Ingaggiato per indicare alla giunta Rutelli la strada giusta in tema di “piano urbano parcheggi, la tariffazione della sosta, la revisione del sistema di trasporto a mezzo taxi e la riorganizzazione della rete distributiva carburanti”, il Piva veniva, come Lusi, declassato dalla Corte dei Conti a individuo privo del “alto grado di professionalità ” richiesto dalla normativa, anche perchè i magistrati contabili hanno accertato che si occupava solo di rapporti con le lobby interessate.
Piva ha comunque a lungo lavorato presso il Campidoglio, finendo assunto all’azienda tramviaria Atac e poi in pensione.
Di lui, nato professionalmente come sindacalista dei benzinai, si ricorda il legame stretto con il defunto Mario Di Carlo, presidente dell’Atac, poi assessore comunale, poi alla Regione Lazio, rutelliano di ferro.
Ed ecco che Lusi gli affida la guida della Ttt, dove Piva, emette le fatture che le casse della Margherita pagano puntualmente, stipula con L’Abbate il contratto di acquisto dell’appartamento di via Monserrato e poi firma i bilanci floridi di cui sopra. Interpellato dal Fatto, Piva ha preferito declinare la richiesta di delucidazioni limitandosi a dichiarare che non era “interessato a proseguire la conversazione”.
Vittorio Malagutti e Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
SUL TG1 DECIDONO LORO E SI SPARTISCONO LA TORTA: AL TG1 RIMANE MACCARI (PDL), AI TG REGIONALI ARRIVA CASARIN (LEGA)… RIZZO NERVO SI DIMETTE, GARIMBERTI RIMANE
La prima riforma di viale Mazzini la scrivono loro.
Quelli che comandano davvero la Rai, Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, la coppia di alleati che finge di litigare e poi si ritrova per condividere il potere più prezioso: l’informazione.
Certo, il direttore generale Lorenza Lei ha faticato per la riconferma di Alberto Maccari (quota Pdl) al Tg1 e per la nomina di Alessandro Casarin (Lega) ai Tg regionali.
Il Consiglio di amministrazione si è diviso in gruppi e gruppetti che nemmeno si salutano, il presidente Paolo Garimberti ritira le annunciate dimissioni, il consigliere Nino Rizzo Nervo (Pd) dice addio: “Quanto avvenuto è l’ultimo scriteriato atto di una gestione aziendale – scrive a Garimberti – condizionata da logiche di parte che sta spingendo l’azienda verso un rapido declino”.
La Rai non ha trasmesso una commedia, ma l’ha inscenata al settimo piano di viale Mazzini.
Il centrodestra contava nervosamente i voti; il centrosinistra elencava regole interne violentate; il deputato e consigliere Antonio Verro (Pdl), due stipendi e due poltrone, lasciava Montecitorio per onorare il patto fra i due partiti.
E Lorenza Lei vince di misura: 5 a 4 per le sue proposte , a favore il centrodestra, contraria l’opposizione (compreso il presidente).
Il governo osserva con attenzione, studia per ricostruire l’azienda (complicato senza l’assenso del Cavaliere), e Mario Monti fa sapere di non condividere le scelte di Lorenza Lei, condannata a sperare che i progetti di Palazzo Chigi (la riforma pronta entro un mese) siano soltanto buoni e inutili propositi: in caso contrario, sarà sostituita.
In teoria, il Cda scade a fine marzo. In pratica, di nuovo in maggioranza, Pdl-Lega insistono per la proroga.
Qui dove qualsiasi incarico è precario, Alberto Maccari può festeggiare: ieri doveva andare in pensione, oggi incassa la guida del Tg1 sino al 31 dicembre.
Il partito democratico invade le agenzie di stampa, prepara mobilitazioni.
Parlano il segretario Pier Luigi Bersani e il presidente Rosy Bindi: “Non resteremo con le mani in mano. Non staremo fermi davanti a coloro che vogliono vedere distrutta un’azienda pubblica”, dice Bersani.
Rizzo Nervo scrive una lettera a Sergio Zavoli per spiegare le sue ragioni: “È stato un gesto meditato e inevitabile anche — dice al presidente della commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai — nella speranza che possa suscitare, come lei auspicava nei giorni scorsi, un’adeguata riflessione politica e istituzionale a tutela del servizio pubblico”.
E a Radio 24, Rizzo Nervo conferma il regalo per Bossi e Berlusconi: “È chiaramente un accordo politico tra Pdl e Lega Nord con lo scambio di Maccari al Tg1 e Casarin al Tgr”.
E il presidente Garimberti, che minacciava ritorsioni e azioni clamorose?
Non molla l’istituzionale poltrona, anzi: firma un comunicato istituzionalmente impeccabile, un appello al ministero del Tesoro, l’azionista di viale Mazzini. Garimberti dice che l’azienda è ingovernabile, ma ovviamente non si dimette perchè il nemico si combatte all’interno.
In viale Mazzini fanno notare: “Sono tre anni che combatte, nessuno se ne accorge, e lui perde sempre”.
Adesso senza Rizzo Nervo, mentre il veltroniano Giorgio Van Straten e il casiniano Rodolfo De Laurentiis restano seppur dissidenti, i partiti di centrosinistra si scaldano per viale Mazzini.
Nichi Vendola (Sel) è il più combattivo: “Sono senza parole. Quello che si è consumato in Cda è uno scandalo lungamente preparato. Il servizio pubblico dell’informazione ancora una volta è umiliato dalla protervia di un potere politico volgare e dozzinalmente padronale. Non si può tacere, non si può rimanere inerti, nelle istituzioni e nel Paese. L’opposizione si muova, il governo da parte sua non ha nulla da dire?”.
Di solito Lorenza Lei tace, non commenta mai, non replica mai.
In serata, stranamente, prende la parola: “Rivendico l’autonomia delle scelte e spiace che possano essere state interpretate con logiche che non mi appartengono”.
La Lei fa riferimento a logiche di spartizione.
Ma quelle in Rai non appartengono a qualcuno, esistono e basta.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
IL PARTITO-ZOMBIE CHE ACCAPARRAVA FONDI SENZA RENDERE CONTO A NESSUNO AVEVA GIA’ PRODOTTO UNA FURIBONDA POLEMICA E PERSINO UN GIALLO SULLE PRIMARIE
L’allora tesoriere della Margherita, infatti, messo spalle al muro da Arturo Parisi, giustificava una voce del suo bilancio così: “Ho dato 4 milioni di euro a Franceschini per la sua campagna da segretario”.
Lo scandalo inizia il 20 giugno del 2011, a via del Nazzareno c’è l’assemblea della Margherita che deve approvare il bilancio.
I 300 dirigenti della ex Margherita dovevano approvare i conti di un partito ufficialmente morto ma finanziariamente floridissimo.
La seduta iniziò malissimo, non più di 15 persone in sala. Nessuno dei partecipanti aveva ricevuto una copia del consuntivo. “Come pensi — aveva detto Parisi a Lusi — che noi si possa approvare un bilancio a scatola chiusa?”.
Era scoppiato un finimondo.
Un altro dirigente, l’umbro Luciano Neri: “Fra un anno il finanziamento finirà : che cosa facciamo di questi soldi? La cosa più logica, per me, sarebbe dividere i fondi tra organizzazioni sociali: Emergency, La Caritas, Medici senza Frontiere”.
Parisi torna alla carica: “La seduta va aggiornata per dar modo ai dirigenti di visionare il testo e chiedere chiarimenti, oppure la votazione perde qualsiasi legittimità politica”.
A questo punto Lusi esplode, cancellando l’immagine del dirigente tecnico compassato e pignolo: “Adesso basta! Non posso accettare di essere trattato in questo modo”.
Estrae dalla borsa un fascicolo che sbatte sul tavolo: “Il bilancio è qui. Non c’è nessun segreto: ma se queste proteste vogliono suggerire che io non faccio bene il mio lavoro, non ho problemi a rimettere il mio mandato!”.
Cala il gelo.
Oltre ai due “contestatori” – Parisi e Neri — ci sono Francesco Rutelli, Paolo Gentiloni, Giuseppe Fioroni, Enzo Bianco, Giulio Santagata.
La riunione si interrompe. Lusi si alza. Fioroni media.
Parisi chiede di visionare il fascicolo.
Lusi accetta che il professore guardi, ma non gli da una copia del testo.
Parisi non ha una preparazione contabile, ma l’occhio gli cade su una voce: “Attività politica, 4 milioni di euro”.
Allora chiede a bruciapelo: “Scusa Lusi, cosa vogliono dire questi denari, nel 2011, per un partito che ha cessato l’attività politica?”.
La risposta del tesoriere: “Lo scorso anno ci sono state le primarie tra Bersani e Franceschini. Quella voce indica il nostro contributo al candidato che veniva dalla Margherita”.
Parisi trasecola: “Ma come? Il tetto di spesa prescritto dal regolamento interno del Pd, era di 250 mila euro!”.
Il problema che Parisi si pone, non sospettando truffe, è quindi tutto politico: lo stesso Franceschini aveva più volte lamentato la spesa enorme sostenuta da Bersani per la sua visibilissima campagna.
A chi scrive, nell’anticamera dell’Infedele di Gad Lerner, solo sei giorni prima del voto aveva detto: “Io i soldi per affiggere e stampare una manifesto nazionale non li ho mai avuti!”.
Torniamo per un attimo al 20 giugno 2011.
“La riunione — racconta Neri — fu aggiornata alla sera, per dare tempo ai pontieri di ricucire lo strappo. Il bilancio, malgrado le nostre proteste fu approvato con la scusa che si era oltre il termine massimo. Lusi promise solennemente che lo avremmo ricevuto a casa. Non arrivò mai”.
I dirigenti, ancora una volta pressati da Parisi e Neri, prendono l’impegno di convocare un comitato per decidere cosa fare dei soldi quando, dopo il 2011, il finanziamento sarà finito.
L’assemblea non si riunirà mai. Si arriva a settembre.
Dopo la scissione dell’Api, sorprendendo tutti, Lusi sceglie di non seguire Francesco Rutelli.
Rimane senatore del Pd, parte dell’Area democratica che fa capo proprio a Franceschini.
La Margherita, come soggetto giuridico, continua a stipendiare una decina di funzionari e a occupare una parte della sede del Pd.
Quando chi scrive era venuto a conoscenza della polemica, chiede a Franceschini (diventato capogruppo del Pd) come sia possibile che Lusi giustificasse una spesa così ingente con un finanziamento a lui.
Questa la risposta dell’ex segretario del Pd: “Ho sentito anche io questa voce! E’ una menzogna vergognosa e priva di qualsiasi fondamento. Primo: non avevo realmente un euro a disposizione. Secondo: non avrei mai accettato di ricevere una cifra di questa entità perchè lo avrei ritenuto immorale, per una primaria. Terzo, c’era un regolamento che lo vietava”.
Obiezione, allora perchè Lusi dice di aver stanziato quella cifra?.
Franceschini è netto: “Non lo so. Sono solo certo che non può essere che una balla. E voglio anche io andare fino in fondo”.
Lusi, cercato dal sottoscritto su tema, si è sempre negato.
Il bilancio della Margherita viene pubblicato, su Europa, con le voci di spesa raggruppate e poco comprensibili.
Oggi Parisi dice: “Avevo individuato voci opache, ma il sospetto di corruzione o di appropriazione indebita non lo avevo avuto, altrimenti avrei denunciato tutto ad un magistrato. Quello che io sospettavo — aggiunge Parisi — era un uso, discrezionale sicuramente, forse clientelare, e di certo improprio di denaro pubblico. Ho ripetuto la mia protesta e i miei dubbi in ogni sede, ma non ho ricevuto nessuna risposta e nessuna spiegazione”.
Lusi amministrava la Margherita con un rigore quasi arcigno: non pochi, in quella sede, ricordano le ramanzine impartite ai dipendenti anche per un semplice rimborso taxi, e i contributi negati alle tante richieste.
Certo che la vicenda lascia aperti non pochi dubbi: quanto costò davvero a Bersani e Franceschini la campagna delle primarie?
Chi la finanziò? Dove sono i rendiconti?
E perchè nessun dirigente della ex Margherita si pose il problema del modo in cui veniva amministrato un patrimonio di milioni di euro?
E soprattutto: Lusi ha fatto un uso politico, oltre che personale, di parte di quei fondi che amministrava con disinvoltura ed arroganza?
E, visto che non sono andati a Franceschini, come sono stati impiegati quei 4 milioni?
Luca Telese blog
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, la casta, Politica, radici e valori | Commenta »
Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
L’ELETTORATO NON GRADISCE, IL PDL È COSTRETTO ALLA RETROMARCIA…”SI RISCHIA CI SIA SOLO LA SANTANCHE’ E CHE CI TIRINO GLI ORTAGGI” CONFIDA UN COLLABORATORE
Ecco, è successo che i duri e puri del Pdl si fossero messi in testa di organizzare una mega manifestazione a Milano contro i giudici che sono a un passo dalla condanna per corruzione del Cavaliere nel processo Mills.
Data prevista, sabato prossimo.
Davanti al Palazzo di Giustizia, avrebbero voluto i falchi, in piazza Duomo, imploravano le colombe.
La feroce macchina da propaganda del Pdl contro la “sentenza politica” del processo Mills si era già messa in moto quando un sondaggio, piovuto di prima mattina sul tavolo dello studio di Berlusconi ad Arcore, ha fatto sobbalzare tutti.
Persino Formigoni, venuto in visita all’ora di pranzo per fare il punto sulla questione del Pirellone e le minacce di Bossi.
L’analista della real casa, Alessandra Ghisleri, dava come “assolutamente negativa” l’idea della manifestazione, vista dall’elettorato del Pdl come “giusta, ma inopportuna, soprattutto in un momento di crisi generale”.
Di più: il dato sulle intenzioni di voto riportava una cifra bassa, molto bassa, “un pelino solo sopra il 19% — si è lasciato sfuggire un uomo del Cavaliere — che ci obbliga a risalire, altrimenti rischiamo di fare la fine dei Panda”.
Berlusconi ha quindi chiamato Verdini e gli ha detto di fare marcia indietro su tutta la linea.
“Non possiamo rischiare che ci siano poche persone — ha spiegato il Cavaliere — nè di avere contestazioni; il clima è cambiato, ci dobbiamo muovere con attenzione, ora è il momento di dare un segnale di tenuta e di credibilità ”.
Una retromarcia clamorosa. E dire che erano già partite le convocazioni dei “Berlusconi boys” e dei tesserati di tutta la Lombardia per un numero che la segreteria di via dell’Umiltà già aveva stimato nell’ordine “delle 15 mila persone, quello che sarebbe bastato a riempire corso di Porta Vittoria” davanti all’ingresso principale della procura meneghina.
Invece , niente. “Meglio stare coperti — ha detto Berlusconi parlando con Formigoni — anche se Niccolò (Ghedini) mi aveva detto che secondo lui era il modo migliore per fare pressione sulla Procura”.
Già , perchè l’idea è stata di Ghedini, che poi l’ha passata a Verdini che immediatamente ha messo in moto la prodigiosa macchina da guerra della “rivolta contro i giudici” targata Pdl.
Solo che poi, una volta deciso il dietrofront, è toccato sempre a Verdini di trovare una scusa buona per giustificare il passo indietro.
“Il Pdl è inondato dalle richieste, ma una manifestazione in favore di Berlusconi e per la riforma della giustizia non ci sarà — ha detto il colonnello arcoriano — è vero, posso confermare che da giorni siamo inondati da mail, telefonate e richieste di cittadini, militanti e dirigenti locali del Pdl che premono per una grande manifestazione nazionale di sostegno al presidente Berlusconi e di sollecitazione alla grande riforma liberale della giustizia italiana”.
“Comprendiamo le ragioni e i sentimenti del popolo azzurro — sono ancora parole di Verdini — e sappiamo bene che da anni, in Italia, si accetta un pervicace uso politico della giustizia, il tentativo di colpire l’avversario politico per via giudiziaria e di mettere in discussione nei tribunali ciò che gli elettori hanno deciso nelle urne. Ma la manifestazione, almeno per ora, non ci sarà ”.
Secondo Verdini, Berlusconi (“seppur emozionato e commosso per questa ondata di calore”) avrebbe scelto un profilo di responsabilità “al quale non intende derogare”. Meglio far finta di essere degli statisti che andare incontro a un boomerang mediatico di proporzioni gigantesche.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 1st, 2012 Riccardo Fucile
LA STORIA RIVELATA DAL TG DI LA7: IL 31 GENNAIO L’ON. RICCARDO CONTI COMPRA UN IMMOBILE DAL FONDO IMMOBILIARE OMEGA ALLA CIFRA DI 26 MILIONI E LO RIVENDE LO STESSO GIORNO A UN ENTE DI PREVIDENZA A 44 MILIONI
Nel giorno in cui la politica si infiamma intorno al caso del senatore del Partito democratico Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, che ha girato sul suo conto i fondi destinati ai rimborsi elettorali (leggi), il tg diretto da Enrico Mentana scoperchia l’ennesimo pentolone.
Si tratta dell’acquisto, il 31 gennaio 2011, della nuova sede dell’Enpap, l’Ente nazionale di Previdenza e assistenza per psicologi, da parte del senatore del Popolo della Libertà Riccardo Conti che nello stesso giorno riesce a rivenderlo guadagnando in una botta sola ben 18 milioni di euro.
Già , perchè l’intero palazzo nel cuore di Roma, in via della Stamperia 64, che consta di oltre 3mila metri quadrati distribuiti su 5 piani più seminterrato a due passi dalla Fontana di Trevi, ha per così dire un “prezzo variabile”.
Infatti, spiega la giornalista Flavia Filippi nel servizio, esattamente un anno fa il costo del palazzo è cresciuto di 18 milioni di euro in un solo giorno.
“E’ il 31 gennaio 2011 quando l’immobiliare “Estate due srl” di Brescia con amministratore unico il senatore Pdl Riccardo Conti compra l’edificio dal fondo Omega, fondo immobiliare gestito dalla Fimit di Massimo Caputi per conto di Intesa San Paolo alla cifra di 26 milioni e mezzo di euro e lo rivende all’istante, nello stesso giorno, all’ente di previdenza degli psicologi presieduto da un paio d’anni dallo psicologo Angelo Arcicasa a 44 milioni e mezzo di euro”, viene documentato nel servizio.
Si tratta di 14mila euro al metro quadrato, troppo se si considera che, per quanto la zona sia di alto pregio, si tratta di un acquisto in blocco.
Una cifra che, con l’iva al 20 per cento arriva per l’Enpap a 54 milioni di euro.
Il fondo Omega di Intesa San Paolo è stato costituito nel 2008 proprio allo scopo di “gestire e valorizzare nell’arco di un triennio le quasi 300 proprietà immobiliari del gruppo provenienti in parte dalle dismissioni delle filiali bancarie”.
E se il fondo Omega è nato per valorizzare, perchè — si chiede la giornalista — ha venduto il palazzo di via della Stamperia alla società immobiliare del senatore Conti a 26 milioni e mezzo di euro?
E ancora: “Forse il fondo Omega ignorava che il giorno stesso il senatore Conti con la sua società immobiliare con il capitale sociale di 73mila euro e nessuna struttura organizzativa, avrebbe fatto il colpo della vita guadagnando 18 milioni dalla vendita del palazzo all’ente degli psicologi?”
Un affare, conclude il servizio, ancora più vantaggioso se consideriamo che Conti lo conclude senza tirare fuori un euro di tasca sua e senza garanzie di alcun tipo per il venditore.
Grazie alla benevolenza di Fimit infatti, la proprietà gli viene trasferita sulla parola. Conti verserà i primi 5 milioni di euro al venditore solo il 3 febbraio 2011, due giorni dopo averne incassati 7 dall’Enpap.
Stessa formula per le altre tranche di pagamento.
Quanto ai vertici dell’Enpap non potevano non sapere che il venditore, per l’appunto il senatore Pdl Conti, aveva comprato il palazzo da Fimit lo stesso giorno.
E a un prezzo incredibilmente più basso.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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